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Autore: Challenger    06/05/2022    0 recensioni
L'amore vince su tutto
Genere: Erotico, Noir, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Un pomeriggio di fine luglio Valerio ed io ci baciavamo davanti al portone massiccio del mio palazzo: alcuni passanti, vedendoci, scrollavano la testa mostrando ripugnanza e lasciandosi sfuggire qualche frase omofoba, ma noi non ci facemmo caso. Avevo perdonato Valerio per quell’ultima sfuriata: mi aveva giurato che non lo avrebbe più fatto, che si era pentito e che aveva pianto tutto il pomeriggio per il modo in cui mi aveva trattato; disse che la paura di perdermi ancora lo aveva mandato fuori di testa, ed era stata quella stessa paura che lo aveva spinto ad insultarmi e picchiarmi. Valerio era un bravo ragazzo, ero io lo stupido che meritava di essere punito, in fin dei conti, non aveva tutti i torti… insomma, ero io quello distratto, quello che non si impegnava abbastanza nella relazione. Sì, è vero, spesso era violento, però mi chiedeva sempre scusa, e per la maggior parte del tempo era così carino e attento, come se, in un ipotetico scenario, lui fosse quello intento a preparare da mangiare e ad imbandire la tavola per una cena romantica, mentre io ero affacciato alla finestra, perso in chissà quale luogo lontano a pensare ai fatti miei. Quando ero con lui, non facevo altro che pensare ad Andrea, anche se quel burino mi aveva devastato l’esistenza con la notizia della sua futura paternità. Ancora non ci credevo! Andrea, il mio Andrea, sarebbe diventato papà. Avrebbe formato una famiglia con Valentina e il loro bambino, mentre io mi sarei dovuto accontentare di un altro, un altro che non era Andrea! Non facevo che pensare a lui e al suo bambino… già me lo vedevo pubblicare le loro foto… lui con il suo bambino in braccio e qualche didascalia strappalacrime… lui e il suo bambino al parco… lui che insegnava al suo bambino ad andare in bicicletta… ed io dove sarei stato? Tagliato fuori dalla sua vita. Quel bambino non era ancora nato eppure mi aveva già rubato la vita. No, non sto dicendo che lo odiassi, lungi da me provare un sentimento così aberrante nei confronti di una creaturina, innocente per giunta! In realtà ne ero invidioso, ma non in senso negativo. Lo invidiavo perché lui avrebbe ricevuto tutto l’amore e l’attenzione di Andrea, quel ragazzo così (im)perfetto e così tanto adorabile (adorabile sì, ma quando voleva lui!). Io mi sarei accontentato di guardarlo da lontano, lasciandogli tutto lo spazio per amare suo figlio. Ciò non toglie che fossi molto arrabbiato con lui, mi aveva ferito profondamente scrivendo quelle cattiverie. «Va bene, ora basta, devo proprio andare» Valerio doveva correre a casa per ripassare, poiché il giorno seguente avrebbe sostenuto l’ultimo esame della sessione estiva. «In bocca al lupo per domani!». Gli sorrisi. Dovevo solo abituarmi all’idea che lui non c’era più. «Crepi!». Se ne andò. Infilai la chiave nella toppa e aprii il portone; qualcuno posò delicatamente una mano sulla mia spalla, quasi una carezza. Mi girai. «Stai veramente co quello?» mi inquisii Andrea. Cosa voleva ancora da me?! Perché era venuto a cercarmi fino a casa mia?! Risata ironica: «no. Stavolta no. Manco te rispondo». «Daje, Mattì, non fà lo stronzo! Lo so che me lo stai a fà apposta!». «Sei veramente incredibile! — lo guardai disgustato — Prima mi tratti come spazzatura, mi tagli fuori dalla tua vita, e poi te ne esci così?! Mi dispiace, ma con te ho chiuso! E comunque, a te, della vita mia, di quello che faccio e con chi sto non deve importare nulla! Devi lasciarmi in pace! Adesso hai una famiglia a cui pensare!». «Mattì… lo so che ho fatto la merda… però pensavo de diventà padre… e me dovevo pijà cura de quella creatura e non potevo stà co te!». Che aveva detto?!, pensai tra me e me, poi lo ripetei ad alta voce. Andrea mi confessò che Valentina gli aveva mentito, non era mai stata incinta, l’aveva detto solo per tenerselo, però a me non importava più niente, adesso ero io a non volerlo più nella mia vita! Non volevo essere la sua seconda scelta! Gli risposi irritato: «perché, scusa, sei gay? Eppure mi era sembrato di capire che tu “non fossi come me”… è così che hai detto, no?». «Mattì… io e te… noi… lo sai… c’è stato qualcosa» disse a disagio. «Ah, perché siamo qualcosa noi? Una scopata non ci rende amanti, fidanzati, amici o quello che ti pare. Ci rende solo due che hanno scopato, punto» ero intenzionato a rendergli pan per focaccia. «Te lo sai meglio de me che non è stata solo ‘na scopata!» voleva chiarire la situazione così da poter eliminare quei sentimenti “malati”, ma non era affar mio. «Sei ridicolo, André» dissi beffardo. «E te ‘na testa de cazzo». Alzò il braccio per mandarmi al quel paese, che classe! Se ne andò, perché non avrebbe ottenuto il risultato sperato. «Ah sì? Però t’è piaciuta ‘sta testa de cazzo quando te la sei scopata!» gli urlai dietro, ero troppo arrabbiato e lui doveva pagare per il male che mi aveva fatto. Rosso per la vergogna, tornò a grandi passi verso di me. Accidenti, Andrea mi fece paura! Era alto quasi un metro e novanta ed era pieno di muscoli, ed io così mingherlino! Il cuore batteva forte, percuoteva il mio petto con i suoi pugni selvaggi. «Non t’azzardà più a dí ‘ste porcherie!» mi tirò un dritto in faccia — accidenti, che male! —, caddi addosso al portone aperto, piombando sul selciato interno. (Oh, ma che cavolo! Non credevo mi picchiasse davvero!). Andrea si buttò su di me pronto a colpirmi di nuovo, ma si fermò. Piangevo come una fontana mentre dal naso e dal labbro inferiore uscivano piccole perle rossastre. Turbato dalla scena, cercò di rimettermi in piedi, ma lo scansai debolmente e lui si allontanò impaurito. Fortunatamente non passava nessuno a quell’ora. Non volevo passare per la vittima indifesa, se avevo sopportavo i maltrattamenti di Valerio potevo sopportare anche un pugno di Andrea. «Mattì…? Mattì…? Me dispiace, non te volevo menà sul serio» sussurrò con voce rotta dal pianto. Dopo un istante di ritrosia, lo invitai ad abbracciarmi. Lui non era come Valerio, era dispiaciuto davvero, e a me mancava troppo per continuare ad essere arrabbiato con lui. Adesso lo tenevo io fra le braccia, come un bambino, e lo consolavo: «su, su, è tutto ok, è tutto ok. Mi passerà, non preoccuparti. Sta’ tranquillo». Sedemmo per terra come vagabondi. «Mattì… non so che fà. Sò confuso, è tutto nôvo pe me, non m’era mai successo» singhiozzava. «L’affronteremo insieme, passo dopo passo. Ci metteremo tutto il tempo che ti servirà. Io sono qui, non vado da nessuna parte» gli baciai la testa corvina. Andrea si strinse ancor di più al mio torace, quasi volesse entrarmi dentro, nonostante l’afa estiva. L’ultima volta che si era sentito amato e protetto sua madre era ancora viva, povero il mio Andrea! «Annàmo via, voglio stà da solo co te». «Andrei ovunque con te». Salimmo sulla moto e mi diede di nuovo il suo casco. Arrivammo ad Ostia nel tardo pomeriggio. L’appartamento era fresco. Per prima cosa, andai in bagno a lavare via il sangue, il labbro mi faceva male, ma se sopportare quel dolore significava stare con lui, allora dovevo essere grato a quel fastidio. Andrea tornò con un asciugamano pulito. «Scusa ancora pe quel pugno» disse davvero dispiaciuto. «’Fa niente! Forse me lo sono meritato» risi per consolarlo. Andrea mi fissava intensamente. Oh, accidenti! Quegli occhi neri avevano il potere di eclissare la realtà circostante, e aprivano silenziosamente le porte che conducevano nel mondo oscuro di quel misterioso personaggio, invitandomi ad entrare. Cercare di vedere Andrea era un’impresa praticamente impossibile, come sbirciare dal buco della serratura: puoi cogliere solo alcuni dettagli dell’intera figura che sta dietro la porta. Come il sole che ama giocare con le nuvole, nascondendosi dietro ad esse, di Andrea si poteva scorgere solo il bagliore; la sua luce, forte e abbagliante, era nascosta da quell’impenetrabile barriera che aveva costruito attorno a sé. «Che c’è? Ho ancora del sangue da qualche parte?» adesso sorridevo affabile, non ero più arrabbiato, ero stato rapito da quei pozzi profondi. «Sì, qua — toccò il labbro — aspetta, te lo tolgo io» si avvicinò e mi baciò delicatamente. Con le bocche impegnate e stando bene attenti a dove mettevamo i piedi, ci dirigemmo in camera sua. Andrea mi spintonò giocoso sul letto. Ridevo come un bambino a cui avevano fatto il solletico, lui sopra di me tornò a baciarmi e dunque a spogliarmi. Fisicamente somigliavo ad un preadolescente, la definizione dei miei muscoli era solo accennata. La prima volta non c’era stato bisogno di togliere i vestiti, ma ora avevo delle remore. Presi la maglietta e mi coprii di nuovo. «Perché te copri? Ho fatto qualcosa che t’ha dato fastidio?» Andrea non capiva. «N… no. Credo che… ho fatto uno sbaglio, scusa…» tentai di alzarmi. Andrea mi trattenne sul letto: «Mattì, macché stai a dí? Che è successo? Dimmelo». «Io… m… mi…». «Te cosa…?» mi incalzava ansioso. Iniziai a singhiozzare. «Ahó, Mattì… ma perché fai così? È colpa mia?» fece un piccola pausa, stava riflettendo, poi proseguì: «Mattì, scusa non te volevo fà piagne. Se non vôi, non lo famo. Scusa… io non te volevo costringe, credevo lo volessi pure te» Andrea cominciava sul serio a preoccuparsi, infatti mi guardava con espressione triste. Oh… non mi voleva costringere… che carino! «Abbracciami, ti prego!» piangevo disperato. «Viè qua» mi assecondò. «Non me lo vôi proprio dí perché fai così?». «È una cosa stupida». «Dimmela lo stesso». Presi un respiro profondo prima di parlare, poi mi decisi a rispondere: «guarda te: sei bellissimo. Hai un fisico spettacolare, perfetto. Adesso guarda me: faccio schifo, non ho massa, non sono definito, sembro un bimbominchia. Come fai ad essere attratto da me?» frignai. Pausa, poi: «c’hai ragione!». Andrea mi teneva ancora stretto, non mi aveva mai lasciato. «Ecco, lo sapevo!» piagnucolai fra le sue braccia. «C’hai ragione a dí che è ‘na stupidaggine. Secondo te, me piaci perché sembri un bimbominchia? Ma ‘sti cavoli, Mattì! Sò altre le cose importanti. E poi io non sò mica perfetto come dici te!» si sciolse dall’abbraccio e tolse la maglietta mostrando le cicatrici sulla schiena, quella all’altezza della milza e diverse altre. M’impressionai, non ricordavo ne avesse così tante! Da lontano non ero riuscito a coglierle tutte. «Sò tutti regali che m’ha lasciato mi’ padre. L’altri bambini ricevevano biciclette, palloni, videogiochi, ecc… io c’avevo le cinghiate sulla schiena quando facevo il cattivo oppure, quando je girava bene, me gonfiava de botte e me mannàva all’ospedale — intanto fissavo la cicatrice sul basso ventre — ah, già, quella. Sempre un regalo suo… il più bello!». Sorrideva tranquillo, come se stesse raccontando di una bella giornata passata al lago! Lo guardavo scandalizzato, come faceva a scherzare su una cosa del genere?! «Ahó, n’te preoccupà! Ormai non me fanno più male» sorrise per rassicurarmi. Mi pizzicò una guancia con l’indice e il medio. «E se tuo padre venisse a sapere di noi? Ti ammazzerebbe sicuramente» la mia voce era terrorizzata. Non era la prima volta che mi capitava di incontrare genitori omofobi… «Macché! N’ce devi nemmeno pensà!» mi scapigliò. «Allora… dove eravamo rimasti?» sorrise malizioso. Mi lasciai andare, finalmente. Essenzialmente aveva ragione Andrea: quello che importava non era l’aspetto fisico, ma ciò che provavamo l’uno per l’altro. Giacemmo sul materasso privo di lenzuola. Il coito fu ancora più bello dell’ultima volta. Adesso aveva prevalso l’amore sulla passione sfrenata. Facemmo l’amore tre volte quel pomeriggio, le prime più selvagge, l’ultima più dolce e lenta (quella che preferimmo). «T’ho fatto male?». Me lo chiedeva dopo ogni amplesso. «No, tranquillo. Te lo avrei detto» gli baciai la mano. Andrea era sdraiato con la testa sul cuscino e teneva il braccio sinistro sul mio torace, io poggiavo a mia volta la testa sul petto vigoroso di lui. Nell’armadio, oltre il cuscino, aveva rimediato anche una coperta per coprire le pudenda. «Vorrei tanto rimanere qui con te». Giocherellavo con le sue dita. «Allora resta. Fermate qua pe la notte» propose Andrea. «Magari! Ma non posso, stasera mi vedo con i miei amici». «Daje buca». «No, non posso, ormai gliel’ho promesso». «Vabbè. Allora alzate che te riporto a casa» si sentiva la delusione dall’inflessione della voce. «Mi dispiace, ma gliel’ho promesso». «Vabbè, a posto così. Ho capito». Si alzò e si vestì in fretta. Lo afferrai da dietro e gli domandai: «facciamo pace?». Andrea ci pensò. Si voltò, agganciò il mio mento sbarbato nella mano, e disse: «sì» subito dopo mi stampò un bacio sulle labbra e uno sul naso, che arricciai.
   
 
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