Cap. 2: The sorrow path
Taking a
breath in the morning
Thinking about what to say
When you’ll be back from your fight
And be back home
Confidence
slept while I was there
Between illusion and dream
As I found a way back
Hope was still there with me
But I lost it through the fall
Fate wields its knife to cut the thread…
(“The sorrow path” – Nocturna)
C’era anche un’altra persona che, quella
sera, non aveva potuto godersi i festeggiamenti nella Sala Grande: Tiago, il
giovane spagnolo. All’inizio aveva pensato che Erik avesse scelto di
banchettare in mezzo ai guerrieri e alle shieldmaiden
invece che al tavolo reale per poterlo avere vicino ma, ben presto, si era
dovuto rendere conto che le cose non stavano affatto così. Erik lo aveva
ignorato completamente e si era diretto verso una lunga tavola, poi si era
seduto sulla panca accanto ad una shieldmaiden
dai lunghi capelli castani e l’aveva abbracciata e baciata in mezzo agli
applausi e alle grida degli altri Norreni.
Tiago era rimasto di sasso e si era sentito
una lama gelida conficcata nel cuore, poi si era ricordato che Erik aveva
conosciuto quella giovane guerriera tre giorni prima, quando le navi norrene di
ritorno dal Wessex erano giunte al porto di Kattegat. Erik si trovava al porto,
aveva salutato Ivar, Hvitserk e gli altri, aveva chiesto notizie di Harald e
dei guerrieri caduti e poi aveva attaccato discorso con la ragazza, che era
sembrata subito molto interessata a lui. Il ragazzo rammentò anche che la shieldmaiden si chiamava Grethe e che,
dopo quel primo incontro, lei e Erik erano stati inseparabili: non c’era da
stupirsi, dunque, che anche quella sera volessero festeggiare insieme.
Ecco, il momento è arrivato, pensò Tiago tra sé. Soffriva molto, ma allo stesso tempo
comprendeva che quello che stava accadendo era ciò che si era sempre aspettato.
Sapevo bene che Erik, una volta riavuta
la vista, non avrebbe più avuto bisogno di me e che avrebbe trovato una persona
con cui stare. Finora si era accontentato di serve e contadine, ma questa è una
guerriera, una sua pari e… credo che con lei vorrà fare sul serio.
Tuttavia, prima di arrendersi, voleva essere
sicuro che quella non fosse la solita storia di una notte, come Erik era solito
fare. Si avvicinò timidamente alla tavolata e si rivolse all’uomo.
“Erik… posso sedermi anch’io qui con voi a
festeggiare?” domandò.
Erik lo squadrò da capo a piedi come se non
lo avesse mai visto prima, poi strinse più forte a sé Grethe, sghignazzò e
parlò a voce alta, rivolgendosi a tutti i Vichinghi che potevano sentirlo.
“Ma guardate, questo ragazzino crede di poter
approfittare della serata di festa per guadagnarsi qualche privilegio. Che
impudente!” esclamò. “Chi ti credi di essere? Sei solo uno schiavo e anche
straniero, per giunta. Non hai alcun diritto di sederti con i veri Vichinghi. Perché piuttosto non vai
nelle cucine e ci porti un bel piatto di arrosto, invece di startene in ozio?”
Gli altri Norreni risero sguaiatamente e
anche Grethe rise di Tiago, ma nel loro caso non c’è da giudicarli: loro si
trovavano in Wessex a combattere i Sassoni quando il giovane spagnolo aveva
salvato prima la vista e poi la vita a Erik, quindi non potevano sapere niente
del legame che c’era stato tra loro. Per loro Tiago era un servitore qualunque
e Erik aveva tutto il diritto di dargli degli ordini…
“Non puoi chiamarmi schiavo” insisté il ragazzo. “Sai bene che Re Bjorn ha abolito la
schiavitù in tutta Kattegat.”
“Oh, e va bene, se ci tieni tanto” sbuffò
l’uomo. “Va bene, non sei uno schiavo, sei comunque un servitore e, come tale,
devi renderti utile portandoci da bere e da mangiare. Cosa aspetti? Voi servi
mangerete dopo, in cucina.”
“Come desideri, signor Erik” replicò allora Tiago. Si allontanò dalla tavolata tra
le risate di scherno dei guerrieri e finse di dirigersi verso la cucina, ma non
si sarebbe certo messo a servire Erik e i suoi nuovi amici. Non era il suo
schiavo, non era il suo servitore, adesso era chiaro che non era più niente per lui… ma non era neanche un
servo qualsiasi, lui era un guaritore, sapeva usare le erbe e l’energia della
natura e, se Erik non aveva più bisogno di lui, sapeva che molte persone,
invece, avrebbero avuto bisogno del suo aiuto. Invece che nelle cucine, si
diresse verso la stanza che fino a poche notti prima aveva diviso con Erik. Un
dolore sordo gli pulsava nel cuore e in tutta l’anima e lacrime bollenti gli
solcavano il viso, ma cercava di farsi forza ripetendosi che non doveva
stupirsi, che sapeva che quel momento doveva arrivare, prima o poi, e che
poteva comunque fare qualcosa di importante nella sua vita, anche senza Erik.
Prese dalla stanza le erbe e i medicamenti che vi teneva e i pochi vestiti che
possedeva, mise tutto in un piccolo involto e poi uscì dal palazzo usando una
porticina laterale. Sapeva già dove andare, aveva adocchiato quella casupola
già da tempo, immaginando che prima o poi gli sarebbe servita: era la casetta
in cui Aethelred aveva tenuto segregato Hvitserk per disintossicarlo, ormai
quasi un anno prima, e dove Helgi aveva vissuto nei suoi primi mesi a Kattegat.
Ora non la usava più nessuno e Tiago aveva deciso che quella sarebbe diventata
la sua casa e anche la sua bottega, dove la gente sarebbe potuta venire
liberamente a farsi curare da ferite e malattie.
Il giovane spagnolo iniziò a sistemare la
piccola casa, a spazzare per terra, a pulire i tavoli e il cassettone per
poterci poi sistemare le sue erbe, i medicamenti, le ciotole e i pestelli per
preparare decotti e tisane. Lavorare fisicamente e concentrarsi per organizzare
gli spazi della sua nuova abitazione lenivano il dolore che lacerava il suo
cuore: Tiago si era sempre in un certo qual modo preparato ad un futuro senza
Erik ma, ora che il momento era giunto, non poteva impedirsi di soffrirne e
sentirsi morire dentro. Sperava solo che il tempo e la cura delle persone che
avrebbero avuto bisogno di lui potessero servire da balsamo per le ferite che adesso
bruciavano nel suo animo.
Il ragazzo si dedicò anche alla piccola
stanzetta attigua nella quale avrebbe dormito, la ripulì ben bene, rifece il
letto con coperte e pellicce che si era portato via dalla stanza che aveva
condiviso con Erik e alla fine, stanchissimo, si gettò sul giaciglio appena
fatto, riuscendo ad addormentarsi grazie alla stanchezza fisica dopo qualche
minuto e qualche altra lacrima…
Quella notte, tuttavia, non fu drammatica
soltanto per Tiago. Aethelred, infatti, si svegliò nel cuore della notte con un
grido disperato, tremando e piangendo e per poco non fece venire un colpo a
Ivar. Non appena capì cosa stava accadendo, il giovane Vichingo prese tra le
braccia il suo compagno, lo strinse al petto, gli accarezzò il viso e i capelli
e gli parlò dolcemente e pacatamente per tranquillizzarlo.
“Va tutto bene, Aethelred, sono qui insieme a
te, non ti lascio solo” mormorò baciandolo sulla fronte e sui capelli. “Che ti
succede? Ti senti male o hai avuto un incubo? Non preoccuparti, io sono qui.”
Il calore del corpo di Ivar, la forza del suo
abbraccio e la tenerezza delle sue parole riportarono Aethelred alla realtà,
strappandolo alle immagini orribili del sogno che lo aveva straziato.
“Ho sognato… ho sognato la battaglia contro i
Sassoni” singhiozzò. “Tu ti gettavi nella mischia e attiravi i soldati, ma io…
io non… io non arrivavo in tempo per salvarti!”
La disperazione nella voce del Principe era
evidente, tuttavia Ivar non riusciva a comprendere perché Aethelred continuasse
a pensare a quei momenti, a sognarli quasi tutte le notti, a torturarsi il
cuore con quei ricordi. Era andato tutto bene, no? Adesso erano a Kattegat,
insieme, e i Norreni avevano anche ottenuto un Regno in terra inglese di cui
Hvitserk sarebbe diventato Re. La battaglia era passata, non era proprio il
caso di starci a pensare tanto, visto che probabilmente ne avrebbero avute
altre da affrontare di lì a poco.
“Aethelred, mi dispiace che quello che ho
fatto quel giorno ti abbia sconvolto tanto, ma non dovresti pensarci più,
adesso è tutto passato” gli disse Ivar, cercando di rassicurarlo. “Vedi cosa
succede poi? A furia di ripensarci hai degli incubi in cui non riesci a
salvarmi, ma tutto questo dolore non serve a niente. È passato tutto, io sono
qui, sto bene.”
“C’è mancato tanto così, tanto così, Ivar,
possibile che non te ne renda conto?” protestò Aethelred. “Se solo fossi
arrivato un attimo più tardi, se solo un soldato mi avesse fermato, se solo…”
“Se, se, se… ma ti ascolti, Aethelred? Stai
rimuginando su qualcosa che, per fortuna, non è accaduto” lo interruppe Ivar,
sempre più perplesso. “Ti fai del male senza motivo immaginando mille scenari
in cui le cose sarebbero potute andare
male, ma non ha senso, non è andata così e tu mi hai salvato. Così facendo
ti distruggi, finirai per ammalarti o per impazzire e non c’è neanche un
motivo!”
“Io ho avuto paura di perderti!” esclamò
Aethelred. “Possibile che tu non lo capisca, che non comprenda quello che ho
provato?”
“Lo capisco, invece” lo corresse il Vichingo.
“È proprio quello il motivo per cui ho compiuto quel gesto che ti ha tanto
sconvolto: quando Harald è morto e io mi sono guardato intorno, ho visto i
Sassoni che stavano schiacciando i nostri guerrieri, ho visto Hvitserk ferito,
non riuscivo a vedere più Helgi… Ho temuto di perdere tutti voi ed è per questo
che ho preferito attirare i Sassoni su di me.”
“Non mi era mai successo prima” mormorò
Aethelred, ancora stravolto e confuso. “Insomma… non ti avevo mai visto
combattere. Quando siamo venuti a riconquistare Kattegat tu davi gli ordini,
guidavi i guerrieri, ma non combattevi e alla fine sei scappato. Lo stesso hai
fatto quando hai combattuto al fianco dei Rus’ e nelle prime battaglie contro i
Sassoni: restavi indietro e pianificavi le strategie, e io… io sapevo che eri
al sicuro. Certo, se i nemici ci avessero annientati tutti saresti morto anche
tu, ma allora io sarei caduto al tuo fianco… non ho mai dovuto temere per la
tua vita e invece… invece quel giorno…”
Ivar strinse Aethelred ancora più forte. Era
buffo: da una parte non capiva l’ostinazione del giovane nel ripensare a quella
battaglia e ai modi in cui sarebbe potuta andare storta, dall’altra però
condivideva la sua paura e la sua disperazione, perché era stato proprio quello
a spingerlo a tentare una mossa disperata temendo che i soldati Sassoni
avrebbero finito per uccidere Hvitserk e Aethelred. Anche lui quel giorno per
la prima volta aveva sentito nel cuore la paura più terribile e dolorosa,
quella di veder morire le persone amate, quindi poteva comprendere cosa avesse
provato Aethelred.
Ciò di cui non riusciva a capacitarsi, però,
era il motivo per cui il suo compagno continuava a straziarsi. Aveva avuto
paura di perderlo, d’accordo, ma non era successo, erano insieme. Perché doveva
torturarsi così?
“Io sono qui, Aethelred. Sono qui proprio
grazie a te e non ho intenzione di lasciarti. Non mi perderai mai, staremo
sempre insieme. Va bene così?” gli disse, prendendogli il viso tra le mani per
guardarlo bene negli occhi. Erano due pozze così chiare e limpide, ma in quel
momento in fondo si muoveva qualcosa di oscuro, un terrore paralizzante che non
aveva ragion d’essere ma che spezzava il cuore e dilaniava la mente del giovane.
Ivar voleva far scomparire quelle ombre dagli occhi del ragazzo che amava. Lo
avvolse nel cerchio caldo e protettivo delle sue braccia e lo baciò a lungo e
profondamente, perdendosi sulle labbra di quel giovane affettuoso e dolce che lo
amava tanto da non poter neanche concepire una vita senza di lui. L’amore di
Aethelred gli aveva cambiato la vita fin nel profondo, lo faceva sentire
importante e prezioso per qualcuno, e lui non voleva che quel ragazzo così
sensibile e meraviglioso soffrisse, voleva spazzare via le sue paure e i suoi
pensieri dolorosi. Lo accarezzò a lungo, lo baciò ancora con più intensità,
lungamente e profondamente. Aderì totalmente al suo Aethelred, desiderando un
contatto più intimo possibile, godendo del tepore della sua pelle e della
morbidezza del suo corpo. Si perse completamente dentro di lui, cercando di
fondersi con il suo amante come se potesse scacciare la tristezza e la disperazione
attraverso l’unione dei loro corpi. Portò il giovane Principe al culmine della
passione e ancora oltre per poi esplodere con lui nell’estasi totale che lasciò
entrambi sfiniti e ansimanti.
Alla fine, tuttavia, Ivar non si accontentò
dell’amplesso e sentì il bisogno di tenere ancora stretto tra le braccia Aethelred.
Sentì che il Principe Sassone si aggrappava convulsamente a lui, che aveva
ancora bisogno del calore del suo corpo, dell’odore della sua pelle, di
sentirlo sano e salvo, vivo e incollato a lui, di perdersi tra le sue braccia,
di smarrirsi completamente nel suo abbraccio avvolgente e dimenticare le
terribili immagini che aveva visto in sogno. Doveva sentire che Ivar era lì,
che non gli sarebbe accaduto mai nulla, che sarebbero rimasti insieme per
sempre. Il Vichingo non comprendeva del tutto l’angoscia del suo compagno, ma
era ben felice di tenerlo abbracciato e di fargli sentire che era lì con lui,
che non lo avrebbe mai perduto, che loro due non si sarebbero mai separati. Lo
avvolse nel suo abbraccio, lo baciò dolcemente sui capelli arricciandoseli tra
le dita, continuò a mormorargli parole tenere.
“Sono qui, Aethelred, sono con te, non mi perderai
mai…”
E, piano piano, i loro corpi allacciati e
incollati si rilassarono, il tepore e il languore del loro amore li vinse e li
fece scivolare finalmente in un sonno profondo e pacifico.
E, almeno per quella notte, per Aethelred non
ci furono altri incubi.
Fine capitolo secondo