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Autore: Breathless    11/05/2022    1 recensioni
[…] Italia si chiese da quanti anni avesse quelle fattezze.
«Hey Germania, quando sei nato?»
Stavolta il tedesco girò tutta la testa verso di lui.
Il significato della parola “nascita” per le nazioni, era un po’ diverso rispetto a quello convenzionale.
«Nel 1814, con la fondazione della Confederazione Germanica» disse meccanicamente.
«E che aspetto avevi quando sei nato?»
Un’ occhiata interrogativa tardò di qualche secondo la risposta; non si sarebbe mai del tutto abituato alle stranezze altrui. […]

________
[GerIta]
Il rapporto fra Italia e Germania raccontato durante gli eventi storici dell’ultimo secolo.
Genere: Romantico, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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El Alamein – 2 Novembre 1942
 
Una granata esplose poco distante dal punto in cui si trovava Italia, i frammenti schizzarono in tutte le direzioni sopra la trincea. L’onda d’urto gli fece vibrare il petto e penetrò fin dentro le ossa, le orecchie presero a fischiargli. Aveva strizzato così forte le palpebre che decise di riaprirle solo perché cominciavano a fargli male. Giusto in tempo per sentire un rivolo caldo farsi strada attraverso la polvere e il sudore sulla fronte, venendo parzialmente ostacolato dal sopracciglio e proseguendo la sua corsa lungo la tempia e la guancia. Una scheggia doveva avergli provocato un taglio sulla testa, ma non si diede la pena di controllare. Italia era allo stremo, come i soldati tutti attorno a lui. Gli Inglesi erano sul punto di sfondare, i colpi di artiglieria piovevano oramai ininterrottamente mentre la 185esima Divisione Folgore con la quale si trovava, stava tentando una disperata resistenza. Combattevano da giorni, cibo e acqua scarseggiavano e le munizioni erano quasi terminate. Alle prime luci dell’alba era giunta la notizia della ritirata tedesca, a cui aveva iniziato a fare seguito quella italiana.
La mente corse a Germania che si trovava anch’ egli in prima linea con una brigata della Luftwaffe, poco più a nord rispetto a lui. Si domandò se fosse riuscito a mettersi in salvo o se stesse ancora ostinatamente combattendo, come gli aveva visto fare in più occasioni dall’inizio della guerra.
 
«Servono uomini ai cannoni anticarro, subito!»
La voce rauca del Tenente lo fece trasalire. Sgranò gli occhi e scattò in piedi quasi automaticamente, stringendo al petto il fucile e cominciando ad avanzare in quel corridoio di terra arida che costituiva la loro trincea. Attorno a lui grida, imprecazioni, bestemmie e preghiere andavano ad amalgamarsi con i rumori delle esplosioni e degli spari.
Voleva trovarsi altrove, il più lontano possibile da lì, eppure l’idea di scappare non lo aveva sfiorato in quei giorni. Era pervaso da un sentimento estraneo, che non apparteneva a lui ma agli uomini che aveva attorno. Qualcosa che aveva già sperimentato in passato, poiché la propria natura di nazione lo rendeva intrinsecamente suscettibile ai sentimenti del suo popolo.
Lo stesso sentimento che ora lo spingeva a tenere duro e correre il più velocemente possibile verso i cannoni.
 
Passata una curva, andò a sbattere contro qualcuno che proveniva dalla direzione opposta. Accusò il colpo, barcollò e per poco non cadde, andando a ritrovare l’equilibrio con la schiena contro una della pareti.
Non fece in tempo ad alzare lo sguardo, che una mano lo afferrò per il colletto della divisa beige che indossava e lo strattonò con malagrazia, obbligandolo a stare in piedi solo sulle sue gambe.
«Italia!»
Il tono burbero con cui aveva urlato il suo nome era inconfondibile.
Germania era in piedi davanti a lui: I capelli scarmigliati, alcuni ciuffi incollati alla fronte sudata, il biondo reso opaco dalla polvere e dalla sabbia che lo ricoprivano da capo a piedi. Di contro, in mezzo a tutta quella sporcizia, gli occhi sembravano più azzurri che mai. La pelle chiara non aveva resistito al sole, ed era arrossata e scottata nei punti più espositi. Alla divisa, di colore simile alla propria, erano saltati diversi bottoni e si apriva su una canotta che originariamente doveva essere bianca. La croce di ferro identica a quella che aveva regalato a lui pendeva sul petto, il fucile era assicurato sulla spalla. Non seppe dire se il sangue incrostato sulla giacca fosse suo o di qualcun altro, ma sembrava stare bene. Accanto a lui vi era il Capitano, che probabilmente lo aveva guidato alla propria ricerca.
Italia sentì un groppo incastrarsi al centro della gola, rendendogli arduo articolare una risposta.
«Ger…Germa-»
«Muoviti, dobbiamo andare.» lo interruppe bruscamente il tedesco, andando ad afferrargli il braccio e cominciando a tirarlo nella direzione in cui era venuto.
«Aspetta, io non posso-... mancano uomini- i cannoni…» era frastornato, le orecchie gli ronzavano e il conflitto interiore dei propri sentimenti si amplificò. La resistenza fisica che fu in grado di opporre a Germania, tuttavia, era così debole che egli si accorse solo di quella verbale.
«Il fronte è perduto, razza di idiota. Vuoi farti catturare?» abbaiò contro di lui con le sopracciglia corrugate, mentre lo forzava a camminare.
«Sarebbe grave se finissi prigioniero degli inglesi» intervenne il Capitano a supporto del tedesco. Un’altra esplosione poco distante da loro sembrò sottolineare il concetto; la terra sollevata dalla granata cominciò a piovere sulle loro teste.
«Ma che ne sarà di voi? Siamo senza mezzi per la ritirata» la voce uscì incrinata, la consapevolezza fin troppo chiara delle condizioni in cui versavano.
«Ce la faremo in qualche modo» rispose solamente il Capitano, spingendolo verso l’uscita che dava sulle retrovie. Mentre incespicava per tenere il passo di Germania, Italia si girò e vide l’uomo osservarlo per un istante, prima di finire nuovamente fagocitato dalla trincea.
Il senso di colpa lo attanagliò più forte di quanto avrebbe creduto.
Si avvicinarono alla motocicletta che Germania aveva utilizzato per arrivare fino a lì, al manubrio erano appesi un casco e un paio di occhialoni per riparare gli occhi. Il tedesco premette il primo sulla testa di Italia e indossò i secondi, balzando sul sellino e facendogli cenno di mettersi dietro di lui mentre avviava il motore. Egli obbedì meccanicamente e si aggrappò alla sua vita, giusto in tempo per sentire la brusca accelerazione proiettarlo all’indietro. Chiuse gli occhi e rinsaldò la presa, andando ad appoggiare la fronte alla sua schiena. Si concentrò su quel contatto nel tentativo di dominare le innumerevoli emozioni che si agitavano dentro di lui. I battiti cardiaci rallentarono, sebbene non riuscì a trattenere un paio di lacrime che rotolarono silenziosamente lungo le guance.
 
«Stai bene?» Germania ruppe il silenzio. Il tono si era fatto più calmo, ora che stavano lasciando il fronte alle loro spalle. Il suono delle esplosioni si affievoliva mano a mano che si allontanavano dalla linea del fuoco, e l’unica cosa che li inseguiva era lo sbuffo di polvere sollevato dalle ruote della motocicletta.
«Non dormo da due giorni, mi fa male ovunque e farei qualunque cosa per un piatto di pasta. Le nostre razioni fanno schifo, ho rischiato l’avvelenamento a mangiare quella roba.» mugugnò con il suo familiare tono lamentoso, segno che –tutto sommato- stava bene. Percepì la muscolatura del tedesco rilassarsi un po’, sotto la presa delle proprie braccia.
«Io farei qualunque per una birra ghiacciata e per tuffarmi in un po’ di acqua fresca»
Italia colse una sfumatura sollevata che Germania non era riuscito a dissimulare. In quegli anni aveva imparato che, dietro ai sui modi duri e rigidi, teneva nascosto un lato ben più morbido e gentile. Non gli fu difficile immaginare che fosse in pensiero per lui. Lo sentì proseguire:
«Costeggeremo la depressione cercando di non finirci dentro. Con un po’ di fortuna non incontreremo truppe inglesi» si riferiva alla depressione di Qattara, che avevano entrambi avuto occasione di vedere sulle carte. Un’ area del deserto che degradava sotto il livello del mare, formata da sabbia soffice sulla quale qualunque mezzo di trasporto si sarebbe impantanato. Per quello sia le forze italo-tedesche che gli alleati ne erano rimasti alla larga.
«Dovrebbe esserci una nostra divisione al confine con la Libia. Non appena la raggiungeremo ci spediranno dritti a casa» concluse cercando di rimanere ottimista. L’ambiente attorno a loro era ostile e non erano ancora fuori pericolo.
«Al ritorno ti andrebbe di fermarti un po’ a casa mia a riposare? Ti procurerò della birra e per il bagno poi scegliere fra il mare o il lago» propose Italia a bruciapelo. Germania tentennò qualche secondo, sembrò combattuto.
«…forse.» bofonchiò alla fine, abbastanza piano che si sentì a malapena oltre il rombo del motore.
 
La motocicletta tossì, emise un paio di scoppiettii e poi si spense. L’inerzia li sospinse ancora per una manciata di metri, poi Germania fu costretto ad appoggiare i piedi a terra.
«Cosa è successo?» la testa castano caldo dell’italiano fece capolino sopra la sua spalla, andando alla ricerca del quadrante.
«È finita la benzina» sentenziò l’altro togliendosi gli occhialoni e girando lo sguardo verso il sole che stava cominciando ad avvicinarsi alla linea dell’orizzonte «dobbiamo proseguire a piedi»
Italia emise un lamento sconsolato.
«Sono troppo stanco per marciare fino al confine, non ce la farò mai!»
Per una volta il tedesco dovette dargli ragione. Aveva perso il conto delle ore da cui era sveglio, non aveva mangiato e bevuto nulla, la testa gli faceva male per il caldo e la disidratazione.
«Troviamo un posto dove riposare e recuperare le forze. Ripartiremo qualche ora prima dell’alba e cammineremo fino a quando il sole non sarà alto. Poi ci fermeremo di nuovo e aspetteremo il tramonto, quando ricomincerà a fare fresco» il problemi principali erano il caldo e la mancanza d’acqua. «Abbiamo fatto già un sacco di strada, sono sicuro che arriveremo al confine entro domani sera» in realtà non lo era affatto, ma non voleva abbattere ulteriormente l’umore di Italia.
La risposta fu un mugolio sconsolato, ma non avanzò ulteriori proteste. Si rendeva conto perfino lui che non c’era nient’altro da fare.
Germania controllò la borsa attaccata al lato della motocicletta, trovando al suo interno una bussola ammaccata e il kit di primo soccorso dato in dotazione alla fanteria. Li infilò nella tasca della divisa, dopodiché sospinse il mezzo dietro ad un gruppetto basso di rocce e lo fece cadere per terra, cercando di nasconderlo il più possibile e coprire le loro tracce. Infine cominciò a camminare assieme all’italiano, alla ricerca di un riparo.
 
Si sistemarono nell’insenatura alla base di un gruppo di rocce sedimentarie alto pochi metri. Il sole si era già abbassato oltre l’orizzonte, offrendo il suoi ultimi bagliori prima della notte. Si concessero un sorso dalle rispettive borracce, consapevoli che avrebbero dovuto far bastare quella poca acqua il più a lungo possibile.
Italia sentì una fitta nella parte posteriore del braccio. Si era accorto da prima che gli faceva male, ma la aveva evitato di proposito di controllare, nella speranza di raggiungere il presidio e farsi visitare da un dottore.
Si sfilò la giacca della divisa e si contorse per individuare la sorgente del dolore. Trasalì.
«Germania aiutami, credo mi abbiano sparato» la voce si era alzata di un’ottava per lo spavento.
«Cosa?! Dove?» rispose l’altro con tono allarmato.
«Qua dietro» gli mostrò il braccio e il tedesco avvicino rapidamente il volto per esaminarlo.
Sentì arrivargli una scoppola sulla nuca.
«…è solo una scheggia di granata minuscola, stupido.» esalò un sospiro a metà fra lo sconsolato e il sollevato per il falso allarme. Non doveva essere più lunga di un centimetro, i bordi frastagliati e irregolari avevano fatto un discreto buco, ma non era penetrata a fondo nel muscolo; probabilmente lo aveva colpito di rimbalzo. Sporgeva leggermente, rendendola semplice da rimuovere.
«Ma fa male» protestò Italia.
«Adesso la tiro fuori» Germania prese il kit di primo soccorso che aveva trovato prima. All’interno non vi era un gran che, ma per quello che doveva fare sarebbe bastato: una pinza per estrarre corpi estranei, sulfanilamide in polvere per disinfettare e qualche garza.
«Fai piano, mi fa impressione» si raccomandò il castano irrigidendosi nel timore di sentire chi sa quale dolore e serrando le palpebre in attesa. Germania impugnò pinza.
«Se venissi a casa tua» tirò fuori il discorso ben sapendo che effetto avrebbe fatto all’altro. Egli infatti sollevò il capo con aria attenta, riaprendo gli occhi «Non pensi che tuo fratello potrebbe arrabbiarsi? Non sembro andargli molto a genio.»
«Ma no!» Italia era ringalluzzito e la tensione muscolare scemò di conseguenza «Forse protesterebbe un po’ ma alla fine-AHIA!» Germania aveva approfittato del momento di distrazione per estrarre la scheggia; una stilla di sangue colò dalla ferita.
«L’hai fatto apposta!» protestò l’italiano, girando il viso per guardarlo da sopra la spalla. Il biondo emise uno sbuffo soddisfatto dalle narici mentre tamponava. Oramai conosceva bene il suo pollo.
Non avendo la possibilità di pulire il taglio, si limitò a spargervi sopra l’antibiotico in polvere e poi fasciarlo con la garza.
 
Il buio calò su di loro. La falce di luna crescente gettò una luce fredda sui profili delle rocce, accompagnata dai bagliori fiochi e tremolanti delle stelle. La notte nel deserto era spettacolare, ma da quando avevano messo piede in Africa non vi era stata occasione di goderne; e quella sera non furono da meno. Come di consueto le temperature si abbassarono e cominciò a fare freddo. Non poterono accendere un fuoco per scaldarsi, sia per non rendersi visibili, sia perché non c’era letteralmente niente da bruciare.
Italia si strinse addosso al tedesco, andando ad appoggiare la testa alla sua spalla e Germania non se la sentì di sgridarlo o cercare di allontanarlo come faceva di solito. In fin dei conti il tepore proveniente dal suo corpo, era piacevole anche per lui.
Italia era stremato: Le labbra secche e spaccate, i capelli incrostati di sabbia e del sangue raggrumato che gli era sgorgato dal taglio sulla testa. La sua traccia rossastra era rimasta ad adornargli il viso, come una crudele pittura tribale. Sentiva le membra e la testa incredibilmente pesanti, i piedi dolevano avviluppati dagli scarponi. Se avesse potuto, avrebbe dormito per giorni interi. Eppure non riusciva a prendere sonno, i ricordi della settimana precedente gli vorticavano nella mente. Vivo era il suono delle esplosioni, l’odore della polvere da sparo mescolato alla puzza del sudore, del sangue e dei morti che non avevano fatto in tempo a seppellire. E poi quel sentimento estraneo che lo aveva pervaso, quasi obbligato ad andare avanti, fino a quando non si era allontanato dagli uomini e dalla battaglia. Qualcosa già successo in passato, ma su cui non si era mai fermato troppo a riflettere. E pensò a Germania, al fatto che fosse andato ad aiutarlo nonostante fosse una mossa palesemente azzardata. Se non avesse allungato la strada a causa propria, forse la benzina sarebbe bastata per arrivare al confine.
«Germania» mormorò «Perché sei venuto a prendermi, oggi?»
Egli aggrottò le spesse sopracciglia e bionde.
«Come sarebbe a dire “perché”? Sapevo che non avevate mezzi per ritirarvi. Cosa dovevo fare, lasciare che Inghilterra ti catturasse?» borbottò senza capire.
«Ma ora stiamo rischiando di essere presi entrambi»
«E questo cosa c’entra?»
«Sei venuto perché lo volevi veramente tu, o perché il patto stretto dai nostri paesi ti ha influenzato in qualche modo?»
«Non riesco a capire dove vuoi arrivare.»
«A volte è come se non agissi veramente di mia volontà. Come se venissi pervaso da sentimenti che non appartengono a me, ma al mio popolo. Non ti è mai successo?» sollevò il capo puntando gli occhi sul profilo duro di Germania, rischiarato appena dalla luce metallica della luna. «Del resto noi non siamo altro che il loro riflesso, la nostra stessa esistenza dipende dalle scelte politiche che fanno» proseguì il castano, la voce sfumò in un sussurro «quindi mi chiedo fino a che punto ciò che provo sia mio, fino a dove arrivi la mia volontà e dove cominci quella degli umani.»
Il tedesco incrociò il suo sguardo e lo fissò in silenzio per qualche istante, un’espressione indecifrabile sul volto. Forse ci stava riflettendo anche lui.
«Non è da te fare questi ragionamenti, in un momento come questo poi…» più conosceva Italia e più emergevano sfaccettature che non si sarebbe aspettato. «Dovresti lamentarti della fame, del freddo o qualcosa del genere.»
«Ma io ho fame e freddo»
«Ti sei messo anche a piangere prima»
«Non è vero!»
«Bugiardo. Hai i segni delle lacrime in faccia» la polvere lo tradiva, le lacrime avevano lasciato una traccia su di essa, come un fiume in secca. Italia si arrese con un lamento.
«Germania, perché sei sempre così duro con me?» una nota capricciosa, simile a quella di un bambino. Ma a dispetto delle parole, infilò il braccio sotto quello del tedesco e lo strinse.
«E tu sei il solito esagerato. Ora cerca di dormire, ti sveglierò fra qualche ora così mi darai il cambio.»
Italia non rispose, ma fu evidente che non approfondire il discorso era servito a qualcosa. Di lì a poco, la stanchezza ebbe la meglio sui pensieri. Germania udì il suo respiro farsi più profondo e regolare, e seppe che si era addormentato.
 
Quando fu risvegliato, il castano si chiese se non gli fosse passato addosso un carro armato mentre dormiva, perché era esattamente come si sentiva. Ma era consapevole che non avevano il tempo di riposare a sufficienza. Diede il cambio a Germania che si stese con la schiena per terra e, dopo una manciata di secondi, non si mosse più.
L’italiano temette –stupidamente– che fosse morto. Si avvicinò preoccupato con il viso al suo, solo per sentire un respiro leggero fuoriuscire dalle narici del biondo e infrangersi sulla sua guancia. Tirò un sospiro di sollievo e si sedette accanto a lui, piegando le ginocchia e abbracciandosi ad esse.
Si concentrò sul rimanere vigile e innalzò lo sguardo verso il cielo. Era talmente limpido che poteva chiaramente distinguere la striscia chiara e luminosa della via lattea, che lo tagliava verticalmente. Di tanto in tanto la scia di una stella cadente guizzava catturando la sua attenzione, per poi scomparire in un battito di ciglia.
Attorno a lui il silenzio più assoluto, come se fosse capitato su un pianeta disabitato. Una calma che gli sembrò piacevole, quasi confortante dopo tanti giorni passati ad ascoltare solamente la sinfonia assordante dell’artiglieria.
Germania si era raccomandato di svegliarlo non appena avesse visto il cielo cominciare a rischiararsi, per partire ancora con il fresco della mattina. E fra uno sbadiglio e l’altro, il momento arrivò ben prima di quanto si aspettasse. Portò gli occhi ambrati sulla sua figura addormentata e si morse il labbro inferiore:
Il tedesco gli aveva permesso di dormire più ore rispetto a lui. Espirò. Stava già domandandosi se avrebbe dovuto tardare a ridestarlo per regalargli qualche istante in più di sonno, quando un rumore in lontananza spezzò la quiete del deserto. Una scossa di paura lo attraversò e si chinò sull’altro, appoggiandogli una mano sulla spalla e scuotendolo appena.
«Germania… sta arrivando qualcuno» disse con un filo di voce.
Il biondo aveva un’aria distrutta quanto la sua, ma quelle poche parole bastarono a fargli spalancare gli occhi e balzare in piedi. Presero entrambi in mano i fucili e si arrampicarono sul gruppo roccioso dietro al quale si erano nascosti, stendendosi pancia a terra e facendo sporgere appena il capo per controllare la situazione. Trattennero il respiro. Il profilo di un carro armato solitario si stagliava sulla distesa pianeggiante e polverosa, ma la luce era poca quindi dovettero aspettare che si avvicinasse per capirne il modello.
Riconobbero la forma familiare di un Panzer, ed anche l’uniforme tedesca di un soldato seduto sulla sua sommità.
Sarebbero tornati a casa.
 



Riferimenti storici:
 
  • La seconda battaglia di El Alamein si svolse fra il 23 Ottobre e il 11 Novembre 1942 e vide contrapporsi l’esercito italo-tedesco e l’armata britannica. Il 4 Novembre le forze dell’Asse, non essendo più in grado di resistere, cominciarono la ritirata. Tuttavia la fanteria italiana non era provvista di mezzi motorizzati per fuggire e molti soldati furono catturati dagli inglesi.
  • La 185esima Divisione Folgore lottò caparbiamente fino all’ultimo, nonostante le ingenti perdite e la mancanza di munizioni. Cominciò la ritirata nella notte fra il 2 e il 3 Novembre, fungendo da retroguardia per le forze dell’Asse. Ciò che rimaneva della divisone venne circondata dagli inglesi il 6 Novembre e dovette arrendersi.
  
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