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Autore: FluffyHobbit    12/05/2022    0 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore]Sequel di "Tu non innamorarti di un uomo che non sono io"
Dal testo:
"Non vedo l'ora che arrivi stasera, 'o sai?"
[...]
"Ma se siamo svegli da tipo cinque minuti…"
[...]
"Sì, ma oggi è una giornata speciale e stasera lo sarà ancora di più."
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Manuel aveva raggiunto l'ingresso dell'ospedale senza problemi, erano tutti troppo indaffarati per accorgersi di lui, e stava attraversando il parcheggio, dirigendosi verso la metro -avrebbe potuto chiedere a Claudio di venire a prenderlo, ma non voleva disturbarlo a quell'ora- quando si sentì chiamare.

Si voltò e vide sua madre accanto ad un'auto che riconobbe essere quella di Dante e infatti poco dopo anche lui e Virginia uscirono da lì. Sorrise ad Anita e le andò incontro, abbracciandola forte non appena l'ebbe raggiunta. Non la vedeva da giorni e gli era mancata tanto.

Lei, dopo un attimo di sorpresa, ricambiò l'abbraccio e gli portò una mano tra i capelli.
"Ciao, tesoro. Che ci fai già qui?"

"Ciao, ma'."

Le diede un bacio sulla guancia e, senza separarsi dall'abbraccio, agitò una mano in segno di saluto anche verso Dante e Virginia, con un sorriso un po' più mesto di quello che aveva rivolto a sua madre. Si sentiva ancora in colpa per come li aveva fatti soffrire ed era certo che quel peso non sarebbe mai andato del tutto via, ma era deciso a impegnarsi per lavorare sul presente e sul futuro, come aveva promesso a Simone.

Virginia gli rivolse un caldo sorriso e un saluto elegante con la mano, Dante invece si limitò a fargli un cenno con il capo.

"Io veramente me ne stavo andando. So' stato qua tutta la notte con Simone, mo’ però c'ho una cosa da fa'..."

Anita gli rivolse uno sguardo preoccupato, non vedeva il figlio da giorni e anche se l'avvocato Vinci li aveva tenuti informati costantemente, lei aveva avuto il sospetto che non avesse detto proprio tutto. Manuel le sorrise rassicurante, ma prima che potesse riprendere il suo discorso intervenne Dante, che nel frattempo si era avvicinato.

"Ti hanno fatto restare con Simone? Come sta?"

Manuel alzò gli occhi verso il suo professore, ma subito li spostò in direzione di un punto indefinito alla sua destra, perché ancora non riusciva a sostenerne lo sguardo.

"Ho dovuto insistere un po', ma mi hanno fatto restare, sì. Simone sta...sta bene, tutto sommato. L'ho visto sereno, insomma, ha pure dormito. Credo che sia più tranquillo, adesso, che si senta al sicuro. E sarà molto felice di vedervi, quindi magari non fatelo aspetta' troppo…"

Disse rivolto anche a nonna Virginia, abbozzando un sorrisetto. Non voleva che Simone rimanesse troppo solo e poi sapeva quanto gli mancava la sua famiglia, era ora che si incontrassero di nuovo.

"E tu invece dov'è che stavi andando?"

Domandò Dante, con tono severo. Anche lui aveva lo stesso sguardo preoccupato di Anita, ma era più freddo. Beh, era comprensibile, Manuel aveva fatto fin troppe cazzate.

"Sto andando a denuncia' tutte le schifezze de Sbarra, così finalmente lo acchiappano. Voglio fare la cosa giusta, adesso."

Il professore annuì e, senza dirgli altro, porse le chiavi della propria auto ad Anita.

"Fa' una cosa, accompagnalo tu, tanto noi restiamo qui per un po'."

"Da' un bacio a Simone anche da parte mia, ci vediamo più tardi!"

Replicò lei, facendo cenno al figlio di seguirla in auto. Mentre uscivano dal parcheggio dell'ospedale, Manuel provò a telefonare all'ispettore Liguori, ma non ricevendo risposta tentò con l'avvocato Vinci, ottenendo anche da quel numero soltanto squilli a vuoto. Fece una risatina tra sé e sé, perché aveva intuito cosa potesse essere successo.

"Ma', scusa, dobbiamo fa' una deviazione. Passiamo a casa de Claudio, cioè dell'avvocato Vinci, così recupero pure la mia moto e tu puoi tornare in ospedale."

Così dicendo impostò il navigatore sul cellulare, inserendolo poi nell'apposito sostegno sul cruscotto.

"Senti Manuel, a proposito di questo Claudio, si può sapere che tipo è? Sei rimasto a casa sua tutto questo tempo, io te l'ho lasciato fare perché ho capito che ne avevi bisogno, però insomma…"

Manuel fece una risatina, poi fece un profondo respiro e si sistemò meglio sul sedile. Mantenne un sorriso appena accennato in volto, addolcito dal pensiero che sua madre avesse capito i suoi bisogni. Non era assurdo per una madre capire i bisogni del proprio figlio e non era particolarmente assurdo per sua madre, ma era una cosa che lo faceva sentire amato.

"Ma', puoi stare tranquilla, quell'uomo è praticamente in odore de santità. M'ha sopportato per tutto sto’ tempo e tu lo sai che non so' un tipo facile. Poi mettice che ero pure preoccupato da morire per Simone, non facevo altro che urlare o piangere, gli ho pure vomitato nel lavandino!"

Manuel si sorprese della facilità con cui stava raccontando a sua madre, seppur sommariamente, di quanto avesse sofferto negli ultimi giorni; il se stesso del passato non l'avrebbe mai fatto, si sarebbe tenuto tutto dentro, convinto di dovercela fare da solo, perché tanto anche se si fosse sfogato con qualcuno, nessuno si sarebbe fatto carico delle sue pene.

Aprirsi era una cosa che aveva imparato grazie a Simone, che piano piano lo aveva aiutato a liberarsi della sua armatura, ascoltando i suoi silenzi e la sua rabbia. Già gli mancava, non vedeva l'ora di tornare da lui; aveva anche in mente una cosa da portargli.

Anita intanto ascoltava attentamente suo figlio e le erano venuti gli occhi lucidi a sapere che era stato così male e al pensiero che lei non c'era stata.

"Insomma, ero veramente intrattabile, un'altra persona mi avrebbe cacciato a calci. Lui invece no, al massimo me preparava una tisana. Pure bone, eh, alla fine me ce so' abituato."

"Tesoro, mi dispiace tanto. Avrei dovuto esserci io con te…"

Cominciò a dire Anita, ma Manuel la interruppe scuotendo il capo. Apprezzava l'affetto, ma in cuor suo sapeva che non sarebbe stata d'aiuto, non in quella situazione.

"Non te la prendere ma', ma è andata meglio così. E non lo dico perché tu non mi avresti saputo dare conforto, ma perché se fossi restato a casa con te, con voi, sarei impazzito e mi serviva lucidità per vedermela co' Sbarra. Ci sono stati dei momenti in cui ho sbagliato lo stesso, momenti in cui non ho saputo mantenere la calma e io ti conosco, ti saresti fatta prendere dal panico anche tu e sarebbe stato peggio. Claudio, invece, mi ha saputo gestire. Quindi nun te fa' colpe, è andata bene così, ok?"

Anita abbozzò un sorriso, trovandosi in accordo con il figlio. Un altro genitore probabilmente si sarebbe stupito della maturità del proprio figlio, ma lei no, perché sapeva benissimo che Manuel era fin troppo maturo, e che anzi lo era diventato troppo in fretta. Forse quello era stato il suo unico errore, crescendolo: non avergli dato abbastanza spensieratezza.

"Sì, hai ragione tu. Adesso come stai, invece? Ti vedo stanco, ma mi sembri anche felice…"

"Eh, perché sto esattamente così. L'unica dormita degna di questo nome me la sono fatta stamattina presto, insieme a Simone, ma è stata troppo breve."

"Ah, tocca recupera', eh?"

Commentò Anita, scherzosa, e Manuel si ritrovò ad arrossire imbarazzato, ma sorridente. Sì, sia lui che Simone avevano molte dormite insieme da recuperare, ma avevano anche molto tempo davanti a loro.

"È per questo che sono felice. Forse è stupido, non lo so e non me frega, ma il pensiero di poter dormire di nuovo abbracciato a lui me fa senti' di poter uscire da questa macchina e volare ovunque io voglia. Che poi andrei comunque da Simone, ma questo è un dettaglio."

Mormorò guardando in basso, con le guance ancora decorate dal rossore e solcate da due morbide fossette. Anita sorrise teneramente, era bellissimo vedere suo figlio così innamorato, così felice.

"No, non è stupido. Significa che Simone è al sicuro e questa certamente non è una cosa stupida."

Gli fece notare e Manuel annuì con convinzione, alzando lo sguardo verso di lei.

"È tutto ciò che desidero, ma', davvero. Ho fatto delle cazzate e l'ho messo in pericolo, ma voglio rimediare. Lo voglio proteggere. Che poi è un po' questo il senso dell'amore, no?"

Nella voce di Manuel c'era tutta la dolcezza di quel sentimento su cui da secoli si arrovellavano poeti, scrittori e filosofi, alla ricerca del suo significato profondo e segreto. Tra loro, nel suo piccolo, c'era anche Manuel.

Per un bel po' di tempo, quando stava con Chicca, aveva pensato che l'amore in fin dei conti fosse qualcosa di piuttosto banale, il segreto era vedersi tutti i giorni a scuola, quando possibile nel pomeriggio, e almeno una volta nel fine settimana.

Poi aveva conosciuto Alice e l'amore era diventato qualcosa di diverso, di più difficile, perché Alice era più grande, aveva un'altra vita, altre esperienze e Manuel doveva dimostrarsi all'altezza delle sue aspettative in tutto, anche nei momenti d'intimità, che per la prima volta aveva condiviso con lei. Il segreto dell'amore, allora, stava nella sfida, nel continuo mostrarsi degno delle attenzioni dell'altra persona.

Dopo Alice -anzi, col senno di poi prima di Alice, solo che Manuel lo aveva realizzato dopo- nella sua vita era entrato Simone, a piccoli passi, senza fare rumore, come un venticello leggero che però era stato in grado di scombinare tutte le sue carte senza che lui se ne accorgesse e così facendo -per puro paradosso- le aveva rimesse in ordine.

Con Simone l'amore era diventato un rompicapo complicatissimo che non riusciva a risolvere, che lo faceva impazzire e Manuel aveva perso ogni certezza che aveva sull'amore, ma questo soltanto perché fino a quel momento non l'aveva realmente conosciuto. Con Chicca c'era stato affetto, con Alice passione, ma con Simone c'erano entrambi e anche qualcosa in più, qualcosa che non riusciva ad ammettere a se stesso.

Ecco che l'amore si era trasformato in vergogna, imbarazzo e paura nascosti da una maschera di rabbia attraverso cui urlare parole che non pensava davvero, ma che erano più facili da pronunciare di quelle che avrebbe effettivamente voluto dire. Erano parole con un loro prezzo, però, e il costo era perdere Simone che, giustamente, si era rifugiato tra le braccia di un altro uomo, un uomo gentile e premuroso che avrebbe potuto dargli tutto ciò che meritava: così l'amore, per Manuel, aveva trovato la sua rima in dolore, in un verso scolpito nella pietra, incancellabile ed immutabile.

"E questo chi lo dice, Platone?"

Domandò divertita Anita e Manuel rispose con una risatina, scuotendo il capo.

"No, questo lo dico io! L'amore alla fine è una cosa semplice, ma', siamo noi che lo rendiamo complicato, che gli diamo significati che non gli appartengono. Amare è…"

Fece una breve pausa, per trovare le parole adatte.

"Amare è darse mille baci, poi altri mille e altri cento, ma non perché nun se ha niente de mejo da fa' o perché se vole fini' a letto e basta, ma perché finché ce se bacia se resta uniti e finché se resta uniti ce se protegge a vicenda."

Parlava gesticolando, Manuel, come a voler dare forma a quel concetto importantissimo con le proprie mani, e brillava di pura gioia, una luce che sua madre aveva visto sul suo viso soltanto da bambino e che poi era scomparsa per tanto, troppo tempo. Anita sorrise commossa alla spiegazione del suo piccolo filosofo innamorato e gli diede un buffetto sulla guancia.

"Quando dici queste cose fai concorrenza a Dante, lo sai?"

Manuel rise, orgoglioso e imbarazzato al tempo stesso.

"Sai come se dice, no? Che i figli cercano un fidanzato o una fidanzata simile ai genitori, ma forse è vero pure che i genitori cercano qualcuno simile ai figli!"

“Ma quanto sei scemo!”

Esclamò Anita e l'auto si riempì delle loro risate, che continuarono ad echeggiare di tanto in tanto fino a quando non arrivarono a destinazione. Manuel salutò sua madre con un bacio sulla guancia e raggiunse rapidamente l'appartamento di Claudio.

Dovette bussare un paio di volte prima che quest'ultimo andasse ad aprire la porta e Manuel trattenne a stento una risatina quando lo vide conciato com'era: i capelli, solitamente sempre in ordine, erano arruffati e sparati in almeno tre direzioni diverse e il suo solito pigiama rigorosamente di seta era stato sostituito da una t-shirt in cotone, per di più anche infilata al contrario, che a malapena copriva i boxer che lasciavano scoperte il resto delle gambe. Insomma, Claudio sembrava il suo gemello diverso, ma ciò che Manuel non sapeva era che al di là di quell'aspetto scomposto, c'era un cuore di nuovo in perfetto ordine.

"Ma che hai combinato? Notte folle?"

Commentò divertito il ragazzo, mentre l'avvocato lo lasciava entrare in casa. Il suo volto tradì un pizzico di imbarazzo in un sorriso appena accennato, ma era un imbarazzo positivo, felice.

"Potrei chiederti la stessa cosa. Ma che ore sono?"

Chiese Claudio, passandosi una mano sul volto assonnato. Manuel ridacchiò, scuotendo leggermente il capo.

"Le dieci passate e tu non mi hai risposto. Io ho fatto il bravo, mentre te…"

Lasciò la frase in sospeso, guardandolo furbescamente. L'avvocato rispose con una risatina e poi gli fece cenno di seguirlo in cucina.

Manuel, prima di entrare in cucina, si sporse verso il lungo corridoio, per cercare di captare qualcosa dalla camera da letto di Claudio, la cui porta però era socchiusa. L'uomo lo vide e alzò gli occhi al cielo, divertito.

"Siediti, piccolo impiccione che non sei altro, ti preparo la colazione."

"Ma no, non c'è bisogno, tranquillo. Anzi, me sa che so pure de troppo stamattina, eh?"

Prima che Claudio potesse replicare, Domenico entrò in cucina -scompigliato e a torso nudo, indossava soltanto dei pantaloni- e si diresse direttamente verso Claudio per abbracciarlo da dietro, posandogli un bacio sul collo. Anche lui era piuttosto assonnato, tanto da non accorgersi del ragazzo seduto a tavola, ma anche lui come Claudio sembrava felice, leggero.

Manuel si sentì davvero di troppo in quel momento e distolse lo sguardo, ma con un sorrisetto soddisfatto sul viso.

"Buongiorno, avvocato…"

Mormorò Domenico sulla pelle dell'altro, lasciandovi un altro bacio. Claudio sorrise, portando una mano sulle sue per fargli una carezza.

"Buongiorno, ispettore. Devo farle notare che non siamo soli, stamattina."

E con un cenno del capo indicò Manuel, al che Domenico si voltò, lo vide, e scoppiò a ridere. Non era imbarazzato, solo sinceramente divertito dalla situazione.

"Buongiorno anche a te, Manuel. Scusami, non ti avevo visto."

Si separò dall'avvocato non prima di avergli lasciato un bacio tra i capelli, poi si spostò per preparare la macchinetta del caffè, era meglio che Claudio non la sfiorasse nemmeno. Sapeva fare molte cose, ma il caffè non era tra queste.

"Ah, figurate, anzi, so' io quello che è piombato qua senza avvisare. È che ho provato a chiamarve, ma non m'avete risposto…"

"Sì, scusaci, Morfeo stava facendo il suo lavoro. È successo qualcosa, per caso?"

Domandò Claudio, mentre sistemava sul tavolo tazze e biscotti. Manuel scosse il capo.

"No, no, è solo che stamattina volevo passare in commissariato pe fa' quella cosa, ma non sapevo se t'avrei trovato…"

Rispose rivolto a Domenico, che annuì.

"Hai ragione, in effetti sono in ritardo, ma per una volta non succede niente. Tu e Simone tutto bene, quindi? Com'è andata la notte?"

Manuel accennò istintivamente un sorriso mentre masticava un biscotto, ripensando alle ore da poco trascorse come se fossero state un sogno, ma che erano ancora più belle perché erano reali. Reali come il profumo di Simone, il calore del suo corpo, la morbidezza delle sue labbra e le dichiarazioni d'amore che si erano sussurrati prima di addormentarsi.

"È andata benissimo, io e Simone abbiamo parlato un po' e poi ci siamo addormentati, nessuno ci è venuto a rompe i coglioni, per fortuna."

Guardò poi entrambi gli uomini davanti a lui, con una luce furbetta negli occhi. Era felice per loro, perché era palese che fosse successo qualcosa di bello, qualcosa che li aveva portati ad abbracciarsi di nuovo senza timori o sensi di colpa, come era successo tra lui e Simone.

"Sono indiscreto se dico che me sembra che anche voi abbiate passato una bella serata?"

Claudio e Domenico si guardarono e poi scoppiarono a ridere, più come due adolescenti spensierati che come due quarantenni. Era il bello dell'amore, non avere età.
"Sei indiscreto, ma non ti sbagli. Diciamo che...abbiamo messo in chiaro un po' di cose."

Rispose Claudio, dolcemente, senza staccare gli occhi da quelli di Domenico che a loro volta si perdevano nei suoi. Sì, era stata decisamente una bella serata.


Non si erano messi d'accordo, ma dopo essere usciti dall'ospedale ad entrambi era venuto naturale andare a casa sua, sembravano essere tornati ai tempi in cui i pensieri di uno erano anche quelli dell'altro.

"Hai fame, ti preparo qualcosa?"

Chiese Claudio, senza neanche dare il tempo a Domenico di chiudere la porta d'ingresso. Cercava di non darlo a vedere, ma era agitato, si sentiva lo stomaco in subbuglio e la testa pesante.

Domenico sorrise a quella premura tipica di Claudio, ma declinò scuotendo il capo. Anche il suo stomaco era in tempesta e non avrebbe accettato nemmeno una briciola di pane. Erano lì per parlare o meglio, Claudio voleva parlargli e lui voleva soltanto ascoltarlo. Quel piccolo scambio che avevano avuto in ospedale gli aveva dato un'enorme speranza.

"No, grazie. Però magari una tazza di tè…"

Propose, armeggiando nervosamente con le chiavi dell'auto. Claudio annuì subito, ringraziando mentalmente l'altro per avergli dato qualcosa da fare.

"Allora accomodati, io arrivo subito."

Si allontanò in cucina, mentre Domenico si spostò in salotto. Non avendo molto altro da fare, si sfilò il giubbotto da pompiere, che ancora indossava, rimanendo in una più fresca maglietta. Si sedette sul divano e Claudio lo raggiunse pochi minuti dopo con un vassoio in mano che sistemò sul tavolino prima di sedersi accanto a lui. Lo sguardo gli cadde immediatamente sulla fasciatura che aveva al braccio e di nuovo provò quella sensazione di senso di colpa unito a preoccupazione che in fondo non l'aveva mai abbandonato.

"È solo un graffio, l'hanno detto anche i medici. Chi me l'ha fatto sta peggio di me, credimi."

Disse Domenico mentre aggiungeva lo zucchero nel tè, senza aver bisogno di voltarsi verso Claudio per capire su cosa avesse posato gli occhi. Si portò la tazza alle labbra e ancora prima di assaggiare venne investito da un profumo di vaniglia che lo fece sorridere. Era il suo gusto preferito, Claudio se ne era ricordato.

"Lo so che è solo un graffio, l'ho capito, ma è stata solo una questione di fortuna. Poteva capitarti di peggio e lo sai."

Claudio spostò lo sguardo sul tavolino, sospirando. Prese la propria tazza e bevve un sorso, senza riuscire però a goderselo, perché davanti ai suoi occhi riusciva a vedere soltanto un Domenico più giovane dal cui fianco sgorgava un fiume rosso e le proprie mani che inutilmente cercavano di arrestarne il corso.

"Sì, lo so, ma non è successo. È il mio lavoro rischiare la vita per salvare quella degli altri e questa è una cosa che sai bene anche tu."

Domenico si voltò a guardarlo e prima che gli potesse dare una risposta che si era già sentito dire un'infinità di volte, si affrettò a prendere in mano la situazione.

"Però adesso mi devi dire una cosa, Cla': siamo qui per ripetere un discorso che abbiamo già affrontato mille volte o vuoi dirmi qualcosa di nuovo? Perché poco fa mi hai detto che questa volta non saresti scappato, ma sappiamo già come finirà se continuiamo a parlare così."

Claudio posò la tazza sul tavolino, più che altro per prendersi ancora qualche istante prima di confrontarsi con il proprio cuore, poi ricambiò il suo sguardo. Negli occhi di Domenico vedeva tanta determinazione, ma al tempo stesso gli sembravano smarriti, quasi spaventati. Era soltanto colpa sua se quegli occhi tremavano, se imploravano delle parole diverse da quelle che gli aveva sempre detto.

Avrebbe voluto davvero essere in grado di pronunciarle, quelle parole rassicuranti, ma le sentiva vorticare nella propria testa e non riusciva ad afferrarle. Quasi rise per l'assurdità della cosa, lui che con i suoi discorsi riusciva a convincere anche il più severo dei giudici, ora non riusciva a convincere nemmeno se stesso.

"Io non so cosa dirti, Domenico. O meglio, lo so, ma non so come. Tutto ciò che potrei dire, non mi sembra abbastanza."

Confessò, cercando sostegno nel suo sguardo. L'ispettore alzò gli occhi al cielo, incredulo, per poi riportarli immediatamente sui suoi, per dargli il sostegno che cercava. Non gliel’avrebbe mai negato.

"Questo fallo decidere a me, no? Tu dimmi quello che vorresti dirmi, io ti ascolto."

L'avvocato fece un respiro profondo, scrollando poi le spalle. Cominciava a dubitare di aver fatto bene a promettergli quella conversazione, sul momento gli era sembrata una buona idea, ma adesso non riusciva ad immaginare che potesse portare a qualcosa di buono. Ciononostante, cominciò comunque a liberare il proprio cuore.

"Vorrei dirti che mi dispiace di averti spezzato il cuore e che non c'è giorno in cui non me ne sia pentito negli ultimi quindici anni."

Sorrise amaramente, scuotendo leggermente il capo.

"Vorrei dirti che mi dispiace di essere stato un codardo, di essere scappato di fronte alla tua cicatrice invece di aiutarti a farla guarire. Vorrei dirti che mi dispiace di non averti dato ascolto quando mi dicevi di lasciar perdere quell'avvocato, di fare praticantato altrove, perché se ti avessi ascoltato non avresti passato gli ultimi anni a soffrire."

La sua voce, di solito controllata e decisa, si incrinava continuamente costringendolo a fare delle piccole pause di tanto in tanto per deglutire il macigno che sentiva bloccato in gola.

Domenico ascoltava ogni parola con la massima attenzione, quasi non respirava per evitare di fare rumore e coprirle, e gli arrivavano dritte al cuore, facendolo battere all'impazzata. Claudio, in tutti quegli anni, non si era mai aperto così tanto con lui.

"E poi vorrei dirti che ti amo e che non ho mai smesso di amarti, ma questo non fa altro che rendermi più stronzo."

L'impulso di scappare, nel senso di lasciare fisicamente la sua stessa casa, si era fatto ancora più forte adesso che aveva detto a Domenico tutto ciò che si era tenuto dentro per tutto quel tempo. Domenico, però, non gli diede modo nemmeno di pensare ad una fuga, perché subito prese una sua mano nella propria, sorridendo dolcemente.

Gli occhi dell'avvocato scattarono sulle loro mani intrecciate e poi di nuovo sul volto dell'ispettore, non sapeva cosa aspettarsi. Notò che aveva gli occhi lucidi.

"Vedi che non era poi così difficile? E non era nemmeno male come arringa, secondo me convincerà anche il giudice."

Commentò scherzosamente Domenico, mandando in totale confusione Claudio. Si aspettava come minimo un ‘vaffanculo’ e invece l’altro sembrava soddisfatto.

"Ma...tutto qui? Non sei incazzato?"

Domenico rispose con una risatina divertita, facendo spallucce. Claudio proprio non capiva che non gli era proprio possibile arrabbiarsi con lui, era un'emozione che non concepiva quando si trattava di lui.

"E perché mai dovrei? Mi hai detto delle cose che ho aspettato per quindici anni!"

"Ed è per questo che mi dovresti riempire d'insulti! Non...non è possibile, dai!"

L'ispettore sospirò pazientemente e lasciò andare la presa sulla sua mano, ma solo per un istante, il tempo di allungarsi a prendere la sua tazza di tè e di porgergliela.

"Bevi un po', sei troppo agitato."

E Claudio non se lo fece ripetere, bevve un lungo sorso di tè anche perché, tra l'altro, si sentiva la bocca totalmente impastata e la gola secca.

"Cla', tu devi capire che io ti avrei aspettato anche per tutto il resto della mia vita, quindici anni non sono niente. L'avrei fatto perché anche io ti amo e non ho mai smesso di amarti e tu mi hai appena dato la conferma che anche per te è così, quindi mi spieghi come potrei essere arrabbiato? E poi questi quindici anni sono passati anche per te, anche se non si direbbe per quanto sei bello."

Claudio abbassò imbarazzato gli occhi, preso in contropiede, e per pochi secondi sembrò di nuovo il giovane uomo, poco più di un ragazzo, che Domenico vedeva davanti ai suoi occhi.

"Vorrei soltanto recuperare il tempo perduto, tutto qui."

Aggiunse, portando una mano sulla guancia di Claudio per fargli una carezza, in un impeto di coraggio. Claudio smise di respirare per un istante, come a voler fermare il tempo per far durare quella carezza per sempre e, proprio per questo desiderio, mise una mano su quella dell'altro, in modo da farlo restare così.

"Lo voglio anch'io."

Gli sorrise, guardandolo negli occhi.

"Che ne diresti di cominciare adesso?"

E così dicendo l’avvocato si fece un po' più avanti, per ridurre la distanza tra loro.

"Stavo giusto per chiedertelo...."

Replicò l'altro, con lo stesso sorriso ad illuminargli il volto, avvicinandosi fino ad annullare del tutto lo spazio tra i loro corpi. Il bacio non partì dall'uno o dall'altro, fu un bisogno di entrambi, tanto che per la foga la tazza -ora vuota- che Claudio ancora teneva in una mano finì a terra, ma quelle due metà che si ritrovavano avevano ben altro a cui pensare: come un meccanismo perfettamente funzionante anche dopo anni di fermo, Claudio si spinse contro Domenico fino a farlo distendere sul divano e lui assecondò quel movimento tirando l'altro su di sé, e furono così fluidi nella loro azione che mantennero il bacio, senza separarsi.

Una mano di Domenico finì tra i capelli di Claudio e l'altra sul suo fianco, in un gesto istintivo per tenerlo vicino. Claudio sorrise sulle sue labbra, portando una mano sul suo collo caldo, accarezzandolo piano.

"Sono qui, non me ne vado."

Promise in un sussurro, fissando gli occhi azzurri in quelli verdi. Domenico sorrise e annuì appena, quasi con timidezza, e il suo cuore fece un salto a quella promessa.
"Però, magari...potremmo andare tutti e due di là, che dici?"

Propose, mentre gli accarezzava lentamente i capelli.

"Questo divano è un po' scomodo..."

Aggiunse scherzoso e Claudio ridacchiò.

"È di design!"

Protestò, dandogli un bacio sulla punta del naso. Concordava con lui, però, quel divano non era abbastanza grande per contenere il loro amore, senza contare che per Domenico era sicuramente stata una serata pesante, aveva il diritto di riposarsi e lui avrebbe fatto in modo che ciò accadesse.

"Eh, ma alla mia schiena non interessa!"

Ribatté divertito l'altro, baciandolo a fior di labbra.

Claudio si alzò, ridacchiando, e gli tese una mano per aiutarlo a fare lo stesso. Domenico prese la sua mano e si portò su, liberando -apposta- un buffo verso, come se quel gesto gli stesse costando una gran fatica, solo per far ridere Claudio e quando ottenne l'effetto desiderato sorrise, soddisfatto. Claudio non ricordava nemmeno l'ultima volta che aveva riso così di cuore.

"L'età si fa sentire, eh ispettore?"

Disse canzonatorio, con ancora gli strascichi di quella risata nella voce, e gli occhi verdi di Domenico furono attraversati da un lampo di sfida.

"Te la faccio vedere io l'età, avvocato!"

Esclamò, e in un attimo lo condusse in corridoio, diretto verso la camera da letto, ma poco più che a metà strada si fermò, portò Claudio con la schiena contro il muro -fu delicato, non lo spinse con foga perché non voleva fargli male-, lo strinse a sé per i fianchi e fu di nuovo sulle sue labbra.

Pochi istanti dopo si spostò sul suo collo, lasciandovi un leggero morso che fece sussultare Claudio per la sorpresa e aggrapparsi a lui in risposta, attraversato da una scarica improvvisa.

"Tutto a posto?"

Sussurrò Domenico sulla pelle dell'altro, su cui poi lasciò un bacio, premuroso.

Claudio annuì, prendendo poi un profondo respiro.

"Fallo di nuovo, per favore..."

Chiese a bassa voce e Domenico, con una risatina bassa, acconsentì, andando di nuovo a stuzzicare con i propri denti quel punto che, ricordava perfettamente, era particolarmente sensibile per l'avvocato.

Claudio trattenne di nuovo il respiro e liberò un gemito d'approvazione, mentre l'ispettore prese ad accarezzare con la punta della lingua la piccola zona per darle sollievo e sospirò, lentamente, quando sentì di nuovo il sapore della sua pelle.

L’avvocato quasi tremava sotto quelle piccole attenzioni, i brividi di piacere che gli attraversavano la schiena lo portarono a chiedersi come avesse potuto vivere tutti quegli anni senza, e cercò di ricambiarle infilando una mano sotto la maglietta dell’ispettore, prendendo a disegnare piccoli cerchi poco sopra il bordo dei pantaloni, perché sapeva quanto all'altro piacesse, e infatti i suoi mugolii d'approvazione non tardarono ad unirsi ai propri.

Mossi poi da un desiderio comune, si spostarono nella stanza da letto, separandosi il tempo necessario ad attraversare il breve tratto di corridoio e poi furono di nuovo uno sulle labbra dell'altro, affamati di baci.

D'istinto, le mani di Domenico si avvicinarono ai primi bottoni della camicia di Claudio, e bastò uno sguardo d'intesa per farglieli aprire rapidamente uno ad uno. Prese poi i lembi della camicia, come se avesse voluto sfilargliela, ma per il momento la tenne ancora su.

"Posso?"

Sussurrò, mantenendo lo sguardo fisso in quello dell'altro. Claudio si lasciò accarezzare dalla premura di quegli occhi verdi e annuì senza esitazione. Domenico si avvicinò a dargli un bacio e, in quel piccolo istante, la camicia finì sul pavimento. Un attimo dopo, le mani di Claudio afferrarono il bordo della maglietta dell'altro, sollevandola solo un po'.

"Permetti?"

Chiese con un sorriso sulle labbra e, negli occhi azzurri, la stessa premura che l'altro aveva riservato a lui e Domenico sorrise, annuendo. Anche la maglietta finì a terra, accanto alla camicia, e fu solo questione di attimi prima che lo facessero anche i loro rispettivi pantaloni.

Entrambi, infatti, non vedevano l'ora di essere liberi.

"Mettiti comodo."

Lo invitò Claudio, accennando al letto con il capo. Domenico, però, non si mosse.

"E tu?"

Domandò, inclinando leggermente il capo. Claudio fece una risatina e lo rassicurò con una carezza leggera sulla guancia.

"Io posso stare comodo solo se nel letto ci sei già tu. Non ho intenzione di dormire nella stanza degli ospiti o su un divano scomodo, non ti preoccupare."

Domenico accennò un sorriso e prese la mano di Claudio nella propria per voltarsi a darle un bacio prima di andare a stendersi a letto. Non appena la sua schiena toccò il materasso morbido, liberò un lungo e profondo mugolio d'approvazione, ad occhi chiusi, e si prese qualche secondo per stiracchiarsi un po'.

Gli occhi di ghiaccio dell'avvocato si sciolsero a quella tenera vista, e non poté fare a meno di paragonare mentalmente l'ispettore ad un grosso cane felice di sistemarsi nella sua cuccia.

"Lo sai che sei proprio bello?"

Disse, incantato. L'ispettore sorrise sornione.

"Mi è stato fatto notare, sì…"

Ribatté, vantandosi per finta. Aveva perso il conto delle persone -uomini e donne- che avevano dimostrato più volte di apprezzare il suo aspetto, ma il parere di nessuna di loro contava quanto quello dell'uomo che gli stava di fronte.

L'avvocato fece una risatina e sorrise sghembo, sollevando un sopracciglio.

"E anche molto tenero."

"Ah, questa invece mi giunge nuova!"

Commentò Domenico, ridacchiando divertito. Per sottolineare il concetto, Claudio gli andò vicino e si sedette sul bordo del letto, posando una mano sulla sua pancia su cui prese a fare delle lente carezze, esattamente come se fosse stato un tenero cagnolone. Domenico, ancora ad occhi chiusi, ridacchiò beato.

"Deduco che il letto sia più comodo del divano..."

Commentò Claudio, dolcemente, e Domenico annuì, pigro.

"Sì, molto, però manca qualcosa..."

Riaprì gli occhi e allungò una mano verso il volto di Claudio, che si sporse per farsi accarezzare.

"Sì, lo penso anch'io."

Trasformò quella carezza in un bacio, azzerando la distanza tra i loro visi, e sfruttò il momento per sistemarsi su di lui, cercando di non pesargli troppo.

Domenico lo cinse immediatamente tra le braccia e lo strinse a sé, perché per troppo tempo non aveva sentito quel corpo accanto al suo, che non pesava ma che riempiva il suo vuoto, e Claudio sentì le lacrime premere dietro le palpebre abbassate, perché a quel gesto semplice, ma al tempo stesso così istintivo e disperato, percepì tutto il dolore dell'altro, tutta la disperazione che lo divorava da dentro da quindici anni, e li avvertì nel proprio cuore, come colpi di pistola, dove si unirono al proprio dolore e ai propri sensi di colpa, che non avevano mai smesso di morderlo.

Approfondì il bacio, lentamente, baciò Domenico con devozione, con tutto l'amore che non gli aveva dato in quegli anni, e poi si spostò in basso, sul suo petto che tanti anni prima aveva accolto le sue ferite, posandovi le labbra una sola volta prima di sollevare il capo per guardarlo negli occhi.

"Vorrei prendermi cura di te, stasera, se me lo permetti..."

Mormorò, accarezzandogli il fianco con un movimento apparentemente distratto, ma in realtà preciso e calcolato. Domenico annuì, lentamente, con un sorriso morbido sulle labbra.

"E tu mi permetterai di fare lo stesso con te?"

Chiese, ma Claudio non rispose, era già sceso nuovamente su di lui e aveva ripreso a baciarlo seguendo i movimenti lenti del suo respiro.

Domenico, allora, capì che lasciarsi baciare era già un modo per prendersi cura di Claudio e dei suoi sensi di colpa, per cui preferì non insistere. Lo seguiva con lo sguardo, come incantato, e se quei baci non fossero stati così caldi sulla propria pelle -tanto da fargli venire i brividi-, avrebbe creduto di trovarsi in un sogno, perché lui momenti del genere li aveva sognati costantemente, eppure perfino la sua più profonda fantasia era nulla in confronto a quel momento così vero.

Nessuno, forse nemmeno se stesso, conosceva bene il suo corpo quanto Claudio, a nessuno aveva mai permesso di conoscerlo così profondamente, e anche se erano passati molti anni, Claudio non aveva dimenticato nulla di ciò che aveva imparato a conoscere: si muoveva con precisione e senza esitazione, disponeva quei baci come stelle nel cielo, e Domenico ad ogni bacio si lasciava andare un po' di più, sentendosi più amato che mai.

Lo avvertì scendere più in basso, lungo la sua pancia, e avvertì una sensazione di calore che gli pervase tutto il corpo, ma che passò in secondo piano quando le labbra di Claudio si posarono sulla vecchia cicatrice. Domenico trattenne il fiato e, con un sussulto che lo portò ad aggrapparsi al lenzuolo sotto di sé, cominciò a singhiozzare. Non era un pianto di dolore, il suo, ma un pianto d'amore.

Claudio lo sentì e, inevitabilmente, le lacrime che già premevano da tempo per uscire dai suoi occhi cominciarono a cadere sulla pelle di Domenico, che lui non smise di baciare neanche un istante, anche se le labbra tremavano e il suo corpo era scosso dal pianto.

"Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace..."

Ripeteva ad ogni bacio, con voce rotta. Domenico non riuscì a sostenere a lungo quella vista e gli fece una carezza sul capo per richiamarlo a sé.

"Non fare così, ti prego. Vieni qui, dai..."

Disse, allargando le braccia per accoglierlo.

"No, no, sono io che mi devo prendere cura di te, non tu di me..."

Balbettò Claudio, come un bambino spaventato.

Domenico prese un profondo respiro e si tirò su a sedere, in modo da staccarsi dall'altro, e poi gli gattonò accanto, avvolgendolo tra le braccia. Claudio fu scosso da un singhiozzo più forte e nascose il capo nell'incavo del suo collo, anche se si diceva che non avrebbe dovuto indugiare, che non meritava quell'abbraccio.

Immaginando perfettamente quali pensieri si agitassero nella sua testa, Domenico cominciò a posare tanti piccoli baci tra i suoi capelli per scacciarli via, e andò avanti così per un po', fin quando non lo sentì un po' più calmo e solo allora si distese di nuovo, portandolo su di sé.

"Ascoltami, Claudio, ti prego, ascoltami bene..."

Cominciò a dire, accarezzandogli la guancia umida. Teneva gli occhi fissi nei suoi, che pieni di lacrime com'erano sembravano ancora più blu.

"Tu non devi pensare di avere...una specie di debito con me, ok? Non voglio che tu viva ogni bacio, ogni carezza, come il pagamento di questo debito, non è così che vive l'amore. Non te lo meriti e non sarebbe giusto."

Continuò, senza smettere di accarezzarlo. Claudio sospirò profondamente.

"Sei troppo buono con me…"

Provò a contestare, ma l'altro respinse quell'obiezione scuotendo il capo.

"E se non si è buoni in amore, allora non lo si è mai, no?"

Ribatté, facendo una risatina prima di tornare più serio.

"Voglio che tu ti senta libero tanto quanto me o anche di più, il resto non conta."

Disse dolcemente, facendogli un bel sorriso. Con l'altra mano, poi, salì sul suo fianco fin quasi ad arrivare alla schiena, dove però non si posò. Lì, anni prima, c'era un grande dolore che teneva Claudio prigioniero, ma da cui poi lo aveva aiutato a liberarsi.

Voleva accarezzarlo per ricordargli quella sensazione di libertà, ma prima di farlo preferì chiedergli il permesso con lo sguardo e Claudio acconsentì allo stesso modo, senza esitare. Si lasciò andare in un profondo respiro quando sentì la carezza morbida di Domenico sulle sue cicatrici che praticamente non si vedevano più, ma che lui spesso sentiva ancora. Non in questo momento, però.

"Sono in debito con te di quindici anni, Domenico. Tutto questo tempo che è passato per colpa mia non tornerà più, ma devo pur far qualcosa per restituirtelo..."
Mormorò, con voce flebile e sguardo basso.

"Hai detto bene, è passato! E allora, se è passato, perché dobbiamo continuare a voltarci indietro? Perché non possiamo lasciarcelo alle spalle e guardare avanti?"
Replicò Domenico con entusiasmo, sorridendo innamorato.

"Sapessi che bella vista che c'è..."

Aggiunse, con immensa dolcezza. Claudio, nonostante stesse ancora piangendo, liberò una risatina e senza pensarci riportò i propri occhi nei suoi, che brillavano di un amore che li rendeva ancora più verdi.

"Me ne sto rendendo conto anch'io..."

Sussurrò chinandosi a baciarlo, trovando in quel gesto il modo giusto di vivere l'amore.

In quel mattino ancora timidamente illuminato dai primi raggi del Sole, si amarono a lungo e lentamente, in quella stanza non c'era posto per la frenesia della caotica città che si svegliava sotto di loro, non c'era spazio per i suoi rumori di clacson e il suo vociare indistinto, ma solo per i loro sospiri, i loro gemiti, per le carezze che per troppo tempo non avevano ricevuto, per i baci su vecchie ferite, che finalmente si rimarginarono, e per le dolci parole sussurrate all'orecchio, promesse di un amore senza più paure.
   
 
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