Videogiochi > The Arcana. A Mystic Romance
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Autore: PaolaBH2O    15/05/2022    1 recensioni
"La vita è noiosa come una storia che raccontata più volte infastidisce l'orecchio pigro d'uno già mezzo addormentato."
Vero. Se ogni evento è già stato narrato completamente, ma queste vicende non sono già scritte. Tutt'altro.
Qualsiasi storia può stravolgersi, se vista da un'altra prospettiva. E' un'occasione per cambiare ruolo, compiere altre scelte, fare nuove scoperte.
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Questa fanfiction è un crossover tra la route di Julian e la fanfction "Fortuna favet fortibus" tratta dal film "I Cavalieri dello Zodiaco - La Leggenda del Grande Tempio" (potrete trovarla nella sezione di Saint Seiya del sito). Può contenere spoiler sulle route degli altri personaggi e sulle scene alternative acquistabili con le monete.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: MC, Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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3 – At Wit’s End



Nulla è così logorante quanto l’indecisione, e nulla è così futile (Cit. Bertrand Russell)



Da che aveva memoria, il che non era in realtà moltissimo tempo, Kamya aveva sempre sofferto di attacchi d’ansia. Spesso c’era una causa tangibile dietro: uno scarso rendimento del negozio, un cliente difficile da gestire, un incantesimo che non riusciva neanche dopo mille tentativi. Non era complicato risolvere il problema se si poteva giungere alla sua radice, ma c’erano delle occasioni in cui la preoccupazione era semplicemente quello che era: un’energia nervosa che le pioveva addosso da una nuvola invisibile.
Una magia di quando in quando l’aveva aiutata ma la ragazza si era sempre ostinata all’idea di doversi riuscire a gestire da sola; la forza magica non poteva risolvere tutti i suoi problemi e se la sua capacità fosse mai venuta meno, avrebbe dovuto sapersela cavare anche senza. Volendo rispettare questa costanza, Asra le aveva insegnato due metodi quasi infallibili per autogestirsi: meditare e razionalizzare. Se non c’era niente di cui preoccuparsi allora perché farlo, ma se i suoi tormenti avessero avuto un fondamento individuabile avrebbero potuto essere affrontati a viso aperto.
A lungo andare era diventata una maestra nel combattere la paura, lo sgomento e la preoccupazione con una ferrea logica ma per quanto si stesse sforzando, non riusciva a venire a capo delle domande che l’aveva assillata negli ultimi buoni dieci minuti: chi aveva ucciso nella sua vita passata per essere stata punita con una disavventura del genere? Perché era scappata dalle guardie del palazzo e non aveva urlato per attirarle a sé? Come aveva fatto a ritrovarsi in un fatiscente quanto misterioso giardino in uno dei molti angoli trascurati di Vesuvia? Da dove le era nata la sfrontatezza per fare tutto questo in compagnia dell’unica persona che avrebbe dovuto evitare come la Peste Rossa? Ma, soprattutto, da quando il dottor Julian Devorak, proprio lui fra tutti gli uomini, era diventato così desiderabile?
Persa nei giochi di luce proiettati sugli zigomi del ragazzo dal fiore luminoso che le stava porgendo, la maga cercò di rimettere assieme i pezzi del puzzle.


La giornata era iniziata con una buona dose di ironia quando Portia l’aveva buttata giù dal letto non una, bensì due volte: la prima quando era entrata in camera per darle il buongiorno, la seconda quando aveva preso a litigare così animatamente con un molesto individuo da essersi fatta sentire fino alla biblioteca. Le sue urla avevano interrotto la non programmata dormita di Kamya che, colta da una terribile realizzazione, si era precipitata subito fuori dal castello e dentro i giardini. Col senno di poi, fare le ore piccole per parlare con Asra e cercare indizi dove ne aveva già trovati, era state entrambe pessime idee che avevano condotto a una sola cosa: sonno arretrato.
E nemmeno in una stanza qualsiasi, proprio nella biblioteca! Non avrebbe avuto nulla da ridire sulla stanza in sé ma l’aria sinistra che si respirava rendeva tutto soffocante. Era come il fantasma di un ricordo, o un sogno dentro un altro sogno… La sensazione era nitida ai bordi della sua mente ma le sfuggiva ogni volta che provava ad afferrarla, scarsi erano i dettagli veramente nitidi: tanti libri da riempire le pareti e arrivare fino al soffitto, la compagnia opprimente di innumerevoli anime e il sovrastare di una presenza sopra a tutte loro. Era come guardare una trottola dai colori cangianti, i contorni si liquefacevano in un miscuglio ambiguo ma il nucleo al suo centro si ergeva inconfondibile.
Forse era stato proprio quel nucleo ad averle fatta accapponare la pelle, ma al suo risveglio si era sentita allarmata; dormire in un posto che suscitava effetti simili voleva dire abbassare la guardia e lasciare aperta la porta a qualcosa di potenzialmente rischioso.
Determinata ad allontanarsi sia dalla biblioteca che dalle sue allucinazioni, Kamya si era lanciata alla ricerca di Portia e nel vederla al suo cottage sul delimitare dei giardini, ancora presa dal suo battibecco con un vivacissimo pappagallo, si era ricordata anche della non trascurabile parentela che aveva intuito il giorno precedente: Julian e Portia erano fratelli. Promesso di non farne parola con Nadia, l’apprendista si era addentrata di più nel parco fino a scovare un lato crepato nelle mura del castello; da esso un fiotto di acqua rossa si disperdeva, scavandosi un corso in mezzo alle piante morte e alle erbacce incolte.
Seguendolo per qualche ora aveva finito per ritrovarsi nella parte alta della città, in cima ad un acquedotto e, soprattutto, in compagnia: Julian era lì con lei. Il medico si era lanciato in una sottospecie di sermone sulla vita e sui propri scopi in essa ma dopo un drammatico lancio della sua maschera nel canale, e un gracchiante avviso di Malak circa le guardie, si era visto costretto a darsi alla fuga.
Incerta se avesse provato a scappare da lei o scappare e basta, Kamya gli si era lanciata dietro ma una pietra bagnata l’aveva fatta scivolare in acqua, gettandola in pasto a un fitto gruppo di anguille-vampiro. Il Conte Lucio era sempre stato appassionato di animali per lo più innocui ma quei singolari pesci non rientravano nella categoria.
Aveva provato a risalire in superficie nuotando, a scacciarle agitando le braccia e un paio di loro si erano effettivamente allontanate, ma la più temeraria non aveva rinunciato e l’aveva morsa sul ventre così forte da lasciarla priva di aria nei polmoni; nessuno sapeva si trovasse lì o in che circostanza: sovrastata da un muro d’acqua, impossibilitata a respirare o chiamare aiuto e con una bestia a succhiarle via il sangue a una tale velocità da tingersene il corpo opalescente.
In una quello scenario, Kamya aveva avuto soltanto il tempo di realizzare quanto patetica sarebbe stata la sua morte; ansia permettendo, aveva fantasticato di poter essere messa alla prova con un’avventura e adesso che ne aveva avuto la possibilità, l’aveva gettata via proprio come Julian aveva gettato via la sua maschera col becco.
La sorpresa era stata doppia quando una mano si era tuffata ad afferrarla per il polso e il viso pallido del medico le si era palesato colmo di preoccupazione. Non aveva alcuna valida ragione per trarla in salvo, sarebbe stato solo vantaggioso per lui se fosse morta, allora perché l’aveva ripescata dal canale? Perché le aveva tolto l’anguilla di dosso e l’aveva trascinata in un vicolo per curarla con tanta attenzione?
Assieme a queste domande, Kamya era stata impressionata dal dorso della sua mano sinistra, marchiato con la freccia dell’omicida, e dal simbolo che aveva cominciato a brillargli sul collo. Una maledizione di cui Asra gli aveva fatto dono, a dire di Julian.
Il sangue che gli era colato lungo il torso e giù per le gambe aveva scatenato nella ragazza un notevole giramento di testa ma la ronda delle guardie aveva dato a entrambi poco tempo per riprendersi; seppur con i palazzi che ondeggiavano davanti ai loro occhi, si erano allontanati reggendosi l’uno all’altra e la salvezza era giunta all’avvistamento di un giardino semi-nascosto tra i palazzi: forse un po’ vicino al giro delle guardie ma troppo poco interessante per essere perquisito. Julian le aveva fatto scavalcare un cancello arrugginito e, atterrato meglio di lei, l’aveva aiutata a rimettersi in piedi.
Il luogo in cui erano capitati, per trascurato che fosse, nascondeva il tipico fascino dei luoghi abbandonati dall’essere umano ma riconquistati dalla natura: viticci ed edera avevano ricoperto ogni cosa, spaccato il marmo di una fontana e mascherato sia i musi ferali degli animali in pietra, sia i volti saggi delle statue con fattezze umane.
Julian aveva dimostrato di essersi ripreso in fretta mettendosi a scherzare con una statua dal fisico taurino e appena Kamya gli aveva chiesto se stesse ancora sanguinando, l’aveva rassicurata allargando le braccia in modo teatrale; il suo gesto aveva finito per urtare la scultura e un’imprecazione gli era sfuggita mentre cercava di riequilibrarla. In tutta risposta, Kamya si era lasciata sfuggire un sorrisetto divertito mentre non la guardava. Era stato poco dopo che le sue riflessioni avevano preso il volo, quando il rosso aveva allungato una mano sulla sua spalla e le aveva tolto di dosso un giglio luccicante.


-Attenzione, Kamya, questi petali sono velenosi- l’avvertì non appena lei fece per toccarlo -È una Cometa Mortifera. Una goccia del suo veleno distillato uccide senza eccezioni: tiranni e re, innocenti e colpevoli... Potrebbe soffocare un neonato nella sua culla o distruggere un intero regno, se posto nelle mani sbagliate.-
Fece girare lo stelo tra le dita inguantate mandando giochi luminosi sul suo volto e facendo risplendere le lentiggini della maga, catturata dalla profondità dei suoi occhi; ciò che aveva detto era irrilevante, ma il come l’avesse detto… Per gli Arcani…
Dalle sue parole traspariva un carisma ammaliante, talmente ipnotico da far perdere la testa, per non parlare dell’avvincente bellezza dei suoi tratti: il suo sguardo era magnetico e i suoi folti riccioli erano così morbidi che l’unica cosa cui riusciva a pensare, era quanto arduo fosse resistere alla tentazione di riavviargli i ciuffi ribelli, accarezzargli la testa con un gesto languido per poi stringergli le dita sulla nuca e scoprire che sapore avessero le sue labbra.
Per un attimo correre il rischio di diventare l’ennesima conquista non fu allarmante e quasi desiderò di conoscere quali e quanti metodi il ragazzo potesse inventarsi pur di vincere il suo cuore. Che importava se ne avesse fatte cadere ai suoi piedi cento o anche mille di donne, adesso era il suo turno e voleva godersela fino a fondo.
Tra le sue conquiste c’era anche Lucio ricordi?” le suggerì la sua coscienza.
Bastò quel lampo di intuito a spezzare l’incantesimo e restituirle il suo inamovibile senno: Julian era e rimaneva un assassino.
Bellezza, carisma, fascino potevano essere tutte doti apprezzabili ma se poste al servizio della persona sbagliata, non erano da meno rispetto al fiore che le stava offrendo e avrebbero distrutto chiunque si fosse messo contro il loro portatore… Tuttavia, non era detto che a quel gioco non potessero partecipare entrambi. Se Julian era davvero attratto da lei, perché non rigirargli contro la sua stessa strategia? Perché non flirtare, stuzzicare e ammaliare fino ad averlo in pugno?
-Allora, lo desideri ancora?- insistette il medico richiamandola alla realtà.
Con un rapido gesto, Kamya raccolse il fiore e chiuse lentamente gli occhi inspirando a fondo; l’acre odore della pianta le riempì le narici, più che di un profumo, in effetti, si poteva parlare di un fetore ma lo spettacolo doveva continuare: lei sarebbe stata una conquista difficile ma non inarrivabile e al momento propizio, avrebbe saputo sfruttare la situazione a suo vantaggio.
Come sentì sussultare Julian, riaprì le palpebre fissandolo attraverso le ciglia.
-Ma il suo veleno non doveva essere distillato? Credevo che al tatto fosse innocuo- lo punzecchiò civettuola.
Julian deglutì e le rivolse un sorriso sghembo.
-N-non me lo mangerei comunque se fossi in te- le sconsigliò inaspettatamente teso.
Kamya lasciò cadere il fiore senza interrompere il contatto visivo e Julian lo riprese al volo per metterglielo dietro un orecchio; le sue dita le sfiorarono i capelli ed indugiarono sulla sua guancia prima di cadere sulla spalla nuda.
-A quanto pare il pericolo non ti spaventa- gli sussurrò lei come a sottolineare l’azzardo della sua carezza.
-Io rido in faccia al pericolo, vivo per esso, ne sono incantato oserei dire!- la sua spavalderia tornò a guidare le sue azioni ma non molto a lungo.
-Il sangue si ferma da queste parti, non dev’essere lontano! Andiamo, andiamo!- urlò una delle sentinelle poco distante dal giardino.
Julian sibilò un’imprecazione a denti stretti, afferrò una mano a Kamya e si lanciò in una rocambolesca fuga oltre una fenditura nella pietra.
-Si parlava di pericolo!- Kamya finse un’indifferenza che, a essere onesti, non le apparteneva.
-Direi più pessimo tempismo! Svelta, per di qua!-
Passando da una zona d’ombra a un’altra, attraversando i vicoli più stretti e le strade più buie, Julian si trovò costretto a ripensare alla versione furtiva del tragitto che era così abituato a percorrere; sapeva dove fosse necessario andare e come arrivarci, sapeva anche come eludere la cattura se fosse stato scoperto ma la posta in gioco era troppo alta stavolta: Kamya, una sua amica, una sua alleata, un prezioso tesoro di cui tenere conto, era con lui e non poteva correre il rischio di macchiarle la reputazione. Mano nella mano col ricercato numero uno di Vesuvia, chi mai avrebbe creduto alla sua innocenza? Anche sfruttare le sue doti drammatiche per fingere di essere stato messo al muro sarebbe sembrato inverosimile.
Solo a pensare ai guai che avrebbe potuto causarle, dall’accusa di complicità alla condanna a morte assieme a lui, dei brividi gli corsero lungo la schiena.
Poco fuori dal cono di luce di una lanterna, Julian alzò un braccio per farle segno di fermarsi; le lanciò una rapida occhiata portandosi un dito alle labbra e iniziò a trattenere il respiro. Non appena una coppia di uomini ebbe marciato oltre lo scorcio dal quale li stava osservando, il medico acuì l’udito per cogliere il distanziarsi dei loro passi e gli ordini in lontananza del capitano; arrivò quasi a udire un rumore simile allo scorrere del sangue nelle orecchie ma non si sentì al sicuro finché l’unico suono vicino non fu lo stridio dei gabbiani.
Persuasi all’idea di aver seminato i loro inseguitori, ripresero a correre con passi rapidi ma silenziosi finché uno di quelli non venne mal calcolato: la punta di uno stivale di Julian ebbe uno sfortunato incontro con una bottiglia abbandonata e la gettò violentemente contro un muro. Il fragore di vetri infranti non era mai stato così assordante e non avrebbe potuto esserlo più di così.
Denunciato a tutto il circondario, il duo si congelò sul posto e la fronte dello sventurato medico si imperlò di sudore freddo; per quanto il marciare delle guardie stesse tornando a farsi minaccioso, Ilya non poteva permettersi il lusso di commettere nuovi errori, o, se non altro, errori che li avrebbero rallentati: erano troppo vicini a casa di Mazelinka per altri passi falsi. Strinse le dita di Kamya ancora più forte tra le sue e le rivolse un perentorio, supplichevole ordine.
-Corri!-
Poco curante dello strattone con cui l’aveva incitata, Julian si concentrò sulla cacofonia che lo circondava fino a cogliere il suono che significava speranza e salvezza; gli uomini della Contessa serravano sempre di più la distanza che li divideva, certo, ma il chiocciare delle galline della vecchia piratessa, gli stampò un sorriso trionfante in volto. Superata la staccionata del giardino, sospinse Kamya davanti a sé e la intimò a dirigersi verso la finestra spalancata.
-Dopo di te!- annunciò senza attendere risposta. Seppur con le mani che gli tremavano, la raccolse tra le braccia, scivolò in mezzo al pollame e scavalcò il davanzale; una fila di campanelle gli dondolò sopra la testa ma non risuonò abbastanza forte da comprometterlo al pari della maledettissima bottiglia. Accovacciatosi contro la parete, si strinse la ragazza al petto e riprese col suo rituale di ascolto e respiri al limite dell’inesistente.
Una volta preso abbastanza coraggio, e con tutta l’attenzione di cui era capace, allungò una mano sopra la sua testa e accostò le ante; separato dall’inseguimento e da tutta la tensione che esso comportava, lasciò andare il sospiro che non si era reso contro di aver trattenuto e rivolse la sua attenzione alla maga. Fece per rassicurarla sulla loro situazione quando l’innocenza e l’aspettativa nell’espressione di lei, lo lasciarono nuovamente privo di fiato oltre che di parole: era così adorabile, pura e anche così piccola in confronto a lui, che stentava a riconoscere in lei la stessa persona che l’aveva rimproverato tanto aspramente per una sciocca provocazione.
Le sorrise con dolcezza e si impose di trovare almeno le parole per ringraziarla di non averlo denunciato ma il tuonare di una voce familiare, lo costrinse a riordinare le sue priorità.
-Bene, bene, bene! Guarda chi c’è se non lo stronzo invisibile!-
Julian scattò in piedi con tale solerzia da sbattere la testa contro il soffitto e Kamya si staccò istintivamente da lui; indietreggiando mentre il ragazzo annaspava alla ricerca di una sviolinata convincente, l’apprendista prese coscienza della figura del Cavaliere D’oro percependo una profonda dissonanza tra l’umiltà del casolare e lo sfarzo del guerriero. Tre domande le sorsero spontanee: da che razza di esercito avevano tirato fuori un individuo del genere, che ci faceva lì ma, soprattutto, perché ce l’aveva con Julian?
-Death Mask!- esclamò con voce altisonante il diretto interessato -Adoro la tua armatura! È nuova, per caso?- si appoggiò a una mensola e si portò una mano sul fianco per darsi un tono di noncuranza ma la sua presa malferma lo fece scivolare, smontando con spietatezza il goffo teatrino.
Forse divertito dallo sforzo, forse troppo lusingato per dare peso all’evidente raggiro, Death Mask gonfiò il petto e si rimirò gli artigli lucidi.
-Antica, in effetti…- l’uomo si rilassò e sorrise bonario, i nuovi ospiti si rilassarono a loro volta e una sorta di equilibrio si ristabilì… Almeno per cinque secondi scarsi -Proprio come le tue scuse!- si avvicinò con passi lunghi e minacciosi, afferrò Julian per il camice e si mise a scuoterlo per sottolineare il disappunto della sua articolata protesta -Tre giorni, rosso, sono passati tre, maledettissimi giorni! ”Oh, è per la tua salute” avevi detto! “Devi restare qui perché ti possa tenere d’occhio” avevi detto! Una mezza settimana è passata ma di te nemmeno l’ombra, e per cosa?!- Cancer gettò un fugace sguardo a Kamya, giusto il tempo di accertarsi sul fatto che fosse femmina, abbastanza carina e vestita in modo esotico -Per lasciarti andare a donne?!-
Lanciato contro la finestra, Ilya fece fare una pessima fine a un vaso in ceramica con i suoi denti di leone e inspirò bruscamente a causa del contraccolpo subito dalla schiena.
Agghiacciata dall’esame e dall’atteggiamento dell’uomo in prima battuta, Kamya si sentì pian piano avvampare per la rabbia e le fiamme del suo orgoglio sciolsero anche il nodo che le aveva serrato la gola.
-Prego?!- scaturì mentre Julian la afferrava per le spalle nel misero tentativo di farla calmare. Agguerrita ogni oltre dire, si divincolò e si pose di fronte al Cavaliere del Cancro -Senti un po’, bellimbusto, non so tu chi cazzo ti creda di essere, ma se ci tieni così tanto a dare della puttana a qualcuno, fallo con tua sorella!-
-Eh-ehm!-
Un sonoro schiarimento di gola attirò l’attenzione del trio sulla porta d’ingresso, dove Élan e Mazelinka si erano fermate a contemplare il litigio; l’una teneva le mani sui fianchi e batteva un piede a terra, l’altra stava a braccia conserte e li giudicava con un’espressione impassibile.
-Quella puttana di sua sorella- cominciò Élan con tono piatto -Sarei io...-
Kamya venne investita da tutt’altro tipo di fiamme, e si ritrovò ad avvampare così ferocemente da non riuscire a fare neppure un tentativo per nasconderlo.
-Era, era, era solo un modo di dire! Non potevo sapere che avesse davvero una sorella! Devi ammettere, però, che anche tuo fratello non...-
-Oh, falla finita, Élan!- esplose Death Mask al sentirsi indicare come suo parente -Se fossi stata davvero mia sorella, ti avrei abbandonata in autostrada anni fa!-
-Ahahahahah! Scusa, non ho saputo resistere!- la fata scoppiò in una risata fragorosa che riempì ogni angolo della casetta -Avresti dovuto vedere la tua faccia!-
-Ah, ah, simpatica...- biascicò l’apprendista con la bocca asciutta; più si guardava attorno e più traeva le somme degli atteggiamenti del gruppetto, più la testa le vorticava.
Sono finita in mezzo ai matti…” fu la sua opinione generale “E non i matti simpatici dei racconti, quelli VERI!”
-E tu chi saresti?- il tono fermo e rassicurante di Mazelinka interruppe la linea dei suoi pensieri, che poco a poco stavano cominciando a vergere su una repentina fuga a Nopal e il rifarsi una vita lontano dai matti.
-Lei è Kamya, una mia nuova… Amica- la presentò Julian.
-Una tua nuova amica, dici?- con i tipici occhi stanchi ma attenti di chi ancora non si sente avvinto dall’età, Mazelinka la studiò da capo a piedi.
Non aveva visto molto di lei in quei pochi minuti, ma non le occorrevano eclatanti dimostrazioni, la sua esperienza leggeva oltre all’aria stravolta dalla corsa o all’odore di gran lunga migliorabile: nessuno dei due poteva nascondere il piglio energico e l’audacia con la quale aveva tenuto testa a Death Mask, c’era soltanto un problema…
-Stai venendo a presentarmi un sacco di amici particolari in questi giorni, Ilya, ma temo che la mia casa stia diventando piccola per potervi ospitare tutti.-
-Non preoccuparti, vecchia arpia, noi stiamo per andarcene!- Death Mask si avvicinò ad Élan e la afferrò per un polso, trovando il disappunto di tutti i presenti.
-Cosa?! No! Perché?!- si limitò a esclamare la fata liberandosi dalla presa.
-Modera i termini...- lo rimproverò l’anziana, agitando un pugno a mezz’aria prima di andare a dedicarsi al calderone che bolliva sul fuoco.
-Death Mask, NON puoi andartene! Potrebbero ancora insorgere dei sintomi tardivi, non sai se sei fuori pericolo! Giuro che mi sono dato da fare in questi giorni però...-
-Senti, Romeo, sono stanco!- lo interruppe il Cavaliere D’oro -Stanco di questa vita da “Casa nella prateria”, stanco di andare al mercato, di occuparmi del pollame, della polvere suoi mobili, di farmi spennare a carte dalla vecchia...-
-E siamo a due, alla terza ti arriva una mestolata…- lo avvertì la “vecchia” mentre si faceva aiutare da Élan a sminuzzare delle erbe.
-Ma quella è una legge matematica, scientifica, filosofica, fisica e magari pure grammaticale: non si possono battere le nonne a carte!- la fata si guadagnò una leggera gomitata e un sorriso sdentato. L’ex-piratessa stava valutando un po’ troppo seriamente l’idea di adottare quello scricciolo.
-Stanco di aspettare te e i tuoi comodi da ricercato!- il siciliano raccolse un foglio dal tavolo e mostrò a Julian un manifesto con la sua faccia in bella vista; il ragazzo sussultò e tentò di giustificarsi ma le accuse del Cavaliere glielo impedirono -Davvero pensavi che non avremmo notato questi sparsi in giro per la città?! Hai fatto carte false per farci rimanere ma nel mentre sprechi il nostro tempo con le prostitute!-
-Vuoi smetterla di darle della donna di malaffare?! È l’apprendista di un potentissimo mago!- si alterò Julian, stupito dalla sua stessa forza.
Era sciocco da parte sua, ma trovava molto più irrispettoso vedere offesa la sua nuova amica che la propria buona parola; alla maga però, improvvisamente, non interessava. Più forza i due uomini mettevano nelle loro argomentazioni, o più si alzavano i toni, meno il loro litigio la coinvolgeva; le carte di Asra, erano al centro dei suoi pensieri. Ogni occasione in cui avevano avuto qualcosa da comunicargli, si erano agitate e avevano vibrato proprio come adesso stavano facendo nella tasca di lei.
Stupita dal fatto che fossero uscite indenni dal tuffo nel canale, le estrasse dal loro sacchetto, le scorse tutte fino a trovare il pezzo che con ostinazione voleva parlarle e lo esaminò meravigliata: su di esso era raffigurato un ariete dalla forma umanizzata, avvolto in una stuoia celeste bordata d’oro, con un diadema sulla fronte e una croce nella mano sinistra. Ma era capovolto.
-Vuoi un buon motivo che ti convinca a restare, Cavaliere? Eccolo qui!- si intromise con risolutezza e occhi che le brillavano nel vero senso del termine -Lo ierofante, rovesciato. E sta parlando con te.-
Solo a quel punto, e con gran esasperazione da parte del medico, Death Mask si voltò sbuffando e la guardò per davvero: i capelli ancora umidi sembravano più sporchi di quanto in realtà non fossero, l’imbarazzo provocato da Élan le aveva riportato colore sul viso, ma il rossore sulle guance non era comunque paragonabile ai suoi pantaloni: il sangue perso a causa della lotta contro le anguille era colato sui vestiti e glieli aveva macchiati di una bizzarra tonalità di viola. Parte dello stesso problema si riproponeva sugli indumenti del medico, facendo intuire che fossero stati assieme al centro di qualcosa di pericoloso o moralmente discutibile.
D’accordo, allora. Prese per vere le parole di Julian, Kamya era la studentessa di un mago, ma questo non faceva altro che sollevare altre domande tipo…
-Certo, lo ierofante… Mi sta parlando. E dovrebbe interessarmi perché…?-
-Lo ierofante valuta le tradizioni al di sopra di ogni cosa, incoraggia la conformità e la fiducia nelle istituzioni prestabilite, ma quando si trova rovesciato, il significato si rovescia a sua volta: è cresciuto così comodamente nella fortezza delle abitudini, da aver sacrificato un progresso necessario- troppo tempo aveva speso dietro allo studio degli arcani per non conoscere anche il più nascosto dei loro significati, ma Cancer si strinse lo stesso nelle spalle -Davvero non ci arrivi? Ti sta dicendo che è giunto il momento di mettere in dubbio le credenze più vecchie che hai e abbracciare un nuovo tipo di strategia. Di solito te ne andresti? Non ti fideresti dell’opinione degli altri? Fai un tentativo e scegli la novità!- detto ciò, lo ierofante smise di fremere tra le sue dita e i suoi occhi di scintillare.
Per convincente che fosse stata, Death Mask si lasciò sfuggire un verso di sprezzo. Aveva viaggiato per ogni tipo di dimensione, conosciuto nuove forme di scienza e magia, i suoi orizzonti pensava si fossero allargati a dismisura ma nei tarocchi e nell’oroscopo proprio non riusciva a credere. La verità era che trovasse arrogante chi pensava di poter interpretare il messaggio degli astri senza colpo ferire. Arrogante e folle.
Sfortuna volle che, per quante ne avesse viste e per quanto nulla riuscisse a tacitare il suo scetticismo, nessuno riuscisse nemmeno a scuotere le fondamenta delle sue decisioni tanto quanto la gentile voce che si udì poco dopo.
-Death, io credo che dovremmo darle ascolto...- intervenne Élan -Mi sentirei più tranquilla se potessimo restare solo un altro paio di giorni, giusto per eliminare ogni possibilità e non lasciare nulla di intentato…-
Non appena lo sguardo dell’uomo si fu posato sul volto supplichevole della fata, e i suoi occhi si furono incrociati con quelli di lei, una cedevole esasperazione lo spinse a gettare le mani in alto. Sconfitta era dichiarata.
-E va bene, e va bene!- rantolò con sdegno -Tutto purché tu smetta di pigolare! E sappi che non ho intenzione di passare la notte qui!-
-Ma non abbiamo altro posto dove andare a dormire!- obiettò lei.
-”Noi” non abbiamo? Da quando siamo cuciti assieme? Tu resterai qui con Maga Magò, Mr Hyde e la Fata Turchina. Io andrò per conto mio: ho bisogno di cambiare aria!-
-Se potessi cambiare aria definitivamente mi faresti un favore!- Mazelinka si chinò a raccogliere il vaso caduto a terra, schiacciò alcuni dei denti di leone ancora integri con un pestello e li gettò nel pentolone bollente.
-Come no, ti piacerebbe, bef...-
-Ma non conosci la città!- Ilya gli parlò sopra per stroncare sul nascere una nuova litigata -Ci sono quartieri da evitare la notte e posti che preferirei non visitassi. Lascia almeno che ti disegniamo una mappa- Death Mask gli rivolse un’espressione scettica per sottolineare come proprio lui non avesse bisogno di futili raccomandazioni -Considera l’accontentarmi il tuo modo per scusarti delle offese rivolte a Kamya.-
-Questa è veramente la sera in cui vi accontento tutti perché sono troppo scazzato...- concesse il Cavaliere senza usare mezzi termini, più deciso a telare in tempi brevi che a ribattere ancora.
Il medico, soddisfatto, gli tirò via dalla mano il manifesto e con passo malfermo raggiunse il tavolo più vicino per mettersi a disegnare una bozza di Vesuvia. Tra Mazelinka che cucinava, Élan che la assisteva muovendosi su e giù per la casa e i due uomini con la loro elevata statura, Kamya trovò il suo posto accanto alla porta d’ingresso, lasciando a ognuno il proprio spazio; osservando Julian tracciare le linee e gesticolare animatamente per fornire tutte le indicazioni necessarie, per poco non mancò lo sguardo che la padrona di casa le aveva lanciato di sottecchi.
In realtà non nascondeva un giudizio, solo un’osservazione della sua apparenza fisica, ma tanto bastò a Kamya per rendersi conto di un dettaglio fondamentale: era in minoranza. Il proposito che si era fissata prevedeva di ingannare il ragazzo, rispondere al suo corteggiamento e sfruttare la sua attrazione, ma come avrebbe potuto agire circondata da alleati e amici pronti a sostenerlo? Mazelinka sembrava il genere di donna che stanava i furbi prima ancora che avessero anche solo pensato alle loro malefatte, e se l’avesse messo in guardia? Se anche lui avesse deciso di cambiare qualcosa del proprio atteggiamento? La sua strategia sarebbe stata al centro di un gioco ancora più complicato di intrighi, raggiri, anticipazioni, tradimenti… Davvero sarebbe riuscita a tenere il passo? Non conosceva né Élan né Death Mask, cosa avrebbero potuto significare o combinare nel suo piano? E se fossero stati più pericolosi di quanto non fossero apparsi? Poteva sfruttare anche la rabbia del Cavaliere se l’occasione si fosse presentata? Valeva davvero la pena rischiare per una missione del genere?
I pensieri cominciarono ad accavallarsi, la confusione si fece sempre più soffocante e l’ansia le seccò la gola ancora una volta; si costrinse a inspirare profondamente per mantenere un briciolo di calma ma senza accorgersene le sue dita avevano preso a tamburellare contro la porta, i suoi occhi a fissare il vuoto e i suoi denti a masticare il labbro inferiore. Come doveva agire? Abbandonare il piano? Essere onesta? Scappare e contattare Asra di nuovo? Restare? Segnalare a Nadia il nascondiglio?
Scelte, domande, paure, indecisione… Chiuse forte gli occhi per tentare di chiuderle anch’esse fuori dalla sua testa, quando un tocco sulla sua spalla la convinse a tornare al presente. Con un sobbalzo si ritrovò davanti al volto cordiale di Élan che le stava sorridendo.
-Non posso fare a meno di notare che sei leggermente in conflitto con te stessa: va tutto bene?-
Kamya tanti sguardi aveva incontrato quel giorno, ma dentro gli occhi della fata ci leggeva una sincera curiosità, e, nella calma della sua voce, una disarmante rassicurazione.
-Io, sì, ecco, insomma…- balbettò per qualche secondo, dopodiché afferrò la maniglia della porta, una mano della ragazza e uscì dall’abitazione -Ho bisogno di una boccata d’aria- annunciò prima di chiudersi la casa alle spalle e allontanarsi in mezzo alla strada -D’accordo, allora, da quanto tempo conoscete il Dottor Devorak?- domandò laconica.
Non sapeva se potesse fidarsi della nuova coppia ma per riprendere il controllo di se stessa da qualche parte doveva pur cominciare, e niente le avrebbe restituito il senno come la preziosa razionalità donata da un compito affrontato per volta. Primo passo: inquadrare gli alleati.
-Un paio di giorni in teoria, un paio di ore in pratica. Non abbastanza tempo da prenderne le difese nel caso avesse fatto qualcosa di male- fu l’altrettanto evasiva risposta.
-Ha arso vivo il Conte di Vesuvia.-
-Ecco, appunto. Aspetta, cosa? No! Ilya è un pezzo di pane, non farebbe del male a una mosca, figuriamoci un essere umano!- la concisa rivelazione di Kamya aveva lasciato incredula Élan che, aveva intuito il medico non fosse del tutto estraneo ai guai con la legge, ma non sapeva che cosa l’avesse posto al loro centro. Risse e ubriachezza erano state le prime ipotesi, ma l’omicidio?
-Sono stata incaricata dalla Contessa vedova in persona di catturarlo e lei ha specificato sia come il Dottor Devorak sia stato trovato fuori dalla stanza in fiamme, sia come l’abbia ammesso lui stesso.-
-Una confessione si può estorcere, si può mentire, si può ricattare, si possono coprire le tracce lasciate da qualcun altro! Nessuno ha mai preso in considerazione queste possibilità?!-
-Io… Non lo so…- la forza della replica stordì l’apprendista che, in un modo o nell’altro, si sentiva quasi presa in contropiede -So soltanto che sospetti molto gravi girano attorno alla sua persona ma anche che un innocente non scappa se non ha fatto niente di male… Non l’innocente che è sicuro di essere ascoltato e creduto, almeno...- si strinse tra le braccia e lasciò che un profondo sospiro le svuotasse i polmoni, portando con sé una scomoda confessione -La verità è che credo alla Contessa, ma ho visto anche coi miei occhi come molte cose non sembrino quadrare.-
-Che vorresti dire?- la fata chinò la testa di lato e aggrottò la fronte.
-Julian, cioè… Il Dottor Devorak, a pelle, mi è sembrato un truffatore con una strategia sempre pronta per ottenere ciò che desidera, ma, anche se ricercato e la città è tappezzata dei suoi manifesti, la gente non lo denuncia nemmeno quando ne ha la possibilità. Camminava l’altro giorno al mercato senza preoccuparsi di nascondersi o di essere visto, adesso scopro che ha anche degli alleati pronti a difenderlo a spada tratta, e tutto questo nonostante ci sia una conoscenza vecchia di ore!- Élan stava per risponderle quando le dita di Kamya le scivolarono sul fianco sporco di sangue e una reminiscenza di ciò che era accaduto nel canale la spinse a riprendere la parola con maggior veemenza -E non è nemmeno tutto! La vedi questa… Non-ferita? Sono caduta in un canale pieno di anguille-vampiro, mi hanno morsa e stavo per morire sia annegata che dissanguata, ma Julian è tornato a salvarmi e con una strana magia di trasferimento, ha spostato il morso su di sé! Non avermi più tra i piedi sarebbe stato strategico, allora perché fare il contrario?-
-Forse perché non è così cattivo come credi- asserì con dolcezza l’altra.
Stavolta fu la maga a rivolgerle un’occhiata incuriosita; la sua fermezza nel prendere le parti del ragazzo, ma anche la spiazzante saggezza della sua replica, le fecero venire in mente le immagini di Portia e di Asra: la cameriera avrebbe dato la sua vita pur di salvarla al fratello, ma era pur sempre sua sorella, poteva contare la sua opinione?
Il suo maestro, però, non le aveva suggerito di stare lontano dal rosso o se fosse pericoloso, quindi c’erano davvero dei rischi?
Adesso che aveva più tempo per rifletterci sopra, Kamya si rendeva conto di come la sua voglia di scappare si stesse tramutando in voglia di indagare, andare più a fondo, scoprire la verità. Se solo avesse potuto permetterselo...
-Vorrei davvero giudicare l’innocenza di Julian basandomi sull’idea che la gente ha di lui, o sull’azione compiuta su un singolo, ma non posso. Non sarebbe giusto nei confronti della Contessa… E soprattutto non lo sarebbe nei confronti del mio maestro.-
-Fammi indovinare: ti ha insegnato tutto quello che sai, ti ha preparata a questo genere di compito per tutta la tua vita e ora vuoi renderlo orgoglioso.-
-Oh no, Asra non mi metterebbe mai in una situazione di pericolo.-
A nominare il ragazzo, le venne naturale stiracchiare un delicato sorriso e la privata svolta intrapresa dal loro dialogo la portò a sedersi sul bordo della strada con le gambe penzolanti dentro un canale; non sapeva che effetto avesse la fata su di lei, ma ad ogni rivelazione sentiva un nodo di stanchezza sciogliersi e la schiena farsi più leggera.
-Devi sapere che sono amnesica, quelli che ho appena trascorso sono gli unici anni che mi ricordi. Asra è stata la prima persona che abbia visto quando ho riaperto gli occhi e da allora siamo stati inseparabili; si è preso cura di me in tutto e per tutto, mi ha dato da mangiare, un posto dove dormire e mi ha insegnato così tanto sulla magia che ora non posso sciupare l’unica occasione che ho per sdebitarmi. Capisci?-
-Io capisco, ma c’è ancora una cosa che mi sfugge. Mi hai detto come ti è parso Julian a caldo, ma dopo averlo conosciuto per un po’, nel tuo cuore, tu, cosa ne pensi? Se dico “Julian Devorak” quali sono le prime parole che ti vengono in mente?-
-Beeee... Direi… Affascinante… Mascalzone…?- aveva represso con ogni fibra del suo essere il “bello e dannato” che le aveva danzato a fior di labbra, ma anche con tutto lo sforzo che le era costato adesso Élan la stava fissando con un sorriso furbetto.
-Uh-uuuh, affascinante, allora ti piace!-
-Non ho detto che mi piaccia!- ribatté Kamya con un tono di voce abbastanza alto da farne disperdere l’eco in mezzo a canali e palazzi. In un gesto istintivo si coprì la bocca con entrambe le mani, fece saettare gli occhi in ogni direzione per accertarsi che curiosi e pettegoli di tutto il circondario non si fossero fiondati alle finestre e gettò pure un’occhiata verso l’acqua ma a rispondere fu soltanto il suo silenzioso riflesso -La bellezza indica la piacevolezza fisica, il fascino riguarda i modi, ed era a quelli cui alludevo!-
-Certo, i modi- le fece un occhiolino esageratamente marcato l’altra giovane.
-Se anche mi piacesse, che cambierebbe? Non posso distrarmi. Non darò fiducia a quel medico fuori di testa...-
La fata inclinò la schiena in avanti così da studiare con più attenzione la postura dell’apprendista; braccia sulle ginocchia, schiena ricurva, spalle rigide, una mano che giochicchiava nervosamente con le unghie dell’altra, ma anche viso rassegnato, orecchie e guance in fiamme: già, aveva tutta l’aria di qualcuno dilaniato da un dilemma morale.
-Non trovi sia un controsenso? Dici a Death Mask che deve dare fiducia agli altri ma tu stessa non vuoi dare un’occasione a Ilya.-
-Un’occasione per fare che cosa? Mentirmi? Umiliarmi? Tradire la mia fiducia?!-
-Magari di combinarne una giusta.-
Il sorriso speranzoso di Élan era così onesto che tutte le motivazioni di Kamya sembravano sgretolarsi come sabbia tra le sue dita; si tirò indietro i capelli con un gesto nervoso e rimase a palpebre chiuse mentre la fata proseguiva.
-Ascolta, si vede che sei una persona che cerca di scegliere sempre con la testa piuttosto che col cuore, ma la vita non è un lancio di moneta e forse dovresti decidere con più cognizione di causa quando ti trovi davanti a delle situazioni- allungò una mano per carezzarle la spalla e la maga le restituì un’espressione confusa e stanca -Sai, io e Death Mask siamo viaggiatori. Andiamo da un posto all’altro dando il nostro aiuto a chi ne ha bisogno. Be’, io presto il mio aiuto, Death più che altro si lascia trascinare. In ogni caso, tu sembra proprio che ne abbia un gran bisogno, per cui ecco il mio suggerimento: comportati con Julian come faresti con chiunque, fai le tue indagini, trai le tue conclusioni, stai a vedere quali scenari si evolvono, ma agisci sapendo che saremo lì a guardarti le spalle, e che se ti avrà mentito, l’avrà fatto a tutti e a quel punto la tua collera sarà l’ultimo dei suoi problemi!-
-Ahah, vuoi scatenargli contro il tuo malvagio mastino infernale?-
Élan la liquidò con un gesto che la fece ridere di gusto.
-Non contare su quello che ti ha detto, Death Mask non è cattivo, è solo un idiota!-
-Sono Death Mask e concordo con la metà di quello che è appena stato detto- le ragazze si voltarono di scatto verso il Cavaliere che le fissava annuendo. Aveva la mappa della città in mano e le braccia incrociate sul petto per darsi maggiore tono -Dì al tuo fidanzatino che mi sono scusato con te, calmerà il suo melodrammatico cuore- sottolineò portandosi teatralmente il dorso della mano alla fronte e mal simulando una persona sofferente, ma Élan gli si pose di fronte e lo rimbeccò con voce sarcastica.

-A-ah, e cos’è che porterà calma al tuo melodrammatico cuore?-
-Che stai insinuando?- Death Mask smise la recita molto rapidamente, mettendosi sulla difensiva.
-Death, ti conosco da abbastanza poco, ma ho passato le ultime settimane in tua compagnia e credo di poter affermare con sufficiente certezza che il comportamento di questi ultimi giorni non è da te! Sei stato come un pendolo che oscillava dal “incazzato come un toro” al “arrapato come un toro”. Sei sempre stato uno un po’ marpione e un po’ attaccabrighe, ma mai a questi livelli: te lo chiedo in tutta sincerità, sei sicuro di stare bene?-
L’uomo fece roteare gli occhi, lasciò cadere le braccia e sbuffò.

-Credevo di essere stato abbastanza esaustivo prima: tutta questa cazzata alla “Le notti d’Oriente” non fa per me. Non sono una casalinga, dannazione, sono un guerriero!-
-Oh mio Dio, ecco che cosa fai per vivere!-

L’esclamazione costrinse Kamya a soffocare una risata ma il risultato fu assai discutibile.
-Se non mi allontano dal rave party di questa casa per una notte, giuro che darò di matto!-
-Perché, può peggiorare ancora?!- la maga si allarmò per gioco ma Élan la cinse lo stesso in un abbraccio e si mise ad accarezzarle i capelli.
-Lo stress fa male alla bambina, non terrorizzarmela!-
-Ma… Ma sono più grande di te!-
-Ssssh, tranquilla, tra poco sarà tutto finito...-
La protesta risultò in un maggior numero di carezze mentre l’apprendista riconfermava la sua opinione: era finita in mezzo ai matti. Benintenzionati, ma pur sempre matti.
-Vedi di non fare casino in mia assenza- Death Mask prese ad allontanarsi lungo la strada che conduceva al mare ma si girò un’ultima volta quando sentì le ragazze rientrare e la voce di Élan chiamarlo.
-Buonanotte, Death.-
Appena il chiavistello fu scattato al suo posto, e l’uomo fu tornato a essere da solo nelle strade deserte, bisbigliò la risposta.
-Sogni d’oro, Élan.-


All’interno dell’abitazione, Mazelinka aveva un diavolo per capello; aveva aperto la botola segreta che dava sul secondo letto della casa e raccolto delle lenzuola fresche, ma le aveva abbandonate senza sistemarle per la notte.
-Meno male che siete rientrate, ragazze. Ho bisogno del vostro aiuto: sono riuscita a convincere Julian a mettersi a letto, non dormiva da giorni quel mascalzone, ma sono anche certa che non si stia riposando affatto. Starà facendo su e giù per la stanza finché qualcuno non si deciderà a inchiodarlo al materasso. Lo farei io stessa ma ho bisogno di sistemare il secondo letto e di tenere d’occhio la pentola.-
Élan prese la parola per prima investendo la vecchia padrona di casa col suo entusiasmo.
-Non preoccuparti, Mazelinka, tu pensa pure alla cena, del letto mi occupo io! Kamya!- la richiamò facendola scattare -Giacché sei più in confidenza con Julian di me, perché non ci pensi tu a farlo restare a letto?-
La diretta interessata sbatté le palpebre interdetta ma non riuscì a protestare visto che entrambe le altre donne si diedero ai compiti assegnati in tutta fretta; ciò che le rimase da fare, fu entrare nella stanza da notte di Mazelinka, cercando di nascondere le orecchie in fiamme sotto ai capelli.
Julian, sedutosi sul materasso e toltosi guanti, giacca, e uno stivale, stava annaspando con l’altro; nel notare Kamya, le rivolse un sorriso scaltro che brillò alla luce della candela.
-Sei venuta per rimboccarmi le coperte?- il gancio cedette e il medico scalciò via la scarpa con uno sbadiglio -Temo che non resisterò ancora per molto, se c’è una cosa che conosco è il mio corpo. So quando sono esausto e quando si tratta di guarire ci vuole il tempo che ci vuole, che mi piaccia o no. Pugnalami nella schiena e non ci farò caso, ma guarire richiederà tutte le mie energie. Non è incredibile?-
-Magico, oserei dire- fece spallucce lei e Julian le sorrise un’altra volta.
L’ex-piratessa entrò con una ciotola fumante tra le man, la passò al ragazzo e gli ordinò di bere, dopodiché pose la domanda delle domande.
-Kamya, trascorrerai qui la notte?-
Julian mandò di traverso la minestra spalancando gli occhi.
-Oh, è quel tipo di zuppa?- improvvisò per spostare l’attenzione sul cibo.
-Non ti lascerò scavarti la fossa da solo. Sei ancora umano, Ilya- stette al gioco la vecchia. Quando l’altro tentò di protestare, gli tolse il cibo di mano e lo passò alla maga -Saresti un tesoro e ti assicureresti che la bevesse? Ho l’impressione che berrebbe qualsiasi cosa se fossi tu a offrirgliela.-
Kamya cominciava davvero a pensare che non attendere le sue risposte fosse un’abitudine di casa poiché, prima di venire nuovamente lasciata da sola col medico, ricevette una pacca sul braccio, ma non il tempo per replicare.
-Se non riesco a dormire, sono stressato, delirante e mi viene da sbattere la testa contro il muro, prepara questa zuppa per me, quella benedetta donna- sotto il suo atteggiamento apparentemente noncurante, si riuscivano a leggere la metà degli stati d’animo elencati -Non so nemmeno cosa ci metta dentro, ma ha un sapore fantastico.-
Kamya gli premette la ciotola sulla bocca e si sedette sul letto con un filo di impazienza.
-Bevi, allora, anziché fare tutte queste cerimonie!-
Mentre Julian svuotava il recipiente fino all’ultima goccia, la ragazza ne studiò ogni movimento: le ciglia che si abbassavano al chiudersi delle palpebre, la gola che si adattava al passaggio del liquido, il sospiro soddisfatto all’ultimo sorso e la lingua che ripuliva le labbra con gusto; quando la fantasia di lui che assaporava la sua bocca con altrettanto trasporto si presentò, non fece neppure il più pallido tentativo per reprimerla o respingerla. Questo era uno dei problemi cui Élan non poteva trovare soluzione: Kamya non si sarebbe comportata con Julian nella stessa maniera in cui si sarebbe comportata con chiunque altro.
Un suo sospiro trasognante catturò l’attenzione del rosso che le riservò un’espressione calda e perspicace.
-Ne vorresti un assaggio?-
Al suo annuire, Julian si chinò in avanti per andarle incontro e il suo tocco fu la prima sensazione ad avvolgerla; era attento e delicato ma anche impavido e sicuro di sé, esattamente come quando le aveva prestato le proprie cure. Poi, venne il profumo della minestra: affumicato e complesso, lasciava desiderare di sentirlo ancora, e il fremito delle loro labbra nel momento in cui si stavano per incontrare fu esaltante e soporifero al medesimo tempo. Ciò che rimase sconosciuto, fu il sapore del brodo, perché lo stesso verso che aveva interrotto il litigo con Death Mask, interruppe il bacio con Julian.
-Per stasera basta, voi due.-
Arrossiti e con uno scatto repentino, si separarono l’uno dall’altra e Mazelinka ne approfittò per lanciare una coperta addosso al ragazzo; non che la complicità del loro amoreggiare non appartenesse ad entrambi, ma Julian era di casa, conosceva le regole. Vedendo la maga far scattare gli occhi in ogni direzione e il medico annaspare sotto la stoffa, la donna pensò a quanto sembrassero una coppia di adolescenti impacciati piuttosto che due adulti nel pieno della loro maturità, ma sapeva a cosa avrebbe potuto portare un bacio anche solo un po’ troppo ardito, e per quella sera le bastava il doversi trovare nella situazione di dover fare da ambasciatrice di scomode novità.
-Temo che dovrete dividere il letto. Élan è crollata nella botola ed è così adorabile là sotto che non me la sentirei di svegliarla- non aveva visto che ingrediente avesse usato, ma ora Kamya aveva capito si trattasse di una miscela rilassante -Sei tu che devi dirci se te la senti di dormire con lui, Kamya.-
La ragazza rivolse una rapida occhiata al suo compagno di stanza, sbracato in una posizione casuale ma col volto illuminato da un imbarazzante ghigno.
-Certo, resterò qui- scosse lei la testa alzando gli occhi al cielo.
-Non preoccuparti, cara, sarò un perfetto gentiluomo!- promise il medico mentre lei si slacciava la cintura e si sfilava le scarpette dorate.
-Oh, lo farai? Contaci, allora!- Mazelinka gli diede uno schiaffetto sul braccio prima di raccogliere le loro cose e lasciare la stanza.
Quando la tenda ricadde al suo posto, Julian tornò alla carica con tono sommesso ma colmo di aspettative.
-Non dobbiamo ancora dormire, possiamo restare alzati e, sai, no? Conoscerci un po’ meglio.-
-Ehm, sì, mi pare una buona idea, ma prima devo fare una cosa.-
Stava per chiederle che cos’avesse in mente quando la maga gli premette un palmo sulla gamba destra, accarezzandogli la coscia con espressione assorta fino ad arrivare alla vita; si staccò dal suo corpo per mettersi le mani sulle proprie caviglie e Julian la fissò ipnotizzato e con bocca spalancata: mentre si risaliva le gambe, si sfiorava il petto e si passava le dita tra i capelli, sembrava eseguire una sensuale danza studiata per mandarlo in delirio.
Kamya allontanò le mani dalla sua testa così lentamente che le ciocche le scivolarono via poco alla volta e dei nastri di un rosso annacquato si formarono nell’aria, andando a creare una sfera sopra di lei; fermato il flusso, l’apprendista lo scagliò nei canali e la sua persona tornò ad essere presente e presentabile, con vestiti puliti e capelli asciutti.
-Fatto! Non è soddisfacente come un lavaggio con acqua e sapone ma per adesso andrà… Bene?- la ragazza non pensava le sarebbe capitato di assistere a uno scenario del genere, in particolar modo dopo tutto il sangue che aveva perso, ma Julian era violentemente arrossito -È una specie di lavaggio a secco che ho ideato assieme ad Asra, adesso i nostri vestiti sono tornati ad essere come erano prima del “piccolo” incidente di questa sera- gli spiegò ma senza ottenere risultati -A proposito di quello che dicevi sul conoscerci meglio… Ecco, avrei una domanda da fare.-
-A-ah?- bofonchiò Julian.
-L’haifattodavvero?- sputò lei mangiandosi le parole per la fretta.
L’incantesimo si ruppe e il medico tornò alla realtà in maniera brutale… Non aveva bisogno di sapere a cosa si stesse riferendo la domanda, già lo sapeva.
Fece passare gli occhi dal pavimento al soffitto ma non si soffermò sull’ospite.
-Scusami, troppo diretta. Il fatto è che non capisco- Kamya gli si mise a fianco e cercò di ammorbidire i toni -Se hai davvero assassinato il Conte d Vesuvia, perché sei tornato?-
Una risata nervosa scosse il petto al ragazzo.
-Me lo domando sempre anch’io, ma quando sei tu a chiederlo, è molto meno irritante. Se ti dicessi la verità, mi crederesti? Nemmeno io lo farei, ma lascerò decidere a te, Kamya- si raddrizzò sulla schiena, intrecciando le dita tra di loro e guardando finalmente la sua ospite negli occhi -L’ho fatto davvero? Ho davvero ucciso il Conte? E se ti dicessi che… Non me lo ricordo?- la sua voce suonava così onesta che Kamya non poté arrabbiarsi e lo lasciò continuare -So cosa penserai, che è facile tirare il sasso e nascondere la mano, commettere un crimine e poi affermare di non ricordarselo, ma è per questo motivo che sono tornato: ho bisogno di risposte e se non troverò la verità qui, impazzirò cercandola. Come avrai capito ho anche un paio di domande per il tuo maestro. Se solo sapessi... Gli anni, la distanza che ho percorso per trovarlo...- la sua voce si fece carica di frustrazione e la maga sentì un tuffo al cuore. Forse nel loro animo condividevano di più che una mera partita al gatto e al topo...
In ogni caso, non c’era parola che non le fosse suonata sincera e rimpianse di non aver posto la domanda molto prima; come a percezione del suo stato d’animo agitato, il medico le riavviò una ciocca di capelli dietro l’orecchio dove prima aveva posto il fiore, probabilmente perso nella fuga, e le fece spazio sull’ampio giaciglio.
-Guarda qua, comodo e spazioso- annunciò accarezzando il materasso. Lei si accoccolò sotto le lenzuola, nascondendo il nervosismo che, a quel punto, pareva quasi superfluo -Se solo avessimo più tempo… Oh, le cose che mi piacerebbe fare con te…- farfugliò il medico con voce impastata. Le palpebre si erano fatte insostenibili da reggere e i suoi pensieri non si legavano più ad alcuna logica.
-Scusa che hai detto?- Kamya si sollevò sul gomito, il cuore le batteva in petto sperando di aver sentito male ma anche bene allo stesso tempo.
Un biascicato augurio di buona notte fu l’ultima cosa che uscì dalla bocca del medico e l’apprendista si dovette rassegnare a rimanere senza risposta; si girò verso la candela e con un gesto delle dita la fiamma fu spenta. Non sapeva se sarebbe riuscita ad addormentarsi, ma la notte si presentava insonne e carica di pensieri anche per un certo guerriero di sua conoscenza a spasso tra le vie silenziose di Vesuvia.


Ad accompagnare il clangore dei suoi passi c’erano ben pochi rumori oltre al solito verso dei gabbiani e al venticello che si era alzato, ma nella sua testa suonava tutt’altro tipo di sinfonia.
Death Mask era praticamente scappato da casa di Mazelinka per poter passare un po’ di tempo in compagnia solo di se stesso, svuotare la mente, pensare ai cazzi propri, ma i cazzi che lo perseguitavano quella notte erano gli stessi che gli erano stati serviti a colazione, pranzo, merenda e cena per le ultime settantadue ore… Élan, Élan, Élan e ancora Élan.
Settimane erano passate dal loro primo incontro, un episodio che avrebbe dovuto sbiadirsi nella sua memoria era ormai certo si fosse cristallizzato ben più in là del dovuto e del necessario.
Tutto era cominciato come una normalissima giornata al Grande Tempio: si trovava dove non doveva stare, a bere cose che non avrebbe dovuto, ad orari duranti i quali sarebbe stato meglio non consumarle. Il solito copione, in poche parole.
La svolta degli eventi era cominciata con l’arrivo della protagonista femminile; niente di che a un primo esame, solo una minuta, diffidente, giovane donna, ma dopo un paio di sani litigi e una manciata di dimensioni che avevano messo a dura prova il livello di sopportazione reciproca, erano arrivati dei colpi di scena. Primo di tutti, Élan non era umana: era una changeling, una mezza-fata scambiata con una bambina umana appena nata. Non sapeva come avesse fatto a raggiungere il Grande Tempio dalla sua dimensione, sapeva solo che dovesse tornarci il prima possibile.
L’uomo sospettava che i suoi mitologici natali avessero giocato un ruolo chiave nel suo arrivo, ma che Élan non fosse poi tanto normale, l’aveva già intuito da sé. Accorgersi di come fosse brillante, altruista, sagace, compassionevole, il tutto confezionato in un pacchetto da dieci e lode, quello era stato il vero colpo di scena!
Dalla notte in cui lei gli aveva rivelato della sua natura non umana, la chimica tra di loro era esplosa; viaggio dopo viaggio, avventura dopo avventura, ogni impresa più ardita della precedente e ogni serata più ammaliante di quella trascorsa il giorno prima. Oh, avrebbe potuto continuare così in eterno!
Ma il destino, la vita, il caso, qualunque fosse il suo nome, quando ci si metteva, riusciva veramente ad essere bastardo. Per Death Mask aveva preso il nome di Helios, una maestosa nave-laboratorio ideata da Tesla in persona per consentire ai più geniali scienziati del mondo di sperimentare senza distrazioni o censure… Peccato proprio che fosse stato uno dei loro temerari esperimenti ad aver mandato in malora la baracca!
Rose, una giornalista invitata lì dalla sorella, si era dovuta rifare all’aiuto di Élan per proseguire nella sua ricerca di una via di fuga e tutto era filato piuttosto liscio fino all’area di contenimento di Fred: una bobina elettrica che scaricava energia a intervalli regolari, letale per ogni forma di vita organica che ci fosse entrata in contatto diretto. Chiunque fosse stato sano di mente avrebbe rinunciato a quel punto, ma non Élan…
Lei era speciale.
Forte della sua alquanto derisa minutezza, aveva dato un bacio a Death Mask e si era lanciata nel percorso ad ostacoli più avventato del mondo, dietro ogni colonna e sotto ogni pila di macerie che fosse abbastanza alta da poterle offrire riparo. Era stato in quel frangente, a doverla vedere mentre rischiava la vita senza che lui fosse potuto intervenire, che l’uomo aveva avuto la più agghiacciante delle rivelazioni: era spaventosamente impreparato alla sua mancanza…
Non poteva più stare senza i suoi puerili litigi, senza le sue battute stupide, senza che lei lo facesse ridere… E come lo potevi definire, quando la sua incolumità veniva prima di quella di tutti gli altri, te compreso? Quando il suo buon cuore ti spronava ad essere la migliore versione di te stesso? Quando la sua sola esistenza dava un senso al mondo intero? Quando l’impronta che aveva lasciato nella tua vita era così grande, che niente ti avrebbe dato il permesso di tornare alla tua vecchia esistenza se privato di lei?
Amore. Si poteva soltanto definire amore. Si era innamorato di lei. Perdutamente, follemente, irrimediabilmente. Il secondo colpo di scena si era dispiegato.
Giusto il tempo di lasciare che la realtà della situazione si assorbisse a sufficienza, che Fred aveva ridotto l’intervallo tra i suoi impulsi, lasciando ad Élan non più di una manciata di secondi per raggiungere il casolare con l’interruttore d’emergenza; con un ultimo, disperato salto era riuscita a mettersi al riparo, ma il Cavaliere si era sentito diventare freddo ed era stato investito da una terribile nausea.
Al termine della loro disavventura, erano arrivati a Vesuvia e gli eventi si erano succeduti come tessere di un domino: il morso, l’incontro con Julian, l’ospitalità della vecchia arpia...
La pace che avevano avuto non era stata del tipo che servisse al Cavaliere per rimettere assieme i frammenti della sua psiche, ma Élan, che Atena l’avesse in gloria, quella notte ci aveva preso con la sua analogia; Death Mask era come un pendolo che oscillava tra furia e voglia. Furia, perché non sapeva in che maniera comportarsi o agire, e lui odiava non avere un piano d’azione, voglia perché non conosceva altro tipo di amore che non fosse sessuale. Questo almeno in un quadro semplificato delle cose, ma la realtà era più complicata di così.
Il punto era che Élan avesse totalmente fatto deragliare il suo progetto di vita che, nel suo caso, corrispondeva a nessun progetto; quando eri un Cavaliere al servizio della dea Atena, soprattutto uno d’oro, poco c’era da fare nei periodi di calma piatta, ma quando dovere chiamava, be’, passavi da uno scontro all’altro finché il più epico della tua vita, era anche l’ultimo. Con la fata presente, però, come faceva anche solo ad immaginare di morire per lasciarla tutta da sola? Se avesse potuto tenerla con sé le avrebbe trovato un posto dove stare, un impiego decente, quel genere di noiose burocrazie che andavano sbrigate quando ci si trasferiva, ma la stessa Élan aveva espresso molto chiaramente l’urgenza di fare ritorno a casa; inoltre quel vecchio pazzo del Grande Sacerdote non l’avrebbe più finita di farneticare su come si stesse incrinando l’equilibrio dell’universo. Anche questo contribuiva a farlo uscire di testa: qualunque soluzione avesse elaborato, sarebbe stata fatica sprecata.
E poi, dulcis in fundo, c’era la questione della libidine. Death Mask aveva conosciuto tanti amori in vita sua: per un luogo, per un piatto, per una canzone, magari anche per cose estremamente specifiche come il profumo marino che portava con sé la spuma dell’onda, ma mai amore romantico. Affetto, okay, ammirazione, d’accordo, ma il romanticismo? Impensabile.
Nondimeno, c’era un tipo di amore nel quale era un vero pro; non che se ne facesse un vanto ma di fulminate al Grande Tempio che si sarebbero fatte una “cavalcata” con lui, ce n’era una discreta lista e forse Élan era un tale supplizio solo perché era il più recente oggetto del desiderio. Ma certo, la sua non era niente di più che un’infatuazione condita da una gran voglia di sesso, sarebbe bastata una sola notte di passione per togliersela dalla testa, lei e i maledettissimi sentimenti... Ma quella dannata vecchiaccia! Si era intromessa ogni singola, dannata volta e Death Mask non era mai riuscito a concludere! Dalla serie “piove sempre sul bagnato”, più tempo passava, più si rendeva conto di come il suo piano non avrebbe fatto che avvicinarlo alla ragazza, di come sedurre non fosse uguale a risolvere e di come, presto o tardi, avrebbe dovuto affrontare la situazione da adulto.
Questo almeno nella peggiore delle ipotesi.
Aveva davvero sperato che quel paio d’ore in solitaria lo avrebbero aiutato a riflettere, ma per il momento non avevano portato ad altro che non fosse un lungo giro di Vesuvia senza guida turistica; aveva visto la piazza, spoglia di gente ma non dei petali che Portia aveva lanciato per annunciare la mascherata, aveva visto il castello, glorioso nella sua struttura ma quasi banale se paragonato alle architetture del Grande Tempio, e infine si era ritrovato di nuovo nella baia. Tutto il contrario del suo tribolato cuore, ad abbracciare quei moli c’era un mare che avrebbe potuto continuare fino a fondersi con l’oscurità della notte se non fosse stato per un isolotto ancora più oscuro che si stagliava contro l’orizzonte.
Quando Mazelinka li aveva portati lì a fare la spesa e i due avevano chiesto delucidazioni in merito, Élan e Death Mask avevano dovuto fare i conti con una nefasta rivelazione.

-Quello è il Lazzaretto, era lì che venivano mandati i malati di Peste Rossa- aveva spiegato Mazelinka -Un capitolo buio nella storia di Vesuvia. Compiere il viaggio di andata voleva dire non compiere quello di ritorno...-

La fata aveva stretto le mani attorno al manico del cestino di frutta che portava e si era scambiata uno sguardo eloquente col Cavaliere; entrambi si auguravano che il Lazzaretto non dovesse riaprire i battenti proprio con lui o che non li dovesse riaprire affatto…
All’idea della pletora di pensieri negativi che lo stavano affliggendo, Cancer venne improvvisamente scosso da una risata amara e decise di andarsene. Parecchi passi dopo, uno spiraglio di positività venne gettato sulla sua strada quando l’insegna del Corvo Chiassoso gli cigolò sopra la testa. Eccola lì! La radice e la soluzione a tutti i problemi, il quinto dei Cavalieri dell’Apocalisse: l'alcolismo.
La notte non era poi tanto giovane ma decise comunque di entrare a farsi una bevuta e trovò il locale esattamente come l’aveva lasciato: pavimento appiccicoso, aria viziata e un sacco di gente alticcia ma allegra.
-Ehi!- lo riconobbe il barista da dietro il bancone -Tu sei quello che ha ridotto Ilya a uno straccio! Se vuoi dare di nuovo spettacolo, di gente che si sia bevuta il cervello, oltre che il portafogli, ce n’è quanta ne vuoi stasera!-
Un rantolo scomposto e qualche paio di teste che si alzarono stancamente furono le uniche risposte ma facevano troppa pena come avversari.
-Silenzio, vecchio locandiere!- tuonò Death Mask, prima di accomodarsi alla destra di un ragazzo sul cui cappello svettava una lunga piuma arcobaleno -Sono venuto qui per bere… Qualunque schifo di cosa mi abbia offerto il dottore l’altro giorno.-
-Aaaah, il Salty Bitter- annuì sardonico il barista -È un grande classico della mia locanda, sai?-
-Fa’ sinceramente cagare...-
-Sarà, ma non esiste animo afflitto che se ne sia andato di qui senza aver risolto i propri problemi dopo averne bevuti due o tre più del necessario. Ho solo una domanda: come intendi pagare?-
Mentre il barista incrociava le braccia davanti al petto, Cancer annaspò mentalmente in cerca di una risposta adeguata. Julian gli aveva dato indicazioni, una mappa, un’infinità di consigli ma niente soldi da spendere all’occorrenza. Quando all’improvviso, l’illuminazione...
-Mettila sul conto del dottore- decretò con sicurezza.
-Spiacente, ma non facciamo credito a nessuno, specialmente ad Ilya...-
-Pagherò io, allora- alzò una mano il giovane dall’esuberante cappello. Death Mask si voltò verso di lui rendendosi conto di non averlo osservato attentamente prima, il che era davvero assurdo considerato il suo vestiario appariscente: una camicia bianca generosamente sbottonata era coperta da una stuoia magenta con frange oro, una sciarpa color granato e da una giacca senza maniche a strisce variopinte; era così lunga che gli angoli decorati sfioravano il pavimento nonostante l’altezza dello sgabello.
Il locandiere accettò la proposta e mentre si voltava per spillare un boccale dell’intruglio, il ragazzo lasciò correre i suoi profondi occhi viola sul fondo quasi vuoto del proprio bicchiere.
-Immagino di doverti ringraziare- gli sorrise Death Mask.
-Non serve, so riconoscere un cuore tormentato quando mi si siede a fianco. Mi accontenterò del tuo nome.-
Death Mask ignorò il commento sul suo stato emotivo e fece sfoggio del proprio titolo.
-Death Mask del Cancro, Cavaliere D’oro della quarta Casa del Grande Tempio- si presentò fieramente.
Il giovane inclinò la testa di lato per appoggiarla al palmo della mano e lo studiò con un sogghigno volpino.
-Onorato di fare la tua conoscenza, Death Mask del Cancro, Cavaliere D’oro della quarta Casa del Grande Tempio.-
L’oste si voltò verso il Cavaliere e gli mise un boccale traboccante davanti; un pungente odore lo investì come un treno, ma mai quanto il sapore della bevanda: il diabolico gusto di sottaceti e terra, gradevole quanto il morso di cinque piranha sulla lingua, era impareggiabile.
Cancer ne bevve un sorso o due e rimarcò ancora una volta quanto le sue papille gustative fossero state violentate ma dovette ammettere quanto altrettanto stesse accadendo al suo pessimo umore, il che era un bel vantaggio.
-Mi sa che mi è sfuggito il tuo di nome, biancospino- apostrofò il ragazzo, riferendosi ai ciuffi di capelli bianchi che gli sbucavano da sotto la larga falda del cappello.
-Asra.-
-Asra, eh? E tu che fai per mantenerti nella vita? Con quell’aria da vagabondo sei… Un saltimbanco o roba simile?- preso coraggio, Death Mask attaccò di nuovo il boccale. Ogni sorso aveva un retrogusto davvero agghiacciante.
-Sono appena tornato da un viaggio, ma gestisco un negozio di magia non distante da qui- Asra ingollò il restante liquore e ne ordinò un altro giro, poi sorrise al suo compagno di bevute -Potrei predirti il futuro leggendo le linee della tua mano, se lo gradissi, oppure potrei interpretare le carte.-
Il Cavaliere gli scoppiò a ridere in faccia ma si bloccò di colpo; il tono di Asra era stato così suadente che aveva creduto fosse un avance ma il mago era tutt’altro che in vena di scherzi.
-Non vorrei sembrare scortese o maleducato con te, Asma, dopotutto mi hai offerto da bere e questo lo rispetto, ma non credo nella maniera più assoluta a questo genere di cose. Non esiste alcuna prova scientifica a supporto della chiaroveggenza, il che significa, e ripeto non intendo offenderti, che sei un imbroglione, il tuo lavoro è un’enorme truffa e il tuo sostentamento dipende unicamente dalla credulità della gente stupida- il sorriso di Asra si era tramutato in una linea piatta sul suo viso e i suoi occhi si erano sbarrati -Ma ripeto, senza offesa.-
Il mago prese un profondo respiro e parlò con voce quanto più ferma gli riuscisse.
-Come potrebbe non essere offensivo?!-
-Dipende da quanto sei bravo a incassare le critiche costruttive, suppongo- fece spallucce l’uomo.
Il giovane bevve tutto d’un sorso il liquore ambrato che gli era stato servito; altre volte si era trovato faccia a faccia con un borioso, scettico spaccone, sapeva come gestire la faccenda, doveva soltanto trovare il più efficace giro di parole.
-Quindi preferisci affrontare il brivido dell’ignoto senza nemmeno avere uno scorcio di quello che ti riserva il futuro? A tua preferenza- tornò a sorridergli -D’altro canto non tutti hanno l’intelligenza per apprezzare la strategia offerta dalla chiaroveggenza, soprattutto una ben interpretata, ma, come si suol dire, chi è causa del suo mal pianga se stesso.-
Poco ci mancò che Death Mask spaccasse il manico del boccale; poteva accettare l’intuizione sul suo stato d’animo, poteva lasciar passare i sorrisetti arroganti, ma non poteva tollerare che gli si desse dello stupido.
-Scusa, credo di non aver sentito bene: mi stai dando dell’idiota?-
-Questo sei tu a dirlo, non io...-
Sarà stato l’alcol o sarà stata la strafottente espressione di Asra, con le sue malefiche fossette, ma Death Mask si erse in piedi, ribaltando lo sgabello.
-Pensi davvero di irretirmi coi tuoi trucchetti psicologici da quattro soldi?- gli urlò contro mentre il sorrisetto del mago non faceva che allargarsi -No, perché se pensi che funzionino, pensi bene, cazzo! Andiamo!- lo afferrò per il coppino della giacca e lo trascinò verso i tavoli.
Tutti erano pieni ma non se ne fece un problema: ne trovò uno al centro del locale, occupato da due uomini così ubriachi da essersi addormentati e li gettò entrambi a terra dove continuarono indisturbati il loro pisolo. Asra, lasciato libero, gli si sedette di fronte con uno svolazzo della giacca e dal borsone di cuoio tirò fuori un mazzo di carte che cominciò a mescolare.
-Non è il mio solito mazzo, quindi ti chiedo scusa se la lettura risulterà poco precisa- si diede delle arie mentre le carte gli scivolavano abilmente tra le dita. A un borbottio sommesso dell’uomo, rincarò la dose -È un mazzo nuovo, quindi non ho ancora particolare affinità.-
Percepì fosse giunto il momento di poggiare le carte quando Death Mask gli scoccò un’occhiataccia.
Una alla volta, e tutte coperte, dispose le prime tre in verticale e le ultime in linea retta; le esaminò un paio di volte ma, quali dritte, quali coperte, tutte erano al loro posto eccetto una. Più testarda delle altre, insisteva sulla sua errata disposizione. La girò sotto per sopra e viceversa ma quella non fu soddisfatta finché non venne posta in orizzontale. Era unico che una carta volesse una posizione a metà ma gli Arcani non sbagliavano mai e ciò poteva dire soltanto una cosa: Death Mask era un uomo altrettanto unico.
-Vediamo…- incrociò le dita e lo sbirciò attraverso le ciglia candide -Della tua personalità ho già avuto modo di carpire qualcosa: sei presuntuoso, schietto e non ti fidi facilmente, ma cosa mi dice di te il tuo passato?- girò la prima carta, quella più in alto, e si trovò davanti all’immagine capovolta di un volatile nero con un grande copricapo di piume, eretto davanti a una parete di teschi -La morte rovesciata. Hai voltato le spalle al tuo dovere lasciando le cose a marcire nella tua negligenza.-
Cancer sapeva che non avrebbe vinto il premio per miglior Cavaliere D’oro dell’anno, ma definirlo negligente gli sembrava esagerato; in fin dei conti era Arles ad assegnargli quasi esclusivamente gli affari più sporchi del Grande Tempio, stanare e sterminare i cospiratori. Era un lavoro ingrato ma qualcuno lo doveva pur fare.
-Ma il passato è pur sempre passato, no? Chi sei tu, adesso?- con un filo di esitazione nella sua mossa, Asra girò la carta orizzontale. Un’adorabile capretta rossa con ali di pipistrello teneva uno zoccolo sopra un pentacolo risplendente di luce propria e contornato da candele accese -Ti devo avvertire: è davvero curioso che un arcano si rifiuti di stare dritto o rovesciato per cui questa disposizione mi comunica molte cose contrastanti di te. Sei una persona carismatica, fiera, ti lasci guidare dalle tue passioni, sei competente nel tuo lavoro e abbastanza consapevole del talento che possiedi da rasentare la superbia però...-
-Però?- lo spronò a continuare Death Mask. Era più rapito di quanto non si fosse aspettato e cominciava davvero a pensare che Asra ci stesse prendendo un po’ troppo…
-La sua disposizione ambigua comunica anche problemi con i compagni… E salute manchevole…-
L’uomo deglutì fissando la carta con consapevolezza. Era soltanto un trucco di psicologia, no? Quel pezzo di cellulosa colorato non poteva sapere che gli altri Cavalieri D’oro, eccezion fatta per due, lo vedessero di pessimo occhio, no? Non poteva sapere che l’insetto portatore di un orrendo male lo avesse ferito pochi giorni prima, no?
Si passò la lingua sulle labbra per umettarle e aspettò una manciata di secondi prima di prendere un altro sorso di Salty Bitter, giusto il tempo di non farlo sembrare un atto consolatorio.
-Va’ avanti.-
La carta del presente raffigurava una fenice con le ali spiegate tra due alberi in fiore.
-Gli amanti dritti parlano di un incontro fortuito, un’alleanza stretta, di connessione e comunicazione, ma anche di...-
Asra sollevò la testa e trovò Death Mask paralizzato: aveva smesso di ragionare alla parola “amanti”, la bocca gli si era seccata e il sangue era gelato nelle vene.
Il suo presente era simboleggiato dagli amanti. Dannazione, Asra non poteva aver indovinato! Erano tutte cazzate disposte per fargli pensare che un emerito sconosciuto fosse in grado di intravedere nella sua vita! Però… Anche alle fate avrebbe rifiutato di credere non molto tempo fa, eppure Élan era vera quanto la morte. Per sua fortuna e dannazione.
-Impressionato, Cavaliere D’oro?- lo canzonò il giovane, pronto ad affrontare le ustioni del fuoco con cui stava scherzando.
Non aveva bisogno di conoscere personalmente il guerriero per poterlo leggere come un libro aperto, gli bastava conoscere l'alterigia tipica degli uomini col suo temperamento, perché le carte che aveva disposto non erano le uniche che possedesse per smontare l’insolenza.
Death Mask parlava di critiche costruttive, eh? Be’, Asra aveva il proposito di fare l’esatto opposto, smontarlo pezzo per pezzo fino a che di lui non fosse rimasto che un uomo intimorito; non aveva paura delle reazioni che si sarebbero scatenate, non era più un bambino di otto anni ammansito dai bulli e dalle loro minacce, aveva già dato anche troppo da quel punto di vista…
-Come, scusa? Mi ero distratto- dissimulò Cancer -In realtà stavo pensando a una cosa. Se questa lettura è così intima, perché non la facciamo in un posto che sia altrettanto privato? Tipo lì...- indicò un tendaggio appeso che copriva una rientranza nella parete.
-Perché quello… È lo sgabuzzino delle scope- precisò Asra.
-Hai qualcosa contro la saggina?-
Divertito dalla battuta e in vena di essere accomodante, il mago propose una soluzione alternativa.
-Ho già iniziato la lettura, non potrei muovere le carte una volta che sono state disposte, ma penso di poter ripescare quelle corrette nel corretto ordine se lo facessi in un ambiente a me familiare, per cui ecco la mia proposta.-


Il negozio di Asra era esattamente come Death Mask se l’era immaginato: sovraccarico di ampolle, candele ed erbe aromatiche. Il profumo d’incenso si disperdeva nell’aria così intensamente da stordire mentre una miriade di libri e mappe stellari occupava ogni angolo che non fosse già preso d’assalto da piante e fiori sospetti.
-Prego, fa’ come se fossi a casa tua- il mago si spogliò dei suoi indumenti da viaggio e li lanciò scompostamente su un divano, poco sotto a una nicchia colma di cristalli di ogni forma e colore -Accomodati nel retrobottega.-
Dietro una tenda stellata era stato allestito uno stanzino privato per la lettura dei tarocchi; non c’era molto se non un tavolo circolare con una tovaglia viola, una lanterna turchese e due piccole ottomane imbottite. I due uomini occuparono le sedute l’uno di fronte all’altro e il mago dispose le carte nello stesso ordine utilizzato al bar.
-Dicevi, insomma, c’è amore nella mia vita?- Death Mask si sbrigò a porre la domanda, tradito dall’impazienza nella sua voce.
Con quel bel caratterino, dubito” avrebbe voluto rispondergli Asra, ma per restare professionale si sforzò di richiamare a sé tutta la concentrazione.
-Non esattamente. Le altre carte viste finora non lasciano intendere che gli amanti indichino l’amore, questa suggerisce costruzione e realizzazione, nuove strade da intraprendere con serenità, ma anche di una scelta da compiere, una che condurrà a un esito positivo se fatta con cognizione di causa ma negativo, se forzata.-
La quarta e la quinta carta vennero voltate in simultanea: l’una era il ritratto di una simpatica bertuccia blu seduta su un trono ai cui piedi vi erano vasi di fiori e bastoncini d’incenso accesi, l’altra mostrava un cervo bianco abbeverarsi a una fonte dentro la quale i colori si scurivano, rendendo l’acqua rossa di sangue e il cervo scheletrico. Vista sottosopra, era difficile capirne il senso.
-Conscio e subconscio. L’imperatore diritto dice che a livello consapevole senti di poterti fidare della tua esperienza e di poter imparare osservando le conseguenze delle tue azioni, ma la temperanza rovesciata permette al conflitto di sovrastare la sua pacifica disposizione, costringendola a reagire con misure estreme. Sei sicuro di sé riguardo al compito che devi affrontare, ma quel muro di spavalderia che ti sei costruito lascia trapelare dalle proprie crepe paura, insicurezze e bramosia di misure estreme.-
Death Mask fissava le carte con tanta intensità da risultare quasi intimidatorio; ormai le sue certezze erano crollate, i punti focali della sua vita erano stati riassunti in una mezza dozzina di carte, ponendo sui piatti della bilancia dei timori che nemmeno aveva consapevolezza lo stessero possedendo. Ciò malgrado, era così: non era mai stato innamorato di una donna, o se era accaduto era stato troppo tempo fa per ricordarselo, come poteva amministrare con saggezza un sentimento che non sapeva nemmeno quanto forte o ricambiato fosse? Misure drastiche volevano dire prendere Élan e ferirla, terrorizzarla, soffocarla?
Caduto il suo ospite in un religioso silenzio, Asra si sentì autorizzato a proseguire.
-E nel tuo futuro invece c’è...-
Prima che il mago avesse avuto modo di voltare del tutto la carta, Death Mask gli diede un colpo col dorso della mano, gettando per aria tutta la lettura e il mazzo sistemato lì a fianco; le carte svolazzarono a terra mentre Asra teneva sospesa la mano, la carta del futuro gli era scivolata via dalle dita e si era dispersa insieme alle altre.
-Ho già dovuto sopportare un capriccio del genere dal Conte Lucio una volta- lo sgridò gelidamente -Avevo sperato che almeno tu avresti avuto un minimo di cura per le cose che non ti appartengono.-
Il Cavaliere aveva scostato la tenda stellata e dava le spalle ad Asra.
-Non ti devo niente- furono le sue ultime caustiche parole prima di lasciare il negozio in tutta fretta sbattendosi dietro la porta.
Asra si lasciò cadere nei cuscini retrostanti con un profondo sbuffo; si passò le dita sul viso scuro dove lasciò che coprissero gli occhi. Era stato un lungo viaggio e un’interminabile serata, emozioni dimenticate erano tornate a galla in innumerevoli déjà vu che avevano affaticato ancora di più muscoli e ossa. Cancer era senza ombra di dubbio il peggior cliente che avesse avuto da un po’ di tempo a quella parte, ma non il peggior uomo che avesse mai incrociato sulla sua strada. A onor del vero, il mago non poteva sapere quanta crescita personale attendesse il Cavaliere dietro l’angolo e quanto la prima impressione di lui fosse fuorviante, ma ogni tassello del puzzle si sarebbe incastrato con quello giusto a tempo debito.
Chiamate a raccolta le energie che gli servivano per rimettere a posto lo stanzino, farsi un bagno e gettarsi a letto, il mago si diede da fare; con un gesto della mano chiamò a raccolta i tarocchi sparsi per il pavimento e tutti si radunarono in un mazzetto ordinato sul tavolo; quando percepì l’energia emanata dalla carta del futuro, Asra la intercettò a mezz’aria tra le dita. Dopo un rapido esame, un sorriso gli si stampò in volto. Se la portò alle labbra dondolandosi nelle spalle.
-È interessante… È molto interessante.-










N.d.A
Guess who’s back, bitches? XD Il primo capitolo dopo un po’ di tempo è sempre quello più difficile da scrivere e correggere, inoltre, più vado avanti con questa fanfiction più mi rendo conto di quanto sia complicato fare mia una storia che per metà non mi appartiene, ma col tempo riuscirò a sciogliere tutti i nodi del caso u-u
Come avevo promesso, la storia è entrata nel vivo e c’è stato l’incontro tra tutti e quattro i protagonisti (tenete ben d’occhio Kamya e Desu perché il loro rapporto di amore-odio ricorderà un sacco quello di Discord e Twilight)^^
Ci tengo a precisare che il mazzo di tarocchi di Asra non è quello visto nel gioco, che le carte descritte si rifanno al design di Sylvia Ritter (qui uno dei suoi canali https://www.deviantart.com/sylviaritter/gallery/65829864/tarot-deck) e che la battuta di Death Mask sui guadagni di Asra è una citazione a “The Big Bang theory”. Per quanto riguarda il titolo “at wit’s end” significa non sapere che pesci pigliare/essere fuori di sé dalla frustrazione, ed è tratto da una delle composizioni del terzo film di “Pirati dei Caraibi”. Volontà permettendo, mi impegnerò a scrivere ogni giorno.
Stay tuned!
   
 
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