Anime & Manga > Yuukoku no Moriarty/Moriarty the Patriot
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Autore: Discontinuous Qualia    23/05/2022    1 recensioni
[Sherliam | Soulmates!AU + Modern!AU]
In un mondo in cui avere un'anima gemella è qualcosa di comune, se si è tra i rari casi di coloro che possono sentire la musica solo dopo aver incontrato la propria metà, la vita non è facile. E se si è anche musicisti è un inferno.
Sherlock Holmes è un violinista giramondo che non ha mai reso la sua condizione un segreto. William James Moriarty è un geniale pianista che si è assicurato che solo le persone a lui più vicine sapessero della sua mancanza.
"Pensi che sia stato davvero qualcosa di predeterminato? Tipo una sequenza di geni incisa nel nostro DNA che prende le decisioni senza alcun riguardo per la persona che diventiamo con il trascorrere della vita?"
"Sai Sherlock," disse John spegnendo la sigaretta ancora buona contro il fondo del posacenere. "Siamo egoisti e pessimi giudici di noi stessi, perciò nel momento in cui troviamo qualcuno che ci vede per quello che siamo vogliamo istintivamente tenercelo stretto, conoscerlo e farci conoscere a nostra volta."
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Albert James Moriarty, John Watson, Louis James Moriarty, Sherlock Holmes, William James Moriarty
Note: AU, Soulmate!AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Tornare a pubblicare su EFP dopo tanti anni fa uno strano effetto, tipo tornare a casa quando si è studenti fuorisede.

Questa storia, nata dopo tanti mesi di attento plotting su un Gdoc che se potesse parlare mi riempirebbe di parolacce, nasce come regalo di Natale e di laurea per la mia cara amica Eli, che oltretutto pur non adorando leggere in inglese si è sempre ritagliata del tempo per dare una sbirciatina al work in progress e farmi sapere la sua spesso in modo esilarante. Se qualcuno è assiduo frequentatore di AO3 e bazzica il tag della Sherliam potrebbe essersi imbattuto nella versione inglese di questa storia, ma in tal caso non allarmatevi, sono sempre io, con il solito nome, che provo a fare la persona bilingue. Ormai scrivo in inglese da un anno e mezzo e la cosa divertente è che nel mio inglese c'è molto italiano (tipo i periodi astronomicamente lunghi che Cicerone potrebbe solo congratularsi) e nel mio italiano c'è molto inglese, tant'è che a volte mi ritrovo a non ricordare su due piedi il corrispettivo di una parola in una delle due lingue.

Prima di lasciarvi ad una lettura che spero sia più piacevole di questo mio sproloquio, un minimo di contestualizzazione di questa storia: si tratta di una modern AU, quindi ci troviamo in quel del 2022, e i protagonisti hanno la stessa età che hanno nel manga dopo il timeskip (27 anni per Sherlock e William, 29 per John, 26 per Louis, 30 per Albert e 34 per Mycroft), quindi se avete familiarità con il manga (e se non la avete prendetela, perché è un vero gioiello) potete immaginare anche abbastanza bene il loro aspetto. Il mondo in cui è ambientata la storia non è niente di troppo fantascientifico, semplicemente avere un'anima gemella è una cosa comune trovare un cucchiaio in una cucina e ogni persona presenta un soulmark diverso per amore dell'eterogeneità. Mentre tutti sono felici e allegri, ci sono dei poveri disgraziati che 'mancano' di qualcosa fino a che non incontrano la loro metà e vengono non troppo segretamente guardati con un pochino di pietà: a questa categoria appartengono William e Sherlock, che ovviamente affrontano la questione in maniera diversa alla luce dei loro caratteri e vissuti diversi.

 



Capitolo 1 - Dammi tu forza, o' cielo! 


“Viaggiare in giro per il mondo potrebbe esserti benefico, Sherly. La lontananza spesso ci ricorda il vero valore delle cose e questa terra ti sembrerà quanto mai bella al tuo ritorno.”

Le lussureggianti sfumature di verde degli alti alberi e delle apparentemente infinite praterie dell’Inghilterra del nord-est avrebbero dovuto essere un vero balsamo per gli occhi sotto il celeste pallido del cielo estivo… se solo non fossero state l’unica dannata cosa su cui aveva potuto posare lo sguardo per le ultime cinque ore.
Un sottile velo di nuvole intesseva una cappa che intrappolava il caldo asfissiante per farlo aderire alla sua pelle alla stregua di una sanguisuga particolarmente persistente.

L’Inghilterra davanti ai suoi occhi non era molto più bella di quella dei suoi ricordi ma, nell’agglomerato di edifici dalle forme più disparate che era Durham il tempo poteva anche essersi fermato del tutto. La succinta descrizione del posto che era spuntata nel momento in cui aveva digitato l’indirizzo fornitogli da John nel navigatore parlava di una cattedrale Normanna e di un castello, di architettura romanica e di un’università il cui prestigio era rimasto immutato sin dall’epoca vittoriana.

Attraversare la cittadina fu un affare che gli rubò poco tempo e che fece il suo sporco lavoro nell’affievolire il leggero formicolare sul retro del suo collo, lì dove il casco non era in grado di proteggerlo dal silenzioso giudizio delle strade poco affollate svegliate dal ruggito della sua moto.

La voce artificiale del navigatore lo avvertì di essere solo ad un chilometro di distanza dalla sua destinazione ma l’imponente tenuta che torreggiava sugli alberi sempreverdi dalla fine della strada rese chiaro come l’uso del GPS non fosse più qualcosa di necessario. Una facciata di un rosa antico divisa in tre piani e fin troppe finestre perché la sua pazienza fosse sufficiente a contarle e un gran giardino erano una vista proveniente direttamente dal 1870, al punto da poterlo portare a definirsi un Marty McFly in un tentativo fin troppo risuscito di viaggio nel tempo, se non fosse per il volto familiare che lo accolse con un leggero sorriso. 

"Sherlock, da quanto!" 

Dell’aria deliziosamente fresca lo avvolase nel togliersi il casco e un angolo delle sue labbra si sollevò di rimando. Dannata calura estiva. “Yo, Mary. Ne è passato di tempo.”

“John mi ha detto che sei stato in giro per il mondo, sarà così felice di rivederti.”

“Heh, rimanere nello stesso posto troppo a lungo non fa che renderlo una noia.” Le chiavi della moto tintinnarono nel roteare distrattamente attorno al suo indice. Oltre la figura minuta di Mary la villa in stile vittoriano si stagliava in maniera vagamente minacciosa. “Ma sì, non potevo mica perdermi il matrimonio del mio migliore amico.”

Il sorriso di cortesia sul volto di Mary sbocciò in uno più sentito, un delicato promemoria del fatto che, anche se ci andava di mezzo un ingombrante fenomeno paranormale, lei e John erano davvero una gran bella coppia. “A proposito di John, dov’è? Pensavo che sareste stati qui insieme.”

“Oh, a dire il vero ha ricevuto una telefonata proprio mentre il signor Jack annunciava il tuo arrivo.” Degli occhi azzurri osservarno la porta in legno con un malcelato velo di preoccupazione. “Sembrava una questione importante, perciò mi sono avviata per prima ma– Oh, John!"

John H. Watson, mantenutosi la copia sputata del se stesso di 26 anni nonostante i 3 anni trascorsi dalla loro laurea, occupò l’uscio in tutta la sua gloria. L’ombra di una smorfia sulla sua bocca si ammorbidì in un sorriso che portava con sé una moltitudine di ricordi delle loro avventure universitarie.

“Sherlock!”

“Ehilà, John,” la sua voce venne fuori gioviale, come se fossero stati separati giusto per la durata delle loro lezioni del mattino. “Vedo che ti sei finalmente rasato quei baffi ridicoli che avevi durante l’ultima videochiamata.”

John, con la sua solita aria vagamente imbarazzata anche a pochi giorni dall’essere un uomo sposato, si coprì  la bocca strappando una risatina a Mary e rubando un sorriso riluttante alla sue labbra “Già,” disse in tono strozzato. “Ma tu di sicuro compensi benissimo quello che ho perso. I tuoi capelli sono diventati ancora più lunghi da allora.”

Lo sguardo di Sherlock cadde sulla coda di cavallo sulla sua spalla. “Tagliarli era una rottura e costava anche, perciò ho smesso di cercare di mantenerli più o meno corti.” E il suo tentativo di taglio fai-da-te potrebbe essergli costato un lavoretto o due, ma si trattava di un dettaglio di cui il suo amico non sarebbe dovuto venire a conoscenza. Mi sembra un po’ presto per farlo andare in modalità mom friend. Con una scrollata di spalle il suo braccio finì prontamente attorno al collo di John. “Bene, vorresti dire al tuo buon vecchio amico cosa ti fa fare la stessa faccia di quella volta in cui Miss Hudson ci ha davvero dovuto alzare l’affitto?”

Gli occhi di John si spalancarno per fare la spola tra lui e Mary e tornare a fissare gli intricati disegni sulle mattonelle che tracciavano il sentiero d’ingresso alla villa. “Dimenticavo come voi due abbiate in comune l’inquietante abilità di leggermi nel pensiero.” Un sospiro. “Il violinista che avrebbe dovuto suonare durante la cerimonia e il ricevimento nuziale ha chiamato per tirarsi indietro. Immagino che potremmo provare a cercare un rimpiazzo a Durham o Newcastle, ma…”

Mary scosse il capo. “Ma non ci sarebbe abbastanza tempo per provare la scaletta con William, vero?”

Noi musicisti siamo proprio una razza volubile, eh? “Beh, vorrà dire che questo ‘William’ se la potrà cavare da solo, se non riuscite a trovare un altro violinista per–” 

Delle iridi castane si alzarono verso di lui con una luce frenetica che fece correre un brivido di terrore lungo la sua schiena nonostante l’inostenibile caldo estivo. Una voce fasidiosamente simile a quella di Miss Hudson lo sbeffeggiò nella sua testa. Oh Sherlock, se solo fossi altrettanto talentuoso nel pagare l’affitto in tempo come lo sei per trovarti sempre con il naso in mezzo ai guai…

Deglutì a fatica. “Non ci pensare nemmeno, John, mi hai sentito?”

“Ti prego Sherlock, sei la nostra unica speranza.”

“Non ci penso nemmeno a suonare un’intero set di quella roba noiosa che si usa a questo genere di eventi.”

Mani familiari si ancorarono alle sue spalle per scuoterle e la speranza negli occhi di John si trasformò nella supplica di un cucciolo di labrador affammato. “Puoi anche non suonare al ricevimento ma ti prego…” La stretta sulle sue spalle si acuì. “Suona almeno per la marcia di Mary verso l’altare.”

Solo i musicisti disperati senza arte né parte, accettavano di suonare ad eventi noiosi e mondani come compleanni e matrimoni. Nonostante questo eventi simili rivestivano una certa qual importanza per la maggior parte delle persone, ragion per cui sarebbe stato molto meglio se John e Mary avessero fatto lo sforzo di cercare qualcuno di più appropriato di lui.

Ma che diamine, cercate almeno qualcuno che la musica possa sentirla.

“Sherlock.” La disperazione evaporò dalla voce di John nell suono nostalgico del suo nome. Sul volto che aveva visto ogni giorno per anni, la sincerità che rendeva John Watson la persona che era brillava in tutta la sua semplicità. “Io e Mary non abbiamo chiesto il tuo aiuto sin dal principio perché non volevamo farti pressioni dopo un viaggio così lunog, ma nulla potrebbe rendermi più felice di avere il mio migliore amico come musicista per le mie nozze.”

Strinse gli occhi e la sua mano cedette all’impellente bisogno di peggiorare il disastro che il casco aveva fatto dei suoi capelli. Un suono frustrato abbandonò le sue labbra. “Ugh, okay, d’accordo, ho capito. Lo farò ma piantala di spiattellarmi roba smielata in faccia, va bene?”

“Grazie mille, Sherlock,” Mary disse con un sorriso. “Sono sicura che duettare con William sarà una bella esperienza, è una persona molto piacevole.”

John offrì un vigoroso cenno di assenso. “Esatto, William è un pianista brillante. È un tipo un po’ riservato ma sono sicuro riuscirete ad andare d’accordo.”

Un duetto piano-violino, eh? Un classico cariadenti per questo genere di occasioni. Anche se c’è da aspettarselo da qualcuno che non ha mai avuto problemi a dire roba sdolcinata in faccia alla gente.

Un sospiro scosse il suo petto. “Sì, sì, ho capito. L’importante è che non faccia troppo schifo.”

Sarà una lunga settimana.

 

§

“Porca miseria Mary, non mi avevi detto di essere straricca.”

“Sherlock!”

“‘Sherlock’ un corno, John. Metà della roba di ‘sto posto consiste in antiquariato che probabilmente vale più di quanto guadagneremo in tutta la nostra vita.”

Mary si lasciò sfuggire una risatina. “Questa villa in realtà non appartiene a me, Sherlock,” disse con l’eco della sua risata nella voce. “Un amico di lunga data della mia famiglia ci ha permesso di usare questo posto come regalo di nozze.”

John annuì. “Il signor Albert è stato così gentile da dirci che possiamo usare la tenuta per tutto il tempo che vogliamo, ma ovviamente non abbiamo voluto approfittare della sua generosità e abbiamo optato giusto per la settimana necessaria a sistemare le ultime cose per il ricevimento.”

Il suo sguardo accarezzò le ampie pareti dalla carta da parati finemente decorata, le scale in legno laccato e l’imponente orologio a pendolo al centro dell’androne. Sopra di esso, uno stemma raffigurante due leoni rampanti recitava le parole “Je crois en moi”. Davanti ad una vista del genere, la sensazione di essere un anacronismo in quella che altrimenti sarebbe stata la perfetta immagine di un’altra epoca fece formicolare il retro del suo collo.

“È perspicace, giovanotto.” Una voce appena rauca risuonò nella stanza. Un uomo di alta statura dai lunghi capelli argentei con indosso una divisa nera da maggiordomo si avvicinò loro con un sorriso distinto. “Questa tenuta risale circa al 1866, quando gli antenati del Padron Albert l’hanno acquisita per farne una residenza estiva.”

Gli occhi di John si illuminarono. “Sherlock, lui è il signor Jack Renfield. Svolge il ruolo di custode di questa villa e aiuterà me e Mary con il mettere in piedi il ricevimento.”


“Lieto di fare la sua conoscenza, signor Holmes.” L’uomo profuse in un elegante inchino, perfettamente a suo agio nel ruolo. “Mi permettiate di scortarvi tutti nel salotto per un rinfresco pomeridiano.”

L’eco dei suoi scoordinati dei loro passi sul marmo immacolato sfumò nell’incontrare la moquette della stanza dove Jack li guidò. Se l’androne emetteva una certa aria di austerità, lo spazio ampiamente illuminato del salotto era un ritratto di opulenza con i suoi tappeti riccamente ricamati il camino incastonato tra le mura ricoperte da librerie. Un peso si posò sul suo petto, urlando di andare da qualche altra parte, in un posto dove l’atmosfera fosse men opprimente della calura che imperversava fuori dalle finestre.

“Ah, Sherlock.” La voce di John, percettivo ma discreto come sempre, interruppe il correre dei suoi pensieri. “Questi sono William e suo fratello minore Louis.”

Seduti su due divani decorati da un ricco motivo floreale, due uomini dai capelli biondi sorseggiavano del te in delle tazzine di porcellana dall’aria costosa. Quello dall’aspetto più giovan dei sue gli offrì un saluto che era poco più di un mormorio con un cenno cortese del capo e riportò la propria attenzione sulla bevanda.

Con un piacevole tintinnio l’altro uomo dei due posò la tazzina sul rispettivo piattino e si alzò per muovere alcuni passi nella sua direzione.

“Lei dev’essere il signor Holmes.” L’uomo parlò con un sorriso cortese che si rifletté nel tono di voce pacato ma in qualche modo reticente, trasudando quella stessa aria di affabilità di cui John e Mary avevano fatto cenno. “È un piacere conoscerla. Il mio nome è William James Moriarty.”

La mano che gli fu offerta si addiceva all’immagine spiccatamente raffinata del suo proprietario. Dita lunghe e affusolate strinsero le sue ricoperte da calli con forza discreta ma ben lontana dallo sfociare nella maleducazione.

“Vedi Sherlock,  William è–”

“Ci arrivo da solo, John.” I suoi occhi si posarono sull’uomo di fronte a lui per ricambiare lo sguardo vagamente diverito di un paio di occhi cremisi. Un sorriso incurvò un angolo delle sue labbra. “Tu devi essere il pianista con cui dovrò suonare nella cattedrale.”

William emise un suono di assenso che tinse di una nota di curiosità il suo sorriso. “Non ero al corrente del fatto che il violinista assunto dal Dottor Watson fosse quel suo amico di cui parla sempre con così grande affetto.”

“Nah, quel tizio gli ha dato buca. Sono un sostituto dell’ultimo minuto e comunque suonerò soltanto per l’ingresso di Mary in chiesa.”

John sollevò una mano per passasela dietro la testa ma si ricompose con un cenno entusiasta. “Anche se non sembra, Sherlock è un musicista incredibile anche se la musica non può senti–” Il suo sguardo si fece colpevole. “Scusami, non volevo–"

Quante storie inutili.

La maggior parte della gente era naturalmente ipocrita. Nel momento in cui veniva a sapere della sua condizione, iniziava a provare a nascondere - con pessimi risultati -  il mix di pietà e disprezzo della loro reazione. Eppure, quando John ne fu messo al corrente, gli aveva sorriso come se avesse appena ricevuto una notizia fantastica e gli aveva detto che era incredibile. Da quel momento era stato il suo fan numero uno.

“Comunque sì, le cose stanno come ha detto John.” Un sorrisetto incurvò le sue labbra. “Ma una cosa del genere significa solo che sono ancora più figo di quello che credi. Perciò puoi stare tranquillo, Signor Pianista.”

Il ragazzo biondo rimasto seduto - Lucas? Leon? Lucian? - gli scoccò un’occhiataccia e mormorò nella tazza una sfilza di parole a malapena compresibili riguardo a “stronzi presuntuosi” che “cercano di rovinare la reputazione di mio fratello”. Il mondo della musica era pieno di simili personalità vincenti e l’incontrarne qualcuna gli provocava un senso di ilarità quasi per riflesso condizionato. Eppure la suddetta non sembrava essere caratteristica comune dei Moriarty, perché l’espressione sul volto di William era impeccabilmente cortese.

“Si tratta di una notizia estremamente rincuorante, Signor Holmes. Allora mi auguro che non ci siano problemi se iniziamo a lavorare già da domani dopo colazione.”

“Eh? Per me non è ‘sto gran problema ma…”

Sei giorni non sono un po’ troppi per provare un singolo pezzo?

Il sorriso sul volto di William divenne una lama affilata. “Non vedo l’ora di ascoltarla dare il suo meglio, Signor Violinista.”
 

§


Il problema del mattino era che questo fosse il peggior momento della giornata. Sherlock compiva lo sforzo immane di svegliarsi e il sole era lì, a rendere tutto troppo caldo e appiccicoso nella maniera meno attraente possibile, mentre il suo cervello canticchiava minacciosamente il suo buongiorno con una scarica di ormoni dello stress nel suo sangue. La scienza continuava a ripetergli come fossero necessari a svegliare e rendere lucido il corpo. La scienza non faceva discriminazioni ma dopo aver passato gran parte della notte in bianco nella stanza stanza pazzesca che gli era stata assegnata, poteva andarsene assolutamente a quel paese.

Non gli interessava assolutamente ricordare che bere caffé di primo mattino fosse qualcosa di ridondante, perché se le sue gambe lo stavano trascinando giù per una scalinata che sembrava spuntare dal set di qualche film ad ambientazione storica era per il puro scopo di garantirgli la prima dose di caffeina e nicotina del giorno.

“Ah, buongiorno, Signor Holmes.” William, perfettamente vestito in un paio di pantaloni color militare e polo bianca, gli offrì un abbozzo di sorriso dalla base delle scale.

“Ehilà, Liam.” Il nomignolo venne fuori in modo spontaneo, portandolo a decretare che, a conti fatti, suonava piuttosto bene. Dopotutto ,se annegando un uomo avesse chiamato William per il suo nome intero in cerca di aiuto, sarebbe morto prima di riuscire a finire la frase. “Dammi il tempo di prendere un caffé e fare una fumata e ci mettiamo al lavoro.”

William sbatté le palpebre. “Non le consiglierei di prendere un caffé a mattinata così inoltrata. Se riesce ad essere un po’ paziente mio fratello e Jack dovrebbero essersi già messi all’opera per il pranzo.”

“Perché n- Aspetta, ‘il pranzo’?”

“Beh, dopotutto è quasi mezzogiorno.” La curva del sorriso di William si fece più tirata. “Ma guardando il lato positivo, mi sono preso la libertà di proporre un pezzo per il nostro duetto agli sposi e questi hanno dato la loro approvazione.”

“Approvazione? Ma la scaletta non erà già fatta e finita?”

“Il Dottor Watson e Mary sono stati così gentili da fidarsi sia del mio che del tuo giudizio, ma devo ammettere che la mia impazienza è dovuta ad un’idea che ha particolarmente colto il mio interesse.”

Delle mani affusolatre gli offrirono diversi fogli scritti ordinatamente a mano con un’invadenza così educata da rendergli impossibile un rifiuto. Il volto di William era il ritratto dell’amichevolezza.

Merda, è incazzato nero.

"Li–”

“Bene, io avrei un treno per Londra da prendere, ma sarò di ritorno per domani mattina. Mi auguro di poter avere per allora il piacere di ascoltare il suo violino.”

William gli scoccò un altro dei suoi sorrisi inquietantemente gentili e, come se non ci fosse stato nessuno sin dal principio, si affrettò a salire le scale.

Le linee scure e i punti che formavano l’immagine fin troppo familiare di uno sparito ricambiavano il suo sguardo nella maniera accusatoria che sapeva di meritare ma che il pianista gli aveva risparimato. In cima alla prima pagina, scritte in una grafia così elegante da ricordargli uno di quei video ASMR che John era solito guardare ai tempi dell’università, le parole “Ave Maria” gli strapparono un gran sorriso.

“Quell’arguto bastardo.”

 

§
 

“Sherlock, è tutto– Che diavolo è successo qui?!”

La punta smussata della matita tra le sue dita tracciò una linea di grafite scura con aria di finalità e cadde sul foglio con un soddisfacente tap. Sulla soglia della sua stanza, John lo guardava pallido e con occhi sgranati.

Annuì. “Mh? Che c’è?”

John boccheggiò e scosse il capo per entrare in stanza. “Sherlock, per caso un uragano è passato da queste parti?”

Sherlock sbatté le palpebre, assorbendo con lo sguardo lo spettacolo dei numerosi fogli accartocciati sparsi sul tappeto, degli abiti gettati in malo modo sulla sedia davanti alla scrivania e alla custodia del suo violino lasciata aperta sul letto. Cavolo. Sorrise. “Sei sempre così drammatico. Mi sono giusto concentrato un po’ troppo sul duetto, ma avevo già in programma di dare una pulita.”

John raggiunse a grandi passi il cestino situato di fianco alla scrivania e lo afferrò con una mano sola. “Sono venuto a controllare perché il Signor Jack ha detto che non hai risposto alla chiamata per la cena.” Un sospiro. “Non sei cambiato di una virgola in questi anni, ti dimentichi dell’esistenza del resto del mondo quando sei concentrato sulla musica.”

Oltre la finestra gli alberi erano sagome nere contrapposte al blu intenso del cielo che si scuriva. Il telefono nella sua tasca vibrò solleticandogli la pelle. “Liam mi ha dato lo sparito del duetto, stamattina. Ma si trattava soltanto del pezzo originale per pianoforte, intonso.”

"Oh." Il frusciò della carta si arrestò e il suono del profondo respiro che John prese riempì il neonato silenzio. “Mi dispiace, Sherlock. Se il tempo non basta non ci sono problemi se lasci fare tutto a William. Alla fine dei conti ti ho praticamente trascinato a forza in questa situazione…”

Non meritava qualcuno di onesto come John, eppure non c’era stata nemmeno una volta in cui John si fosse rifiutato di fare un passo indietro nel momento in cui era convinto di aver commesso un errore.

Una risata sfrontata risalì dalle profondità del suo petto.

“Ah John, sei davvero troppo buono. Ma sono un po’ offeso, sai.” Tamburellò con le dita sui fogli poggiati sulle sue gambe sfoggiando un sorrisetto soddisfatto. “Ho già fatto un signor lavoro. Quell’arguto bastardo non riuscirà a credere alle sue orecchie.”

“... ‘Arguto bastardo’? Intendi William?”

Il sorriso sul suo volto si allargò. “Puoi scommetterci. Liam non è decisamente un musicista qualunque, avevi ragione.”

John aggrottò le sopracciglia in quella maniera che era solita far spuntare una buffa fossetta nel mezzo della sua fronte. “Un momento, lo hai visto suonare?”

“Nah. Voglio dire, certo, è un modo per valutare l’abilità di un musicista, ma normalmente le scelte musicali per eventi particolari possono dirti un sacco di cose su chi ti trovi davanti.”

“Questa cosa non ha molto senso per me, Sherlock…”

Un sospirò gli scosse il petto. Spiegare le complessità di una determinata arte a coloro che non avevano altro che un’infarinatura superficiale della stessa richiedeva una pazienza che normalmente non aveva. Le persone erano incredibilmente dure di comprendomio, ma John era un tipo sveglio e la cosa lo riguardava da vicino, perciò valeva la pena fare un tentativo.

Roteò la matita tra le dita. “Sai, ci sono due composizioni particolarmente famose che hanno ‘Ave Maria’ come titolo. Quella che Liam ha scelto per le tue nozze è un pezzo di Schubert ed è fastidiosamente popolare per essere un pezzo di musica classica.”

“Questo è vero,” John annuì. “Io e Mary l’abbiamo riconosciuta subito quando William ce l’ha fattta ascoltare. Adesso che ci penso ci sono stati diversi artisti famosi che ci hanno cantato su."

Bingo.

Un sorriso d’intesa crebbe sulle sue labbra. “Adesso rifletti, John. Non c’è qualcosa di strano in questa scelta?”

La sua mano libera tastò il pavimento alla ricerca delle sue sigarette. Avere un aspirante medico come comapgno di stanza e trascorrere anni a studiare il mix di sostanze che componevano il piccolo assuefacente miracolo tra le sue labbra aveva cementato in lui l’idea che le cose belle della vita avevano sempre un pezzo d pagare. Era nato sordo alla music ed era finito con l’innamorarsene soltanto guardando le espressioni sul volto di coloro che la suonavano o la ascoltavano. Era una sorta di profezia, e poiché le profezie erano per antonomasia legate ad un finale a cui non era possibile sfuggire, aveva deciso di dedicare la sua anima a ciò che non poteva avere per capire cosa lo rendesse qualcosa di così intrinsecamente legato alla vita.

Il lamento della finestra che si apriva lo riportò al presente.

Le rughe pensierose sulla fronte di John si assottigliarono. “Immagino che sia una scelta poco comune utilizzare un pezzo che è principalmente noto nella sua versione cantata nel momento in cui non abbiamo assunto nessun cantante.”

Una boccata di fumo amaro gli accarezzò la lingua. “Heh, esatto. Detto questo, Liam probabilmente vuole che il violino si occupi della parte vocale per vedere come me la cavo ma ancor più di questo ha scelto questa canzone in particolare per fare un omaggio alla sposa.”

“Capisco, vuole ritrarre Mary come qualcuno pieno di grazia e misericordia come la Vergine Maria,” disse John con tenerezza nel suo sguardo. “È un bel pensiero.”

Sherlock rise fragorosamente e puntò la sigaretta con fare scherzosamente accusatorio. “Beh, di sicuro ha capito che razza di simp sei, se vuoi sapere quello che penso.”

Il John di 26 anni sarebbe diventato un ammasso di chiazze di un rosa vivace, con la punta delle orecchie di una notevole sfumatura di rosso, solo per provare a negare con una certa qual veehemenza la sua appartenenza a quella determinata categoria di persone. Per quanto ingiusto, vederlo andare nel panico davanti alle sue affettuose prese in giro era uno dei suoi hobby preferiti durante la loro convivenza, specialmente quando notizie terrificanti riguardanti l’ascesa di suo fratello arrivavano alle sue orecchie.

“Ehi, è soltanto naturale che io mi senta così nei confronti di Mary.”

Eppure l’uomo davanti a lui, prossimo ai 30 anni, faceva sfoggio di un semplice abbozzo di sorriso, un leggero incurvarsi delle labbra che accompagnava degli occhi ugualmente sorridenti nel menzionare un legame sovrannaturale che sarebbe diventato qualcosa di reale e tangibile nel giro di pochi giorni. Mentre lui era stato via alla ricerca della sua risposta, John aveva trovato un lavoro stabile, messo dei soldi da parte e compiuto tutti i passi necessari a sistemarsi.

Ah, ecco perché Liam ha scelto questo pezzo.

Scosse il capo con un gran sorriso e si alzò. Non che fosse qualcosa che poteva capire davvero.  “Sì, sì, ho capito.” Si stiracchiò con uno scoppiettio di ossa. “Vado a prendere qualcosina in cucina.”

“Di sicuro non riesco a capire come tu faccia ad andare avanti a caffeina e sigarette per la stragrande maggioranza del tempo.”

“E chi ha nominato il caffè, stavolta.” La maniglia scricchiolò piano sotto la sua mano. “Non posso fare tutta tirata se voglio fare bella impressione sul nostro pianista geniale, giusto?”

“Sembra proprio che tu non veda l’ora di suonare con William,” disse John con una malcelata risata nella voce.

Si voltò con un’alzata di spalle. “Mi sembra ovvio. Quel tipo lì è un criminale meravigliosamente scaltro quando si tratta di musica.”


§


‘Il mattino ha l’oro in bocca.’

Quando si trattava dei condiscendenti consigli di vita di quella merdina di Mycroft, il suo inconscio – che per ragioni su cui preferiva non interrogarsi aveva assunto la forma di una versione particolarmente insolente di Miss Hudson – finiva spesso con compiere una notevole opera di rimozione. Non era tanto una questione di mal sopportazione – cosa che ben riassumeva il loro rapporto – quanto piuttosto la mancanza di utlità nei commenti di qualcuno che aveva una visione della vita incompatibile con la sua.

Accolse la luce accecante del primo mattino con uno sbadiglio e un sorso di caffé particolarmente amaro offertogli da Jack.  Solitamente lo prendeva senza latte e con un solo cubetto di zucchero ma il vecchio uomo aveva inistito particolarmente sul fatto che quella particolare infusione desse il proprio meglio amara. Il profumo intenso e vagamente esotico, assieme alla ricchezza del sapore, resero la solita sigaretta mattutina una necessità superflua.

William James Moriarty, facendo sfoggio di un paio di pantaloni marrroni perfettamenti stirati e di una camicia di lino color ocra, entrò con passi misurati nel giardino e si voltò per parlare ad un uomo con indosso una familiare uniforme azzurra. Dagli alberi che circondavano la magione, le cicale piangevano assieme a lui per la levataccia.

Altru due uomini spuntarono dall’angolo che si affacciava verso l’entrata, trascinando con loro una grossa piattaforma su ruote sormontata da un pianoforte a coda che aveva l’aria di essere lo strumento più costoso sui cui avesse posato gli occhi in tutta la sua vita. Mandò giù un altro sorso di caffé.

Amaro è meglio.

“Dove possiamo depositarlo, Signor Moriarty?” Chiese uno dei due uomini con una strana deferenza nella voce.

William si aprì nel più educato dei suoi sorrisi. “Nella serra sul retro, grazie. Il Signor Renfield si è preso cura di lasciare la porta aperta e ha preparato un piccolo rinfresco per voi.”

Portò la tazza alle labbra e assaggiò soltanto aria. “Ehi, nonnetto.”

“Qualcosa non va, Signor Holmes?”

“Che Liam fosse ricco sfondato l’avevo capito, ma non è davvero troppo far trasferire un intero pianoforte a coda nella casa di qualcun altro?”

Un risata rauca risuonò accanto a lui. “Ma come, il padroncino Will e il padroncino Louis sono i fratelli minori di Albert James Moriarty, il solo ed unico proprietario di questa villa.”

Il braccio gli scivolò dallo stipite della porta.



Il titolo di questo capitolo, così come quello della storia, è tratto da "La Traviata", un'opera lirica meravigliosa composta da Giuseppe Verdi e la cui musica è stata, assieme ai Muse, gli Oasis e altro British rock, la colonna sonora della stesura di questa storia. Oltre a questo capitolo ce ne sono altri 4 più un epilogo. Dovrei postare ad intervalli non troppo lunghi, ma capitemi, tradurre a mano è un po' una rottura per testi di una certa dimensione (anche se è un buon esercizio linguistico, suppongo)
   
 
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