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Autore: FluffyHobbit    26/05/2022    0 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore]Sequel di "Tu non innamorarti di un uomo che non sono io"
Dal testo:
"Non vedo l'ora che arrivi stasera, 'o sai?"
[...]
"Ma se siamo svegli da tipo cinque minuti…"
[...]
"Sì, ma oggi è una giornata speciale e stasera lo sarà ancora di più."
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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"Disturbo?"

Sussurrò il dottor Bonvegna entrando nella stanza. Simone si voltò verso di lui e gli fece segno, portandosi l'indice sulle labbra, di fare piano: Manuel si era addormentato da poco e non voleva che si svegliasse.

"Scusa, scusa, ti rubo giusto cinque minuti."

Disse a voce ancora più bassa il medico, avvicinandosi al letto. Gli spuntò un sorriso intenerito sulle labbra quando vide Manuel così stretto a Simone, gli diede l'impressione che volesse proteggerlo con il suo corpo e anzi, avendo conosciuto un po' il soggetto, era sicuro che non fosse soltanto una sua impressione. Spostò poi lo sguardo sul proprio paziente, rivolgendogli lo stesso sorriso.

"Va meglio, adesso?"

Simone annuì lentamente, arricciando un angolo delle labbra in una smorfietta d'imbarazzo. Non si era comportato bene con quei due infermieri, non ne andava fiero.
"Sì, adesso sì. Mi dispiace per prima, sono mortificato…puoi portare le mie scuse a quei due ragazzi? Ho esagerato."

Riccardo scosse appena il capo, comprensivo.

"Non ti preoccupare, non devi sentirti in colpa. Se ti fa stare meglio, chiederò scusa da parte tua a Pietro e Francesco, ma sono sicuro che anche loro abbiano capito la situazione."

Fece una breve pausa. Simone era un ragazzo gentile, buono, ma anche comprensibilmente spaventato, chiunque avrebbe capito che la sua reazione era stata dettata dalla paura e non dalla cattiveria.

 "È successo qualcosa in questi giorni, vero? Qualcosa che ti ha portato a rispondere così. Non devi raccontarmelo, se non vuoi, è solo per dirti che non hai niente di cui scusarti, va bene?"

Simone annuì di nuovo, lo sguardo fisso in quello di Riccardo. I suoi occhi verdi erano caldi, rassicuranti, senza alcun accenno di impazienza e di questo gli fu molto grato.

"Va bene, grazie. Grazie davvero."

Sospirò, voltandosi verso Manuel per qualche istante. Nella sua espressione distesa e serena trovò il coraggio necessario a fare un piccolo passo avanti. Si aggrappò un po' di più al suo braccio, che per lui in quel momento era un sostegno.

"È successa una cosa, sì, una cosa che mi sento ancora addosso, ma voglio superarla. Sarebbe possibile…insomma…lavarmi?"

Sentì le guance avvampare per l'imbarazzo, e forse non era il migliore degli inizi, ma non poteva e non voleva restare ancora così, sporco sia letteralmente che metaforicamente.

"Sono molto contento che tu me lo chieda, anche perché ero venuto a farti una proposta: ti sentiresti meglio se fossimo io e Manuel, a lavarti? Cioè, ti laverebbe Manuel, io gli darei soltanto qualche indicazione, nient'altro."

Spiegò Riccardo con un sorriso, indicando poi il ragazzo addormentato con un cenno del capo.

"L'idea è sua, comunque, me l'ha chiesto a pranzo."

Simone abbozzò una risatina che portava con sé ancora uno strascico di imbarazzo, ma soprattutto tantissima gratitudine. Non fece fatica a credere che l'idea fosse di Manuel, di quel genio del suo ragazzo, che continuava a prendersi cura di lui come un angelo custode.

"Per me sarebbe perfetto, però adesso non voglio svegliarlo e…e devo anche dirgli delle cose, prima…"

Riccardo interruppe quel discorso con un cenno della mano, in modo da evitare che Simone chiedesse scusa per l'ennesima volta senza motivo.

"Domani mattina va bene?"

Simone sospirò, rincuorato.

"È perfetto, grazie."

"Allora io adesso vado a casa, qui è tutto a posto…"

Replicò Riccardo, controllando i parametri di Simone sui macchinari.

"Ti lascio nelle mani dei miei colleghi e di Manuel, che mi sembra piuttosto determinato a non lasciarti affatto."

 
Lorenzo se ne stava disteso in quel letto da cui gli sembrava difficile rialzarsi ogni giorno di più, ma quella permanenza forzata era resa più dolce, più sopportabile, dal corpo caldo di Riccardo accanto al proprio. Si erano addormentati insieme, la notte precedente, abbracciati come adesso che si erano svegliati.

Beh, lui almeno era sveglio, Riccardo invece stava ancora sonnecchiando e Lorenzo avrebbe dato di tutto per farlo restare così, in quel mondo fatto di sogni in cui non c'era dolore, non c'era paura, non c'erano le lacrime che Riccardo si sforzava di nascondergli e che Lorenzo fingeva di non vedere.

Sapeva, però, che a breve quegli occhi verdi sarebbero tornati ad illuminare le sue buie giornate, puntuali come il Sole che sorge: era come se Riccardo sapesse che lui era sveglio e non volesse fargli trascorrere neanche pochi minuti da solo. La solitudine, era ciò che Lorenzo temeva di più.

Perciò se ne stava lì, in attesa che Riccardo si svegliasse, ad accarezzargli distrattamente una mano facendo scorrere con delicatezza i polpastrelli su quelle piccole cicatrici causate dal freddo -perché quel testardo si rifiutava categoricamente di indossare i guanti- senza seguire uno schema preciso. Quella mano, come ogni parte del corpo dell'altro, Lorenzo avrebbe potuto riconoscerla al buio o tra altre mille, senza esitare e senza sbagliare: ne conosceva la leggera ruvidezza al tatto, il calore che amava sentire sul proprio corpo e il tocco delicato, che neanche anni e anni di Medicina sono in grado di insegnare e che in Riccardo era semplicemente naturale.

C'era però una novità, in quel piccolo universo che non aveva più segreti per lui, ed era la fascetta metallica all'anulare sinistro, su cui Lorenzo soffermò le dita, accarezzandone la superficie fredda e perfettamente levigata. La fede era lì da appena un giorno e Lorenzo temeva di non aver abbastanza tempo davanti a sé per farci l'abitudine. Prima che potesse soffermarsi troppo su quel pensiero, Riccardo aprì gli occhi.

"Siamo sposati da nemmeno ventiquattr'ore e già ci stai ripensando?"

Mormorò con voce impastata, ma la complessità della frase rivelava che era già sveglio da un po'. Lorenzo rise e Riccardo, in quella risata, trovò la forza di affrontare un'altra giornata.

"No, ma che dici? Stavo controllando che non si sfilasse."

Replicò divertito, con la voce attutita dall'ormai onnipresente mascherina per l'ossigeno.

Riccardo si sporse a dargli un bacio sulla tempia, poi si sollevò per dargliene un altro in fronte e tornò a stringersi accanto a lui, cominciando ad accarezzargli il petto che si sollevava e si abbassava lentamente: ognuno di quei piccoli movimenti, per lui, era una perla preziosa.

"Non ti preoccupare, ho controllato le misure qualcosa tipo venti volte. Non si sfila, è più salda di un mio abbraccio."

"Ah, non credo esista niente di più saldo di un tuo abbraccio, koala che non sei altro."

Mormorò Lorenzo con tono di scherno, ma in realtà non era mai stanco di quegli abbracci. Riccardo sorrise affettuoso, con uno sguardo che però rivelava anche un certo orgoglio.

"Questo perché ti abbraccio ogni volta con l'intenzione di non lasciarti andare più, caro il mio micetto."

 
Manuel dormiva profondamente e Simone poteva sentirne il leggero russare. Capitava spesso che Manuel russasse, soprattutto quando aveva molto sonno -ulteriore conferma del fatto che non si fosse riposato quando era andato a casa quella mattina-, ed ogni volta Manuel non faceva altro che scusarsi per quel disturbo. Simone aveva perso il conto delle volte in cui gli aveva risposto che per lui quello non era un rumore, ma un suono. Non lo diceva tanto per dire, per lui quello era il suono della quotidianità, la stessa quotidianità da cui Sbarra lo aveva violentemente strappato, gettandolo in un mondo che di notte piombava nel più totale silenzio.

A Simone il silenzio di notte non era mai piaciuto, fin da quando era bambino: lo faceva sentire solo, gli ricordava di essere solo, ed era una sensazione che odiava. Quel respiro così profondo, quindi, gli diceva che insieme a lui c'era qualcuno, lo stesso qualcuno che lo teneva stretto tra le braccia senza alcuna intenzione di lasciarlo andare -come aveva sottolineato Riccardo-, ed era una sensazione che amava.

Manuel dormiva profondamente e Simone, stretto tra le sue braccia, non poteva fare a meno di accarezzarlo. Faceva scivolare su e giù due dita sulla sua guancia, lente e leggere per non svegliarlo, sentendo di volta in volta il contrasto tra la sua barbetta un po' ispida che gli faceva quasi il solletico e la sua pelle morbida poco sopra, intorno allo zigomo.

Poi, senza interrompere il contatto con il suo viso, spostò la mano dietro la sua testa, prendendo a tracciare cerchi tra i capelli dell'altro, di nuovo in disordine, pensando a quanto facesse ancora fatica a credere che la sua metà mancante non fosse più irraggiungibile come aveva pensato per tanto tempo e che anzi, adesso era così vicino da poterla toccare, accarezzare e baciare, cose che aveva osato vivere solamente nei propri sogni, invidioso di chi invece -Chicca, Alice- poteva viverle per davvero.
Manuel dormiva profondamente e Simone lo guardava. Da quando quel ragazzo ripetente aveva messo piede in 3°B, i suoi occhi avevano smesso di guardare tutto il resto. Perfino su Laura, che all'epoca era la sua ragazza, i suoi occhi non si posavano tanto spesso quanto sul nuovo arrivato e in ogni caso erano sguardi pallidi, privi di quell'intensità che riservavano solo e soltanto a lui, lasciando Simone confuso e smarrito.

Nel tentativo di darsi una spiegazione, aveva attribuito quel fuoco all'odio, alla rabbia, e aveva cercato continuamente in Manuel qualcosa che gli desse fastidio per giustificare il suo continuo guardarlo, dal modo in cui si vestiva all'espressione strafottente con cui affrontava l'ennesima interrogazione andata male. Ciò che lo infastidiva più di tutto, però, erano i baci che si scambiava senza pudore con Chicca, la sua ragazza, senza preoccuparsi che l'intera classe fosse lì ad osservarli. Anche Simone non si faceva problemi a baciare Laura di fronte ai loro compagni, di tanto in tanto, ma se erano Manuel e Chicca a baciarsi, sentiva il sangue pompargli con più forza nelle vene e arrivargli dritto al cervello, annebbiandogli la razionalità.

Solo dopo diverso tempo aveva capito che l'intensità nel suo sguardo era la manifestazione di un desiderio, un desiderio destinato a rimanere insoddisfatto. Da quel momento in poi, i baci che Manuel dava a Chicca, e quelli che Simone immaginava desse ad Alice, la sua nuova conquista, non gli davano più soltanto fastidio, gli incidevano solchi profondi e invisibili sulla pelle, senza che nessuno potesse accorgersi delle sue ferite. Eppure Simone non riusciva a smettere di guardare Manuel e quando Manuel ricambiava il suo sguardo, allora valeva la pena sopportare quel dolore.

Da un po' di tempo, però, il fuoco in quegli occhioni scuri era cambiato, era un fuoco le cui fiamme scaldavano senza bruciare, anche gettandocisi dentro. Da un po' di tempo, Simone non guardava più Manuel con odio o con desiderio, ma con amore, lo stesso amore da cui veniva investito ogni volta che Manuel posava i suoi occhi su di lui. Anche adesso, che Manuel aveva sollevato le palpebre per un istante prima di riabbassarle, Simone lo aveva sentito.

"Simo…"

Sussurrò Manuel con voce impastata, più addormentato che sveglio. Il suo primo pensiero era sempre Simone, anche quando il suo cervello doveva ancora attivarsi per bene.

Simone gli sorrise, anche se Manuel teneva ancora gli occhi chiusi e non poteva vederlo, e gli fece un grattino un po' meno leggero degli altri tra i capelli.

"Sono qui, sono qui. Puoi dormire ancora un po', se vuoi. Puoi dormire anche fino a domani mattina, se ne hai bisogno. Io di certo non vado da nessuna parte."

Disse divertito, a voce bassissima per non far esplodere la bolla di sonno di cui Manuel sembrava ancora necessitare.

Manuel mugolò in risposta, sonnacchioso, e posò dei bacetti pigri sulla sua spalla, sempre nello stesso punto perché non aveva intenzione di muoversi.

"Tu non dormi?"

Chiese tra un bacio e l'altro, in un borbottio comprensibile soltanto a Simone, che sorrideva beato per quei piccoli doni.

"No, non ho sonno, ma va tutto bene, non ti preoccupare."

"Sicuro? Niente brutti sogni?"

Domandò ancora, stringendolo un po' di più a sé in un gesto di protezione istintivo.

"No, tranquillo, niente brutti sogni. È che ho dormito tanto, prima, ed ora non ho proprio sonno."

Manuel, più tranquillo, annuì facendo strofinare il naso sulla stoffa del camice dell'ospedale e dopo qualche altro piccolo bacio, si decise ad aprire gli occhi.

"Sto a posto anch'io, sì. Ciao, Cerbiattino."

Si sollevò su un gomito, quanto bastava a sporgersi per posare un bacio sulle labbra di Simone. Notò che erano un po' troppo secche.

"Oh, devi bere! Me potevi sveglia', potevi chiama' qualcuno…"

Esclamò, spostandosi subito per riempirgli un bicchiere. Simone si mise a sedere e lasciò che Manuel lo aiutasse a bere un po', in modo da tranquillizzarlo.

"Ciao anche a te, Paperotto, e grazie anche se so che non vuoi che ti ringrazi."

Disse sorridendogli, per poi fargli cenno di tornare accanto a lui. Manuel si affrettò a riavvicinarsi, arrivando ad un centimetro dalle sue labbra.

"E infatti non ce n'è bisogno. Lo faccio per amore e con amore."

Tornò quindi dove era rimasto, a quel bacio che adesso potevano approfondire con tutta calma.

Simone, a dispetto delle parole di Manuel, era deciso a ringraziarlo ugualmente, ricambiando la sua premura con un'altra: infilò una mano sotto la sua polo e gli fece qualche carezza sulla pancia, che Manuel ritrasse istintivamente liberando una risatina.

"Scusa, ma me fai il solletico…"

Si giustificò, temendo che Simone potesse pensare che quelle attenzioni non fossero gradite. Simone, però, ne era perfettamente consapevole e anzi, era proprio dal solletico che voleva partire.

"Lo so, lo so, ma lasciami fare…"

Con la mano libera lo attirò nuovamente sulle proprie labbra, mentre con l'altra saliva un po' più su, sollevando la maglietta di Manuel al proprio passaggio. Sentì le sue costole sotto la mano, il suo petto in tensione che tratteneva il respiro e poi si fermò al centro. Lì prese a tracciare perfettamente con due dita il profilo del tatuaggio del serpente, senza bisogno di vederlo, seguendo soltanto la sua memoria e Manuel mugolò d'approvazione, liberando un sospiro. Gli avrebbe lasciato fare qualunque cosa, era in totale balìa delle carezze di Simone, delle sue dita che lo toccavano come se fossero nate per questo.

"Te piace proprio 'sto tatuaggio."

Sussurrò sulle sue labbra, permettendo ad entrambi di riprendere un po' di fiato. Simone liberò uno sbuffo divertito e annuì piano, facendogli una carezza tra i capelli.

"Ti ho spiegato il perché, ti ricordi?"

Fu Manuel ad annuire adesso, sorridendo.

"Certo che mi ricordo, mi ricordo tutto quello che dici. Riesci a sentirlo anche adesso, il mio cuore felice?"

Simone poggiò il palmo sul petto di Manuel e rimase fermo così per qualche istante, a scambiarsi uno sguardo affettuoso con l'altro ragazzo. Sorrise, poi, furbetto.

"Sì, lo sento. Ti ho fatto svegliare per bene, eh?"

Manuel ridacchiò, pensando che non avrebbe potuto desiderare un risveglio migliore.

"Sei pure meglio del caffè, guarda."

Fece toccare di nuovo le loro labbra, in un bacio veloce.

"Posso provare a sentire io il cuore tuo, adesso? Se ti va, ovviamente…"

Simone, che stava sorridendo fino ad un attimo prima, perse il sorriso e abbassò lo sguardo, imbarazzato. Manuel ovviamente si accorse subito del cambio d'umore e lo guardò preoccupato.

"Oh, guarda che se me dici de no mica m'offendo. Non ti deve anda' per forza…"

Simone scosse il capo, perché non era quello il problema.

"No, è che...come lo faresti?"

"Beh, io veramente volevo fare come fai di solito tu e riempirti di baci, ma ripeto che se non c'hai voglia non è un problema."

Spiegò Manuel, comprensivo. Forse Simone  temeva che qualcuno potesse vederli e non si sentiva a proprio agio.

"No Manuel, non è questo, è che...sono sudato, immagino te ne sia accorto, e non sarebbe piacevole per te, baciarmi. Anzi, a dirla tutta mi chiedo come tu riesca a starmi così vicino."

Ribatté Simone, accarezzando i ricci dell'altro per scusarsi di quella sua condizione. Se solo non avesse fatto tante storie per lavarsi, prima, se solo non avesse avuto tanta paura…

"Simo, io te l'ho detto, ti abbraccerei anche se fossi ricoperto di spazzatura e lo stesso vale per i baci."

Manuel si spostò per cercare il suo sguardo, sorridendogli quando i loro occhi si incrociarono di nuovo. Anche Simone sorrise, seppur ancora in imbarazzo, ma non poteva non sorridere di fronte a tutto quell'amore.

"Se la cosa non ti fa sentire a tuo agio mi sto fermo, ma se ciò che ti fa esitare è il pensiero che per me possa essere un problema, allora toglitelo dalla testa perché non è così."

Aggiunse, accarezzandogli la guancia. Simone come sempre si abbandonò a quelle carezze, sentendosi protetto e amato.

"Forse domani sarebbe meglio...se per te va bene aspettare."

Propose esitante, scusandosi con lo sguardo. Manuel annuì, accettando senza problemi.

"Simo, per me va bene tutto se va bene anche a te. Che succede domani, mh?"

Domandò, anche se aveva un'idea: probabilmente Simone aveva parlato con il dottor Bonvegna.

"Beh, ho parlato con Riccardo, prima, e mi ha detto della tua idea. Domani mattina, se tu sei ancora d'accordo, mi aiuti a lavarmi."

Rispose Simone, portando una mano sul collo di Manuel per ricambiare le carezze e il ragazzo mugolò d'approvazione. Era anche molto felice del fatto che Simone avesse preso coraggio, perché gli faceva male vederlo ancora in quelle condizioni, come se non fosse ancora libero.

"Certo che sono d'accordo, l'ho proposto io! E sono tanto fiero di te. No, non accetto obiezioni!"

Simone fece una risatina, un po' più tranquillo, capendo che quello era il momento giusto per parlargli, per raccontargli cosa fosse successo quella mattina allo sfascio e, sperava, per liberarsi di un peso.

"Se hai fatto quella proposta a Riccardo, vuol dire che lui ti ha raccontato di cosa è successo stamattina, vero?"

Manuel annuì e intanto continuava ad accarezzargli la guancia per fargli capire che gli era vicino.

"Mi ha detto di aver mandato due infermieri a lavarti e che tu li hai mandati via, spaventato. Qualunque sia il motivo che ti ha spinto a farlo, Simo', hai fatto bene. Ti conosco, nun te ne fa' 'na colpa."

Simone abbozzò un sorriso perché sì, Manuel lo conosceva davvero bene.

"È che...non sono soltanto il sudore e la polvere che mi fanno sentire sporco."

Sospirò, poi con entrambe le mani andò ad aggiustare la maglietta di Manuel che aveva sollevato, riportandola giù. Manuel gli diede un bacio a fior di labbra per incoraggiarlo, senza però mettergli fretta.

"Quel giorno che sei venuto a trovarmi allo sfascio, quando mi hai portato da mangiare e siamo stati un po' insieme…"

‘Quando Zucca t'ha spezzato una gamba per colpa mia’, pensò Manuel, preferendo far rimanere  quel pensiero nella propria testa Non voleva interrompere Simone e non voleva nemmeno ricordare momenti dolorosi che tanto erano ancora presenti, impressi nella mente di entrambi e sul corpo di Simone.

Simone si accorse di quel lampo di colpa che attraversò gli occhi dell'altro e portò di nuovo una mano sul suo collo, sperando di poter accarezzarla via.

"Quella stessa mattina, Sbarra e Zucca mi hanno portato fuori, in mezzo alle auto rotte, vicino ad un muro. Figurati, lì per lì ho pensato che volessero spararmi un colpo in testa per qualche motivo che non conoscevo, poi però mi hanno detto che mi avevano portato lì per farmi fare una doccia…"

Manuel si chinò a dargli un bacio sulla fronte, tenendo le proprie labbra ferme lì per qualche istante, in sostituzione di quel proiettile che Simone aveva immaginato. Capiva come doveva essersi sentito in quel momento, anche lui aveva creduto di essere sul punto di morire mesi prima, quando Sbarra l'aveva fatto picchiare per l'auto sfasciata, ed era una sensazione orribile, di assoluta impotenza perché vorresti scappare, ma non puoi, e di infinita solitudine, perché ripensi a tutte le persone che ami e che non rivedrai mai più. Era per questo che lui, mesi prima, aveva telefonato a Simone con quelle che credeva, temeva, fossero le sue ultime forze.

Simone accennò un sorriso a quel morbido bacio, un piccolo gesto di conforto che per lui valeva tantissimo.

"Mi hanno fatto spogliare e ho cominciato a lavarmi. C'era il Sole, mi faceva anche piacere sentirlo di nuovo sulla pelle dopo tutto quel tempo al buio e l'acqua era fredda, ma faceva caldo e quindi andava bene, però…"

Il suo sorriso si spense, sostituito da una smorfia angosciata, quasi di dolore, che gli contrasse tutto il viso facendogli chiudere gli occhi.

"Però loro erano rimasti lì e mi fissavano, guardavano ogni mio gesto, ogni centimetro del mio corpo ed io non potevo fare assolutamente niente per farli smettere. Mi sentivo nudo e non solo perché lo ero e...e mi sento ancora i loro occhi addosso, Manuel."

Si fermò e cominciò a fare qualche respiro profondo, come se avesse l'affanno e avesse bisogno d'aria.

Manuel si sentì montare da una fortissima rabbia, ma che non era nulla rispetto al senso di protezione nei confronti di Simone che lo portò a sistemarsi meglio su di lui per fargli da scudo contro quegli sguardi come se fossero ancora lì.

"Quei due stronzi non vedranno altro che il muro della loro cella per tanto tempo, puoi stare tranquillo. Sei al sicuro, Simo, sei al sicuro."

Simone annuì appena e si aggrappò a Manuel con le braccia, il suo rifugio.

"Li sentivo ridere e parlare di me e non mi sono mai sentito così umiliato. Tra le altre cose, ne hanno detto una che…che mi ha messo una gran paura. Credevo mi sarebbe successa una cosa orribile, non so neanche come dirlo."

Sentì gli occhi inumidirsi e deglutì, preso di nuovo da quella paura. Istintivamente si strinse a Manuel e Manuel, preoccupato, prese a baciarlo su tutto il viso per cercare di farlo stare meglio. Simone ebbe bisogno di parecchi baci prima di riuscire a parlare di nuovo e quando lo fece la sua voce tremava, rotta e spezzata dal pianto.

"Dicevano di voler...voler vendere il mio corpo. Che ero caruccio e che avrei potuto farli guadagnare molto…"

Esitò ancora un attimo, tirando su col naso.

"Non so se fossero seri o meno, ma non ho mai avuto così tanta paura in vita mia."

Manuel rimase pietrificato dall'idea che il suo Simone avesse dovuto sopportare tutto questo, dalla paura di cosa avesse rischiato e dallo schifo che gli facevano quei due mostri per cui adesso il carcere gli sembrava una punizione fin troppo leggera, ma si ridestò in pochi attimi perché Simone aveva cominciato a piangere e lui doveva fare qualcosa per farlo stare meglio. Si mise seduto e lo tirò delicatamente su, nella stessa posizione, portando un braccio intorno al suo busto e l'altra mano fra i suoi capelli, accarezzandoli piano.

Simone incastrò il viso nell'incavo della spalla di Manuel e si aggrappò a lui, cercando un punto fermo tra i singhiozzi che lo scuotevano, lasciandosi andare ad un pianto liberatorio che aveva trattenuto troppo a lungo.

"Sei al sicuro, sei al sicuro…"

Quella era l'unica cosa che, secondo Manuel, aveva senso dirgli e allora gliela sussurrò all'orecchio ancora e ancora, mentre piangeva insieme a lui.

In fin dei conti, erano due ragazzini spaventati che trovavano coraggio e conforto l'uno nell'altro. Piansero finché ne ebbero bisogno, ma anche dopo aver pianto tutte le loro lacrime non sciolsero il loro abbraccio, perché era quello il posto in cui si sentivano meglio.

"Ti ho bagnato tutta la maglia…"

Biascicò Simone, sollevando leggermente il capo. Manuel, con un gesto gentile, glielo fece poggiare di nuovo sulla spalla, fregandosene del resto e l'altro ragazzo sorrise appena, recependo il messaggio.

"Mi fa piacere che me l'hai raccontato, sai?  Cioè, ovviamente avrei preferito che non avessi niente da dirme, però te fa bene non tenerte tutto dentro. Però adesso c'è un'altra cosa che devi fa'..."

Sussurrò Manuel, posando un bacio tra i ricci scuri ed arruffati di Simone.

"Che cosa?"

Domandò l'altro con voce roca a causa del pianto, stringendosi un po' di più nell'abbraccio.

"L'ispettore Liguori mi ha detto di dirti che vorrebbe parlarti, non appena ti sentirai pronto. Questa cosa che hai raccontato a me, devi dirla anche a lui, insieme a tutto il resto che Sbarra ti ha fatto passare. Vuole sapere tutto sulle ultime due settimane, io gli ho detto quello che potevo, ma la tua versione è fondamentale, lo capisci, no?"

Manuel sapeva bene che non gli stava chiedendo una cosa facile, che probabilmente Simone avrebbe soltanto voluto lasciarsi alle spalle questa storia, ma per farlo era necessario presentare tutte le accuse possibili contro quell'uomo che aveva portato tanto dolore nelle loro vite.

Simone si aspettava che la polizia lo avrebbe interrogato, prima o poi, quindi quella richiesta non lo sorprese più di tanto. Fu un'altra cosa, invece, a fargli sgranare gli occhi per lo stupore.

"Due…due settimane? Sono rimasto lì dentro per due settimane?"

Mormorò incredulo, sollevando la testa per guardare Manuel in faccia. Aveva perso il conto dei giorni trascorsi in quello stanzino buio e afoso, che per lui erano quindi diventati infiniti, ma aveva pensato che si trattasse soltanto di una sua sensazione. La certezza di aver vissuto per quattordici giorni immerso nel buio, lontano dalle persone più care, con la continua paura di non farcela, lo colpì in pieno petto.

Manuel sentì il proprio cuore spezzarsi alla vista di quegli occhioni sbarrati e impauriti come quelli di un cerbiatto in tangenziale e di nuovo avvertì i morsi della colpa alla bocca dello stomaco. Aveva lasciato Simone da solo per troppo tempo, tanto che ne aveva perso il conto.

"Scusami Simo', avrei dovuto dirtelo come prima cosa, hai ragione. Come…come ti senti, ora che lo sai?"

Domandò, titubante. Se avesse potuto, sarebbe tornato indietro nel tempo per restituirgli quelle due settimane, ma ora come ora poteva soltanto lavorare sugli effetti di quella notizia. Era deciso a far sentire meglio Simone a tutti i costi.

"Beh, sono…sono piuttosto sorpreso, a dire il vero, non pensavo fosse passato tutto questo tempo…è la metà di quello che abbiamo vissuto da fidanzati, se ci pensi."

Fu il suo lato matematico a tirare fuori quel veloce calcolo, ma non lo presentò con la stessa allegria, lo stesso orgoglio, di quando mostrava alla professoressa un esercizio svolto correttamente alla lavagna. Due settimane, razionalmente, non sono praticamente nulla per un ragazzo che ha ancora tutta la vita davanti, eppure l'idea di averle perse per sempre gli lasciava un sapore amaro in bocca, quello del rammarico.

Manuel, di fronte alla prospettiva che il suo fidanzato gli aveva presentato, percepì lo stesso amaro sapore che andò ad unirsi a quello aspro della colpa, perché era soltanto colpa sua se entrambi avevano perso quei giorni. Simone però gli sorrise e gli posò un bacio in mezzo agli occhi costernati, lasciandolo sorpreso.

"Devi fare due cose per me, Manuel, per favore."

"Tutto quello che vuoi, Simo, lo sai."

Rispose, pronto anche a prendergli la Luna dal cielo, se gliel'avesse chiesta. Simone gli fece una carezza sul viso, riconoscente.

"La prima è che devi chiedere all'ispettore di venire qui domani, voglio dirgli tutto il prima possibile. La seconda, se non ti scoccia, è di andare a casa a prendere il Monopoli. Vorrei recuperare un po' di queste giornate perdute e passare un po' di tempo tutti insieme mi sembra un ottimo modo, no?"

Anche Manuel, a questo punto, si concesse il lusso di un sorriso. Lo baciò a fior di labbra, entusiasta.

"No che nun me scoccia, Simo', sei un genio pure tu! Io direi anche di finirce quel gelato, eh?"

"Mi sembra perfetto, sì."

Gli occhi di Simone brillavano euforici e tanto bastò a Manuel per saltare giù dal letto e infilarsi rapidamente le scarpe. Per prima cosa avvisò Claudio e Domenico, poi, dopo aver salutato adeguatamente il proprio ragazzo, filò a recuperare il gioco richiesto, non prima di aver detto al resto della famiglia che Simone si era svegliato -omettendo da quanto fosse sveglio in realtà- e che potevano andare a fargli compagnia mentre lui andava in ‘missione speciale per conto de Simone’.

In poco tempo si trovarono tutti intorno al suo letto, intenti a mangiare gelato e a litigare giocosamente su vie e vicoletti, casette colorate e soldi finti.

"Oh, hai visto? Li abbiamo stracciati!"

Commentò Manuel dopo la partita, euforico per la recente vittoria, mentre si stendeva accanto a Simone, il quale ridacchiò divertito per il suo entusiasmo. Era stata una serata bellissima, piena di gioia e di sorrisi, di cui tutti avevano un gran bisogno.

"Tu ci hai stracciati, Manuel. Io ho perso."

Manuel arricciò il naso, in un'espressione di disappunto.

"No Simo', te l'ho detto pure prima. Siamo associati, se vinco io vinci pure te!"

Simone sorrise, non potendo che concordare con Manuel. Pensò anche a quanto fosse vero anche l'inverso: se uno dei due perdeva, perdeva anche l'altro; se uno dei due soffriva, allora soffriva anche l'altro. L'amicizia ti permette di essere felice per la gioia di un amico o di soffrire per il suo dolore, l'amore, invece, ti fa gioire della stessa felicità e soffrire dello stesso dolore, perché due metà si uniscono e tornano ad essere un tutt'uno.

Il suo sorriso, allora, si velò di quella malinconica realizzazione, che tuttavia non lo rese più triste, solo più consapevole. Portò una mano sulla guancia di Manuel e l'altro subito posò la propria mano sulla sua per ricambiare la carezza, notando i pensieri dietro il sorriso.

"A che pensi, Simo?"

"Penso che, se fossi stato un po' più saggio, avrei accettato subito la tua proposta di formare una società."

Manuel ripensò a quel momento e fece una risatina. Aveva bisogno di soldi, come sempre, ma questa motivazione non rendeva meno strano il fatto che si fosse rivolto ad un ragazzo con cui non faceva altro che provocarsi e picchiarsi, l'unica persona in tutta la classe che gli stava proprio sul cazzo. Avrebbe potuto fare la stessa proposta a Giulio, ad esempio, un altro dei secchioni della classe, eppure no, aveva scelto proprio Simone, come se qualcosa dentro gli dicesse di potersi fidare solo di lui, nonostante tutti i litigi.

"Saresti stato un incosciente, altro che saggio: avresti dovuto fare tutto il lavoro tu e darmi pure una bella parte, hai fatto bene a non accetta'. Poi non facevamo altro che menarce, non c'erano proprio le basi. Perché lo stavi a pensa', comunque?"

Razionalmente il discorso di Manuel non faceva una piega e, razionalmente, Simone concordava con lui: non c'erano fondamenta solide su cui costruire una società, eppure loro due erano andati ben oltre. Quelle litigate, quelle provocazioni, quel continuo arrivare alle mani si erano trasformati in un'amicizia, contro qualsiasi previsione, e poi in amore, un amore che aveva trovato il terreno giusto in cui crescere e svilupparsi. Non c'era una spiegazione razionale a quel cambiamento così netto, così repentino, e a Simone, per una volta, andava più che bene mettere da parte la razionalità ed accettare la soluzione di un problema anche se il procedimento fatto per arrivarci era assurdo e andava contro ogni regola.

"Lo stavo pensando perché prima di te non ho mai avuto davvero nessuno, anche quando stavo con Laura mi sentivo solo. Non mi sentivo compreso, ma al tempo stesso non facevo nulla per aprirmi, avevo paura di mostrare agli altri i miei dubbi, le mie insicurezze, perché temevo che o avrebbero continuato a non capirmi o sarebbero scappati. Ho sempre preferito cavarmela da solo, sono cresciuto così, ci avevo fatto l'abitudine…"

Simone parlava sereno, non c'era traccia di turbamento nella sua voce o sul suo viso, perché tutta quella solitudine era passata. Ciononostante, Manuel sentì il bisogno di interrompere il suo racconto con un bacio a fior di labbra, perché lui adesso era lì, anche se era arrivato in ritardo, e non se ne sarebbe più andato.

"Non sei più solo, ce sto io qua accanto a te. Me spiace, ma non ti libererai facilmente de me! Rimpiangerai i tempi in cui ce menavamo, fidate."

Mormorò Manuel con tono scherzoso e occhi solenni e Simone fece una risatina che poi si trasformò in un sorriso grato. Spostò la mano che ancora gli accarezzava la guancia tra i suoi capelli, per ringraziarlo con i grattini che tanto gli piacevano.

"Questo non accadrà mai, fidati tu. Stavo giusto dicendo che da quando sei entrato in classe e di conseguenza nella mia vita, ho avuto qualcuno con cui condividere gioie e dolori ed è bello, tanto bello. So che ti dà fastidio quando lo faccio, ma per stavolta devi lasciarti ringraziare."

Manuel fece una risatina, annuendo leggermente. Anche lui aveva imparato a non poter contare su nessuno, se non su sua madre, che però aveva già troppo a cui pensare, a doversela cavare da solo. Anche quando stava con Chicca non le raccontava mai dei suoi problemi, non di quelli più seri almeno, non si apriva nemmeno con la ragazza che diceva di voler sposare: anche lui aveva paura di venire abbandonato da quelle poche persone con cui aveva un minimo di rapporto. Simone però non rientrava nella categoria, con lui era diverso: aveva fatto delle cazzate che avevano rischiato di farglielo perdere -l'ultima aleggiava ancora tra loro-, eppure erano lì, ancora insieme, a coccolarsi in un letto che anche se era di un ospedale andava più che bene lo stesso. A tale proposito, salì con la mano sul petto dell'altro, più o meno al centro, e prese a muoverla piano, in lente carezze.

"Te lo lascio fare soltanto perché devo ringraziarti anch'io, per gli stessi identici motivi. Hai ragione, è tanto bello ave' qualcuno accanto, e non un qualcuno qualsiasi, di cui ti accontenti per mille motivi e che poi domani nun ce sarà più, ma qualcuno che sai che resterà domani e dopodomani…"

Simone sorride teneramente.

"E il giorno dopo ancora e quello ancora dopo…"

Anche Manuel sorrise, con altrettanto affetto.

"Fino a quando nun ce saranno più giorni e ancora oltre."

Sussurrò, dandogli quella promessa mentre lo guardava negli occhi.

"Fino a quando non ci saranno più giorni e ancora oltre."

Ripeté Simone, a voce altrettanto bassa, mantenendo gli occhi nei suoi. Si sorrisero dolcemente e, senza dirsi altro, si lasciarono conquistare dal sonno, consapevoli che l'indomani si sarebbero ritrovati di nuovo.
   
 
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