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Autore: AlsoSprachVelociraptor    27/05/2022    0 recensioni
[Dennis Pennis R.I.P.]
Nicolò Strutter si sta solo facendo i fatti suoi, nel suo ristorante appena aperto a Londra. Ma qualcuno è sulle sue tracce.
.
(post-canon, Dennis è uno "zombie" e cerca vendetta o chissà cos'altro da Mike Strutter. E invece trova suo fratello maggiore, che gli piace decisamente molto di più.
Nico tecnicamente non è un OC perchè è pensato per essere il tizio a cui Mike telefona alla fine dell' s1e1 di Strutter, però effettivamente tutto su di lui è inventato, dunque l'ho taggato comunque così.)
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nicolò stava spazzando tristemente il pavimento del suo ristorante-pizzeria, appena aperto, a Londra. Aveva lasciato la famiglia a Verona per aprire quella filiale inglese, espandere la sua attività, e approfittare del fatto di essere nato a New York ed essere madrelingua inglese, oltre che italiano.

E sì, questo voleva dire separarsi per diversi periodi dell’anno da sua moglie e dai suoi figli, ma ne valeva la pena, no?

I profitti andavano più che bene, Nico era un cuoco provetto, e la cucina italiana- quella vera!- sembrava andare un sacco lì a Londra. E poi, Nico non si sentiva particolarmente bravo come padre di famiglia e marito. Stare lontano da quella famiglia che non sapeva gestire bene lo faceva stare, stupidamente, più tranquillo.

Sua madre aveva sempre avuto ragione. Era un fallito.

Ogni tanto dei VIP visitavano la zona e anche il suo ristorante, e coi VIP spesso arrivavano i giornalisti. Ne ricordava un paio abbastanza rumorosi, paparazzi con le loro macchine fotografiche così grosse da stargli a malapena in mano, e anche qualche ragazzino coi capelli colorati come andavano di moda ora, che sbraitavano insulti e facevano battutine, tutti copie l’uno dell’altro e fastidiosi come poche cose al mondo.

Beh, questo era il successo, e se anche doveva sopportare ricchi politici con la puzza sotto il naso e paparazzi irritanti, ben venga.

Il ristorante-pizzeria Strutter stava andando bene e, da quello che sentiva al telegiornale che stava pigramente risuonando nel sottofondo dell’ampia sala da cena sgombra, anche l’agenzia legale Strutter di suo fratello minore Michael se la stava cavando, sempre in quella città. Ironico che entrambi i fratelli fossero finiti proprio lì, indipendentemente l’uno dall’altro, dopo non essersi né parlati né guardati in faccia per più di vent’anni.

Aveva appena vinto un caso riguardo l’aggressione e l’omicidio di qualche giornalista, e se Nico conosceva bene suo fratello, era stato Mikey stesso ad aggredire il povero mascalzone. Forse ucciderlo no- o, almeno, Nicolò lo sperava.

Non vedeva il fratello da così tanti anni, e sperò che non fosse diventato così violento, anche se, in cuor suo, sapeva che la possibilità era decisamente tangibile.

Guardò lo schermo del televisore. La foto di un paparazzo dai capelli rossi rimaneva ferma sullo schermo, un elogio funebre al giovane appena morto. Suicidio per impiccagione, diceva il giornalista al notiziario.

Strangolato a morte, pensò Nico. Peccato, lui l’aveva visto al suo ristorante, ne era sicuro. Così giovane, a malapena ventenne, forse nemmeno. Così carino…

Rumore di lamiera colpita- era la saracinesca del suo ristorante, che copriva la vetrina sulla strada era abbassata, la porta chiusa a chiave. Il ristorante era chiuso già da qualche ora, ma qualcuno stava bussando lo stesso.

“È chiuso, passa domani.” brontolò Nicolò, stringendo la scopa tra le grosse mani scure, un paio di cerotti sulle dita larghe- si era tagliato col coltello quella sera stessa cercando di affettare più carote nel meno tempo possibile. Si accorse di stringere così tanto quando il taglio sotto il cerotto del pollice bruciò, e sentì la ferita aprirsi di nuovo.

Ladri?

Stavano cercando di rapinarlo?

Il bussare continuò.

“Ho detto che è chiuso-!” quasi gridò Nico, con una voce più da preda che da predatore.

Nico non era un codardo, ma non amava correre rischi. E non gli piaceva immischiarsi nelle situazioni vischiose e putride come la criminalità- suo padre era morto per quel motivo, del resto, più di trent’anni prima.

Fuori pioveva, e oltre al rumore della pioggia scrosciante sul metallo della saracinesca poteva sentire anche quelle mani grattare, afferrare, cercare di aprire.

Nico rimase immobile, freddo e terrorizzato.

Cosa doveva fare?

Dare tutti gli incassi della serata a un bastardo che aveva deciso che lui avrebbe dovuto subire le conseguenze delle sue azioni?

No, non ci stava. 

Il ricordo di suo padre crivellato di colpi di pistola inferti da un ladro lo terrorizzava ancora al giorno d’oggi, ma non poteva essere un codardo, e deludere suo padre, e l’azione per cui era morto.

Strinse la scopa tra le mani, tenendola come una specie di mazza da baseball. Non era mai stato bravo a giocare a baseball, al contrario di suo fratello e suo padre, ma non importava.

Nico era grosso, enorme, un omone di due metri, più di un quintale sulla bilancia, e braccia grosse e forti che aveva usato per tanti anni nella trattoria di suo nonno, e poi successivamente nella propria.

Sì, sarebbe sicuramente riuscito a prevalere su un ladruncolo britannico, non c’era nessun problema, doveva solo spaventarlo, dimostrargli che lui era forte, sapeva cavarsela da solo, e che i ladri come lui avrebbero ben fatto meglio a starsene alla larga dal suo ristorante-!

“Vattene, è l’ultimo avvertimento, o io ti- ti faccio vedere! Così impari, eh!” 

Nico aprì la porta in vetro, e poi girò la chiave e scardinò i cardini che tenevano chiusa la porta in metallo e la spalancò e solo quando ormai era aperta si fece una domanda.

Ma se il ladro avesse avuto una pistola?

Uh oh.

Nicolò era un uomo grande, grosso, forte e generoso, paziente e cordiale, educato e coraggioso. Ma non era un uomo intelligente.

Davanti a lui, per sua enorme fortuna, non c’era nessun ladro.

Un ragazzino nella pioggia, i vestiti sporchi e bagnati, i capelli rosso scuro appiccicati al viso pallido e gli occhi azzurri pieni di risentimento.

“Tu sei Michael Strutter?” chiese con uno strano accento, né inglese né americano.

Nico ancora stringeva la scopa tra le mani, gli occhi spalancati dalla paura e da quell’adrenalina che gli era montata addosso nella cavalcata tra il bancone del ristorante e la porta. 

Negò.

“No, sono Nicolò.” rispose.

Il ragazzino lo guardò male. “Strutter?”
“Sì.”

“Sei per caso parente di questo Michael Strutter?” chiese di nuovo, e Nico ancora non riusciva a pensare bene. Sentiva solo il suo cuore battere pesantemente nel suo ampio petto e tra le sue orecchie e nella sua gola.

“Uh.” e si fermò a pensare. “Sì. Sì, Mike è mio fratello minore. Fratellastro. Fratellastro minore.”

Nel buio non vedeva bene molto altro del ragazzo davanti alla porta. Non sembrava pericoloso, ma era completamente fradicio.

"Hai bisogno di aiuto?" chiese di nuovo al giovane, cercando di sorridergli, e abbassando la scopa, stringendosela al petto come a rassicurarsi che tutto andava bene, non c’era più bisogno di aver paura. Quello davanti a lui sembrava un pulcino tutto zuppo di pioggia, stretto nel suo completo elegante, troppo grosso per il suo gracile corpo. 

Il ragazzo sembrava decisamente nervoso, tutto un fremito. Si avvicinò di scatto alla porta. “Fammi entrare, va’. Prometto che non ti mangerò il cervello, voglio solo mettermi all’asciutto prima di essere ricoperto di funghi e licheni!”

Sembrava un po' confuso e Nico non aveva idea di cosa stesse dicendo. Sembrava anche un po’ perso e bisognoso d'aiuto. Nico avrebbe voluto strizzargli le guance.

Si scostò e lo invitò ad entrare nel proprio ristorante, senza pensare che il ragazzino era ricoperto di fango e lui aveva quasi finito di lavare il pavimento.

Gli stivaloni rossi inzuppati di fango riempirono il pavimento di granito del ristorante di orme marroni, mentre Nico chiudeva la porta dietro di lui, e poi scattava a prendere delle coperte pulite, o magari delle tovaglie!

"Vuoi farti un bagno caldo?" chiese Nico a voce alta, in uno sgabuzzino sul retro del negozio. Non era forse la cosa giusta da chiedere, ma era l’unica che gli era venuta in mente, e Nico non era tipo da pensare troppo, in generale. Avrebbe tanto voluto farsi lui un bagno caldo. Odiava il clima freddo di Londra.

"No!" fece la voce, acuta e nasale, del suo ospite. "E se poi mi cuocio come uno spezzatino? E se mi decompongo?"

L'uomo non diede peso a quelle parole- non dava mai particolarmente peso a nulla. Ridacchiò. Bella questa. Spezzatino. Che carino!

"Sei simpatico! Qual è il tuo nome?"

Silenzio dall'altra parte. Nico si fermò di cercare tra le tovaglie vecchie, confuso da quell'assenza di risposta.

"Non hai proprio notato nulla?" fece finalmente il ragazzetto.

"Cosa devo notare?"

Uno sbuffo fortissimo, e poi il rumore di qualche sedia che si spostava. Forse si stava sedendo.

"Il mio nome è Dennis. Dennis Pennis. Quel Dennis Pennis!"

La sua voce, per qualche motivo, pareva esasperata. Nico sospettò si trattasse di qualche ragazzino che si credeva famoso su internet per fare dei video, come quelle tizie che fanno pubblicità a trucchi e cose del genere.

Finalmente trovò una tovaglia da buttare, che avrebbe potuto prestare al ragazzino per asciugarsi. Era bucata su un lato, dove un cliente aveva rovesciato un bicchiere di vino, e poi aveva tentato di pulirlo con così tanta forza da ledere le maglie del tessuto, e renderla completamente inutilizzabile.

Beh, ora aveva trovato un nuovo utilizzo!

Quando tornò nella sala da pranzo, si accorse che il ragazzino non si era seduto, affatto. Ora era in piedi su una delle sedie, gli stivali infangati a sporcare il cuscino nuovo della sedia, a guardarsi in uno specchio decorativo che Nico aveva appeso a una parete qualche settimana prima.

Il riflesso del ragazzo stava guardando sé stesso, ma ora le sue iridi azzurro cielo si posarono su Nico, contornate da una sclera rosso sangue, coperti da occhialoni da vista rotondi e dalle lenti crepate. Le labbra bluastre si piegarono in un sorriso tirato.

“Dimmi che mi riconosci. Sono famoso, famosissimo, tutti parlano di me! Dimmi che mi riconosci!

Non stava bene, e forse non solo fisicamente. Stava tremando sulla sedia, una mano artigliata alla parete color salmone, l’altro braccio a penzoloni lungo il fianco. Nico gli si avvicinò. “Stai fermo, che cadi.”

Tenendo la tovaglia sotto un braccio, gli avvolse un braccio attorno alla vita, aiutandolo a scendere da dove si era appollaiato.

La camicia che lo ricopriva era completamente bagnata, e la pelle sotto essa non aveva nessun segno di calore o vita.

Un risolino dal ragazzo, mentre lo alzava di peso dalla sedia- era magro, pallido, e pesava nulla- e lo rimetteva a terra. “Sei caldo. Sei così caldo…!”

“Devi aver preso freddo, sei fradicio. Vuoi che ti porti al pronto soccorso? Ce l’hai una casa, una famiglia?” Nico in realtà non sapeva dove fosse il pronto soccorso, lì a Londra, ma lo avrebbe portato lì se avesse avuto bisogno. Forse si sarebbe anche fatto dare un paio di punti a quel profondo taglio sulla sua mano. O forse no. 

Il ragazzo, Dennis, buttò a terra la giacca nera elegante e si slegò la cravatta rosso dal collo, rivelando una grossa cicatrice sulla sua gola grigia. 

“Sì, quella puttana di mia madre, quell’infame di mio zio, e quell’idiota di mio cugino.” sogghignò, aprendosi a fatica la camicia con una sola mano, mentre l’altra manica penzolava sgraziatamente al suo fianco, tutta strappata e tagliuzzata, senza nulla sotto. 

Nico rimaneva a guardare quello strip-tease improvvisato col cervello annebbiato da domande, confusione, e una nauseante attrazione per il macabro- non era diverso da quando si fermava a osservare un incidente stradale particolarmente sanguinolento lungo la via di ritorno a casa, o quando era rimasto a fissare il cadavere di suo padre davanti alla pizzeria di famiglia, tanti anni prima.

Nicolò non era un uomo particolarmente intelligente, era vero. E non stava capendo cosa stesse succedendo davanti a lui, ma qualcosa lo faceva rimanere lì con la tovaglia stretta tra le mani invece di farlo scappare a gambe levate.

“E ho anche una casa! Una bellissima villa di campagna poco fuori Londra, me la sono comprata da solo, coi soldi che ho fatto intervistando dei VIP idioti del cazzo in tutto il mondo.” continuò il ragazzo, Dennis, buttando a terra la camicia bianca. Una cicatrice a Y solcava il suo petto magro, e il braccio destro era ridotto a brandelli, l’estremità amputata putrida.

Allungò la mano sinistra verso Nico, mentre al telegiornale ripetevano la notizia del decesso e funerale di un famoso giornalista dai capelli rossi fuoco.

“La casa in cui tuo fratello mi ha strangolato a morte. Allora, me la passi ‘sta coperta o no?” borbottò Dennis, con un broncio sul viso cadaverico.

   
 
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