Crossover
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Autore: Tubo Belmont    28/05/2022    7 recensioni
[Hazbin Hotel]
[Helluva Boss]
[League of Legends]
O forse...
l'Inferno è ESATTAMENTE un posto per prede.
Nou siamo semplicemente predatori.
Genere: Generale, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Cartoni, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Gender Bender, Violenza
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Il sole del Medio Oriente era probabilmente quello più caldo dell’Universo. Era convinta che nemmeno su un altro pianeta ne avrebbe trovato uno più impietoso.
La gamba dalla pelle scura, fuori dall’ombra delle mura rocciose ancora in piedi, stava letteralmente cuocendo come un pezzo di carne sui ferri.
Aveva un pensiero non esattamente sano, quello di staccarsela per poterla assaggiare, ma probabilmente era anche dovuto al trauma ferita alla testa, spaccata come una noce di cocco.
Il sangue gli copriva la parte superiore della faccia come la maschera di un bandito – una di quelle comprata ad un mercatino dell’usato a cinque centesimi – e, tra quello e l’incredibile debolezza che le pervadeva il corpo, aprire gli occhi era impossibile. Riuscì comunque a stringere il manico del karambit dalla lama viola, quando sentì una voce.
“S-sei… morta?” roca e debole pure quella, ma per niente preoccupata.
“Nah…” sibilò lei invece, riuscendo finalmente ad aprire gli occhi verdi “Non ancora, almeno…”
Assieme alla sua voce, dalla bocca uscì anche un rivoletto di sangue.
Davanti a lei, sopra ad un cumulo di macerie e con la schiena appoggiata alla parete, sedeva una donna che doveva avere sì e no la sua stessa età – forse qualche anno in più – dai lunghi e folti capelli biondi che le ricadevano sulle spalle e dall’unico occhio azzurro – la pupilla lievemente appannata – che la scrutava.
A parte la palese differenza nell’aspetto fisico, le loro condizioni erano più o meno identiche.
Anche se, a dirla tutta, era un po’ difficile pensare a quale delle due fosse messa peggio.
La bionda aveva l’occhio destro serrato, con una lunga cascata di sangue che scendeva dalla palpebra chiusa; un secondo karambit viola conficcato in una spalla sanguinante e la vita – avrebbe TANTO voluto non dover rovinare quegli addominali – sotto alla giacca mimetica aperta, squartata per orizzontale, facendo fuoriuscire un bello spettacolo di sangue e budella.
Tirò un sorriso: sembrava quasi la gonnellina estremamente erotica di una danzatrice del ventre.
Eccitante.
“M-mi faresti il favore di lanciarmi il karambit?” tossicchiò la donna dagli occhi verdi, sentendo un dolore fortissimo allo stomaco. Il grosso machete che l’aveva letteralmente inchiodata al muro si stava facendo sentire “N-non me ne separo mai... se andassi all’Inferno, vorrei almeno portarmeli dietro.”
Senza esitazione – ma non senza un grugnito dolorante ed estremamente infastidito – la bionda afferrò il manico del coltello, lo sfilò lentamente dalla ferita – che riprese a sanguinare copiosamente, anche se sembrò sbattersene palesemente i coglioni – e lo lanciò all’interlocutrice. L’arma scivolò fino alla gamba sfrigolante, di cui utilizzò il piede per avvicinarla a se.
“T-ti ringrazio.” Guardò il machete della sua ormai ex avversaria, la cui lama candida – sembrava quasi ceramica. O avorio? – ormai era macchiata da schizzi rossi come un quadro di Pollock. Era conficcata nel suo fianco quasi fino al manico ed era abbastanza convinta che la lama fosse incastrata nel muro alle sue spalle “ti ridarei la tua ma… non credo di essere per niente nelle condizioni di fare un simile sforzo…”
La bionda, debolmente, scosse la testa “Non importa…” sorrise lievemente, puntando il grosso Bolas alla sua sinistra “Sono a posto così…”
Una delle due palle di ferro era ricoperta di sangue e… materiale non specificato. Probabilmente il risultato di quello che era successo quando quella stessa palla si era fatta strada tra i suoi capelli porpora fino al cranio. Come facesse ad essere ancora cosciente era un mistero.
“Prendila come vuoi…” la rossa sorrise, mostrando la dentatura troppo affilata per appartenere ad un semplice essere umano “… ma quello è stato decisamente un bel colpo… complimenti.”
“Io non avrei creduto invece di vederti ancora scalciare subito dopo” tornò a guardarla con l’occhio buono “Se avessi la certezza di sopravvivere, oggi, racconterei questa storia a chiunque mi capiti.”
“L-lusingata.” Tossicchiò.
Orgoglio e onore tra mercenari?
Orgoglio e onore tra mostri?
Una cosa era certa: se devi morire senza amici, senza ideali ed in un paese sperduto e sconosciuto, è sempre bello farlo in compagnia.
E se dall’altra parte della spada, ad agonizzare ed annegare nel suo stesso sangue c’è un mostro simile a te, è ancora meglio.     
Ancora-ancora meglio se si tratta di una bella ragazza.
“P-potrei farti solo una domanda?”
La bionda sbuffò “No credo di avere fretta…”
“Prima di chiudere bottega e prendere un biglietto di sola andata per l’aldilà…” un colpo di tosse, che bagnò il terreno con qualche gocciolina scarlatta “… posso sapere il nome di chi mi ci ha mandato?”
La bionda la guardò, senza mutare la sua espressione noiosamente e stoicamente seria, per poi rispondere con voce roca “… il mio nome… non credo di averne avuto uno normale…”
Era forse imbarazzata?
“Oh, e andiamo!” si irritò la rossa, pentendosene quando la testa gli ricordò che un pezzo della scatola cranica si stava mischiando col cervello “Stiamo per crepare entrambe… che c’è da vergognarsi se il tuo nome fa schifo?”
L’altra chiuse l’occhio ed inspirò rumorosamente, per poi buttare fuori con un sussurro “R-Rengar…”
La rossa la guardò, interdetta “Seria?”
L’altra non rispose e distolse lo sguardo. Forse se tutto il sangue non fosse stato sparso per il pavimento, sarebbe anche arrossita.
“Come quello di League of Legends?” a quel punto scoppiò a ridere, sbrattando sangue ovunque.
“Idiota.” Sibilò l’altra “Il nome me l’hanno dato i promotori dell’esperimento che mi ha creata. Non è colpa mia se hanno una fantasia del cazzo.”
“No, mi hai fraintesa!” smise di ridere, il sangue che le sporcava i denti e il mento “Sono perfettamente conscia di quanto faccia schifo. Anche io faccio parte dell’Enter-Beast, in fin dei conti.”
Rengar la guardò, sorpresa.
“Andiamo.” Le fece l’occhiolino, sorridente “Un normale mercenario non sarebbe mai in grado di sopravvivere ad un colpo simile, non trovi?”
La bionda chiuse gli occhi e, per la prima volta da quando si erano accasciate l’una di fronte all’altra, sorrise “In realtà lo immaginavo. Dannazione… pensare che avrei incontrato…”
“Oh, le coincidenze non son finite!” l’interlocutrice sghignazzò “I-io sono Kha’Zix, per la cronaca.”
Rengar smise di sorridere ed ammutolì.
Quindi si passò una mano sulla faccia “Non ci posso credere.”
Kha’Zix, dopo aver piegato il collo verso l’alto, si passò il braccio sugli occhi, estatica “Tra un milione di coincidenze… è forse il destino? Chissà…”
Morire sapendo di aver combattuto contro uno dei più potenti esseri avesse mai affrontato su quella terra e sapendo che quello stesso essere se lo sarebbe portato dietro nella tomba – assieme ad altre decine e decine di islamici bastardi, ma dettagli – era forse una delle sensazioni più epiche avesse mai provato in vita sua.
Restarono immobili per un po’.
La morte, per qualche strana ragione, ci stava mettendo veramente tanto ad arrivare.
“Senti…” Rengar ruppe il silenzio “dovremmo darci l’auto-eutanasia, oppure aspettiamo di crepare di merda? Mi sto sinceramente rompendo il cazzo.”
 “Che…?” la rossa la guardò da sotto il braccio “Nah. Non ti preoccupare, il mio datore di lavoro aveva comunque intenzione di rastrellare questa zona appena-”
Un rombo terrificante scosse la terra sulla quale si trovavano.
Kha’Zix sollevò la testa verso l’alto, sorridente “Ecco, appunto.”
Il raid di droni che seguì subito dopo cancellò ogni singola traccia di quel paesino abbandonato da tutte le mappe.
 
[…]
 
Rengar, con indosso il suo accappatoio nero, girò la pagina sistemandosi un po’ meglio gli occhiali dalla montatura rossa sul naso, per poi sorseggiare un goccio di vino dal bicchiere di cristallo.
Non era mai stata una lettrice accanita, da viva. L’unico libro che avesse mai studiato e imparato a memoria durante tutta la sua adolescenza era stato “Come Uccidere in Maniera Estremamente Conveniente e Permanente il Tuo Nemico” scritto dallo scienziato argentino – sicuramente nazista – che aveva dato via al Progetto. Non che avesse effettivamente avuto bisogno di leggerlo, dato che glielo avevano letteralmente tatuato nel cervello a suon di sedute e proiezioni alla quale l’avevano costretta a partecipare per completare la sua ‘Trasformazione’ in super-mercenaria.
Tra quello e gli esperimenti – estremamente dolorosi – non sapeva quale fosse peggio.
Forse il saggio, dato che risultava piuttosto banale e aveva capito che, seguendolo, l’efficienza era pure ridotta. Non che si fosse mai lamentata: quando cresci come un’arma, l’unica cosa di cui te ne frega qualcosa è essere sicura che il generale – a volte anche dittatore – di turno muoia di brutto e che i tuoi acquirenti siano disposti a sganciare una buona somma per comprarti.
Inoltre, la sua vita era sempre stata piena di lavoro fino alla fronte, quindi aveva anche avuto poco tempo per recuperarsi i grandi classici della letteratura.
Da viva.
Da morta, invece, la solfa era un po’ diversa.
Visto che all’Inferno, in teoria, non hai un padrone e nemmeno ordini da seguire – se non la legge della giungla, ma a quel tipo di vita era già abituata – aveva dovuto reinventarsi.
Neanche troppo.
Era difficile trovare lavoro all’Inferno?
Dipendeva: se la gente è disposta a pagarti per ciò che sai fare meglio, tanto di guadagnato.
E lei era piuttosto brava – ok, parecchio – nell’uccidere la gente e molte persone anche disposte a sborsare somme a cinque zeri avevano bisogno di levarsi da davanti personaggi scomodi.
Quindi, ora che era riuscita a mettersi in proprio, perché non comprarsi una villa – appartenuta, guarda caso, ad uno dei vari tizi a cui aveva tagliato la testa – e cercare di viversela in pace tra un omicidio/guerra di bande e l’altra? Quindi, oltre alla sua immancabile sete di sangue – che, benché fosse stata una sua ragione d’essere per tutta la sua esistenza, le era pur sempre stata imposta – aveva scoperto anche di essere appassionata di caccia.
Caccia Infernale, per la precisione.
Fuori da Pentagram City esistevano orrori indescrivibili che il solo vederli prima di diventare un demone le avrebbero sciolto il cervello come un pupazzo di neve al sole. Ora le teste di molti di quegli orrori adornavano le pareti di casa, tra cui quella di un… ahem, qualcosa – l’unica certezza era che avesse tre occhi rossi – si trovava esattamente alle sue spalle, sopra al camino acceso.
Comunque, tralasciando mansioni che comprendevano il neutralizzare altri esseri viventi, aveva anche deciso di dare una possibilità alla lettura, e visto che in casa aveva allestito una libreria grande quanto metà villa era stato un colpo vincente. Ora, non capiva esattamente come funzionava; se gli stessi autori una volta trapassati erano arrivati all’Inferno oppure se qualche malato di mente pazzo omicida fosse fan di ogni singolo scrittore mai esistito e avesse deciso di rendere omaggio replicando ogni singolo romanzo, non poteva saperlo.
Ma che fosse il primo tipo o l’altro, era grata fossero morti.
Da viva sicuramente non avrebbe mai pensato di dirlo: ma l’Inferno era una delle cose migliori che le fossero mai capita-
Sussultò quando sentì uno schianto particolarmente forte provenire dal corridoio adiacente, che la costrinse ad interrompere la lettura. Serrò le palpebre, masticò una bestemmia e si tolse gli occhiali, appoggiandoli assieme a ‘Lo Squalificato’ di Osamu Dazai sul lungo tavolo di legno lucido.
Poi si alzò e andò a controllare.
 
“Che cosa stai facendo?” domandò la padrona di casa, appoggiata allo stipite della porta con le braccia incrociate.
Ciò che aveva davanti sembrava una scultura d’arte moderna.
Una di quelle dove non sai da dove cominciare a guardare per capire cos’hai davanti.
In ordine le si presentavano: la gigantesca testa di una creatura simile ad un alce con un enorme occhio nero al centro della fronte e che al posto della bocca aveva una grottesca esibizione di tentacoli verdi; una corda spezzata che penzolava da una delle corna della creatura, dondolando mogiamente avanti e indietro con una tristezza incredibile; il resto della corda, legata attorno al collo di un cadavere rannicchiato a terra.
Ok, a dir la verità quello non era un vero e proprio cadavere: per la precisone si trattava di un’altra ragazza, dall’insolito colorito violaceo della pelle, che faceva pendant con il caschetto sbarazzino che aveva in testa di un viola leggermente più acceso, da cui spuntavano un paio di lunghe antenne dello stesso colore abbandonate sul pavimento. Considerato lo scarsissimo capo d’abbigliamento che indossava – pantaloni attillati ed un top rosso molto osé – sembrava una di quelle ospiti che… raccogli per strada.
“…Urgh…” mormorò il ‘cadavere’.
Rengar alzò gli occhi al cielo è sbuffò “Hai di nuovo tentato di suicidarti?”
“Lasciami in pace…” rispose l’altra, con un tono di voce molto più che depresso.
“Quante volte te lo devo dire ancora: se vuoi crepare” si avvicinò al trofeo di caccia e cominciò a slegare la corda “Primo, puoi chiedermelo direttamente e ti accontento; secondo, fallo fuori da casa mia.” Si avvolse la corda attorno alla spalla “Inoltre, a meno che tu non abbia trovato nella discarica qua vicina una corda fatta di materiale angelico, dubito che saresti morta definitivamente impiccandoti. Inoltre hai ovviamente preso la corda peggiore che io abbia mai visto.”
Visto che quell’altra non reagiva, la padrona di casa digrignò i denti dai canini pronunciati in un sorrisetto sornione “O magari sei semplicemente ingrassa-”
Nel giro di nemmeno mezzo secondo, la donna morta si era rialzata da terra ed aveva puntato il dito chitinoso sotto al mento di Rengar, digrignando la dentatura da squalo e affilando lo sguardo smeraldino “Ti sfido… prova a concludere quella frase, e do fuoco a tutta la fottuta libreria!”
Rengar storse il naso “… si può sapere da quanto è che non ti fai una doccia?”
 
“E quindi sei annoiata perché non trovi più nessuno di abbastanza forte con cui misurarti.”
“Aaaaah…” si lamentò la viola, anche lei con indosso un accappatoio e con la testa accasciata sul tavolo. Sembrava avesse il peggior mal di pancia mai provato.
“Ed hai tentato di ucciderti. Di nuovo. Impiccandoti al corno di un mostro imbalsamato.”
“Eeeeeh…”
Il mondo era bello proprio perché era vario, così dicevano almeno.
E Rengar era abbastanza sicura che se tutte le persone fossero state come lei il mondo sarebbe sicuramente esploso.
Kha’Zix un po’ si avvicinava al suo carattere, ma aveva qualche differenza.
Tra tutte: non era in grado di lasciarsi alle spalle la gioia e la gloria del massacro.
Quando erano esplose in quella zona di guerra, la loro rinascita come demoni infernali era cominciata prima con un po’di confusione – capita quando riaprendo gli occhi scopri di averli ancora entrambi, di avere braccia e gambe ricoperte di pelliccia bianca e anche la coda di un leone. Capita anche quando scopri di essere diventata viola e di avere le braccia di un insetto – poi con calma si erano rese conto di trovarsi nella, a quanto pareva, New York infernale, sotto un cielo rosso come il sangue decorato da un gigantesco pentagramma satanico.
Inizialmente avevano deciso di provare ad ambientarsi.
Non troppo difficile, dato che in vita entrambe avevano visto luoghi frequentati da gentaglia ben peggiore, anche se sicuramente con meno corna in testa.
Dopo nemmeno mezzo secondo, tuttavia – per la precisione, dopo essersi accorte l’una di avere a disposizione artigli in grado di lacerare probabilmente l’acciaio e l’altra di avere letteralmente due lame ricurve di membrana sotto gli avambracci –, avevano realizzato qualcosa:
 
Se siamo morte…
Non ha senso trattenersi.
 
Se le erano date di santa ragione.
Per veramente tanto tempo.
Benché non fossero in grado di tenere a mente la quantità di ore o di giorni, avevano dato per scontato di essersi menate per almeno sei mesi.
Purtroppo però, benché accendere quella fiamma fosse stato intrigante, all’inizio, poco dopo la stessa era andata mogiamente a dissiparsi. Senza fraintendimenti: è bello potersi picchiare in eterno con chi ti ha ammazzato, ma dopo un po’ ti annoi. Soprattutto quando, dopo che una delle due muore, la stessa ritorna dopo qualche tempo, ancora più incazzata di prima.
Un ciclo infinito di morte, rinascita, botte e rimorte.
Persino due bestie assetate di sangue come le due super mercenarie, dopo un po’, si sarebbero rotte le scatole.
Ma Rengar, appunto, si era data da fare per organizzare la monotonia a modo suo.
Quell’altra psicopatica no.
Letteralmente, sembrava che l’unica singola cosa che la tenesse avvinta fosse il misurarsi con altri psicopatici, rischiare di morire, ripeti. Forse spinta da compassione – in fin dei conti, nemmeno le rovinava il lavoro – aveva deciso di portarsela dietro durante tutti i suoi compiti di pulizia infernale. Ma purtroppo, erano pochi gli avversari con cui si misurava che le dessero effettiva soddisfazione. Aveva tentato più volte di cercare di combattere contro degli Overlord, ma Rengar glielo aveva sempre impedito.
In primis, perché poteva considerarsi l’essere più potente del mondo ma quelli schioccavano le dita e tu cessavi di esistere in tutte le dimensioni. In secondo luogo, i loro incarichi raggiungevano i sei zeri, e perdere clienti di quel tipo sarebbe stato decisamente un colpo durissimo.
Una volta erano state effettivamente chiamate per far fuori un Overlord caduto in disgrazia, che aveva rotto i coglioni al Demone della Radio – il quale non aveva voglia di sporcarsi le mani poiché impegnato in un progetto… alberghiero – e quindi doveva essere tolto di mezzo. E per la prima volta Kha’Zix era riuscita a percepire di nuovo quel brivido, misurandosi contro una creatura uscita da un romanzo di Lovecraft – Rengar poteva confermarlo. Aveva letto ogni singolo suo romanzo e chiacchierato assieme a lui all’interno di un night. Alla domanda sul perché si trovasse lì all’Inferno, l’autore aveva risposto che era a causa del nome del suo gatto – e rischiando di sparire dalla faccia dell’esistenza per davvero.
E alla sua sconfitta sarebbe anche potuto tornare dopo la morte, se non avesse detto alcune particolari cose che avevano reso la donna mantide particolarmente… irritata.
Morale della favola: l’Overlord decaduto non sarebbe più tornato.
E se Rengar era impegnata a contare la cifra che le permetteva di mantenersi una delle più grandi ville di Pentagram City senza problemi, Kha’Zix era intenta a piangere disperata per aver perso le staffe ed essersi rovinata l’intrattenimento per almeno altri dieci anni.
E dunque eccola lì, a piagnucolare come un cucciolo di lupo con la zampa spelata coricata sul tavolo.
Era una scena a dir poco pietosa.
La padrona di casa sospirò “Senti… tra poco vado al Lusten a bermi qualcosa. Vestiti e accompagnami.”
L’altra non rispose subito.
“… offri tu?” mugugnò poi.
Rengar digrignò i denti “Vivi da me come un parassita. Mi tocca a prescindere pagare pure per te.”
In realtà, la sua compagnia non le dispiaceva troppo.
Era un ottimo cane da guardia ed i modi variegati con cui a volte tentava di ammazzarsi la intrattenevano.
Prima che però, stizzita, Kha’Zix potesse rispondere a tono, il telefono vintage nero alla fine del lungo tavolo squillò rimbombando per tutta la stanza. Senza dire nulla, la leonessa sbuffò e si avviò verso l’apparecchio, alzando la cornetta e portandoselo all’orecchio.
La discussione andò all’incirca così:
“Sì?”
“Uh-uh.”
“Ok.”
“Oggi?”
“Quanto?”
“Facciamo cinquantamila?”
“Vada per quarantacinque, allora.”
“Ci accorderemo bene di persona.”
Il tutto senza mutare di una virgola la propria espressione, con Kha’Zix che la studiava da sotto un braccio.
Quando Rengar posò il telefono, la guardò con gli occhi eterocromatici “Abbiamo un incarico. Vatti a dare una sistemata.”
L’altra alzò la testa di scatto, eccitata “Dobbiamo far fuori un Overlord!?”
“Per quarantacinquemila? Ma figurati…”
“Allora non vengo.” Però non riuscì a risbattere la testa sul tavolo, visto che la donna leonessa le aveva afferrato con forza le orecchie e adesso la stava trascinando con forza verso la camera da letto, sorda ai suoi lamenti.
 
Rengar, dopo essersi sistemata i lunghi capelli bianchissimi in graziosi dred, s’infilò i pantaloni larghi scuri, e poco dopo gli stivali.
Avvolse i prosperosi seni nelle bende e si mise addosso la sua immancabile giacca mimetica verde.
Quindi, dopo essersi legata i bolas comprati da poco al fianco, si voltò verso l’oggetto appoggiato contro al materasso dell’enorme letto a baldacchino: una gigantesca Claymore, dall’elsa che sembrava essere stata estratta dai resti di un vulcano esploso dopo un’eruzione, riposta in un grosso fodero similmente nero. La leonessa afferrò l’elsa e, con una delicatezza quasi sacrale, estrasse lentamente l’arma dalla sua protezione, ritrovandosi innanzi lo sguardo azzurro e dorato riflesso sulla lama bianchissima, di puro acciaio angelico. Inspirò a fondo, rinfoderando l’arma e issandosela dietro la schiena, pronta per partire.
“Oi, miss Templare” la richiamò alla realtà Kha’Zix, completamente rivestita e seduta scompostamente su una poltroncina lì vicino, le lambe di membrana che si alzavano ed abbassavano come polmoni “E’ davvero necessario fare tutta sta scena ogni volta che dobbiamo andare ad ammazzare qualcuno? Sei imbarazzante.”
L’altra si voltò verso di lei con una vena pulsante sulla fronte “ALMENO io non mi vesto da battona!”
 
[…]
 
Le due mercenarie attraversarono il lungo vialetto invaso da erbacce, rampicanti e, in qualche occasione, ossa di dubbia provenienza.
Ai loro fianchi, l’esteso e terrificante cortile di alberi morti ed erba alta, costellato di sculture funeree che Rengar non aveva avuto voglia di sistemare.
Alle loro spalle, l’immensa villa di quattro piani vittoriana, dalle pareti candide ricoperte dall’edera e dalle centinaia di finestre che ricordavano gli occhi spalancati di un colossale mostro morto. Il tetto spiovente dalle tegole dorate rifletteva la luce sanguinea del cielo di Pentagram, mandando bagliori sinistri.
Dopo essersi chiuse alle spalle il cancello di ferro nero con un catenaccio – non che ci fossero stati problemi se qualcuno avesse tentato di rubare. Rengar avrebbe trovato il ladruncolo di turno a prescindere e l’avrebbe pestato senza troppi problemi – scesero dalla collina sulla quale sorgeva la casa e, in poco tempo, furono per le strade della città infernale.
Senza troppo contare i vari aspetti delle anime dannate che abitavano l’Inferno, ovunque ti girassi, tra i palazzi più e meno decrepiti, c’era sempre e comunque lo stesso identico spettacolo: gente che spacciava, barboni, prostitute, gente che chiedeva l’elemosina; gente che rubava l’elemosina; gente rubava l’elemosina a chi chiedeva l’elemosina; gente che s’impasticcava e che rubava l’elemosina; gente di facili costumi che rubava a chi chiedeva l’elemosina; gente che bullizzava chi chiedeva l’elemosina; Kha’Zix che rubava l’elemosina e qualcuno che se ne usciva da un vicolo buio, gettando in strada un coltello inzuppato di rosso.
Insomma, era un qualsiasi sobborgo di una grande città, solo con più mostri e furry.
Dopo aver strattonato la compagna lontano da un povero Imp talmente tanto ubriaco che nemmeno si era accorto delle zampe chitinose della ladra dentro al cappellino appoggiato a terra, Rengar e Kha’Zix raggiunsero finalmente la loro destinazione.
Destinazione che, assolutamente, non ti aspetteresti mai di trovare a Pentagram City.
Che non ti aspetteresti mai di trovare all’Inferno in generale, a dire il vero.
Dietro ad un alto muretto, ricoperto di graffiti con parole che un buon cristiano non ripete nemmeno nel sonno, s’innalzava un immenso edificio di mattoni marroncini, lungo decine e decine di metri, dal tetto spiovente di tegole nere e con una facciata che ricordava quella di una chiesa, affiancata da due torrioni che puntavano verso l’alto.
Sembrava in tutto e per tutto un convento, ma se si guardava sopra al grosso portone di legno, si poteva vedere la gigantesca insegna rossa sopra la quale, a caratteri cubitali bianchi, era scritto ‘Orfanado de la Soledad’. Tra tutti i luoghi e tra tutte le persone che potevano richiedere l’aiuto di due macchine da guerra su gambe, il proprietario di un orfanotrofio infernale era decisamente l’ultimo che la donna leonessa si sarebbe mai aspettata. E considerata la gente di merda che girava per le strade della città, non poteva fare a meno di chiedersi come un edificio simile fosse ancora in piedi.
Comunque, la sua mansione non era porsi domande sul datore di lavoro, ma su chi avrebbe dovuto ammazzare in sua vece. Senza troppi discorsi, le due mercenarie superarono il cancello d’entrata, spalancato, salirono i pochi gradini che le separavano dal portone, e poi Rengar afferrò il grosso battacchio, nella bocca del leone in rilievo sul legno, e lo sbatté ripetutamente.
“Però… sfarzoso per essere un contenitore per poppanti…” commentò la mantide, incrociando le braccia chitinose.
Prima che Regnar potesse dirle di darci un taglio, il portone si aprì con un cigolio inquietante e grave, rivelando quello che probabilmente doveva essere stato il mandante della chiamata: un demone piuttosto alto, che indossava una tunica monacale nera, con tanto di collarino bianco, tanto lunga da strisciare a terra e da coprirgli i piedi. La pelle rossa s’indovinava dalle mani scoperte, le cui dita erano irte di artigli neri come la pece, e dal viso sporco di lentiggini violacee. Dai lunghi capelli bianchi che gli scendevano sulle spalle spuntavano un paio di lunghe corna da caprone, arrotolate all’indietro. L’aspetto non era tanto diverso da quello di altri demoni… se non fosse stato per il particolare della benda azzurra che gli copriva gli occhi.
Da sotto la benda, e lungo le guance, scendeva una scia non esattamente piacevole da vedere che doveva essere sangue solidificato.
Benché la presentazione per niente convincente ed inquietante del parroco lasciasse un po’ a desiderare, lo stesso accorgendosi della presenza delle due donne snudò un sorriso di denti candidi – e affilati come quelli di un lupo – e mormorò, con una voce così gentile da sembrare irreale “Oh! Le mercenarie! Non fatevi problemi, entrate pure.”
Mentre il demone si avviava verso l’interno dell’edificio, Kha’Zix si piegò appena verso la compagna, mettendosi una mano aperta a fianco della bocca per non farsi sentire “Ma come cazzo ha fatto a capire che eravamo le mercenarie se i suoi occhi hanno più perdite di-”
La leonessa le tirò uno scappellotto che le fece piegare il collo in avanti.
 
[…]
 
Padre Mendoza, così si chiamava il proprietario dell’orfanotrofio, era un uomo estremamente delizioso ed educato. Cosa ci facesse all’Inferno non sembrava dominio pubblico, ma era stato subito rapido nel dire che si trovava lì perché aveva colpa, ed era convinto che si trattava di una missione affidatagli da Dio in persona quella di prendersi cura delle piccole anime dannate giunte all’Inferno, o già nate al suo interno. Perché sì, i Demoni scopavano, e a volte davano vita a delle creature. Il più delle volte, a creature per nulla ben volute.
Inoltre, la ‘Divinità Suprema’ faceva effettivamente schifo sul punto di vista della giustizia: bambini non battezzati, o pagani, o sulla quale erano state commesse atrocità indicibili o che avevano deciso di uccidere per autodifesa, finivano tutti lì. Certo, esistevano anche le mele marce, ma non ce n’erano molte.
E sicuramente non avevano bisogno della protezione di un orfanotrofio per sopravvivere a Pentagram.
Però Rengar era sicura di non aver mai visto un orfanotrofio così ben tenuto all’Inferno.
Inoltre, il salone nella quale le aveva fatte accomodare era gremito da bambini demoniaci che giocavano allegramente ed in totale serenità, sotto la luce variopinta delle vetrate colorate. La mercenaria albina trovò ogni cosa estremamente surreale. Ed era innegabile che una scena simile scaldasse il cuore, un pochino.
Ma come da copione, lei non si trovava sicuramente lì per pensare a quanto fosse carino il fatto che persino all’Inferno qualcuno di non totalmente stronzo esistesse.
“Suppongo non siate qui per sentire questo vecchio prete che vi parla di se stesso” disse Mendoza, sempre sorridente “perciò, arriviamo subito al sodo.”
Il sorriso del prete svanì, mentre si piegava in avanti, posava i gomiti sul tavolino circolare e assumeva un’espressione serissima “Ho saputo che siete tra le migliori del vostro campo e che accettate qualsiasi tipo di somma per un lavoro fatto bene, benché si tratti puramente di eliminare un demone particolarmente potente. Mi sbaglio?”
“Non sbagli.” Rengar incrociò le gambe, accomodandosi meglio sulla poltrona rossa, mentre la sua compagna, seduta a sua volta, si guardava attorno muovendo a scatti la testa.
“Bene.” sospirò “dovete sapere che non è semplice gestire un orfanotrofio, soprattutto a Pentragram City. Ho perso il conto delle volte in cui mi sono dovuto sporcare la mani per proteggere i bambini che tengo al sicuro dietro queste mura.”
Rengar immaginava che Mendoza fosse pericoloso. La gente di Pentagram doveva aver tentato più e più volte di fare la bulla con lui, ma le condizioni dell’orfanotrofio ed il fatto che nessuno stesse lanciando uova marce contro le sue mura quando erano arrivate lì era sicuramente segno che quel demone non era solo un buon pastore come pochi se ne trovano.
Doveva essersi fatto un nome, in giro, se non come Overlord, sicuramente come qualcuno a cui non devi rompere le palle. E ringraziò il maledetto bastardo che l’aveva mandata lì sotto che Kha’Zix non avesse indagato ulteriormente su come un uomo cieco avesse percepito con così tanta facilità la presenza delle due predatrici.
Non voleva perdere un cliente perché quella pazza aveva tentato d’iniziare una rissa.
“Ma i miei occhi non arrivano ovunque…”
“AH, BUONA QUESTA!”
Kha’Zix batté il cinque al prete, che aveva alzato la mano ammiccando un sorriso.
La leonessa sbuffò spazientita.
“… dicevo, a volte non basta essere estremamente attento, per evitare che qualcuno dei tuoi protetti si faccia del male. Sono pur sempre un uomo che gestisce questo posto senza alcun aiuto, e qualche volta capita che io mi distragga…”
“Arriva al dunque.” Si vedeva lontano un miglio quanto si sentisse colpevole di quello che stava per rivelare, ma non erano lì per perdere tempo.
Mendoza sospirò rassegnato, poi guardò dritta in faccia la mercenaria “Sei dei miei bambini sono scomparsi. Sono uscito una volta per svolgere una mia… mansione, e quando sono tornato, non li ho trovati nei loro letti. Nessun segno d’infrazione. Nessuna forzatura. Sono scomparsi come se non fossero mai esistiti.” Digrignò i denti, sbattendosi una mano sulla fronte “Se solo fossi stato più attento, maledizione…”
“Frena.” Kha’Zix puntò subito le mani avanti “Tu… ci hai chiamati per una missione di… recupero di mocciosi?”
Si alzò in piedi, stizzita “MA E’ PER CASO UNO SCHERZO!?”
“Kha’Zix. Siediti.” Fece la leonessa, perentoria, senza nemmeno guardarla.
“Con tutto il dovuto rispetto: adoro i bambini, ma se questo incarico riguarda solamente il recupero di dei poppanti da un qualche pedofilo di merda, io mi chiamo fuori. Micina, puoi farcela anche senza il mio aiuto. Io me ne ritorno a deprimermi in beata solitudine.”
Rengar non tentò nemmeno di fermarla mentre si allontanava con passo pesante verso l’uscita. Uno dei ragazzini, di preciso una bambina con un vestitino azzurro, gli occhioni neri – completamente neri, come quelli di un bimbo da film horror – come i lunghi capelli e le antenne da falena, la seguì con lo sguardo e con un’espressione preoccupata.
“Lungi da me! Fosse stato questo il mio problema, me ne sarei occupato da solo” Mendoza si era seduto comodo sulla sedia, alzando le braccia con un sorrisone. Il modo in cui quell’uomo cambiava umore con così tanta facilità un po’ le ricordava l’altra sclerata con cui aveva a che fare.
Tornò tuttavia serio, guardando Rengar.
Doveva aver capito che con lei almeno poteva avere un discorso serio.
“Vedete, un semplice rapitore di bambini sarebbe entrato, avrebbe rapito un bambino o anche più di uno, e lo avrei letteralmente fatto sparire dalla faccia dell’Inferno pochi secondi dopo.” Si portò le mani sotto al mento “Questo con cui abbiamo a che fare si è comportato come una specie di spettro, senza lasciare alcuna traccia, è entrato in casa mia ed ha rapito i bambini.”
“Hai il tono di una persona che potrebbe conoscere l’identità del rapitore.”
“In realtà sono sicuro di quale sia la sua identità. Ha già tentato di convincermi di lasciargli avere alcuni dei miei piccoli per i suoi… progetti. Ma tutti gli ambasciatori che ha mandato non si trovano più da nessuna parte, adesso.” Si piegò ulteriormente in avanti  “avrai sentito parlare del Corvo Scarlatto, giusto?”
Rengar sgranò gli occhi.
“WOAH! SCUSAMI!?” Kha’Zix piovve dal cielo sopra alla poltroncina vicino a quella dell’altra mercenaria, che la guardò di sottecchi. Lo schianto fece voltare tutti i bambini verso gli adulti, ma Mendoza fece segno loro di tornare a giocare con un sorriso.
“Sei entrato in una diatriba con il ‘Wanna Be Overlord’ più famoso di Pentagram? Quello che vuole crearsi un esercito di super fedeli alla fede del suo ‘Dio Senza Nome’ per rovesciare l’Inferno e Lucifero in persona? QUEL CORVO SCARLATTO!?”
Mendoza sorrise “Sei molto preparata sull’argomento, vedo!”
“M-ma questo cambia tutto allora! Ti ho giudicato male, vecchio: il Corvo è sulla mia lista di gente che voglio combattere da quando sono all’inferno!” si coricò quasi sulla poltrona, estatica. Poi guardò con un’espressione spazientita la leonessa “Certo… ci avrei anche combattuto assieme prima, se questa qua non mi vietasse di intervenire contro avversari che non fanno parte di un contratto.”
Rengar sospirò e scosse la testa rassegnata.
“Comprendo che avrei potuto occuparmene io direttamente… ma questo demone non è una semplice anima dannata arrivata all’inferno per un overdose. Già in vita era un folle, talmente tanto da causare un suicidio di massa che al giorno d’oggi farebbe impallidire quello di Jonestown. Se io lo affrontassi e morissi, questi bambini non avrebbero più nessuno. Ed io non posso permettermi che ciò accada” guardò la leonessa negli occhi. Quella ne percepì l’animosità, benché non avesse pupille in cui specchiarsi “Vi prego di sconfiggere il Corvo e di riportare indietro i bambini. Vivi. È vi pagherò lautamente a riguardo.”
Fu Kha’Zix a rispondere per lei, alzandosi con un sorriso smagliante “Scherzi? Una battaglia contro il Corvo io la faccio anche gratuitamente.”
“Non. Succederà.” Ringhiò Rengar, mostrando i denti.
Quindi si alzò dalla poltroncina, imitata dal parroco, con cui si scambiò una portentosa stretta di mano “Ci pagherai ad incarico svolto. Se le cose dovessero andare male, non ha alcun senso lasciare così tanti soldi con un paio di cadaveri.”
Mendoza sorrise. Sembrava quasi commosso “Avevo sentito dire che voi siete le mercenarie più accondiscendenti dell’Inferno. Sapevo che sareste state ben disposte ad accettare questo incarico, anche se abbastanza banale.”
“Nah, vecchio, non sopravvaluti le nostre intenzioni.” Kha’Zix fiancheggiò Rengar da destra, passandole un braccio lungo le spalle “Adoriamo solamente ammazzare la gente, non importa chi-”
D’improvviso, la donna sentì i suoi pantaloni che venivano tirati.
Dal basso.
Kha’Zix abbassò lo sguardo, incuriosita, e lo stesso fece Rengar, vedendo la stessa bambina con gli occhi horror che prima stava spiando la scena. Teneva con una manina candida un lembo delle braghe della mercenaria e l’altra la teneva davanti alla bocca, timidamente.
“Uhm?” la mantide inarcò un sopracciglio.
“L-la riporterete indietro?” squittì la piccola, muovendo appena le antenne da falena.
“… chi?” Kha’Zix piegò la testa di lato.
“Sylvie, per favore, non disturbare le nostre ospiti.” Mormorò Mendoza, mettendo una mano sulla spalla della bimba.
Per favore, non mangiare la testa della mocciosa pensò invece Rengar, che già aveva la mano sui bolas.
“I-io e Prill abbiamo litigato… l-litighiamo sempre…” gli occhi della bimba cominciarono a riempirsi di lacrime “… m-ma io non voglio che le succeda qualcosa di brutto! Ho detto che vorrei che finisca sotto un camion, ma non intendevo davvero!”
Alla faccia! Ripensò Rengar, portandosi una mano sotto al mento.
“S-signora mantide, la prego…” la ragazzina strinse di più i pantaloni della mercenaria, stropicciandoli tutti, cominciando a piangere sul serio “… s-se lei è così forte… deve salvarla! E’ la mia migliore amica! L-la prego…”
Kha’Zix non disse una parola, si limitò a guardare quella cosina tutta lacrime che adesso aveva appoggiato la testa sulla sua gamba, singhiozzando.
Senza alcun preavviso poi, si abbassò sulle ginocchia, facendo allontanare Sylvie.
Qundi, sollevò un braccio chitinoso.
Rengar inarcò un sopracciglio, quando la compagna posò la mano sul capo della bimba carezzandola con una dolcezza di cui non la credeva capace nemmeno per mezzo secondo.
“Mocciosa, ti posso garantire che davanti ai tuoi occhi hai le predatrici più pericolose di tutto l’Inferno.” disse la donna, con un sorriso smagliante “Ancora prima che tu possa sbattere le palpebre, la tua amichetta sarà di nuovo qua davanti a te.” Puntò il dito alle sue spalle “Anche io litigo con questa faccia da cazzo un sacco di volte, ma questo non vuol dire che non siamo amiche!”
“D-davvero?” la bimba sgranò gli occhioni.
“Certo! Ehi, non pensare di essere una brutta persona se dici cose brutte quando sei incazzata. Se però la cosa ti turba, ti garantisco che presto potrai chiedere scusa alla tua amica di persona.”
E Rengar sgranò gli occhi.
Non era stato il loro arrivo all’Inferno.
Non era stata la loro metamorfosi in creature che non dovrebbero esistere in natura.
No… la cosa che la sconvolse di più, fu quel sorriso inspiegabilmente genuino e dolce e quello sguardo ricolmo d’istinto materno che si dipinse sul volto della sua psicopatica coinquilina mentre cercava di consolare la ragazzina.
… dunque ci sono diverse cose che ancora non conosco su di te, uh?
Sylvie, dal canto suo, sorrise timidamente.
“S-signora mantide…”
“Dimmi.”
“Cosa vuol dire faccia da cazzo?” domandò innocentemente la bimba, con un dito sulla boccuccia.
Silenzio di tomba.
Per pochi secondi.
“Oh, è un modo di dire!” Kha’Zix chiuse gli occhi e alzò un dito verso l’alto, pronta a spiegare “Vedi-AHIA!”
“Qua abbiamo finito…” Rengar la tirò per le antenne, imbarazzata.


E DOPO MILLENNI... ecco che ritorno a pubblicare. Credo... credo di aver passato uno dei più terribili ed agghiaccianti blocchi dello scrittore che io abbia mai provato.
Dovuto un po' a pigrizia, un po' a giochi che non dovrei nominare sennò ho paura che un porca puttana di ciccione fatto di tronco spawni in giardino, ed un po' per paturnie completamente mie. Ma ora ho deciso di seguire, innanzitutto, il consiglio dell'UOMO che più in assoluto mi ha dato man forte su efp, e che ora è annichilito dalla pigrizia a sua volta (hang on buddy, we're coming for you) di creare una storia decisamente meno lunga - saranno tre capitoli di dubbia durata - giusto per sbloccare questa angoscia che mi sta consumando da dentro del non riuscire più nemmeno a pubblicare mezza sillaba.
Quindi ti ringrazio, Ghostro. Passerò sicuramente a Raidarti, ma domani.
Ed in secondo luogo, devo ringraziare in assoluto Manu per avermi dato la possibilità di creare un piccolo spin off sulla sua incredibile fic di Hazbin Hotel.
A chiunque sia giunto alla fine di sto capitolo vi prego, VI PREGO andate a leggervi Radioactive (1 e 2), merita mooooolte più recensioni e praises di quante ne abbia. Io ringrazio chinque sia arrivato fin qui! E ci vediamo al prossimo capitolo, che giuro non ci metterà due anni ad uscire!
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(Son tre capitoli, quanto potrà andar male la cosa...?) ultime parole famose
   
 
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