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Autore: Soul of Paper    29/05/2022    4 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 71 - I Calogiuri


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.


“Avanti!”

 

Non sapeva se sperasse o temesse di più di vedere spuntare due occhi azzurri ed una chioma bionda.

 

“Conti?” chiese, invece, stupito, trovandosi davanti il maresciallo, tornato in procura dopo un periodo di ferie caldamente consigliategli.

 

“Dottore io-”

 

“Pronto a riprendere servizio?” gli chiese, e vedendolo in difficoltà lo rassicurò, “stia tranquillo, ho già parlato del suo caso con l’Arma e, considerato il suo aiuto nello smascherare Santoro non avrà conseguenze disciplinari. Inoltre né io né la dottoressa Ferrari abbiamo intenzione di iscriverla nel registro degli indagati, quindi-”

 

“Queste sono le mie dimissioni.”

 

Una lettera schiaffata sulla scrivania lo prese in contropiede.


“Che cosa? Dimissioni? Ma intende…” esordì, aprendo la busta e leggendo il testo, “vuole congedarsi dall’Arma? Ma è impazzito?!”

 

“No, dottore. Ho disonorato la divisa che porto e non mi merito più di fare questo lavoro.”

 

“Conti, non prenda decisioni affrettate. Al limite può sempre chiedere l’aspettativa. Ha sbagliato, è vero, ma ci ha anche aiutati e-”

 

“Non mi farà cambiare idea, dottore. Ci ho pensato tanto in questi giorni e questa è la mia decisione.”

 

“Senta, Conti, facciamo così, lei ora se ne va al bar qua sotto, si prende un caffè, anzi, magari una camomilla, e poi la faccio chiamare io, va bene? E non si azzardi ad andare via o sul provvedimento disciplinare potrei cambiare idea.”

 

Conti sospirò, ma si limitò ad annuire e ad uscire.


Sembrava un palloncino sgonfio. Per carità, Conti non era mai stato esattamente il prototipo di carabiniere Rambo e non avrebbe mai potuto fare il bersagliere, ma così non lo aveva mai visto.

 

E quindi prese il telefono e selezionò un numero interno ormai fin troppo familiare.


“Dottore? Ha bisogno di me?”

 

“Sì, Mariani. Può venire subito nel mio ufficio?”

 

“Certo!”

 

L’entusiasmo in quella sola parola gli causò una fitta al cuore ed una allo stomaco. Una parte di lui ne era felice, felicissimo, l’altra ne aveva una paura tremenda, perché non andava bene, per niente.

 

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“Dottore, mi dica.”

 

Non poté evitare di entrare nell’ufficio di Mancini sorridendo: negli ultimi giorni le era sembrato che la stesse evitando, ma forse era veramente solo stato molto impegnato ed era stata tutta una sua suggestione.


E la verità era che le era mancato lavorare con lui, ma anche solo quelle quattro chiacchiere che si facevano nei momenti morti, o i pranzi allo zozzone del parco.

 

Il sorriso però le si congelò quando notò l’espressione di lui, o meglio la non espressione di lui, che sembrava una statua.

 

“Mariani, l’ho fatta chiamare perché è appena tornato Conti e-”

 

“E pensa che sia da tenere ancora d’occhio?”

 

“Se mi fa parlare, Mariani,” rispose, in un modo un po’ brusco che fu un mezzo schiaffo: era vero che non avrebbe dovuto interromperlo, per una questione di ruoli, ma ultimamente avevano preso più confidenza e non si era mai irritato se lei usciva dal protocollo.

 

“Dicevo, è tornato e mi ha rassegnato le sue dimissioni. Vuole chiedere il congedo dall’Arma. Ho provato a parlargli ma dubito mi ascolti, potrebbe provarci lei? Ora dovrebbe essere giù al bar, se non ha trasgredito all’ordine che gli ho dato.”

 

Alla preoccupazione per lo strano comportamento di Mancini, si sostituì quella per Conti. E poi… che avesse subito pensato a far intervenire lei era un segno di fiducia.

 

“Va bene, dottore. Vado e le faccio sapere,” rispose, non perdendo altro tempo in convenevoli, non che Conti se ne andasse sul serio, ed uscì dall’ufficio.

 

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“Si può sapere che stai combinando?”

 

Vide gli occhi di Conti alzarsi ancora prima del “Chiara…” sospirato che gli uscì dalle labbra.

 

Si sedette di fronte a lui, senza dargli modo di obiettare.


“Ti manda Mancini, immagino?” le chiese, scompigliandosi i capelli e chiudendo e riaprendo le palpebre pesantemente cerchiate, “ma tanto non cambio idea.”

 

“Ma dimmi te che senso ha prendere una decisione così in questo modo? D’impulso! L’Arma è sempre stata la tua vita. Hai sbagliato, è vero, ma hai anche rimediato e-”

 

“Ma se non avessi rimediato? Se non lo aveste scoperto voi di Santoro io… io non avrei mai avuto il coraggio di dire niente. Anche quando ho iniziato ad avere qualche sospetto ho taciuto e… non mi merito la divisa che porto. Non sono stato fedele né a lei, né a voi, né ai principi che credevo di avere e…e poi non sono molto bravo a giudicare le persone, evidentemente, e per uno che fa il mio lavoro-”

 

“Può succedere, non siamo mica infallibili! E allora che dovrei dire io, eh? Con… insomma lo sai cosa pensavo di Santoro, no? Che dovrei fare? Cambiare continente per dimenticarmi di essermi… altro che fidata di lui?”

 

Sentì le guance calde, mentre le parole le uscivano quasi senza rendersene conto, come se per la prima volta le ammettesse anche a se stessa.

 

“Non è la stessa cosa e… anzi… tu, nonostante tutto, hai saputo cambiare idea per tempo. Io no. Tu non sei come me, Mariani, tu gli amici non li hai mai traditi, non è vero? Anche Calogiuri… anche nel momento peggiore non lo hai mai mollato. Io non sono come te, non ci riesco, e non sarò mai come te, come voi. Quindi è meglio se mi congedo, prima di fare altri danni. E ora, se vuoi scusarmi, Mancini mi perdonerà per aver trasgredito all’ordine, tanto non è più il mio capo.”

 

Lo vide alzarsi di scatto e fece per bloccarlo per il polso, ma lui lo strattonò via con tale forza da dare una gomitata alla tazza che c’era sul tavolino.

 

Il rumore portò tutti a girarsi verso di loro e Conti ne approfittò per darsela a gambe, mentre lei rimase lì ferma.

 

Non sarebbe servito a niente parlargli in quel momento, se non a causare una piazzata ed ulteriori imbarazzi a Conti. Forse non sarebbe mai servito.

 

Non l’avrebbe mai ascoltata, non era lei che poteva fargli cambiare idea.

 

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“Convocare il maresciallo? Ma ha il corso da ufficiali e sa benissimo anche lei quante lezioni ha già perso.”

 

“Non dico di convocarlo qua in procura ma che vada a parlare con Conti sì, anche fuori dalla procura, anzi forse sarebbe pure meglio. Mi creda, dottore, se c’è una persona che può convincerlo è lui e solo lui. Questa cosa è iniziata tra loro e tra loro deve finire. E non solo da… dall’arresto di Santoro, ma dai tempi di Milano.”

 

Vide Mancini sospirare, uno sguardo per un attimo indecifrabile, ma poi le fece un lieve sorriso.

 

“Ha ragione, Mariani, ma è che… provo un po’ di imbarazzo a sottrarre io il maresciallo ai suoi studi, per motivi che lei può ben immaginare. Ci pensa lei?”

 

Si accorse di stare sorridendo a ottocento denti solo dopo averlo fatto, annuì vigorosamente, felice della fiducia che le era di nuovo stata data - anche se era pure un modo per Mancini di levarsi le castagne dal fuoco - prese il cellulare e selezionò il contatto di Calogiuri.

 

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“E quindi in una situazione di questo tipo, con le porte tutte sbarrate, come procedereste? Calogiuri, perché non me lo dice lei? So che non potrà essere ancora al passo con le lezioni, ma questo è un caso pratico ed è giusto che cominci a mettersi alla prova.”

 

Si alzò in piedi quando l’istruttore si rivolse a lui e sentì un po’ di commenti e bisbiglii delle persone intorno, tra cui un qualcosa che suonava molto come dottoressa e, per fortuna loro, non aveva capito bene che altro avevano da dire su di lui o su Imma.

 

Come minimo l’ennesima battuta sul fatto che fosse raccomandato e protetto dalle sottane della dottoressa.

 

Che poi… lui con le sottane di Imma… altro che protezione!

 

No, non doveva pensare a quello, non dopo tutte le notti mezze in bianco dovute ad un certo adorabile piccoletto che voleva quasi sempre solo lei - e mica scemo! - e che non dava loro modo di dedicarsi ad altro genere di attività. E non per la gioia di Ottavia, che forse tutto sommato stava quasi rimpiangendo i momenti vietati ai minori, anche se mai come li stava rimpiangendo lui.

 

“Allora, Calogiuri?”

 

Si ridestò da quei pensieri e cominciò ad analizzare la situazione, “con le porte sbarrate il rischio di un’azione diretta è molto grande. Anche perché i sospettati, per come hanno proceduto fino a qua, non sembrano dei veri professionisti o sarebbero già fuggiti, invece di sbarrare anche le possibili vie di fuga ed iniziare uno stallo che non finisce quasi mai bene per loro. Formerei tre squadre: una con lo psicologo ed una delle sottoposte, la più abile nel parlamentare, per distrarre i rapitori. Successivamente, invierei una squadra da un lato a creare una seconda distrazione, quando necessario, e che siano pronti a sfondare una delle porte quando si potrà. Infine l’ultima squadra, con le persone più esperte nell’arrampicata, li farei andare sul tetto, passando dal capannone vicino, più alto, creando un sistema di carrucole e calandosi silenziosamente. Manderei in avanscoperta un solo uomo, per fissare la carrucola, facendolo arrampicare alla parete dall’angolo in fondo a sinistra, il meno visibile, specie a quell’orario, in cui chi è nel capannone, se guardasse fuori in quella direzione, avrà il sole negli occhi, trovandosi verso ovest. A quel punto, farei intervenire gli uomini sul tetto passando dalla canna fumaria e, una volta dentro, dopo aver individuato ostaggi e rapitori, farei loro lanciare dei fumogeni e poi farei intervenire anche il resto della squadra sfondando la porta laterale, che per la conformazione mi pare quella più difficile da sbarrare. In questo modo saranno accerchiati e poi-”

 

Sentì una vibrazione del cellulare e la ignorò.

 

Ma continuava e continuava, e pure quando smise ricominciò dopo poco.

 

“E poi? Fin qua mi sembra una discreta strategia, Calogiuri. Come concluderebbe l’operazione?”

 

“Una telefonata.”

 

“Farebbe una telefonata? E a chi?”

 

“No, signor tenente. Volevo dire che… mi continua a squillare il telefono e…” aggiunse, sbirciando il nome di Mariani, da un lato sollevato che non fosse Imma, dall’altro preoccupato perché non lo disturbava mai nell’orario di lavoro, “e… è la procura di Roma. Non mi chiamerebbero mai se….”

 

“Va bene, maresciallo, può uscire e rispondere. Mi dica solo come avrebbe concluso l’operazione e la lascio andare.”

 

“Una volta messa in sicurezza la struttura avrei fatto entrare i paramedici. Prima per gli ostaggi e successivamente per i rapitori, salvo evidenti casi di crisi respiratorie provocate dai fumogeni, alle quali farei dare la precedenza. Ospedale e supporto psicologico per le vittime, ospedale ed interrogatorio per i sospettati, tenuti separati in modo che non possano confrontarsi sulle versioni da dare. Ovviamente in coordinamento con il magistrato competente e-”

 

Sentì un “ovviamente!” sarcastico da qualche fila dietro la sua.

 

Lo aveva sentito pure l’istruttore, tanto che si produsse in un “silenzio! Calogiuri, ci sono delle cose da rivedere ma in generale mi sembra un buon piano d’azione, soprattutto considerando che non ha potuto partecipare a così tante lezioni e che ha avuto poco tempo per svilupparlo. C’è una certa attitudine alla strategia ed al comando in lei che andrà affinata con lo studio e l’impegno delle prossime settimane. Ora vada a rispondere e, se non è nulla di urgente, rientri subito. Sa che non può saltare molte altre lezioni.”

 

“Ai comandi!” rispose, trattenendo a stento un sorriso prima di correre fuori e di esclamare un “pronto?” un po’ concitato.


“Scusa se ti disturbo ma… Conti vuole lasciare l’Arma. Ho provato a parlargli ma darà retta solo a te, se ti dà retta. Puoi andare con urgenza da lui? Ho paura che… che se se ne va dalla caserma… chissà quando lo rintracciamo e… non vorrei che facesse qualcosa di stupido.”

 

“Chiara…” sospirò, quasi senza fiato, mentre il viso di Conti gli si parava davanti e provava rabbia, rimpianto e pena, tutte insieme.

 

Non solo per lui ma per come era andato a finire il loro rapporto.

 

“Sei sicura che mi ascolterebbe? Lo sai come stanno le cose tra noi, no?”

 

“Proprio per questo è necessario che vi chiarite tra voi. Per favore, Ippazio, sono preoccupata.”

 

“Se mi chiami così però non vale,” ironizzò, perché non lo faceva quasi mai ed il modo in cui lo diceva lo inteneriva molto, “va bene, vado subito in caserma e se non è lì… hai un’idea di dove potrebbe essere? Non ci siamo frequentati molto ultimamente, come sai.”

 

“So che va spesso a correre sul Tevere, sull’argine, dove mettono le bancarelle d’estate.”

 

“Va bene. Ci provo, ma non garantisco niente.”

 

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Stava osservando come procedeva il ragù, che voleva fare una sorpresa a Calogiuri, che poraccio, ultimamente tra il corso, lei che lo tormentava con lo studio la sera ed un certo piccolotto che ogni tot ore si svegliava reclamando cibo-

 

Uno strillo seguito da dei pianti disperati la portò a domandarsi se c’avesse il radar pure lui.

 

Mise al minimo il ragù e si avviò verso il salotto dove lo aveva lasciato nel suo ovetto a dormire, preceduta da Ottavia che la guardava in un modo per la serie lo avete voluto voi, mo fallo smettere o vi sfiletto tutti!

 

Con un sospiro, lo prese in braccio e Francesco smise immediatamente di emettere qualsiasi suono, la guardò con quei suoi occhioni e le fece un sorriso con solo i primi denti che iniziavano a spuntare e che non aiutavano di certo il pianto.

 

Mannaggia a te, che mi freghi sempre, come Calogiù! - pensò, mentre si metteva addosso il marsupio che Calogiuri le aveva comprato, in modo da poter tenere Francesco appiccicato, come voleva lui, ma allo stesso tempo non sfondarsi le braccia e riuscire a fare qualcosa durante il giorno.

 

Calogiuri era proprio il papà fantastico che si era sempre aspettata: era il primo a svegliarsi quando Francesco piangeva e, non fosse stato altro che il bimbo voleva solo lei, se ne sarebbe occupato lui lasciandola dormire, nonostante tutti gli impegni. Ma pure così stava sveglio, abbracciandola per farle compagnia, o le portava latte caldo e spuntini, o le faceva dei meravigliosi massaggi a schiena e spalle.

 

Il solo pensiero le scatenò ben altro tipo di fame che quella per il ragù. Dopo l’overdose da recupero, le ultime sere erano state di un bianco monacale. Ma avrebbe rimediato, quanto era vero che si chiamava Imma Tataranni!

 

Sempre se Francesco non si gettava da solo nel ragù bollente prima, buongustaio com’era.

 

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Ad un passo da jogging, il fiato un po’ corto, stava percorrendo l’argine, visto che in moto sarebbe stato impossibile.

 

Conti ovviamente non era in caserma, ma non solo, non era nemmeno nella zona indicata da Mariani.

 

Nella scelta tra andare verso sud o verso nord, aveva optato per la seconda ipotesi: era zona di canoe e canottieri ma a quell’orario in settimana ci sarebbe stato poco o niente. E le sponde erano più deserte che verso sud, dove ci stava Trastevere e tutto il centro storico.

 

Avrebbe dovuto ricominciare ad allenarsi di più nella corsa, ora che il fisico finalmente si era ripreso quasi del tutto, almeno come peso.

 

Proseguì senza sosta, superando l’ennesima scaffalatura piena di canoe impilate, chiedendosi se avesse senso o se chissà Conti a quell’ora dove stava, spingendosi sempre più a nord.

 

Ad un certo punto, mentre l’argine si faceva gradualmente naturale, sterrato, e riconosceva in lontananza la zona di un piccolo aeroporto destinato principalmente a voli privati e, se non ricordava male, quella del Tufello, notò, a qualche centinaio di metri di distanza, in cima ad un ponte, una singola figura vestita di nero.

 

Si mise a correre più veloce che poteva e riconobbe proprio Conti, che stava appoggiato al parapetto e guardava l’acqua sottostante in un modo che non gli piaceva.

 

Si sbrigò a raggiungere la zona asfaltata e a salire sul ponte. Il rumore dei passi sull’asfalto riscosse Conti da quella specie di ipnosi in cui sembrava essere stato rapito ed i loro sguardi si incontrarono.

 

Lo vide tendersi e stringere più forte le mani al parapetto, mentre pronunciava un secco, “che ci fai qui?”

 

“Potrei chiedere lo stesso a te, Conti. Che ci fai qua? Vieni con me, che ci facciamo due chiacchiere.”

 

“Ti hanno mandato Mancini e Mariani, eh? Per farmi il discorsetto. Faccio pietà a tutti, vero?”

 

C’era una disperazione, un’amarezza che erano più uno schiaffo del vento che mulinava sul ponte.

 

Ed era tutto terribilmente familiare.

 

“Conti…” sospirò, scuotendo il capo, “sai che c’è? C’è che mi sembri me qualche mese fa. Pure io mi ero convinto di fare pietà e pena a tutti. O meglio, a quei pochi che non mi odiavano. Ma alla fine… ho capito che se chiedi aiuto la gente ti tende una mano. Non tutti, ma chi ci tiene a te sì. E… lo so che i nostri rapporti da un po’ erano quello che erano ma… io alla nostra amicizia ci tenevo veramente. Ci tengo veramente.”

 

Conti rimase per un attimo immobile, il viso che gli crollò in una smorfia di disperazione.


“Come… come fai a parlare di amicizia dopo tutto quello che ti ho fatto?”

 

“Dai, andiamo a farci un giro, che da qua al centro città è lunga. Così parliamo un po’. Poi, se non mi vorrai sentire, prometto che me ne vado e che non ti disturberò più.”

 

Conti sospirò e con un “tanto lo so di non avere scelta, che quando ti metti in testa una cosa non molli…” e le mani in tasca, si avviò con lui giù dal ponte e sullo sterrato, iniziando a camminare lentamente verso la città antica.


“Senti, Conti, parliamoci chiaramente. Ultimamente hai sbagliato, è vero, ed in alcuni momenti ti avrei strozzato volentieri, come tu mi avresti strozzato volentieri a me, ma… al di là di tutto, lo so che sei un bravissimo maresciallo e che, soprattutto, sei una persona onesta. Ed è anche per quel senso di onestà che hai sentito tradito che… che hai sbagliato. Pensavi che mi stessero proteggendo, che mi stessero coprendo e-”

 

“E non è solo quello!”

 

Si bloccò bruscamente, non soltanto per il tono disperato, ma perché lo aveva fatto anche Conti. 

 

Provò ad incrociare il suo sguardo ma l’altro maresciallo lo teneva fisso a terra. Lo vide afferrare un sasso, piccolo e liscio e, mentre per una frazione di secondo si preparò a difendersi dal beccarselo in testa, Conti invece lo lanciò nell’acqua, dove affondò sollevando un fiotto d’acqua limacciosa.

 

“Non è stato solo per quello…” ripeté Conti, ma stavolta più tranquillo, anzi, rassegnato, sebbene teneva sempre la testa bassa, guardando dritto verso il fiume, “la verità… la verità è che… che ce l’avevo con te perché… perché ero invidioso. Non è facile reggere il confronto con uno come te.”

 

Per la prima volta, Conti si voltò a guardarlo e negli occhi c’era vergogna, rabbia, dolore, tutto insieme, “il maresciallo Calogiuri. Così bello, così alto, che tutte le donne lo vogliono. E poi pure intelligente, che risolve tutti i casi, che si prende tutti gli incarichi più importanti. Mi sono sempre sentito inferiore a te e… e forse per questo volevo credere che… in realtà tutto quello che tu avevi e io no era solo perché eri immanicato, perché eri bello e le dottoresse stravedevano per te. Ma invece… invece tu sei bravo davvero, tanto che tra poco sarai capitano, e te lo meriti, mentre io invece resterò sempre un povero maresciallo e quindi tra poco sarò inferiore a te pure di grado. E me lo merito. Anzi, non mi merito nemmeno i gradi che c’ho.”

 

Rimase per un attimo senza parole perché… perché non avrebbe mai pensato di poter suscitare non solo invidia ma perfino senso di inferiorità in qualcuno. Se pensava al ragazzo che aveva lasciato Grottaminarda, convinto di non valere niente… gli sembrava assurdo ora, tutto quanto.

 

“Lo sai che invece… quando sono arrivato qua a Roma da Matera, per il corso, ma… ma anche poi dopo, per prendere servizio in procura… mi sentivo io come… come un pesce fuor d’acqua. Sempre sbagliato, sempre meno capace. Ammiravo così tanto te e Mariani, la vostra sicurezza e la vostra professionalità. E comunque… e comunque con Imma… va beh, oltre alla fiducia professionale c’è anche quella personale e umana, è vero, ma con Irene… guarda che lei stimava molto anche a te, solo che… il fatto che non ti ricambiasse da quel punto di vista, mentre con me siamo diventati amici, non vuol dire che sia così con tutte le donne, anzi. E pure sul lavoro, basta impegnarsi e studiare: se ce l’ha fatta un ciuccio come me a superare il concorso, di sicuro puoi farcela pure tu, che nello studio fatichi assai meno di me. Però ci devi provare almeno: finché non ci provi non lo sai come va.”

 

Conti, per tutta risposta, fece una risata, amara.

 

“La sai la verità? Io quel concorso non l’ho fatto perché sapevo benissimo che non sarei mai stato al tuo livello, pure se lo avessi passato. In tutti i sensi. Tu hai un intuito, una capacità naturale di piacere alle persone che… che io non ho e per quelli lo studio serve a poco. E comunque… ormai dopo tutto quello che ho combinato… altro che capitano. Mi sentirei di sporcare la divisa e-”

 

“E a parte che tanto non la portiamo mai…” provò a intervenire, per cercare di alleggerire l’atmosfera, ma Conti fece solo un altro sorriso triste.

 

“Già… ma… ma per colpa mia non solo ci stavi per andare di mezzo tu ma… la Russo è quasi morta, c’è un bimbo che è orfano e… e quegli stronzi stavano per vincere. Ho sbagliato tutto e-”

 

“E c’era una canzone che sentiva sempre la buonanima di mia nonna che diceva ho sbagliato una volta e non sbaglio più. E secondo me c’aveva ragione: proprio perché hai sbagliato mo, così tanto, da ora in poi non farai altri errori e sarai molto più attento, anzi, attentissimo. Un po’ come me con… con la storia di Melita. Penso che non mi avvicinerò mai più da solo a nessuno collegato ai casi, in servizio o fuori. In questi mesi ho toccato il fondo pure io ma… ma poi quando risali, la botta che hai preso ti dà una forza che… che non pensavi di avere. E ti fa capire tante cose. Quello che conta veramente e gli errori da non ripetere. E per questo secondo me da ora in avanti sarai un maresciallo ancora migliore di quello che sei stato. Perché sbagliare è normale, è impossibile non sbagliare mai - tranne forse se sei Imma. E finché non ti succede, rischi di combinare un sacco di casini, nella convinzione di stare sempre nel giusto. Ma è come ti rialzi dopo aver sbagliato che dice che persona sei veramente. Quindi se molli adesso, allora sì che non te lo perdonerò mai e che perderai la stima che ho di te. Mo ce ne torniamo in caserma e da domani torni in servizio, che già io per un po’ non ci posso stare, e dimostri a tutti chi è il maresciallo Conti e quanto vali.”

 

Fece appena in tempo ad udire una specie di singhiozzo strozzato, che gli ricordò Francesco quando gli andava qualcosa di traverso, e si trovò stritolato in un abbraccio - che per fortuna non era più malconcio come qualche tempo prima, così riuscì a ricambiarlo senza farsi levare il fiato.

 

“Invidio molto chi ti avrà come comandante. Sarai un capitano perfetto e… e se non diventi generale, prima o poi, sarai tu a sentirmi.”

 

“Sì, mo, generale, addirittura! Per intanto devo passare questo corso, poi un passo alla volta ci pensiamo e-”

 

Si beccò un colpo sulla spalla che gli fece male più di quanto avrebbe dovuto: no, doveva decisamente allenarsi e molto seriamente.

 

“Calogiuri, dico sul serio. Hai… hai una capacità con le persone che… che pochissimi hanno. Sapresti convincere un pinguino a seguirti nel deserto. Quindi io darò il massimo, ma anche tu, perché se non fai strada tu, tra di noi, non la farà nessuno. E un giorno, sempre se trovo qualcuna che mi sopporta, voglio poter dire ai miei nipoti che il loro nonno era amico del generale Calogiuri.”

 

“Cosa che di sicuro ai tuoi nipoti interesserà moltissimo…” ironizzò, sebbene la voce gli si spezzò un poco: in quei momenti capiva Imma, il suo schernirsi con l’umorismo.

 

Come generale non ci si vedeva proprio, gli sembrava una cosa così lontana da lui. Però, per rendere orgoglioso se stesso, per rendere orgogliosa Imma, la loro famiglia e sì, pure Conti, ce l’avrebbe messa tutta per andare più avanti possibile.


E, soprattutto, per farlo senza tradire mai i suoi principi.

 

“Dai, rientriamo mo. Che tra un po’ qua viene fresco e, se rientro troppo tardi, ci mando te a sentirti Imma al posto mio.”

 

“Chi arriva per ultimo paga all’altro una birra una sera di queste?” rise Conti, cominciando a correre avanti a lui, costringendolo a faticare per tenere il passo.

 

“Per come è la mia vita mo, Conti, diciamo una bella colazione con un caffè triplo, che forse è meglio.”

 

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“Lo sapevo! Lo sapevo che ce l’avresti fatta! Allora riprende servizio domani? Sì, dopo in caserma sente pure a me. Grazie, Ippà, sei il migliore!”

 

Due occhi azzurri trionfanti per poco non lo abbagliarono: Mariani era felice e sollevata come raramente l’aveva mai vista e, di nuovo, quel sorriso fu contagioso.

 

“Intuisco che sia andato tutto bene?”

 

“Sì, dottore, come avrà sentito Conti ritorna domani, e stavolta niente scherzi, a costo di portarcelo io a forza domattina.”

 

Gli venne da ridere perché non dubitava affatto che Mariani ne sarebbe stata capace, anzi.

 

Ma poi, dopo un attimo, il riso finì e calò un silenzio un poco imbarazzato, finché Mariani non pronunciò quelle parole che gli provocarono un nodo allo stomaco, “visto che ormai è tardi e… e oggi di lavoro ne abbiamo combinato poco e dovremo stare ancora qui, che ne dice se ci andassimo a prendere un panino al parco? Ormai la sua digestione dovrebbe essersi abbastanza ripresa, dottore, dopo questo periodo di pausa.”

 

C’erano così tanti sottotesti in quella frase, o forse era solo lui che li percepiva, ma no, Mariani aveva notato il loro allontanamento degli ultimi tempi, anche se sapeva come porre il tutto in modo molto discreto.

 

E però… e però tra il nodo allo stomaco e… e tutto il resto… un panino, oltretutto in orario ormai serale, sarebbe stato decisamente troppo pericoloso per lui. In tutti i sensi.

 

“La ringrazio, Mariani, ma… in realtà proprio perché sono indietro penso di proseguire qui e… al limite mi farò portare qualcosa se proprio ne sento la necessità. Lei invece vada pure: con tutto quello che ha fatto oggi, si è meritata una serata tranquilla. E poi così potrà anche parlare meglio con Conti.”

 

Il sorriso di Mariani le si congelò sul viso. La vide chiaramente deglutire un paio di volte prima di annuire e voltarsi.

 

Ma, quando fu quasi giunta alla porta e lui stava per esalare il fiato che stava trattenendo, sentì il rumore di tacchi sul parquet e la vide fare un dietrofront da manuale.

 

“Ha bisogno ancora di qualcosa, Mariani?”

 

“In realtà sì, dottore,” rispose, scimiottando il suo tono professionale, “avrei bisogno di capire cosa sta succedendo. Come mai ultimamente mi evita e lavora con tutti tranne che con me. A parte oggi e quando è necessario per il maxiprocesso. Se ho fatto qualcosa che non va, io-”

 

“No, no,” la interruppe, perché, dopo il sarcasmo, aveva percepito chiaramente quanto Mariani fosse ferita.

 

E no, non era colpa di Mariani se lui era un imbecille e ultimamente sembrava avere il pallino per fissarsi sulle persone sbagliate. Come nel caso di Mariani, per la quale non avrebbe potuto essere più sbagliato di così.

 

“Lei non ha fatto nulla di sbagliato, Mariani, anzi, ma… ma mi sono reso conto di essermi appoggiato troppo a lei negli ultimi mesi e che non è giusto, soprattutto per lei e per il suo lavoro qua e pure in futuro.”

 

“Anche io mi sono… appoggiata a lei, dottore, e non mi pare che questo mi abbia creato problemi, anzi. Sono molto felice del lavoro che abbiamo fatto insieme e mi piace lavorare con lei e-”

 

“E pure a me, Mariani. Ma… ma sono un suo superiore e questo può crearle molti problemi se… se proseguissimo su questa strada. Le voci in procura sono tremende e… ha visto cosa è successo col maresciallo Calogiuri, no? E non voglio rischiare di danneggiarla, che ha tutta una carriera davanti a lei e-”


“E non mi pare che con qualcun'altra se li sia fatti tutti questi problemi, dottore, anzi. Lì altro che… appoggiarsi ma-”

 

“Ma appunto per questo non voglio ripetere gli stessi errori con lei, Mariani, che è pure in una posizione assai più vulnerabile e…e  più sbilanciata rispetto a me. Non voglio più mettermi in imbarazzo, né mettere in imbarazzo nessuno e-”

 

“E se fossi stata a disagio o in imbarazzo glielo avrei detto, dottore, e glielo direi pure se capitasse in futuro. Con le parole e con i fatti. Ma la verità è che quello a disagio è lei, che chi ha paura qua è lei e non sono io, o forse… o forse a differenza che con la dottoressa, certi… appoggi con me non li desidera. O forse il problema è che… che a differenza della dottoressa, magari con me potrebbe finire diversamente e… non avrebbe più un alibi per non avvicinarsi veramente a qualcuno, per non farsi conoscere veramente da qualcuno. Senza tutte le pose da gentiluomo da manuale che, francamente, non ne ha bisogno. Anzi, sarebbero pure un po’ da aggiornare come repertorio. Ma è più facile così, no? Che mettersi in gioco per quello che si è realmente. Invece io il coraggio ce l’ho, quindi non mi dica che lo fa per proteggere me, perché io mi difendo benissimo da sola, grazie.”

 

E, con un altro stridore di tacchi, era sparita dietro la porta.

 

Non l’aveva nemmeno sbattuta, no: un autocontrollo da manuale ed un coraggio da leonessa.

 

Il nodo allo stomaco si intensificò insieme a una strana sensazione al petto, opprimente ma anche dolce.

 

Mariani era una donna incredibile e dire che fosse impressionato da lei era dire poco.

 

La verità era che lui non era alla sua altezza e… e tutto quello che gli aveva detto… lo aveva colpito in pieno. Colpito e affondato.

 

Ma non era certo di riuscire ad avere altrettanto coraggio, non più, non alla sua età e con tutto quello che aveva passato. E proprio per quello, probabilmente, non se la sarebbe mai meritata una come Mariani.

 

Anche se, mai come in quel momento, lo avrebbe tanto desiderato.

 

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Grrrrrr

 

“Eh lo so, Ottà,” sospirò, guardando la micia che, stavolta, non aveva colpa del ruggito, anzi: era il suo stomaco che protestava così rumorosamente.

 

Ottavia stava fissando con estrema concupiscenza la pasta al forno con ragù e polpettine, uno dei suoi piatti forti preferiti da Calogiuri, ormai sicuramente gelida, lì in mezzo alla tavola.

 

L’orologio da parete zebrato segnava quasi le ventidue e di Calogiuri ancora nessuna traccia.

 

Ma nonostante la fame, i ruggiti allo stomaco e nonostante tutto, avrebbe aspettato che arrivasse, fosse solo per fargli un cazziatone per non averla avvertita del ritardo. Che per carità ci poteva pure stare, anzi, che dovevano venire da lei a parlarle di emergenze? Lei che per anni aveva vissuto di cibo riscaldato, durante il matrimonio con Pietro soprattutto. Ma quando succedeva a lei aveva sempre avvisato, sempre. Oddio, forse con Pietro qualche volta s’era pure scordata ma con Calogiuri mai, anche perché lavorando spesso nello stesso edificio… e poi lo sapeva che lui si preoccupava di ben altre cose di quelle che aveva temuto Pietro ai tempi. Pur essendo molto più forte psicologicamente, Calogiuri era anche assai più consapevole dei rischi che correvano. Proprio per quello entrambi si avvisavano sempre non appena il ritardo si faceva più consistente del solito.

 

Ormai era una questione di principio. E proprio per quello non avrebbe toccato cibo: per tenere ancora di più il punto. Certo, salvare la pasta al forno mica era stato facile, né dalle manine ingorde di Francesco prima - che mica scemo, certe cose se le spazzolava più che volentieri - né dalle zampe e dalle fauci di Ottavia poi.

 

Ma, se ora Francesco dormiva tranquillo e satollo dal suo bel pesciolino nel suo ovetto, qualcun’altra era pronta all’assalto.

 

“Già hai avuto la scatoletta al salmone, Ottà, e dai su! Mica muori di fame tu, non c’è pericolo,” la sfottè un poco, guadagnandosi un’occhiataccia indignata con tanto di coda all’insù e muso girato di sghimbescio.

 

La regina della casa, proprio.

 

Per un attimo pensò che l’avesse sentita pure nei pensieri, perché drizzò le orecchie e si mise in una posa così regale che pareva la sfinge pareva.

 

Ma poi, mentre Ottavia faceva un balzo giù dal tavolo, udì le chiavi girare nella toppa ed un “Ottà?” un poco stupito e molto, molto familiare, seguito da dei miagolii e fusa schifosamente affettuosi.

 

E poi le comparve davanti, con Ottavia arrotolata intorno al collo, che gli leccava il viso mentre lo teneva stretto stretto, lui che cercava di bloccarla più che poteva e, alla fine, i suoi occhi ed il suo sorriso commosso furono nei suoi.


Le bastò un secondo per capire che entrambi avevano pensato la stessa cosa: Ottavia ancora si preoccupava quando non lo vedeva arrivare. Anche se era già migliorata tantissimo rispetto a quando era tornato finalmente a casa dopo il loro ultimo allontanamento, che ancora un po’ gli viveva sui piedi.

 

E, pure se più della preoccupazione potè la pasta al forno, bastò quella scena per farle passare qualsiasi traccia di irritazione, insieme agli occhi teneri e stanchi di Calogiuri che, come sempre, avevano su di lei effetti indicibili.

 

“Ma hai fatto la pasta al forno? Ma non dirmi che non hai ancora mangiato! Non dovevi e-”

 

“E tu potevi pure avvertire. Se non avverti ti aspetto, maresciallo, lo sai. E se non lo sapevi lo sai mo, quindi regolati di conseguenza.”

 

Calogiuri, che era appena riuscito a prendere Ottavia tra le mani, levandosela dalla faccia, scosse il capo e le sorrise in quel modo amorevolmente frustrato che amava così tanto suscitargli e-


“Ti amo.”

 

Quelle due parole, invece, la presero in contropiede, più del bacio dolce che ne seguì, perché… erano ancora così rare e preziose, anche se glielo dimostrava in tutti i modi, tutti i giorni.

 

“Scusami se… se non ti ho avvisata ma… c’è stata un’emergenza con Conti. Un’emergenza per lui, non per me,” la rassicurò, avendo evidentemente notato subito la sua preoccupazione, “e comunque tutto risolto, tranquilla. Il piccoletto dove sta? Che, mo che ci penso, c’è tutto questo silenzio, un miracolo quasi…”

 

“Dorme… per ora, almeno.”

 

Un altro sguardo, uno solo, ed un sorrisetto le si allargò sul viso, perfettamente speculare a quello di lui.

 

“Che dici? In fondo, la pasta al forno è pure più buona riscaldata, no? E se ha aspettato fino a mo, può aspettare pure un altro po’...” 

 

“E poi… oggi ho corso tanto, sono tutto sudato… una bella doccia mi ci vorrebbe proprio e-”

 

“E anche io, sapessi… tra il forno caldo, il ragù bollente… e poi con quello che costa l’acqua di sti tempi…”

 

“Risparmio energetico?”

 

Bastarono quelle sillabe, pronunciate con lo sguardo da impunito massimo per lanciarglisi addosso, facendolo finire contro al muro, in un bacio da impazzire, mentre sentiva dita sulle cosce, i muscoli delle spalle sotto alle sue di dita che si contraevano per prenderla in braccio e-

 

Meooow!

 

“Eh no eh!” lo bloccò giusto in tempo, voltandosi e prendendo per la collottola Ottavia, che già sul tavolo stava a pochi centimetri dall’obiettivo.

 

“Ritiriamola in forno questa, prima che ci tocca portare qualcuna al pronto soccorso veterinario per indigestione,” fece cenno ad un confuso e un poco deluso Calogiuri, che però si riebbe subito.

 

E, nel giro di pochi secondi, uno sportello chiuso e una micia indignata posata sul divano, si trovò letteralmente senza fiato, il mondo sottosopra, sollevata a penzoloni sopra una spalla di Calogiuri, proprio come ai vecchi tempi.

 

Le venne da ridere ma si tappò la bocca, che ci mancava che qualcuno si svegliasse proprio mo e sarebbe potuta impazzire del tutto.

 

Gli lasciò condurre il gioco giusto giusto il tempo di aprire e richiudere la porta del bagno, poi, dalla posizione di favore in cui era, gli assestò un pizzicotto su una natica che lo fece per un attimo traballare e ne approfittò per tornare con i piedi per terra e, afferrandolo per il maglioncino leggero, trascinarlo appresso a sé dentro la doccia, che aprì senza troppe cerimonie, inzuppando i vestiti che facevano a gara a levarsi, tra un bacio e l’altro, tra un morsetto e l’altro sul collo, buttandoli sul pavimento tonfo sordo dopo tonfo sordo, finché non fu finalmente intrappolata tra il calore della pelle sulla sua ed il gelo delle piastrelle, come era da troppo che non succedeva.

 

Ma Calogiuri sembrava tenere botta in tutti i sensi e-

 

Il primo gemito soffocato nell’incavo del collo di lui, un lieve accenno di barba serale che le pizzicava la guancia.

 

E altroché se teneva botta, mannaggia a lui, mannaggia!

 

Ma anche a causa dell’astinenza, fu tutto veloce, velocissimo, grido soffocato dopo grido soffocato, fino a trovarsi sciolta, senza fiato, a scivolare lentamente insieme a lui verso il piatto doccia, respirando vapore acqueo ed endorfine.

 

Spalmata su di lui per riprendere fiato, le mani che si levavano i capelli zuppi dal viso a vicenda, si concessero un bacio lungo, lunghissimo, tra un respiro e l’altro, mo che la fame maggiore era stata saziata.

 

E però, ben presto, tra un bacio e l’altro, una coccola e l’altra… tutti gli arretrati si fecero di nuovo sentire e non solo per lei… notò con una certa soddisfazione, mentre dal collo scendeva sempre più giù con baci e morsi e-

 

Due mani le fermarono il viso, portandola a sollevarlo e a guardare in quegli occhi scuri, scurissimi, le iridi quasi scomparse.

 

“Se dobbiamo fare… veloce… che magari c’abbiamo i minuti contati, non-”

 

“Ma non ti voglio spaccare la schiena e le braccia, Calogiù, quindi mo ti rilassi e-”

 

“E non se ne parla proprio! Qua altro che relax mo!” esclamò lui, deciso, in un modo che fu un altro picco ormonale a tradimento e lo vide sollevarsi e poi si sentì trascinata in piedi insieme a lui e, a sorpresa, dentro e poi fuori dal getto, finché la spugna del tappetino del bagno le solleticò sotto ai piedi.

 

“Ma…” fece in tempo a chiedere, confusa, quando si trovò sollevata a forza di braccia su una superficie asciutta ma tutt’altro che ferma.

 

“La lavatrice, Calogiù?” chiese, divertita, ringraziando il cielo di aver avuto la pensata, durante la lunga attesa, di mettere a lavare i mille panni sporchi di Francesco, che quindi mo stavano giusto giusto alla centrifuga.

 

“Tanto allagamento per allagamento…” proclamò lui, sornione, prima di sussurrarle, “e dopo mi sa che ci servirà pure un’altra doccia, come minimo.”

 

“Sarà meglio per te!” fece in tempo ad esclamare, prima che l’impunito la intrappolasse in una posizione che le levò ogni pensiero, tranne come tapparsi la bocca per non gridare.

 

Mannaggia sempre a lui!

 

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“Stavolta ti sei superata. In tutti i sensi.”

 

Non riuscì a trattenere un sorriso sornione, godendosi l’espressione di totale beatitudine di Calogiuri alla seconda cucchiaiata di pasta al forno che sì, riscaldata e dopo certe… attività estenuanti aveva tutto un altro sapore.

 

Si stiracchiò un poco, i muscoli deliziosamente indolenziti, stringendosi di più a lui, mentre pure lei si ingollava un altro bel morso di pasta, ragù e una polpettina.

 

Erano seduti sul divano, mezzi abbracciati, ancora in accappatoio, i piedi nudi sul tavolino, a mangiare rigorosamente dalla teglia, poggiata giusto giusto su una presina per evitare ustioni, come quei momenti imponevano.

 

Non era sicura che esistesse un paradiso ma, se ci stava, doveva essere molto ma molto simile a quello.

 

Meoooow!

 

“Eccallà!” sospirò, sentendo prima l’inconfondibile gratticchiare della lingua di Ottavia su una caviglia e poi trovandosela accanto sul divano, a guardarla con quegli occhioni da denuncia.

 

“Ottà, già hai mangiato una scatoletta extra di salmone dopo tutta la scena madre che hai fatto per il bagno profanato, mo basta!”

 

Calogiuri scoppiò a ridere e come dargli torto, visto che Ottavia fece di nuovo uno sguardo disgustato prima e di riprovazione poi.

 

Ma mai come quando avevano riaperto il bagno e lei c’era entrata giusto con due zampe, si era guardata intorno in tutto il casino, tra allagamento, oggetti buttati per terra e vestiti zuppi, li aveva fulminati come a dire come avete osato profanare il mio regno?! e, dopo una specie di conato di vomito ed un’occhiata d’avvertimento di pulire ed igienizzare tutto, era scappata, offesa a morte.

 

E quindi, dopo aver risistemato il casino, per tenerla buona mentre si scaldavano le lasagne, le avevano concesso una scatoletta in più.

 

Ma mo li guardava di nuovo implorante, con tanto di zampettata sulla sua coscia, come a dire e a me? E a me? E a me?

 

“Va beh, Ottà, una polpetta, una te la possiamo concedere,” cedette Calogiuri, dopo un’occhiata di intesa con lei, afferrando una polpettina con due dita e porgendola alla gatta, imboccandola con una tenerezza che rivaleggiava quella che aveva con Francé.

 

Weeee weeeee

 

“Eccallà di nuovo! E te pareva! Tu c’hai proprio il radar c’hai!”

 

Dal suo ovetto, come un re sul trono, Francesco, risvegliato forse dalle voci e dai miagolii, forse dal profumo della pasta al forno, aveva non solo ripreso ad esercitare la sua ugola d’oro, anche se ancora a bassi livelli di decibel, ma anche a muovere compulsivamente braccina e piedini come faceva quando voleva farsi prendere in braccio.

 

“Vado io, tanto ci tocca tenerlo in mezzo qua,” propose Calogiuri, dopo averle scoccato un bacio al sapore di polpette, estraendo con infinita delicatezza il piccolo ululatore dal suo giaciglio e poggiandolo in grembo tra di loro, mentre lei aveva spostato la teglia sul tavolino, per sicurezza.

 

Come sempre, Francé smise di piangere non appena le fu addosso ma, a differenza del solito, dopo poco, cominciò a protendersi in avanti, verso l’ambitissimo cibo.

 

Si guardarono e, di nuovo con un altro cenno di intesa, Calogiuri prese la teglia e, con la sua forchetta, divise una polpettina fino a renderla sicura per la boccuccia che tante gioie e dolori dava alle loro notti semi insonni e lo imboccò.

 

Francesco, per tutta risposta, si lasciò cadere addosso ad entrambi, le manine stese tipo papera, uno sguardo di pace e di felicità totali che la fecero ridere e commuovere al tempo stesso.

 

E poi si aggrappò sia a lei che a Calogiuri, guardandoli di nuovo entrambi in un modo che mannaggia a lui… stava imparando tutti i trucchi da Calogiuri e Ottavia.

 

Continuarono così, ad alternare cucchiaiate di pasta al forno per loro a pezzettini per il piccolo buongustaio e sì, il paradiso doveva proprio essere fatto così, senza alcun’ombra di dubbio.

 

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“E quindi mia moglie ha deciso da sola di andare a Roma, senza chiedere il mio permesso.”

 

“Come può sentire, signor giudice, la moglie del mio assistito ha abbandonato unilateralmente il tetto coniugale e-”

 

“E signor giudice, vorrei ricordare al signor Minichiello e all’avvocato Pace, che il tetto coniugale in questo caso altro non era che la residenza dei genitori della mia assistita. Dai quali si è dovuta allontanare per il semplice fatto di aver osato mantenere rapporti con il fratello minore, ostracizzato dal resto della famiglia, come poi la mia assistita. Ci sono fior fior di prove scritte e di testimonianze di come la signora Calogiuri abbia espresso chiaramente che la mia assistita ed il fratello non dovessero più incontrarla, né fossero i benvenuti nella casa di famiglia. Non solo, il signor Minichiello non ha mai posto un’alternativa alla mia assistita, rispetto alla casa dei genitori di lei. Inoltre, sebbene faccia un lavoro che lo porta a viaggiare molto ma quindi anche, a maggior ragione, che possa essere svolto da qualsiasi base di partenza o quasi, il signor Minichiello non ha quasi mai fatto visita alla moglie e alla figlia da quando loro si sono allontanate dalla residenza di Grottaminarda. Né a Matera, né addirittura qua a Roma che, converrà con me, è uno degli snodi principali nel trasporto di merci tra nord e sud. Eppure il signor Minichiello, al di là delle feste comandate e di pochi altri momenti, ha sempre preferito tornare a Grottaminarda. Per non parlare del fatto che, al momento, la mia assistita è l’unica con un lavoro stabile ed una residenza stabile in affitto a suo nome, che le consentono di mantenere ed accudire a sua figlia, nonostante, fino ad ora, non abbia visto un euro di mantenimento da parte del signor Minichiello per la bambina.”

 

“Signor giudice, il mio assistito non ha ancora versato il mantenimento per il semplice motivo che non soltanto desidera lui l’affido della minore, ma che inoltre è convinto, come lo sono io, che la signora Minichiello-”

 

“Calogiuri,” intervenne stizzita Rosaria.


“Calogiuri abbia altri aiuti economici, avendo un compagno che ha già più che introdotto nella vita di sua figlia e questo da ben prima della separazione, già ai tempi in cui risiedeva a Matera. Per questo si chiede l’addebito e-”

 

“E non esiste alcuna prova che la relazione sentimentale tra la mia assistita e il suo attuale compagno sia iniziata da allora, anzi, tutte le prove fotografiche presentate dall’avvocato Pace risalgono a dopo l’avvenuta separazione. La mia assistita avrebbe dovuto essere folle a trasferirsi a Roma da Matera se avesse già avuto in loco una relazione sentimentale in corso, no?”


“E magari invece il trasferimento è stato fatto proprio per confondere le acque, perché le foto tradiscono un affiatamento, un’intimità, che non può essere frutto di poche settimane di relazione. Per non parlare del rapporto tra la figlia del mio assistito e l’amante-”

 

“Compagno-”

 

“Compagno della moglie, che lo tratta come un secondo padre, e questo prova che la relazione tra loro va avanti da molto tempo e-”

 

“Ed infatti un legame tra loro da molto tempo c’è, avvocato, ma quello di amicizia che, come spesso succede nella vita, si è poi trasformato in altro, una volta che la mia assistita è stata libera. E, sinceramente, lo sarebbe stata già una volta che è stata abbandonata di fatto dal marito, a maggior ragione dopo aver annunciato di volere la separazione, esasperata dall’assenza totale del Minichiello. E la familiarità con la figlia della mia assistita prova soltanto che la mia assistita è stata brava ad introdurre il nuovo compagno alla figlia ed inoltre che ha scelto un uomo solido, dal forte istinto paterno, presente e premuroso, nonostante centinaia di chilometri di distanza tra le loro residenze. Che ha saputo riempire il vuoto lasciato dall’assenza e dall’indifferenza protratte ed ingiustificate del padre biologico, che di fatto della figlia conosce ben poco e viceversa. E non certo per colpa della mia assistita che non gli ha mai negato le visite, anzi. Proprio per questo, chiediamo l’affido principale della minore alla mia assistita, naturalmente con possibilità di visite regolari per il padre, e rigettiamo fortemente ogni richiesta di addebito.”

 

Ammazza! Bravo il… nipotino.

 

Guardò Calogiuri, che sembrava soddisfatto quanto lei. Il figlio di Chiara se la stava cavando davvero bene e ringraziò il cielo che, a differenza di zio Angelo, non facesse il penalista. L’abilità nell’argomentare doveva essere di famiglia.

 

Lanciò un’occhiata al cellulare, che non si sapeva mai e temeva tantissimo che la babysitter, prestata da Irene, stesse avendo casini con la piccola peste che, per questioni di sicurezza, avevano preferito portare in tribunale ma in un’aula separata, dove stava con la tata e con Mariani.

 

Per ora niente, per fortuna: voleva seguire il procedimento il più possibile.

 

“E ora chiamiamo il prossimo testimone,” annunciò l’avvocato Pace, in un tono che non le piaceva per niente,”il signor Pietro De Ruggeri.”

 

Pietro aveva una faccia terrorizzata, anche se se lo aspettava, essendo stato convocato. Imma sperava che non si facesse spaventare ed intimidire e che la preparazione fornitagli da Galiano fosse sufficiente.

 

Con sguardo  basso e gambe un poco tremolanti, Pietro si avvicinò alla zona dei  testimoni.

 

E dai Piè, così non va! - pensò, fulminandolo con lo sguardo quando, dopo Rosa e Galiano, cercò il suo, facendogli segno di tirare su il mento e fare un respiro.

 

Se le avessero detto fino a qualche mese prima che si sarebbe un giorno trovata in una situazione del genere con il suo ex marito non ci avrebbe mai creduto.

 

“Signor De Ruggeri, le farò una domanda diretta e le ricordo che è tenuto a dire il vero. Quando ha iniziato la relazione con la moglie del mio assistito?”

 

“Dopo la loro separazione naturalmente e-”

 

“E quindi mi vuole far credere che prima non ci sia stato mai nulla, ma proprio nulla, tra di voi?”

 

Notò subito il pomo d’Adamo di Pietro abbassarsi e alzarsi, nell’atto di deglutire. Una chiara esitazione. Chiarissima per lei, figuriamoci per l’avvocato.

 

“Allora qualcosa c’è stato!” esclamò Pace, trionfante.

 

“Un bacio, un bacio dato da me,” si affrettò a precisare Pietro.

 

“Sì, come no, e noi dovremmo crederci?”

 

E fu li, di fronte al tono sprezzante dell’avvocato, allo sguardo da schiaffi di Salvo e all’aria mortificata di Rosa, che qualcosa cambiò nello sguardo di Pietro.

 

“Sì, perché lo dimostrano i fatti. Dopo che è successo, a Matera, alla festa della Bruna, Rosa mi ha subito allontanato e io l’ho capito. Tanto che è andata a Roma per rispetto del suo matrimonio e non ci siamo praticamente mai visti fino al giorno in cui è avvenuta la separazione di fatto, e solo perché ero stato invitato al pranzo di natale dalla mia ex moglie. Lo può testimoniare chiunque, anche Noemi e-”

 

“E la parola di una bambina tanto piccola, magari imbeccata dalla madre, non ha valore e-”

 

“Ma c’è il fatto che nei mesi successivi non sono praticamente mai andato a Roma, se non per mia figlia, che conosce i  miei spostamenti e con la quale soggiornavo. Ed i miei spostamenti sono facilmente verificabili. Inoltre, non solo Rosa non voleva tradire nessuno ma…neanche io, avendo provato sulla mia pelle quanto sia brutta la fine di un matrimonio. Ma, di fatto, il signor Minichiello era completamente assente dalla vita di Rosa già da molto tempo prima di quel bacio. Proprio perché era sola con Noemi in una città dove non conosceva quasi nessuno, ci siamo avvicinati come amici e poi, senza rendermene conto, mi sono innamorato di lei, piano piano. Ma non è colpa di Rosa, che è una delle persone più corrette e pulite che conosco.”


Ammazza che dichiarazione! Una piccola parte di lei era quasi risentita che Pietro avesse tirato fuori tutta sta cazzimma per Rosa e mai per lei.

 

Ma alla fine meglio tardi che mai.

 

“Il giro in moto è proprio servito,” sussurrò ironicamente a Calogiuri che fece un sorriso soddisfatto e le strinse la mano.

 

“Resta comunque non comprovabile che non abbiate intrattenuto una relazione extraconiugale, anzi, questo lo rende ancora più improbabile e-”

 

“Ma non c’è nemmeno prova del contrario. E l’addebito va comprovato da chi lo richiede. Inoltre penso che proprio l’onestà nella testimonianza del signor De Ruggeri, anche contro gli interessi suoi e della mia assistita, dimostri la sua buona fede e trasparenza.”

 

“Lo vedremo. In ogni caso per ora non ho altre domande. Passerei al prossimo testimone.”

 

Sentì Calogiuri tirare un sospiro di sollievo, in unisono col suo: avevano retto botta. Certo, qualche dubbio al giudice poteva essere sorto, ma sarebbe potuta andare molto peggio.

 

E però, dopo il sollievo, arrivò la confusione, perché si guardò intorno e, nell’aula semivuota, non c’era nessun altro che potesse testimoniare.

 

“La signora Maria Carmela Calogiuri.”

 

La mano di Calogiuri stritolò la sua e lo capì perfettamente, perché quel nome, letto anni prima nel fascicolo di un certo appuntato dagli occhioni azzurri, era quello della suocera e madre dell’anno, anzi del secolo.

 

Ed infatti la porta si aprì e fece ingresso, tutta impettita, proprio la gran signora in questione, che altro che due paroline le avrebbe detto, avesse potuto farlo.

 

Ecco chi finanziava l’avvocato a Salvo, ovviamente, anche se si chiese con quali risparmi.

 

Dopo aver lanciato loro uno sguardo sprezzante e trionfante al tempo stesso, la madre di Calogiuri si sedette al posto dei testimoni, che nemmeno una regina sul trono.

 

“Signora Calogiuri, lei è la madre di Rosaria Calogiuri, corretto?”

 

“Sì.”

 

“E che mi dice del comportamento di sua figlia, come madre e come moglie, nel periodo in cui viveva con il signor Minichiello e la loro figlia presso la sua casa di proprietà?”

 

“Mia figlia, che non riconosco più come tale, è un’irresponsabile: ha tradito non solo quel sant’uomo di Salvatore, un così bravo ragazzo, che ha sempre lavorato duro per non farle mancare niente, ma pure tutti i principi che le avevamo insegnato. Si è messa con un vecchio, che era pure il marito di quella svergognata che ha plagiato il mio figlio minore. Un marito e una moglie che si lasciano e si mettono con due fratelli: un ambiente promiscuo, di perversione assoluta. E poi mio figlio è diventato pure un criminale, è entrato in brutti giri ed è diventato violento. Ma che esempio possono mai dare a una creatura eh? Che tutto è lecito? Scambiarsi le coppie, tutte queste porcherie. Per questo per me Ippazio e Rosaria non sono più i benvenuti a casa mia: una casa di gente semplice, dai sani principi, timorata di dio. E invece Salvo… per me lui è come un figlio, non posso dirne che bene. E quindi è e sarà sempre il benvenuto da noi e merita di avere nostra nipote in affido, che quella disgraziata di Rosa non ci fa più vedere, e noi ce ne occuperemo con amore quando lui deve lavorare. Una vita sana, in campagna, con una famiglia normale, per bene, lontana da tutte queste schifezze.”

 

Ammazza se c’era andata pesante!

 

Guardò Calogiuri, preoccupata dalla sua reazione: in fondo era pur sempre sua madre.

 

“Almeno ha imparato da te che si dice plagiato e non pigiato,” sussurrò lui, in un modo sarcastico che le ricordò assurdamente se stessa, oltre che il primo, tragicomico, incontro tra lei e la sua quasi suocera.

 

“E non solo quello. Tu la conosci meglio di me ma… secondo me è stata imbeccata per bene dall’avvocato. Perversione ancora ancora ma promiscuo?”

 

Calogiuri fece un altro sorriso amaro ed annuì, perché sì, la madre del ragazzo che non sapeva cosa fosse una metafora, quelle parolone non le poteva conoscere.

 

“Signor giudice, come sente dalle parole della testimone, ne va della tutela degli interessi e della crescita sana della minore, del suo diritto di avere una famiglia completa e non solo una madre dalla vita assai discutibile, e-”

 

“E se il resto della famiglia non fa parte della vita della bambina è perché la stessa testimone ha dato alla mia cliente un ultimatum e, per sua stessa ammissione, non la vuole più vedere e, di conseguenza, nemmeno la bambina. Inoltre preciso che il maresciallo Calogiuri non solo non è mai stato condannato, ma anzi non ha più alcuna indagine a suo carico, né a livello penale, né civile, né interno all’Arma. Sta oltretutto frequentando un corso per diventare un ufficiale, con ottimi risultati e referenze da istruttori e superiori. Inoltre, a proposito della tutela della crescita sana della minore, credo sia per lei più sano avere l’esempio di una madre lavoratrice ed indipendente, come la mia cliente, che stare con un padre totalmente assente e che la bambina conosce appena. E venire, di fatto, cresciuta per la maggior parte del tempo da una donna dalla mentalità evidentemente profondamente arretrata sulla figura femminile, sui diritti delle donne e sul concetto di moralità ed etica. Che non potrà offrirle l’educazione familiare, affettiva, psicologica e civica che si merita, per non parlare dell’educazione scolastica. Le opportunità offerte da una città come Roma sono immense.”

 

Però! Ritirava quasi il pensiero di prima. Peccato che il nipotino facesse solo diritto di famiglia perché, tutto sommato, se mai avesse avuto di bisogno di un avvocato per responsabilità civile o penale - se prima o poi qualcuno l’avesse mai denunciata, come le prospettava sempre Vitali - averlo come difesa non sarebbe stato per niente male.

 

Anche Calogiuri pareva molto soddisfatto ed impressionato, mentre le sussurrò, “buon sangue non mente!” e poi fece un’espressione, quella di quando era terrorizzato di aver fatto una gaffe ed aggiunse in un fiato, “cioè non… non nel senso di Latronico e-”

 

“Non ti preoccupare, Calogiù. Se il sangue è pure di Chiara e di Galiano posso andarne orgogliosa. Com’era? Non conta i poteri che si hanno ma come li si usa?”

 

“Mi citi Harry Potter anche tu, mo? Che fai, ti prepari per Francesco?”

 

“Veramente cito un certo maresciallo, tra poco capitano, che è molto saggio, quando non ci si mette di impegno a fare lo scemo.”

 

Lo vide sporgersi leggermente ma poi bloccarsi e darle solo un’altra stretta di mano, ricordandosi esattamente di dove fossero e della sacralità del luogo, oltre che degli sguardi puntati su di loro. Ma avrebbe tanto voluto se non baciarlo almeno abbracciarlo, tantissimo.

 

“Ci sono altri testimoni, avvocato Pace?”

 

“No, signor giudice.”

 

“Lei ha altre domande avvocato Galiano?”

 

“No, signor presidente.”

 

“Allora concludo qui l’udienza di oggi e vi farò avere comunicazione al più presto su quando sarà fissata la prossima. Avvocato Pace, le ricordo che riguardo all’addebito deve essere comprovato da lei e dal suo assistito, quindi mi auguro ci saranno più prove concrete e non solo testimonianze di parte. Per il resto, sul tema dell’affido, predispongo una perizia da parte dei servizi sociali, che valuteranno sia le condizioni di vita attuali della minore con la madre, sia la situazione economica, sociale e familiare del signor Minichiello. La testimonianza della minore ed il suo parere varranno solo come ultima ratio ma mi auguro che si addivenga ad un accordo per un affido condiviso ed invito parti ed avvocati a lavorare in tal senso. Dispongo anche un’indagine economica approfondita sul patrimonio di entrambe le parti al fine di accertare l’entità dell’assegno di mantenimento, qualunque scenario si prospetti. L’udienza è aggiornata.”

 

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“A che pensi?”

 

Adorava sempre quando Calogiuri glielo chiedeva -anche se la maggior parte del tempo era una domanda retorica e lo aveva già capito da solo, ma voleva la conferma - fin dai tempi in cui glielo domandava ancora dandole del voi.

 

“Che la Bruna fa un sacco di casini Calogiù, altro che afrodisiaco!” scherzò, in un sussurro, perché il loro vero anniversario era solo loro e sperava vivamente che sarebbe rimasto tale per sempre, “anzi, direi che per me e Pietro ha fatto proprio miracoli! Che nel cambio ci è andata benissimo a tutti e due.”

 

“Eh no, eh, non sono d’accordo!” esclamò lui, tutto serio, per poi aggiungere, in un modo che la fece sciogliere, “prima di tutto, con tutto il bene per mia sorella e con tutta la felicità che Pietro sia andato avanti, e pure lei, e che stiano bene insieme, tra te e lei non ci sta proprio paragone, minimamente. E poi l’unico miracolo vero lo ha fatto a me. Che ti sei innamorata di uno lento e ciuccio com'ero io quando ci siamo conosciuti. E dove la trovavo un’altra come te?”

 

“E io allora che dovrei dire? Che quando mi paragonavi a tua madre mai avrei pensato che- che col senno di poi dovrei metterti in punizione per qualche giorno solo per il paragone fatto allora, visto il soggetto! Che io sarò pure scassapalle ma lei mi batte.”

 

Calogiuri rise e di nuovo si guardarono. E la voglia di baciarsi era tanta, troppa, e non erano più allenati a dover contenersi ogni giorno al lavoro. Ma tant’era, avrebbero dovuto riprendere l’abitudine ben presto, almeno sperava.

 

“E comunque, ripensandoci, meglio non parlare troppo di miracoli, Calogiù, che se no qua ci scomunicano se ci sentono e-”

 

“Vergogna! Non si vergogna a difendere acchist’?”

 

Eccallà! - pensò, lanciandogli un’occhiata eloquente e facendo segno con due dita, muovendole lateralmente, come a dire, come volevasi dimostrare.

 

Ma vittima dell’assalto stavolta era il povero Andrea - perché a vederlo aggredito dalla sua quasi suocera, che ci mancava solo gli desse le borsettate e poi aveva fatto tutto - le veniva da chiamarlo così. E si rendeva conto di quanto fosse ancora giovane, in fondo.

 

Non più di Calogiuri, Imma, ed è tuo nipote! - le ricordò la voce della coscienza, ma tant’era, ormai ci aveva fatto il callo.

 

“Signora, si calmi o devo far chiamare la sicurezza e mi parrebbe ridicolo, quindi non mi costringa a farlo!”

 

“E che tieni paura di me? Un vigliacco sei: tu, zì tua qua e pure quei disgraziati che na vota chiamavo figli. Figli ‘e ‘ntrocchia sono!”

 

“Mi scusi se glielo faccio notare, signora Calogiuri, ma dalla mia conoscenza di napoletano, non si sta insultando da sola così?”

 

Le venne da ridere e si trattenne a stento e sì, in fondo il nipote era da rivalutare, e di molto, in positivo.

 

Già solo perché si era prestato a infilarsi in quell’enorme casino familiare e pure per il minimo del compenso.

 

“No, perché tanto non sono più figli a me! E te che li difendi pure, ma tanto siete tutti uguali voi della vostra famiglia!” esclamò, guardando prima Andrea e poi verso di lei con fare di disprezzo.

 

“Per fortuna non siete tutti uguali nella vostra, signora,” sibilò Imma, perché quando era troppo era troppo e lei la nuora che stava zitta e si mordeva la lingua già l’aveva fatta a volte con Pietro e mo col cavolo, “e comunque io sono molto orgogliosa di… di mio nipote e di mia sorella. Che sono persone per bene: mi volevano persino riconoscere ufficialmente in famiglia, figuriamoci, se io avessi accettato, pure se economicamente non gli sarebbe convenuto e se gli ho mandato in galera l’unico altro parente in vita. E quindi di sicuro non abbandonerebbero i figli solo perché fanno scelte che non fanno comodo a loro e non sosterrebbero un cavernicolo che sta ancora all’età della pietra. O penserebbero di avere il diritto di crescere una creatura togliendola alla madre che può occuparsene benissimo e per molti più anni di voi. Ma evidentemente tutto l’egoismo della famiglia ve lo siete tenuto voi e ai vostri figli niente, per fortuna per me.”

 

“E sì, perché te fa comodo a te e a quell’altro puorco con cui stavi maritata ca so’ du scem’!” urlò sua suocera, in un modo che le fece temere per un attimo la volesse menare, ma Calogiuri si mise letteralmente in mezzo.


“Basta mo! Che non lo capisci che ti stai rendendo ridicola? E se ti sente il giudice altro che affido ti dà con tutta st’ammuina che stai facendo. Non ti permetto di parlare così ad Imma. E Imma, grazie, ma con mia madre mi difendo da solo, che non ti devi prendere tu le male parole al posto mio.”

 

Dire che ne fosse orgogliosa era dire poco, perché Calogiuri era deciso, decisissimo, e trasmetteva una sicurezza, un’autorevolezza che… il corso gli stava facendo proprio bene, non che non la stesse acquisendo pian piano già da prima.

 

“Sì, dai mamma, cerca di calmarti. Non ti fa bene alla pressione, lo sai.”

 

Era stato Modesto a parlare, con un fil di voce, forse ancora più flebile di quando l’avevano conosciuto.

 

E lo vide e notò anche, incollata al suo braccio peggio di Matarazzo quando si era attaccata a cozza a Calogiuri, convinta di esserne la fidanzata, una tipa che riconobbe come la famosa Enrica, la fidanzata.

 

“Modè, ma che stai a pazzià? Tua madre tiene ragione, tiene. Mica vorrai metterti dalla parte di sti scostumati? Cà noi teniamo i valori, i principi, mica come questi che si credono di fare i signori in città e poi come si sta al mondo manco lo sanno.”

 

“Grazie, cara, tu sì che sei figlia ammè!”

 

Sentì come uno strappo muscolare appena sotto al soppracciglio, che doveva essere giunto ben oltre al limite fisiologico, al solo vedere futura nuora e suocera che si stringevano le mani, che veramente manco in una commedia dei De Filippo o in un Musicarello c’era tanto melodramma - e peraltro perfino questi ultimi erano scritti assai meglio.

 

Del resto, per accettare un matrimonio combinato, anche la famosa Enrica non doveva essere esattamente di mentalità progressita ed emancipata, anzi.

 

Pure se le faceva un po’ pena, nel suo essere così urticante. A volte invidiava chi aveva tutte le certezze nella vita, chi affidava tutto ad un dogma e lo seguiva pedissequamente, senza pensare. Quanti problemi in meno ci stavano a vivere così! Ma poi… lei teneva Calogiuri, Enrica il povero Modesto che magari sarebbe stato pure un ottimo marito, ma per qualcuno che c’aveva pure il cromosoma Y.

 

Il padre di Calogiuri, in tutto quello, stava tre passi indietro la moglie, neanche fosse stato il principe consorte. Evidentemente, più che per rispetto, per timore di attirare attenzione ed urla su di sé.


E fu proprio in quel momento, mentre Modesto provava a dire qualche cosa che non avrebbe mai saputo, mentre Andrea li guardava con commiserazione e pure un poco di preoccupazione - forse temeva cene di famiglia allargatissime in futuro? - e Calogiuri sembrava voler sprofondare da un lato ed incazzosissimo dall’altro, che sentì un altro urlo, ben più incazzoso ed inconfondibile.

 

WEEEEEEEEEEEEEEEEEEE

 

Francè! - pensò, voltandosi in perfetto sincronismo con Calogiuri verso la fonte dei decibel extra che proprio non mancavano a quel corridoio.

 

Lo vide, scurissimo in faccia, in tutti i sensi, che si agitava in braccio alla povera babysitter mentre Mariani cercava di evitare che cascasse.


“Mi scusi, dottoressa ma… non riesco più a calmarlo e ho paura che si senta male.”

 

Un singolo cenno della mano per dirle di non preoccuparsi - come poteva non capirla? - e con un “Francé, stai calmo, non succede niente, che c’hai mo?” si avvicinò e, ancora prima di prenderlo in braccio, bastò la sua voce perché lui si calmasse un attimo e la guardasse con due occhioni tutti arrossati.

 

Un peso infinito ma dolce sullo stomaco - del resto, Calogiuri era stato il primo a farle scoprire quanto pesasse la tenerezza - lo raggiunse in un paio di ultime falcate e lo sollevò, appoggiandoselo al petto e alla spalla, per cercare di tranquillizzarlo del tutto.

 

Ma lui sollevò leggermente il capo e, guardandola con un sorrisone mezzo sdentato, la afferrò per le guance e le piantò un bacione da scioglimento, seguito però da uno sguardo di rimprovero come a dire non mi lasciare più, se no spacco tutto!

 

Tutti gelosoni i suoi uomini.

 

Sentì un altro peso, molto più leggero ma altrettanto caldo, sulla spalla. Era Calogiuri che le faceva segno se fosse tutto ok e se voleva che lo prendesse lui. Ma Imma sapeva che, per il bene dei timpani e del tribunale, già troppo contaminato da rumori molesti, non era il caso. E quindi scosse il capo, mentre lui fece una carezza a Francesco con quella delicatezza che aveva solo lui, con quella sacralità che aveva nel trattare non solo le persone che amava, ma anche il loro mestiere, che amava quanto lei.


Come avrebbe mai potuto non innamorarsi di lui?

 

“E chi è 'chisto mo?”

 

Alzò gli occhi al soffitto, chiedendo a chiunque potesse sentirla di armarla della pazienza necessaria per non traumatizzare di più il povero Francesco, pure se a lui - come a Noemi da piccola - piaceva quando lei sbottava e cazziava qualcuno.

 

La mano di Calogiuri si strinse di più sulla sua spalla e le fece un cenno come a dirle lascia fare a me, al che lei rispose con quella che era un se esagera però non garantisco e lui le sorrise rapidamente, prima di adottare lo sguardo di quando andava in missione.

 

Si voltarono, di nuovo all’unisono, la mano di Calogiuri che la lasciava solo per un attimo, prima di cingerla ancora meglio per le spalle.

 

“Di chi è sta criatura? Che facesti un figlio e non ce lo dicesti? Ma no, questo è troppo nir’ nir’ ppè essere figlie toje! E poi in effetti a’ signora ‘cca altre criature… campa cavallo ca l'evera cresce, che n’ato po’ tiene l’età mia.”

 

“Mamma!” esclamò Calogiuri, furente come lo era solo quando qualcuno osava toccargli lei - e ora pure il piccoletto.

 

Ma, anche se era una nota dolente, dolentissima, il non aver potuto dare a Calogiuri un figlio naturale e anche se, probabilmente, non sarebbe mai successo, visto che il ciclo pure quel mese aveva saltato e molto probabilmente era già in menopausa… di fronte a tanta ignoranza, non intesa solo come mancanza di cultura ma come povertà d’animo, in fondo, le veniva quasi da ridere.

 

Una matriarca che odiava le donne che volevano farsi la loro vita, quando lei era la prima non solo a decidere della sua di vita, ma pure a tentare di farlo con quelle di tutti gli altri, a comandare tutti a bacchetta.

 

“Prima di tutto Imma è assai più giovane di te, e non solo come anni ma di spirito. E francamente è messa molto meglio di molte ragazze che di giovane hanno solamente l’età anagrafica, in tutti i sensi,” esclamò, lanciando un’occhiataccia ad Enrica che ridacchiava a qualsiasi cosa diceva la futura suocera e che non colse minimamente la frecciata, “inoltre Francesco è un bimbo che abbiamo avuto in affido, per ora temporaneo. Ma potrebbe un giorno diventare definitivo. E comunque i figli sono di chi li cresce e si può essere genitori ed avere una famiglia anche senza alcun legame di sangue o con un colore diverso della pelle - per fortuna di Francè, con tutto quello che mi sono ustionato io nei campi! E si può invece non essere affatto genitori e non volerlo essere pure avendo messo al mondo qualcuno, magari pure più di uno. Perché le criature fanno comodo solo finché sono come oggetti, che non c’hanno l’opinione loro, che magari è diversa dalla tua, no, mà? O finché sono manipolabili con i sensi di colpa, le minacce e gli ultimatum.”

 

E, mentre Calogiuri fulminava non solo la madre, ma pure, sebbene in modo diverso, il padre ed il povero Modesto - che pareva voler sprofondare sempre di più ad ogni secondo che passava - Francesco rise e, straordinariamente, si sporse verso di lui, per farsi prendere in braccio.

 

Forse era stato solo per il tono, ma le piaceva pensare che il piccoletto avesse capito, se non le parole, almeno il loro significato più intimo. E nel modo in cui Calogiuri se lo strinse e se lo baciò, c’erano dentro così tante cose, da lasciarla, per una volta, senza parole.

 

Ma non servirono, perché un’altra voce ruppe l’attimo di silenzio e fu quella di Pietro, che nel frattempo doveva averli raggiunti insieme a Rosa.

 

“Direi che mo ce ne possiamo pure andare, che ne abbiamo già sentite abbastanza e, lo so benissimo, è inutile parlare con un muro, ma mia madre in confronto è quasi pacata.”

 

“Piè, non so se è perché non la frequenti da un po’, o perché non la frequento io da un po’, ma mi tocca quasi darti ragione. Anche se tra tutti e due… è una dura lotta eh. Condoglianze!”

 

Diede giusto una pacca sulla spalla a Pietro ed una a Rosa e poi, seguendo il loro esempio, accanto a Francesco che ridacchiava bello bello, rimbalzando in braccio a Calogiuri, si avviò verso l’uscita, con la babysitter e Mariani di scorta.

 

“Ma che ci trovi in sto vecchio, eh?”

 

Proprio quando stavano per guadagnare la fine del corridoio, era arrivata l’ennesima voce sprezzante, ma stavolta di Salvo che, fino a quel momento, se ne era stato zitto zitto.

 

E invece, nonostante l’avvocato cercasse di trattenerlo - con la matrona non ci aveva nemmeno provato, evidentemente Pace aveva un notevole spirito di conservazione - si stava avvicinando a loro, con quell’atteggiamento tra il bulletto ed il mezzogiorno di fuoco che le dava sui nervi in qualunque essere umano di sesso maschile - perché di solito le donne non camminavano così, mica per altro.


“Si può sapere che ci trovi, eh? Cos’ha baffetto che io non ho, eh? I soldi?”

 

Eccallà! L’ennesimo insulto maschilista.

 

Calogiuri fece per passarle Francesco, per mettersi in mezzo, ma Pietro si parò davanti a Rosa, sempre più coraggioso, almeno finché Rosa non gli mise una mano sulla spalla e si fece a sua volta avanti lei, in un modo che le ricordava tantissimo il fratello quando voleva cavarsela da solo. Cape toste, i Calogiuri.

 

“Troppe cose per elencarle tutte, Salvo. Le prime che mi vengono in mente, la gentilezza, la presenza, il volere la mia felicità, l’istinto paterno, gli attributi.”

 

Però! Manco la sorellina se la cavava male!

 

Lanciò un’occhiata a Calogiuri che pareva molto ma molto orgoglioso.

 

“Se, gli attributi!” ridacchiò Salvo, ignorando tutta la parte prima che, per un uomo non Neanderthaliano, sarebbe stata pure peggio, ma lui no, quello lo aveva punto sul vivo, “ma se con l’età che tiene… manco funzioneranno, che chissà quante pasticche s’à da piglià!

 

“Veramente funzionano benissimo e li sa pure usare molto meglio di te, se è solo per questo.”

 

Per poco non si strozzò ed un colpo di tosse risuonò in unisono al suo: era Calogiuri, che si affrettò a lasciarle Francesco mentre rantolava e poi, dopo qualche colpo alla schiena, le sussurrò, “ma… ma è vero che…?”

 

“Ma che sei geloso di tua sorella o di me?” rise, perché la faccia paonazza e sconvolta di Calogiuri era da incorniciare.

 

“Di tutte e due, più di te, ovviamente ma… insomma… non volevo immaginare… certe cose e poi-”

 

“Manco io, Calogiù, ma… siamo tutti adulti, no? E comunque…” aggiunse in un sussurro all’orecchio che lo sentisse solo lui, “Pietro… non è male per la carità o, mi conosci, non avrei resistito vent’anni di matrimonio ma… tu sei su un altro pianeta proprio. Quindi… Rosa con Salvo doveva proprio stare in carestia e mi sa che lui c’avrebbe bisogno di qualche corso accelerato su come si fa.”

 

Calogiuri scoppiò a ridere e anche Francesco, sicuramente solo per solidarietà - o almeno sperava - ed udì un’altra serie di colpi di tosse, che manco a scuola di Valentina in piena stagione influenzale.

 

Era Andrea che, se ne era resa conto solo in quel momento, stava proprio a fianco a lei, dall’altra parte rispetto a Calogiuri, e doveva aver sentito tutto o quasi.

 

“Sei più pentito di aver accettato il caso o della parentela?” ironizzò, anche se, poraccio anche lui, lo capiva benissimo.

 

Finito l’ultimo colpo, Andrea la guardò, rossastro pure lui, e le disse, “diciamo che… visto il resto della famiglia… meglio far l’amore che la guerra, no?”

 

Le venne da ridere, Calogiuri che esplose in altri colpi di tosse, alla consapevolezza definitiva che Galiano aveva sentito proprio tutto.

 

E sì, niente male il nipotino, per niente.

 

Ora dovevano solo uscire vivi di lì.

 

*********************************************************************************************************

 

“Quali sono le sanzioni disciplinari applicabili ai carabinieri, come si classificano e da chi possono venire richieste o comminate?”

 

“Ci sono le sanzioni disciplinari di corpo e le sanzioni disciplinari di stato. Le sanzioni disciplinari di corpo sono il richiamo, il rimprovero, la consegna e la consegna di rigore. Le sanzioni disciplinari di stato possono prevedere: la rimozione, che comporta la perdita del grado; la sospensione disciplinare dall’impiego o dal servizio; la sospensione disciplinare dalle funzioni o attribuzioni del grado, applicabile solo per chi è in congedo; la cessazione dalla ferma volontaria o dalla rafferma per motivi disciplinari. Purtroppo alcune di queste le conosco molto bene. Vuoi anche che ti dettagli in cosa consistono le singole sanzioni e quando vengono di solito applicate?”

 

Capiva bene il retrogusto amaro nell’esposizione di Calogiuri, visto quanto gli era successo, però era stato impeccabile, parola per parola. Forse, un giorno, le sanzioni sarebbe toccato proprio a lui deciderle. E, ne era certa, sarebbe stato equo, imparziale, ma anche inflessibile qualora necessario.

 

Stavano cercando di recuperare sullo studio, dopo la giornata campale. Anche se, rispetto ai primi insegnamenti che gli aveva impartito ed alle prime interrogazioni - e interrogatori - che gli aveva fatto, il contesto era quanto di più informale, familiare e lontano anni luce da ogni ordine e disciplina possibile.


Erano seduti a letto, dopo essere finalmente riusciti, tra coccole e cibo, ad azzittire gli ululati di Francesco e a farlo dormire: rannicchiato in mezzo a loro, una manina a tenere il pigiama di ognuno, anche se sempre più vicino a lei stava.

 

Ottavia li osservava, annoiata ed acciambellata mollemente ai loro piedi.

 

Avevano stabilito un metodo di studio, pure quello molto poco ortodosso, per il quale alternavano risposte corrette e consultazione dei tomi sulle loro gambe al gustarsi i lampascioni, le olive ed i peperoni cruschi portati da Pietro, insieme alle salsicce, al pecorino e al caciocavallo podolico. Un po’ come compenso per l’aiuto alla causa di Rosa, un po’ probabilmente anche come calumet della pace gastronomico - che mo, oltre all’ex moglie da tenere buona, c’aveva pure il futuro cognato.

 

Però loro se lo stavano spazzando ben volentieri, insieme ad un buon vino dei colli, che tanto la contaminazione enogastronomica ci stava benissimo.

 

“Un altro po’ di vino?” le chiese Calogiuri, ricordandole assurdamente la domanda imbarazzata della loro prima cena insieme.

 

Ma, se allora aveva avuto bisogno di affogare nell’ebbrezza il non saper bene che pesci pigliare - o meglio il sapere bene quale pesce voleva pigliare, ma non come, né se ne avrebbe avuto il coraggio - ora il vino era semplicemente un piacevole accompagnamento al relax serale.

 

Stava per ribattere ironicamente che poi le risposte giuste doveva andarle a chiedere a Irene o a Mancini, se continuavano così, quando per poco non cascò a lei il bicchiere e a lui la bottiglia.

 

Guardò l’ora: le ventitré passate.

 

A quell’ora o era la procura o era sua figlia.


Un casino in ogni caso.

 

Afferrò il telefono ma no, era un numero sconosciuto di Roma.

 

Per un attimo fu tentata di ignorare, ma gli squilli continuavano e poteva essere qualcosa di importante.

 

Preparandosi mentalmente a maledire l’eventuale sventurato ed incauto operatore di call center, premette l’icona verde e portò il telefono all’orecchio con un “pronto?” che non faceva nulla per nascondere la scocciatura.

 

“La dottoressa Tataranni?” domandò una voce femminile, abbastanza giovane ma non troppo, e che sì, aveva ben colto il suo tono.

 

“Chi parla?” chiede di rimando, perché sapeva bene che, prima di identificarsi, era meglio far scoprire le carte al chiamante.

 

“Sono la dottoressa Tulli. Chiamo per informarla che la paziente Melania Russo si è risvegliata dal coma, un paio di ore fa. Fatica un po’ ad esprimersi ed ha capacità motorie limitate, ma pare cosciente e capace di intendere e di volere. Ha chiesto di lei e del maresciallo Calogiuri. Vuole parlarvi urgentemente ed ha insistito tanto che… ho pensato di chiamarvi, nonostante l’orario: non voglio che si agiti e si affatichi ulteriormente e per lei ogni parola in questo momento è una grande fatica.”

 

Fu come un pugno dritto allo stomaco e gli occhi le si inumidirono.

 

Da un lato c’era sollievo, per un incubo che finiva, perché finalmente la verità sarebbe stata dichiarata dalla stessa Melita, in modo incontrovertibile. Dall’altro… non poté fare a meno di guardare il viso tranquillo e sereno di Francesco, la boccuccia corrucciata in modo adorabile nel sonno.

 

Melita era sua madre e… se, come auspicabile, si fosse ripresa a sufficienza, sarebbe stata lei a occuparsene ed il loro affido temporaneo sarebbe finito.

 

E quello, insieme alla quasi certezza della menopausa ed allo sguardo curioso e preoccupato di Calogiuri, fu una mazzata enorme da assorbire, tanto che il telefono le tremò in mano.

 

Era giusto così ma non era giusto per Calogiuri e lo sapeva.

 

“Che succede?” le domandò, con quegli occhi da denuncia e le mani grandi sulle sue spalle, per farle forza.

 

Ma avrebbe dovuto farne anche e soprattutto lei a lui.

 

E non era giusto che lui passasse tutto quello, chissà magari quante volte ancora, solo perché lei… perché lei non poteva dargli un figlio biologico.


“Melita…” sussurrò, la voce di cartavetra, prima di bere d'un sorso il vino rimasto, posare il calice e pronunciare, più decisa, “Melita si è svegliata e chiede di noi.”

 

Non servì altro: il viso di Calogiuri esprimeva tutto meglio che qualsiasi parola.

 

E, mentre la dottoressa le chiedeva se fosse ancora in linea e se potessero andare in ospedale con urgenza, mentre udiva la sua stessa voce pronunciare in modo meccanico che dovevano trovare una babysitter, che l’avrebbero raggiunta il prima possibile e se qualcuno avesse avvertito la procura, la dottoressa Ferrari e il dottor Mancini, che lei non si occupava più del caso, il calore di Francesco, stretto ora più forte alla sua gamba, le bruciava in un modo quasi insopportabile.

 

Ma del resto, per ogni cosa bella c’era un prezzo caro, carissimo da pagare. La vita prima o poi ti presentava il conto e lo sapeva meglio di chiunque altro.



 

Nota dell’autrice: Lo so, è passata una vita dall’ultimo capitolo da me pubblicato ma proprio la vita ci ha messo letteralmente lo zampino, tra impegni di lavoro, viaggi e svariati blocchi nella scrittura.

Spero che il capitolo sia valso la lunghissima attesa e posso anticipare che anche nel prossimo ci sarà un evento atteso, attesissimo, che risponderà a molte delle vostre domande.

Vi ringrazio infinitamente per avermi seguita fin qui, per tutti i messaggi di supporto e per chiedermi quando sarei riuscita a pubblicare, per le recensioni ed i commenti. Grazie a chi ha aggiunto questa storia ai preferiti o ai seguiti.

Grazie fin da ora se vorrete farmi sapere che ne pensate di questo capitolo, dopo tutto questo tempo, se mi sono arrugginita o sto proseguendo nella direzione giusta e se la storia vi prende ancora.

Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare, nelle intenzioni, tra due settimane, domenica 12 giugno ma, se non fosse possibile, vi avvertirò sulla pagina autore.

Grazie mille ancora di cuore!

 
   
 
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