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Autore: The Blue Devil    30/05/2022    1 recensioni
[Jeeg Robot]
I miei soliti venti minuti di follia al lavoro…
Questa storia è un crossoverone tra diversi anime, tra i più iconici del decennio di appartenenza: Jeeg Robot per gli anni 70, Baldios per gli anni 80, Sailor Moon ed Evangelion per gli anni 90. Ho inserito anche citazioni di altri anime strafamosi. Scegliere la sezione secondaria è stato difficile.
Le situazioni potranno sembrare assurde, ma va letta fino in fondo… fidatevi…
Il rating è verde e credo giustamente.
In breve: Miwa ha un problema e, per risolverlo, si rivolge ad alcune "colleghe", con risultati sorprendenti e inaspettati...
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai
Note: Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate
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I personaggi di questa storia appartengono ai rispettivi autori, editori e distributori.
Avendo scritto ‘sta cosa per divertirmi non infrango alcun © che rimane agli aventi diritto.

 
I miei soliti venti minuti di follia al lavoro…
Questa storia è un crossoverone tra diversi anime, tra i più iconici del decennio di appartenenza: Jeeg Robot per gli anni 70, Baldios per gli anni 80, Sailor Moon ed Evangelion per gli anni 90. Ho inserito anche citazioni di altri anime strafamosi.
Le situazioni potranno sembrare assurde, ma va letta fino in fondo… fidatevi…
Il rating è verde e credo giustamente.

 
Buona lettura

 
 
QUESTA BIMBA A CHI LA DO…
 
«Tesoro, lo sai che sei bellissima legata come un salame?», disse Miwa Uzuki, ridacchiando, mentre osservava Flora, la temibile nemica, generale del Signore del Drago, legata ed imbavagliata ai suoi piedi, che si dibatteva nel vano tentativo di liberarsi.
Accucciatasi, la bella pilota del Big Shooter l’afferrò per i capelli, sollevandola un po’ da terra, e le sussurrò all’orecchio:
«Ora devo andare, tu non ti muovere, resta qui e fai la brava».
Flora rispose con una serie di mugolii, lanciando lampi d’odio dai suoi splendidi occhi scuri.
Ciò detto, la ragazza uscì dalla stanza, chiudendone la porta a chiave, con un salto salì sulla sua motocicletta e partì alla volta della sua destinazione.
 
Miwa, giunta a destinazione, si trovava dinanzi alla porta dell’alloggio in cui voleva entrare: bussare o non bussare? Questo era l’interrogativo che le ronzava in testa, ma ormai la decisione l’aveva presa e doveva andare fino in fondo; raccolto il coraggio, batté tre colpi su quella porta. Poi altri tre.
«Un attimo… mi metto qualcosa addosso… ero sotto la doccia», le rispose una voce melodiosa dall’interno della stanza.
La porta si aprì e una testolina bionda, i capelli fradici, fece capolino.
«Ah, sei tu Miwa? Cosa posso fare per te?».
«Devo parlarti, mi fai entrare?».
«Perché, non possiamo parlare qui?».
Rotti gli indugi, Miwa spinse la porta e riuscì ad entrare nell’alloggio.
«Te l’ho detto, ero sotto la doccia… non sono presentabile», tentò la biondina.
«Non ti preoccupare, tesoro, stai benissimo. Devo parlarti è importante».
Miwa aveva notato che l’altra, oltre a non volerla far entrare, si guardava con preoccupazione alle spalle; non tardò molto a capire il perché.
«Che succede Jamie, sono arrivate le pizze?», chiese una voce, un po’ roca, proveniente forse dal bagno dell’alloggio.
«Chi c’è con te?», si stupì la Uzuki, rimanendo poi a bocca aperta, quando la proprietaria della voce fece il suo ingresso nella sala.
«Dottoressa Era Quinstein? Non mi dica che anche lei era sotto la doccia…».
«Non lo vedi, cara?», rispose l’interpellata, avvolta in un accappatoio, mentre Jamie si passava una mano sulla fronte.
«Jamie, quante docce hai?».
«Una…».
«Significa che… ?».
«Lascia perdere, vuoi?».
«No, è giusto che lei sappia», intervenne la matura dottoressa, andandosi a sedere su una poltrona.
Il modo, lento e studiato, in cui accavallò le sue splendide gambe, lunghe ed affusolate, facendole fuoriuscire generosamente dall’apertura dell’accappatoio, avrebbe fatto fremere chiunque. Anche Miwa fu percorsa da un fremito.
Messasi comoda e accesasi una sigaretta, la scienziata, proseguì:
«Sai, Miwa, Marin è partito con quell’altra alla volta di S-1 e noi siamo rimaste qui, sole solette… ci si annoia, quindi per passare il tempo…».
«Per ingannare la noia… sì, ho capito, ma perché sono partiti?».
«È una lunga storia», attaccò la dottoressa, che aveva cominciato a dondolare la gamba accavallata, «Quando Marin giunse qui, sulla Terra, io gli sequestrai il Pulser Burn lo modificai e dalla sua unione con il Cater Ranger e il Baldiprize, altri due mezzi di mia invenzione, ottenni il Baldios. Ma, in uno scomparto segreto della navicella di Marin, trovai dei documenti, per me indecifrabili al tempo, che conservai. Ora so che erano i progetti, del padre di Marin, per la costruzione del depuratore in grado di salvare S-1… che poi è la Terra del futuro».
«E allora?», chiese Miwa, spazientita.
«E allora lui ha deciso di tornare su S-1, mentre io qui cerco di realizzare quel macchinario. Quando giungerà sul suo pianeta, con l’aiuto del padre unito al mio dal passato…».
«Però ha deciso di portarsi dietro anche quella sciacquetta dai capelli verdi: stava morendo e con la nostra tecnologia medica non la si può salvare. Cosa ci trovi in quella stronzetta io non lo so proprio».
«Insomma, sciacquetta… Aphrodia è bellissima», pensò Miwa, prima di parlare:
«È proprio di lei che volevo parlarvi… ne ho una anch’io di stronzetta coi capelli verdi da eliminare… pensavo che vi foste liberate della vostra e che avreste potuto aiutarmi a far fuori la mia: in fondo hanno tutte e due i capelli verdi».
«No, no, guarda Miwa, sei un’amica, ti vogliamo bene, ma una ce n’è bastata e avanzata pure! E mi ha fregato l’uomo, altro che eliminata!».
Nella foga del discorso, la biondina aveva mollato l’asciugamano che la copriva, lasciandolo cadere a terra, rivelando un corpo sodo e perfetto; si affrettò a raccoglierlo e a ricoprirsi, arrossendo di vergogna.
«Cribbio, che corpo perfetto! O Aphrodia è una Venere, o Marin è un imbecille! Proprio come Hiroshi…», pensò Miwa, prima di chiedere:
«Quindi non potete, anzi, non volete aiutarmi?».
Quinstein, che aveva terminato la sigaretta, si alzò e si portò dietro a Miwa, accarezzandole le spalle:
«Esatto cara; però, qualcosa per te la possiamo fare; si è fatto tardi, fuori è buio, perché non ti fermi da noi per questa notte?».
«Ma… veramente avrei da fare…».
«Sì, sì, che bella idea Era! Dai vieni di là che ci divertiremo, noi tre insieme», gongolò Jamie, prendendo Miwa, sospinta dalla dottoressa Quinstein, per mano e trascinandola nella stanza da letto.
 
 
Era passata da poco l’alba quando Miwa finì di vestirsi: si era fatta una doccia veloce, da sola, ed era pronta per ripartire.
«Che notte folle! Quelle due sono matte! Però non è stato male… ma che vado a pensare! Andiamo via, prima che mi sequestrino di nuovo!».
Diede un’ultima occhiata alle due donne, sue amanti per una notte, avvinghiate sotto le lenzuola, ed uscì dall’alloggio.
 
Era stato difficile trovare il suo secondo obbiettivo e complicato entrarvi: c’erano guardie armate fino ai denti ovunque, con l’ordine di non far passare anima viva. Ma ora, Miwa, che aveva dovuto sfoderare tutto il suo charme con le guardie, si trovava dinanzi alla porta di un altro alloggio, in un’altra base militare.
«Se conosco le mie polle… si può dire?... loro potranno aiutarmi».
Bussò e, come si aspettava, le venne aperto da un’altra scienziata, la bionda dottoressa Ritsuko Akagi: questa, pur non avendo finito di vestirsi – aveva indosso solo le mutandine, il reggicalze e le calze marron trasparenti – non si era fatta scrupolo di aprire la porta.
«Oh, guarda chi c’è! Tu sei Miwa Uzuki, della Base Antiatomica? Come posso aiutarti?».
Miwa capì da alcuni rumori che non erano sole e, conoscendo le inclinazioni di Ritsuko, o meglio della sua amica Maya Ibuki, s’aspettava di veder comparire quest’ultima da un momento all’altro, magari in abiti discinti. E invece sbiancò in volto quando vide comparire Misato Katsuragi, in abiti più che discinti.
La nuova arrivata, appoggiato un piede su una sedia, cominciò ad infilarsi una calza; quando arrivò ad agganciarsela al reggicalze, Miwa ritrovò la parola:
«Ma… dottoressa Akagi, ha tradito Maya?».
La risposta le venne data da Maya stessa, che sbucò, completamente nuda, da dove era sbucata Misato:
«Certo che no, sciocchina, io sono qui».
In quel momento bussarono alla porta: era la rossa Asuka Langley-Soryu, pilota dell’Eva-02, giunta a prendere Misato per recarsi al lavoro.
«Oh, vedo che avete un’ospite!», esclamò la nuova arrivata alla vista di Miwa.
«Mi dicevi, Miwa?», riprese Ritsuko.
«Beh, ho un problema con una donna… conoscendovi pensavo che avreste potuto prendervela voi, ma mi par di capire che siate già in troppe…».
«Hai ragione tesoro, viviamo in una specie di limbo, in attesa che ci diano un finale certo e soddisfacente. Poi, con gli uomini che ci ritroviamo qui, tipo quell’ameba di Shinji, è un po’ difficile soddisfare certe esigenze… tu capisci, vero?», intervenne Misato.
«Mi è venuta un’idea, una bellissima idea!», esclamò Asuka, rivolgendosi a Miwa, «Invece di portarci donne strane, perché non ti fermi tu qui con noi, per un po’?».
Le amiche della rossa non risposero, solo Ritsuko, sveltamente chiuse la porta a chiave.
Asuka incalzò:
«Dai, ragazze! Ci diamo malate e restiamo qui a divertirci… potrebbe essere piacevole, oltre che divertente, così rompiamo un po’ la monotonia di giorni tutti uguali a sé stessi».
Miwa, intuendo dove volesse arrivare la tremenda ragazza, con uno scatto da vero felino raggiunse la porta, ma la trovò chiusa; Asuka fu lesta a bloccarla e a farle scattare un paio di manette, passatele da Misato, ai polsi, dopo averglieli portati dietro la schiena.
«Va bene, comunico ai vertici che siamo in malattia», disse Misato.
Mentre veniva condotta nella stanza da letto dell’alloggio, Miwa pensò:
«Ma dove sono capitata? Questa missione si sta rivelando più pericolosa del previsto».
 
Molte ore dopo, nel pomeriggio, a Miwa fu concesso di lasciare la base: era esausta, a pezzi. Le dolevano tutte le ossa e, toccandosi i glutei, pensò:
«Sono in fiamme… prima le sculacciate della Quinstein, poi le padellate della Akagi… e non solo… sarà un problema salire sulla moto».
Per darsi un po’ di sollievo, si distese sull’erba di un prato e la sua mente cominciò a vagare:
«Ma son tutte così ‘ste scienziate mature degli anime? Mi manca solo la dottoressa Kitty, ma, per fortuna, a ‘sto punto, quella è sul Grande Pianeta ad aiutare la Principessa Aurora… e magari posso pure immaginare come la stia aiutando…».
Ci pensò su parecchio:
«Non la posso mollare ad Ayuhara perché ne ha altre undici intorno; l’altra, Mimì, ne ha solo cinque, ma poi Jenny s’ingelosisce e succede un disastro… Bia e Noa le scarterei, anche se mi farebbe comodo un bell’incantesimo di sparizione… vediamo… ci sono! Si ritorna a Tokyo».
E via sulla moto verso la capitale.
 
Questa volta giunse davanti ad una villetta signorile e ad aprirle fu una ragazza snella e coscia lunga, dai lunghi capelli corvini; il fatto che la ragazza non fosse la padrona di casa, che avesse indosso solo un asciugamano e avesse i capelli bagnati, la fece trasalire.
«Eh, no, basta, non è possibile!», sbottò la pilota del Big Shooter.
Ma l’arrivo della signora Ikuko Tsukino, avvolta in un lungo vestito azzurro con le mani sotto l’immancabile grembiule da cucina, la tranquillizzò.
«Almeno queste due non stavano sotto la doccia insieme, ma mi chiedo cosa ci faccia Rei mezza nuda a casa di Usagi».
«Accomodati pure, Miwa, ti preparo qualcosa? Un tè?».
«Un tè andrà benone, ne ho proprio bisogno».
«Tesoro, se hai fatto tutta questa strada, dalla Base Antiatomica, vuol dire che hai bisogno di qualcosa d’importante; parla pure», esordì Rei.
«Sì, in realtà cercavo Usagi…».
«Parla liberamente, Ikuko è a conoscenza, ormai, della nostra identità».
«Cercavo due guerriere in particolare…».
Ikuko, tornata portando un vassoio con tè e biscotti, esclamò:
«E le hai trovate! Noi siamo due guerriere!».
«Veramente intendo due guerriere Sailor».
Udite queste parole, Rei lasciò cadere l’asciugamano e, mettendosi in posa plastica, sentenziò:
«Io sono una guerriera Sailor! Sailor Mars, la guerriera del fuoco».
«E io non sono da meno», intervenne la signora Tsukino, che fu lesta a lasciar scivolare via il vestito, rivelando un corpo maturo, non proprio perfetto, ma ancora appetibile.
Notata l’espressione di Miwa, Rei aggiunse:
«Dai, non sarai mica imbarazzata, spero? Siamo tra donne».
Miwa, pensando che Rei avesse un corpo stupendo e perfetto, disse:
«Cercavo quelle due che hanno tendenze strane… ma, a quanto pare non sono le sole da queste parti».
«Sai com’è», attaccò la più matura delle tre, «da quando le mie figlie si sono trasferite sulla Luna, nel loro regno, mio figlio ha preso il volo e mio marito ha ripreso a navigare, mi sento sola… almeno Rei, mi fa un po’ di compagnia».
«Giusto, tesoro», disse Rei, regalandole un bel bacio, «mi sei sempre piaciuta, al punto che mi chiedevo come potesse, Usagi, essere tua figlia».
Andò a finire che Miwa dovette, anche questa volta, fermarsi a far compagnia alla padrona di casa e alla sua amica, non avendo più forze per sottrarsi a tale richiesta.
Fu liberata a notte fonda.
«Anche queste due, che assatanate, non ne posso più, io me ne torno a casa. E quella Rei, bellissima, ma antipatica: ʺMi dispiace, cara, Haru e Michi sono sulla Luna a proteggere Serenity… se ti accontenti di noi…ʺ. E anche l’altra, in quanto a fascino e avvenenza, non scherza mica; vorrei arrivare io così alla sua età».
Ma, appena vide la moto, Miwa inorridì, esclamando a voce alta:
«No, non ce la faccio proprio, mi fa male dappertutto… io prendo il treno, manderò qualcuno a riprendere la moto domani».
 
Dopo diverse ore, trascorse su uno scomodo treno, Miwa, seduta su una sedia, osservava la dormiente Flora, sempre legata e imbavagliata sul pavimento:
«Però, Flora è molto bella, quasi quasi me la tengo io; mi ci diverto un po’ e poi chissà, magari convinco Hiroshi a partecipare, così finalmente si sblocca quel… meglio non aggiungere altro. Sì, se questo è l’unico modo, farò così. Ora, però, me ne vado a nanna, che non ce la faccio più».
Queste considerazioni, la ragazza le aveva espresse a voce bassa, ma udibile. Chiuse la porta della prigione, senza far rumore, e si allontanò.  
 
Non erano trascorsi neanche cinque minuti, che Flora si mise a sedere, sputò il fazzoletto che aveva in bocca, dopo aver slegato quello che Miwa le aveva passato tra i denti per chiuderle la bocca e, massaggiandosi i polsi, sbottò:
«Quella stupidella pensava che una corda e due fazzoletti bastassero a mettere fuori combattimento me, il grande generale del Signore del Drago! Dai Hiroshi, vieni fuori, se n’è andata».
Da dietro un mobile, nell’angolo della stanza, sbucò Hiroshi:
«Eh già; hai sentito amore? Si è convinta a tenerti e a far qualcosa in tre. Mi sa che l’addestramento ha funzionato perfettamente».
«Sì, però io non voglio più essere legata! Leghiamo lei come un salame, così mi prendo un paio di rivincite! E comunque, ora, abbiamo un problema, anzi tre grossi problemi: le due disperate rivogliono Marin indietro; quelle altre quattro vogliono un finale e le ultime due rivogliono figlie, amiche e amici sulla Terra! Che ci devono fare, mega orge? Forse abbiamo fatto troppe promesse senza esser certi di poterle rispettare».
«Non ti preoccupare, tesoro», rispose Hiroshi, baciandola, «l’importante è aver raggiunto lo scopo; al resto ci penseremo, magari domani, in fondo domani è… Lunedì e gli studi d’animazione sono aperti!».
 
FINE
 
 
 
© 2022, The Blue Devil
   
 
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