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Autore: Margareth    07/09/2009    1 recensioni
One-Shot che ho scritto l'anno scorso, prima che la 5 serie venisse trasmessa in Italia, basandomi sulle notizie e le recensioni lette sul forum...ho aspettato un po' a pubblicare ma alla fine mi sono convinta ;D Collocato subito dopo la fine della quinta serie, la sera del giorno in cui Vance ha diviso il Team Gibbs..
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anthony DiNozzo, Ziva David
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aveva aperto il divano letto

Aveva aperto il divano letto. Proprio non le andava di dormire in una camera che tra poco meno di un giorno non sarebbe stata più la sua. 

Appena era rientrata a casa aveva subito fatto i bagagli perché sapeva che più aspettava più sarebbe stato doloroso.

Si guardò intorno; la casa sembrava così vuota ora. A dir la verità non era mai stata particolarmente ricca di decorazioni o soprammobili, lei non era certo il tipo da riempire le pareti di foto, ma in qualche modo, ora che sapeva che sarebbe dovuta partire, le sembrava fredda e triste.

Si infilò sotto le coperte, sistemando i cuscini dietro la schiena in modo da potervisi appoggiare e accese la televisione, cercando di evitare di pensare a quante volte lei e Tony avevano fatto la stessa cosa stravaccati su quello stesso divano.

Due giorni. Solo sue giorni prima la sua vita proseguiva tranquilla, almeno per quanto potessero essere tranquille le giornate di un agente di collegamento del Mossad in servizio all’NCIS. Non si sarebbe mai immaginata che tutto sarebbe cambiato in così poco tempo, senza alcun preavviso.

Due giorni prima era a L.A., spassandosela a leggere libri sdraiata al sole, due giorni dopo sarebbe stata di nuovo in Israele, al servizio di suo padre.

Sbuffò, cambiando canale. 

Si soffermò su un quiz televisivo e allungò una mano per prendere il piatto con la sua cena che aveva appoggiato sul tavolino. Due uova e un po’ d’insalata. Non aveva molta voglia di cucinare quella sera.

A dire la verità non aveva nemmeno voglia di mangiare ma si costrinse a ingoiare qualche boccone.

Le immagini si susseguivano sullo schermo minuto dopo minuto, ma Ziva le osservava senza interesse. Si era sempre chiesta quale fosse la funzione di quegli stupidi giochi che la maggior parte degli americani si divertiva a guardare la sera dopo il lavoro. Forse per la prima volta riusciva a coglierla.Si poteva guardarli senza alcuno sforzo, bastava ascoltare. Non era necessario stare attenti ad una trama o tenere a mente particolari. Li guardavi e basta.

Ottimo per distrarsi e non pensare.

Avvicinò alla bocca la forchetta su cui era incastrata qualche foglia di insalata. La assaggiò, assaporandone il lieve sapore di olio e aceto prima di ingoiarla. Le piaceva l’insalata, era fresca, sana e leggera.

Lanciò un’occhiata all’orologio. Era ancora presto ma lei si sentiva stranamente stanca. Gli ultimi giorni erano stati davvero difficili e ora che poteva finalmente rilassarsi la stanchezza le era piombata addosso tutta d’un colpo. Sapeva che avrebbe dovuto dormire ma non voleva. Non poteva. Il tempo sarebbe passato più velocemente.

Tornò quindi a concentrarsi sulla televisione e si costrinse a stare attenta e provare a indovinare anche lei le risposte alle domande che venivano poste al concorrente. La maggior parte erano davvero facili per lei. Altre richiedevano più concentrazione ma alla fine riusciva sempre ad arrivare ad una soluzione, che il più delle volte si rivelava essere quella corretta.

Fino a quel momento ne aveva sbagliate solo due.

Stava cercando di arrivare alla risposta della penultima domanda quando il campanello del suo appartamento suonò.

Sobbalzò. Non si aspettava di ricevere visite.

Si sfilò la coperta leggera e scese dal letto, dirigendosi con passi svelti alla porta.

Guardò attraverso lo spioncino e per un attimo pensò di avere le allucinazioni.

Spalancò la porta allarmata. Tony era appoggiato al muro col fianco sinistro, bagnato, anzi, letteralmente fradicio.

Ansimava leggermente e sembrava davvero a pezzi.

Ziva lo fece entrare chiudendo la porta alle sue spalle.

“Che diavolo ci fai qui?”

Tony la guardò sorridendo ma non era uno dei suoi soliti sorrisi. Era vuoto, spento, rassegnato.

“Avevo bisogno di vederti”

Ziva sospirò. “E non potevi venire in macchina? Ti prenderai una bella influenza” osservò il viso dell’uomo, bagnato dalla pioggia e forse non solo da quella, gli occhi lucidi e le guance arrossate. Appoggiò una mano sulla sua fronte. Scottava.

“Ammesso che non te la sia già presa. Sei bollente. Si può sapere che diavolo ti è successo?”

Il sorriso sul volto di Tony svanì mentre fissava Ziva, questa volta serio.

Ma non parlò, non ce n’era bisogno. Sapeva benissimo cos’aveva. La stessa cosa che aveva lei, la stessa che avevano Abby e McGee. E forse anche Gibbs.

L’israeliana lo spinse con delicatezza verso il letto e lo fece sedere.

“Avanti, togliti questi vestiti, sono fradici” Lo aiutò a sfilarsi la giacca e poi gli sbottonò la camicia, mentre il suo cuore accelerava.

Tony trovò la forza per togliersi da solo scarpe e pantaloni e Ziva si diresse in bagno tornandone pochi minuti dopo con un asciugamano pulito.

Lo lanciò all’agente, ordinandogli di asciugarsi la testa e poi sparì in cucina.

Quando ne tornò poco dopo, con in mano un piatto scarso d’insalata e un altro uovo sodo, lui si era già seduto sotto le coperte appoggiandosi allo schienale.

Ziva lo raggiunse, sedendosi dall’altro lato e porgendogli il cibo.

Tony lo prese e mangiò qualche fetta d’uovo, controvoglia, poi lo appoggiò sul materasso accanto a lui.

“Non ho molta fame” si scusò

“Devi mangiare per prendere la medicina” rispose lei sbrigativa.

Tony chiuse gli occhi ancora lucidi ma dopo un momento finì di mangiare ciò che lei aveva preparato. Dopodiché bevve dal bicchiere che Ziva gli porgeva.

L’israeliana riportò tutto in cucina e quando tornò si sdraiò accanto a lui, cercando però di non stargli troppo vicino.

Stettero per qualche minuto senza dire niente, fissando la televisione che ora trasmetteva un vecchio film che sicuramente Tony conosceva a memoria.

Non sapeva quanto era passato esattamente quando lui si mosse, poco distante da lei.

“Devo…mettermi sdraiato” ogni parola sembrava costargli un enorme sforzo, mentre cercava di sdraiarsi completamente.

Quando ci fu riuscito, appoggiò la testa sul cuscino e chiuse gli occhi.

Ziva continuò ad osservarlo.

Voleva imprimersi nella mente la sua immagine, il suo volto, il suo corpo. Quanto tempo sarebbe passato prima di rivederlo? Ammesso che l’avrebbe rivisto.

Allungò una mano verso il suo volto, a sfiorargli la fronte.

La ritrasse un secondo dopo. “Ahhh sei proprio un idiota!Che cavolo ti è venuto in mente??Piove a dirotto e ti devi imbarcare domani. Devo partire presto anche io, pensi che non abbia di meglio da fare che prendermi cura di te?” Si alzò con un movimento veloce.

Poco dopo Tony sentì qualcosa di fresco sulla fronte e poi l’abbassarsi del materasso, segno che Ziva era tornata al suo posto.

La pezza bagnata fece il suo effetto e si sentì un po’ meglio. Non molto ma quanto bastava per poter riaprire gli occhi.

Ziva era accanto a lui, a circa 40 cm.

Era preoccupata per lui da quando Jenny era morta e non aveva potuto far completamente spazio alla tristezza, perché sapeva che in quel momento Tony era più a terra di lei. Molto di più.

Si era sempre sforzata di rendere più leggero il carico opprimente che gravava sulle sue spalle, la fitta che lo pugnalava ogni volta che pensava al corpo di Jenny in una pozza di sangue.

Non riusciva a togliersi dalla testa quell’immagine, anzi, non voleva. Era la giusta punizione, rivederla ogni volta che chiudeva gli occhi. Tutto ciò era accaduto per colpa sua.

“Dovevo…morire io” sospirò girandosi sulla schiena e fissando il soffitto.

Di sfuggita, la vide voltarsi verso di lui.

Pur non vedendola, immaginava la sua espressione. Gli occhi spalancati, animati dalla rabbia.

“Pensi che questo risolva le cose?”

Questo cosa?”domandò

“Commiserarsi!”

“Non mi sto commiserando.”

“Invece lo stai facendo, Tony. Smettila” Era più una supplica che un ordine.

“Non posso. E’ morta per colpa mia” La vista gli si annebbiò e una lacrima calda scivolò sul viso arrossato.

“Questo non è vero. Era già malata, sapeva che le rimaneva poco tempo. Ha solo scelto come morire. Salvando la persona che amava. E’ la stessa cosa che faremmo io e te.”

Tony non rispose. Nel profondo, sapeva che Ziva aveva ragione. Ducky aveva detto chiaramente che la malattia contratta da Jenny non aveva cure. Molto probabilmente sarebbe morta nel giro di qualche mese, anche se non era possibile calcolare esattamente quanti. In più avrebbe sofferto molto. Provò ad immaginarsela in un letto d’ospedale, magra, con una quantità innumerevole di tubi e l’incessante e fastidioso “bip-bip” della macchina, ma scacciò immediatamente l’immagine dalla sua testa. Non era giusto. Non sarebbe stata lei. Sapeva che non avrebbe mai voluto essere ricordata così.

Eppure non riusciva ad impedirsi di considerarsi almeno un po’ colpevole.

Non aveva fatto il suo dovere, non l’aveva protetta. Se fosse stato lì con lei in quel momento probabilmente ora sarebbe stata ancora viva.

Un pensiero improvviso gli attraversò la mente.

Se fosse stato lì ci sarebbe stata anche Ziva. E forse sarebbe stata lei a morire.

Allontanò con forza quell’idea ma ancora più velocemente l’immagine del corpo di Jenny coperto di sangue fu sostituita da quella di Ziva, gli occhi sbarrati, riversa sul pavimento.

Come si sarebbe sentito se avesse dato ascolto alla sua collega e disubbidito agli ordini del direttore e se poi nello scontro fosse stata proprio l’israeliana a morire?

Di sicuro Jenny non l’avrebbe mai perdonato, e avrebbe comunque perso anche lei a causa della malattia.

Ma soprattutto avrebbe perso Ziva.

Gli sembrava talmente impossibile che proprio non riusciva a immaginarselo.

Non riusciva a pensare di arrivare in ufficio e non vederla già seduta alla sua scrivania, di non poterla infastidire mentre scriveva un rapporto o sfogliava riviste nei momenti di pausa, di non vedere il suo sorrisino di scherno quando veniva colto in flagrante da Gibbs, non riusciva ad immaginare un’intera giornata senza battibeccare con lei, senza correggerla quando sbagliava i modi di dire. A dir la verità semplicemente non immaginava un’intera giornata senza di lei.

D’altra parte era anche per quello che era andato a casa sua quella sera.

Perché il giorno dopo si sarebbe imbarcato e non l’avrebbe più rivista, almeno per un po’.

Avrebbe voluto che il tempo scorresse meno velocemente…

Perché era così difficile separarsi da lei?

“Le volevo molto bene anche io” Tony si voltò verso Ziva. Era nella stessa posizione di prima, tranne per il fatto che faceva molta attenzione a non guardarlo, nemmeno di sfuggita.

La voce era incerta, leggermente tremante.

“Era una grande amica per me, ed è grazie a lei se …ho potuto passare questi anni qui”

Tirò su col naso e si affrettò ad asciugarsi con il dorso della mano le lacrime che erano scivolate dai suoi occhi lucidi.

Sorrise “Ma per lei è meglio così. Non ha sofferto molto e gli ospedali non erano fatti per lei. Era troppo forte”

“Già” Tony ritornò a fissare il soffitto “Non le ho mai detto quanto la ammirassi”

Ziva si voltò e lo osservò annuendo “Sono sicura che lo sapeva”

Ancora silenzio.

Tony si sentiva decisamente meglio. Forse quella roba che gli aveva dato Ziva era davvero fenomenale, o forse gli aveva fatto semplicemente bene parlare.

Si allungò un po’ verso di lei e prese il telecomando della televisione, affrettandosi a cambiare canale.

“Ehi!” Ziva si voltò a guardarlo, l’espressione corrucciata.

“Avanti, questo film è una noia! Ora trovo io qualcosa di divertente”

Le immagini scorrevano veloci sullo schermo, Tony lasciava passare solo pochi secondi, prima di cambiare ancora canale.

L’israeliana stava cominciando ad irritarsi.

“Ma porca miseria! Solo film noiosi, visti e rivisti” si lamentò l’agente qualche minuto dopo.

“Il fatto che tu abbia visto più film di chiunque altro su questo pianeta non significa che quelli che trasmettono stasera siano noiosi per tutti. E per favore, la puoi smettere??” aggiunse stizzita cercando di strappargli il telecomando dalle mani.

Ma Tony fu più veloce e riuscì a spostare il braccio appena in tempo.

“Oh ma andiamo!Chi potrebbe vedere questa roba?? Trame per niente originali, attori mediocri, effetti speciali scarsi…Li mettono solo perché se ci fossero film interessanti nessuno vedrebbe le partite di basket!”

Non stava bene come morale, che era ancora piuttosto basso, ma ora toccava a lui. Ziva aveva cercato di farlo sentire meglio per tre giorni, da quando avevano scoperto il corpo.

Ora doveva essere lui a tirarla su. Stava soffrendo anche lei e quella era l’ultima sera in cui potevano ancora prendersi in giro e litigare e non voleva sprecarla. Per pensare ci sarebbe stato tempo più avanti.

Ne avrebbe avuto di tempo, disperso in mezzo all’Oceano.

“Finalmente!” Tony si soffermò su un canale satellitare.

Sullo schermo, attori vestiti da pirati si rincorrevano e combattevano su un vascello, mentre la tempesta infuriava attorno a loro facendo dondolare pericolosamente la nave.

“E questo che roba è?” Ziva non riusciva a credere come Tony potesse considerare bello quello spettacolo. Lei lo trovava semplicemente assurdo.

“Questo, cara Ziva, è La maledizione della Prima Luna, film del 2003 diretto da Gore Verbinski, primo della trilogia de ‘I Pirati dei Caraibi’ che si è conclusa circa un anno fa. Carino, storia abbastanza interessante, ottimi attori, buoni effetti speciali.”

“E perché dobbiamo vedere proprio questo film?”

“Perché tu non sai chi è Jack Sparrow.”

“Un pirata” rispose pronta Ziva

“Non vale, te l’ho detto io”

“Veramente l’avevo intuito..”

“Te l’ho detto io qualche…oh lasciamo perdere. Devi proprio vedere questo film”borbottò lui, preparandosi alla visione.

Ziva sorrise e si mise un po’ più comoda, sotto le coperte.

Il tempo passò velocemente, fin troppo.

Ogni tanto Tony si perdeva nel raccontare qualche aneddoto riferito al film, informazioni che Ziva non riteneva affatto fondamentali, ma che ascoltava comunque, a volte commentando.

In uno o due casi la discussione era degenerata.

Tutto era partito da un’obiezione dell’israeliana a qualcosa che Tony aveva detto.

A quel punto lui aveva cercato di spiegarle il suo punto di vista ma lei aveva insistito nel dire che tutto ciò non aveva senso.

Alla fine Tony aveva alzato gli occhi al cielo e aveva smesso di rispondere, così Ziva, contenta di essere uscita vincitrice dalla discussione, si era rimessa a guardare il film con un sorriso soddisfatto.

Man mano però i commenti di Tony si erano fatti sempre meno frequenti e gli occhi erano tornati leggermente lucidi.

Ziva gli lanciava occhiate preoccupate mentre era sicura che lui non la vedesse. Come poteva imbarcarsi in quello stato?

Quando i titoli di coda avevano cominciato a scorrere, era sicura che ormai la febbre gli si fosse alzata molto, forse più di prima.

L’effetto momentaneo della medicina era ormai sparito e Tony si sentiva più accaldato che mai. Ziva gli aveva cambiato la pezza bagnata che lui aveva abbandonato sul tavolino accanto al divano prima di vedere il film e aveva riempito un secchio con dell’acqua fredda in modo da non doversi alzare troppo spesso.

Poi si era sdraiata anche lei. Aveva chiuso gli occhi per alcuni minuti, cercando di non addormentarsi e quando li aveva riaperti Tony la stava fissando.

Si erano guardati per qualche secondo, senza dire niente. Poi Tony aveva sorriso e aveva richiuso gli occhi.

Ziva era rimasta immobile, cercando di impedire al cuore di uscirle dal petto. Erano così vicini..

Eppure tra qualche ora sarebbero stati immensamente lontani.

Sospirò guardandosi intorno e controllando mentalmente di aver preso tutto ciò che le sarebbe servito, ma era troppo stanca anche per pensare.

Voltò il fazzoletto bagnato sulla fronte di Tony ma prima glielo passò sul viso arrossato, tamponando dolcemente.

Lui non si mosse. Evidentemente si era addormentato.

Ziva tornò al suo posto, decisa a cedere finalmente alla stanchezza, ma proprio in quel momento Tony riaprì gli occhi.

“Ziva…”la voce era impastata dal sonno

lei non rispose ma lui sapeva che lo stava ascoltando.

“Per favore non mi lasciare. Non credo di essere nelle condizioni giuste per sopportarlo” sorrise ironico, come per prendere in giro se stesso.

I battiti del cuore dell’israeliana accelerarono. Sapeva che Tony non capiva fino in fondo quello che stava dicendo. A volte la stanchezza era peggio dell’essere ubriachi. Ma sapeva che era sincero, lo vedeva dal suo sguardo, dal suo sorriso, finalmente di nuovo reale e non finto e costruito per nascondere il dolore.

Le ci vollero alcuni secondi per riprendere il controllo.

Quando il cuore smise di battere in modo forsennato si trascinò verso di lui, accoccolandoglisi accanto. Pochi secondi dopo sentì il suo braccio circondarla, stringendola con delicatezza.

Finalmente chiuse gli occhi.

“Ti amo Tony”sussurrò contro il suo petto.

Ma lui si era già addormentato.

 

 

 

 

  
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