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Autore: Ari Youngstairs    05/06/2022    0 recensioni
Malec | Divergent!AU
“Eppure, io ero convinto di non avere nulla di speciale.
Schietto, timido, voglio bene ai miei fratelli e ho poca voglia di stare in mezzo alla gente: un normalissimo Candido. Beh, forse non proprio normale, dato che ho fin troppi scheletri nel mio armadio.
La città in cui vivo è divisa in cinque Fazioni, ma non le amo particolarmente: ci limitano, e nel mio caso sono la cosa più scomoda che possa capitarti.
Però se tengo la bocca chiusa non potrà accadermi nulla di male. Giusto?”

Alexander Gideon Lightwood si sbaglia: la sua semplice vita viene completamente stravolta dopo il Test Attitudinale, rendendola quasi come un vero e proprio thriller.
Aggiungete dell'azione, intrighi, cospirazioni e qualche battito cardiaco di troppo.
Che ne verrebbe fuori?
Genere: Azione, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Magnus Bane
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Note: Buon inizio estate a tutti voi!
Come vi dissi alcuni giorni fa, a causa esami ho avuto rimandare l'aggiornamento, ma ora eccolo qui!
Purtroppo i miei esami non sono ancora conclusi, ma spero di fare il prima possibile per il prossimo capitolo (che ho già iniziato a scrivere).
Questo è un capitolo molto particolare, leggermente più breve rispetto ai precedenti, ma necessario a livello di trama (che passetto dopo passetto si avvicina sempre di più alla fine...T.T): spero vi piaccia!
Detto questo ringrazio tutti coloro che hanno recensito e recensiranno, grazie di cuore e buona lettura <3

Ari Youngstairs



• Capitolo Venticinque •


Ho perso il conto delle ore. Quando gli Eruditi hanno dato inizio alla simulazione che ha costretto gli Intrepidi a distruggere la fazione degli Abneganti, era notte fonda.
Ora, mentre io Simon e Clary ci dirigiamo verso la vecchia casa di quest’ultima, il sole è alto nel cielo, coperto da grossi nuvoloni scuri. 
Lei zoppica ancora, tenendosi stretta al suo amico per procedere. Io mi tengo con la mano la spalla ferita: ormai ha smesso finalmente si sanguinare, ma brucia come se qualcuno mi ci avesse messo sopra del sale.
La fazione degli Pacifici è quella più isolata rispetto alle altre, fuori dalla parte urbana della città; non ho mai visto le mura così da vicino, sembrano dei grandi colossi di pietra.
Qui la popolazione vive di agricoltura e allevamento, tanto che sono loro a procurare il cibo per tutti gli altri.
Mentre Simon e Clary conoscono bene questo posto, e si orientano senza difficoltà tra i sentieri che si snodano tra campi coltivati, sprazzi di foresta e frutteti, io ho perso totalmente il senso dell’orientamento e mi sembra di girare in tondo.
I nostri piedi sprofondano nel terreno. Sopra la mia testa i rami si tendono gli uni verso gli altri, formando una specie di galleria: frutti scuri pendono tra le foglie, pronti a cadere, e un profumo intenso e dolce di mele troppo mature si mescola con l’odore della terra fredda e  umida.
«Ci siamo quasi.» Mi dice Clary, girandosi verso di me. «Mamma vive da sola in una fattoria molto grande e un po’ isolata rispetto alle altre. Per un po’, dovremmo poter stare tranquilli.»
Usciti dal frutteto, davanti a noi appare una grande casa in legno e vetro, dove il camino acceso disegna sbuffi di fumo nell’aria: ha un aspetto rustico e molto diverso dai palazzi in cemento della città, alti alberi sempreverdi la circondano e sul retro s’intravede una staccionata in legno che ospita alcuni animali e un grande orto.
Una donna in abiti da Pacifica è nel cortile, intenta a spargere quelli che sembrano semi ad alcune galline le scorrazzano intorno, beccando a terra. Ha i capelli rossi e ricci raccolti in un pezzo di stoffa, legato con un fiocco sulla nuca. 
Quando ci nota, inizialmente sobbalza e caccia un urlo, facendo cadere il secchio di semi che teneva in mano. Poi, però, sembra riconoscere sua figlia e il suo amico d’infanzia.
«Clarissa? Sei davvero tu?» Ci chiede, avvicinandosi con cautela. 
«Mamma!» Clary lascia la presa di Simon e va incontro a sua madre, zoppicando e incespicando.
La madre sembra finalmente riconoscerla e le corre incontro, stritolandola in un abbraccio. Poi dopo le circonda il viso con le mani, controllando scrupolosamente ogni centimetro di pelle.
«Sei ferita? Ti hanno fatto qualcosa? Ho sentito alla televisione…» comincia a chiederle, ma poi sembra ricordarsi della nostra presenza. «Simon, anche tu qui? E tu…» mi scruta attentamente, con gli stessi occhi verdi e limpidi della figlia. «…tu devi essere l’altro figlio di Maryse e Robert, non è così?»
Deglutisco, a disagio sotto il suo sguardo inquisitore: non sentivo nominare mio padre da anni, e non avendo più foto sue in casa, non ricordo poi molto di lui. Annuisco con un cenno della testa.
«Mamma, abbiamo bisogno di aiuto.» Le dice Clary. «E soprattutto, dobbiamo parlare.»



§



La madre di Clary, Jocelyn, ci ha subito accolto in casa sua: il mobilio è molto semplice e rustico, tutto in legno, ma ciò gli da un’atmosfera molto accogliente.
Ci ha fatti sedere sul divano davanti al camino per scaldarci -l’adrenalina delle ultime ore non ci ha fatti accorgere che stavamo tremando di freddo-, e ci ha preparato delle tazze con latte caldo, miele e zucchero. Il sapore è molto dolce, e ci aiuta a recuperare almeno un po’ di energie.
Quando ha visto che io e Clary eravamo feriti, ci ha accuratamente disinfettato e fasciato le ferite con una delicatezza che soltanto una mamma potrebbe avere: mentre le sue mani mi tamponavano con del cotone imbevuto di alcol, per qualche minuto ho sentito la mancanza di mia madre. Chissà come stanno lei e Max…
«Ho sentito alla televisione che gli Intrepidi si sono ribellati e che gli Abneganti sono stati rovesciati.» Dice Jocelyn, ravvivando le fiamme nel camino. «Cosa vi è successo?»
«Beh…è un po’ lunga da spiegare.» Risponde Clary, sorseggiando la sua bevanda di latte e miele. «Ma forse anche tu dovresti dirci qualcosa, giusto? Qualcosa su un certo Circolo?»
Lei guarda la figlia, un po’ intimorita.
«Che cosa sai?»
«So quanto basta.» 
Jocelyn si passa le mani affusolate sulla lunga gonna arancione, sospirando. 
«Sapevo che un giorno avremmo pagato cara la nostra arroganza.» Dice, rivolgendosi più a sé stessa che a noi. «Speravo solo che non ci andaste di mezzo.»
«Che cos’è il Circolo?» Domanda Simon, mentre il fuoco del camino si riflette nelle lenti dei suoi occhiali.
L’occhiata che gli viene lanciata da Jocelyn è compassionevole.
«Quando vi sarete lavati e messi qualcosa di comodo, vi racconterò tutto. Ormai non ha più senso nascondervi questa storia…»
«Mamma, ci sono altre persone che hanno bisogno di rifugiarsi qui.» L’avverte Clary, alzandosi dal divano e fronteggiando la madre. «Isabelle, Jace e Magnus stanno venendo qui.»
«Magnus?» Lei impallidisce, ma poi abbassa lo sguardo. «D’accordo. Ho abbastanza materassi e spazio per tutti.»
«Come faranno a trovare la strada fino a qui?» Domando, aprendo bocca per la prima volta da quando sono arrivato. 
«Ho raccontato a Jace molte volte di questo posto…e di come ci si arriva. Non dovrebbe avere troppi problemi.» Mi risponde Clary. Dietro i suoi occhi solitamente allegri sembra passare un’ombra di preoccupazione. 
«D’accordo, allora li aspetteremo. Nel mentre, potete usare il bagno se volete lavarvi. Clary, tu hai in camera i tuoi vecchi vestiti.» Jocelyn poi rivolge il suo sguardo verso di me. «Alec, forse dovresti andare per primo… hai molto sangue addosso.»
Mi guardo le mani, sporche e incrostate di sangue secco. Improvvisamente mi viene da vomitare, come se realizzassi davvero per la prima volta tutto ciò che è successo.
Annuisco alzandomi dal divano, mentre la madre di Clary mi guida verso il bagno. Mi porge un asciugamano pulito e mi chiede di lasciarle la tenuta da Intrepido sulla lavatrice, in modo che poi possa lavarmela. 
La ringrazio e mi lascia da solo nella stanza: è un bagno piccolo, ma accogliente. Le pareti sono tappezzate da piastrelle bianche ed arancioni, un piccolo lavandino di legno e ceramica  sporge dal muro, proprio accanto alla tenda bianca doccia.
Dopo essermi spogliato e aver ripiegato i vestiti sulla lavatrice come mi ha chiesto Jocelyn, ho modo di guardarmi allo specchio rotondo appeso sopra il lavabo: sembro lo spettro di me stesso; ho due occhiaie così profonde che sembrano disegnate con il pennarello, il volto più pallido di quanto non sia di solito. Sopra una costola, sul lato destro del busto, un livido nero risalta sulla pelle chiara. Questo deve avermelo fatto Magnus dopo che abbiamo combattuto.
Entro nella piccola doccia e giro la manopola di metallo, attento a non bagnarmi la ferita fasciata sulla spalla. 
Mi chiedo dove siano Magnus e i miei fratelli, se stiano bene, se riusciranno ad arrivare fino a qui sani e salvi. Avrei preferito morire nel tentativo di salvarli, piuttosto che vivere senza di loro.
Mentre l’acqua calda mi scorre sulla pelle lavando via il sangue, le immagini di oggi mi scorrono davanti agli occhi: rivedo Tessa, che sin dal giorno del Test Attitudinale mi ha aiutato a gestire la mia divergenza, pugnalata a morte davanti ai miei occhi. Rivedo me stesso sparare a Woolsey, Camille puntarmi il coltello alla gola prima di morire.
Mentre mi copro la bocca con una mano, vengo scosso da un singhiozzo.
Mi concedo finalmente di piangere.



§



vato e messo dei vestiti puliti, mi sento almeno in piccola parte alleggerito dai terribili eventi di oggi.
Le ore però passano inesorabili, ad ogni rintocco dell’orologio io e Clary ci domandiamo se Magnus, Jace e Isabelle ce l’abbiano fatta a mettersi al sicuro.
Fuori piove da un po’, non si sentono altri rumori oltre all’acqua che si abbatte sui vetri delle finestre e sul tetto. Ogni tanto, qualche tuono squarcia il cielo e fa tremare le pareti.
Simon se ne sta con le gambe incrociate ai piedi del divano, torturandosi il polsino della giacca azzurra. Di certo, per aver abbandonato gli Eruditi a costo di aiutarci, non si può dire che non sia coraggioso. Coraggioso, o terribilmente stupido.
Jocelyn guarda fuori dalla finestra, persa nei suoi pensieri e totalmente isolata da tutto il resto.
«Sai…» Mi sussurra Clary all’orecchio, sporgendosi dalla sedia su cui è seduta «Questi vestiti che hai ora…non pensavo che mia madre li conservasse ancora.»
«Di che parli?» Le domando. Rivederla con gli abiti rossi e arancioni da Pacifica mi riporta con la mentre al primo giorno in cui l’ho conosciuta.
«Sai…ogni anno andava al mercato a comprare degli abiti da uomo, e li teneva da parte nel caso in cui un giorno mio fratello fosse mai tornato.» 
Guardo Jocelyn osservare le gocce d’acqua che scorrono lungo il vetro, domandandomi quanto possa essere doloroso per una madre aspettare un figlio che non farà mai ritorno a casa.
Vorrei poter dire a Clary che so quanto sia difficile avere una famiglia a pezzi, che quando si cresce senza un genitore ci si sente come se un frammento della nostra vita sia destinato ad andare perduto e a lasciarci incompleti per sempre.
Ma non faccio in tempo a dire nulla di tutto ciò, perché qualcuno bussa all’ingresso con forza.
Senza nemmeno accorgermene scatto in piedi e corro verso l’uscio, aprendo la porta con troppa foga e facendola sbattere contro il muro con un rumore secco: Jace, Isabelle e Magnus si stagliano davanti a me. Stanchi e provati, fradici d’acqua e sporchi di fango fino ai polpacci, ma ancora vivi.
Stringo Jace e Isabelle tra le mie braccia, sentendo finalmente quella insopportabile sensazione di ansia e preoccupazione che avevo nel petto alleggerirsi. Torno di nuovo a respirare, non riesco a trattenermi dal piangere. 
Izzy scoppia in lacrime contro il mio petto, sento Jace tremare.
«Alec…è stato orribile.» Singhiozza mia sorella, stringendo la mia camicia tra le dita. «Non avevamo più controllo dei nostri corpi, abbiamo ucciso degli innocenti…»
«Lo so, Izzy…non ci pensare più, è finita.» Le sussurro all’orecchio, stringendola più forte e accarezzandole i capelli bagnati dalla pioggia. Vorrei poterle togliere ogni dolore dal cuore, se solo potessi. Vederla soffrire per me è ancora peggio che stare male in prima persona.
«Se non fosse stato per Magnus, non so cosa sarebbe successo.» Jace ha in viso un’espressione sconvolta. «Tempo di veder fuggire alcuni Intrepidi, che ne sono arrivati altri nel giro di pochi minuti. Alcuni di noi sono morti, altri li hanno arrestati e riportati indietro al nostro Quartier Generale, altri ancora come noi sono riusciti a fuggire per miracolo. La fazione è andata letteralmente in pezzi.»
Clary ci raggiunge dal soggiorno correndo e si getta tra le braccia di Jace, buttandogli le braccia al collo. Lui la stringe a sua volta e la bacia, affondandole le mani nei boccoli color rame e sospirando dal sollievo: in questo momento si stanno dicendo tutto, senza dirsi assolutamente niente. Lei è così piccola al suo confronto che deve reggersi in punta di piedi per arrivargli.
Magnus, rimasto fermo sull’uscio, fa timidamente un passo avanti.
«Come stai?» Mi chiede, posandomi delicatamente una mano sulla spalla ferita; io intreccio le mie dita alle sue, attirandolo a me. Lui con l’altra mano lascia scorrere le dita dietro al mio orecchio, si china e mi bacia. Gli stringo il braccio per trattenerlo il più a lungo possibile perché, quando mi tocca, la sensazione di vuoto che ho nel cuore e nello stomaco si attenua. 
«Ora che sei qui, meglio.» Rispondo, ed è davvero così. 
Isabelle e Simon osservano la scena leggermente imbarazzati, probabilmente a disagio davanti a tutte queste dimostrazioni d’affetto.
«Beh, potremmo baciarci anche noi.» Propone lui, sistemandosi gli occhiali sul naso. Lancia uno sguardo ammiccante ad Isabelle, risultando più buffo che non provocante. «Comincio a sentirmi un po’ escluso.»
«Scordatelo.» Ribatte lei guardandolo di traverso, ma la vedo per un breve istante nascondere un sorriso. Isabelle è sempre stata una ragazza estremamente bella e desiderata, ma non ha mai concesso a nessun ragazzo la possibilità di avvicinarsi davvero a lei, ha sempre avuto soltanto cotte e svaghi di poco conto. È la prima volta che la vedo sorridere ad un tentativo così blando da parte di un ragazzo.
«Beh, suppongo che ora siate tutti.» Jocelyn tiene le mani strette in grembo, scrutandoci uno ad uno. Quando il suo sguardo incontra quello di Magnus, nella casa cala uno strano silenzio. 
Lo sento irrigidirsi accanto a me, ed io gli stringo il braccio. Probabilmente, ora tutti i terribili ricordi della sua infanzia stanno tornando a galla uno dopo l’altro. 
«Ciao, Magnus.» Sussurra lei. «È…passato molto tempo.»
«Non abbastanza da farmi dimenticare.» Risponde lui, la voce più tagliente di un coltello. Gli occhi mandano scintille di rabbia. «Posso assicurarti che sono davvero disperato, se ora vengo a chiedere rifugio a te.»
Lei china lo sguardo, passandosi le mani sulla lunga gonna in un gesto nervoso. 
«Non pretendo il tuo perdono. Per quanto ormai sono abituata a vivere da Pacifica, ci sono cose che forse sono troppo gravi per essere perdonate.» Si avvicina cautamente, quasi come a valutare la reazione di Magnus. Lui arretra di un passo, quasi spaventato. 
Ha i capelli umidi che gli ricadono in ciocche disordinate sulla fronte, i lineamenti tesi; sembra un animale in trappola. «Ma non esiste giorno in cui io non vorrei poter tornare indietro, poter fare scelte diverse. Eravamo solo dei giovani sciocchi ed esaltati, guidati da un folle.» Si copre la bocca con la mano. «Quando ci siamo resi conto di ciò che avevamo fatto…abbiamo passato il resto della vita a nasconderci, a cercare di dimenticare. Eravamo convinti che andando avanti, prendendoci cura dei nostri figli, avremmo potuto cancellare ciò che è stato. Ma non è così.»
Jocelyn avanza ancora: è minuta come Clary, ma c’è qualcosa di estremamente fiero nel suo portamento, nel suo sguardo vi è una forza impossibile non notare.
«Non posso cambiare il passato…ma mi dispiace. Mi dispiace davvero tanto, Magnus. Noi non perdoneremo mai noi stessi, ma spero che tu un giorno troverai la forza per farlo.»
Magnus non risponde, interrompendo il contatto visivo con Jocelyn e fissando lo sguardo verso il pavimento di legno. A malapena lo percepisco respirare nel totale silenzio che è calato nella casa. 
«Scusatemi, ho bisogno di un po’ d’aria.» Mormora, voltandoci le spalle. 
In poche falcate è già fuori dalla porta; mentre se ne va, la sua immagine viene avvolta completamente dalla pioggia. 



§



I miei stivali affondano completamente nel fango, la pioggia incessante mi congela sin dentro le ossa. Ormai i miei vestiti sono completamente fradici, attaccati a me come una seconda pelle.
Ricordo che da bambino la pioggia mi dava un senso di pace e tranquillità, mentre Jace ed Izzy non potevano sopportare di stare in casa piuttosto che in giardino a giocare. Mi mettevo sempre seduto sulla poltrona accanto alla finestra, quella che una volta era il posto preferito di mio padre, guardando le gocce disegnare rivoli d’acqua sul vetro.
I Candidi si occupano soprattutto delle cause legali della città, tanto che il tribunale è la struttura più grande dell’intera fazione, soprannominato “lo Spietato Generale”: da quel che so, mio padre era tra i più importanti e rispettati componenti dei giudici supremi, che per posizione sono subordinati soltanto al Capo-fazione stesso.
Ogni volta che piove, non riesco a non pensare inconsciamente a come mi sedevo nel posto che lui stesso ha lasciato vuoto.
Quando finalmente riesco a raggiungere Magnus, lo trovo con la schiena appoggiata al tronco di un albero dalle radici contorte, le braccia conserte: gli abiti neri da Intrepido grondano d’acqua, il viso incorniciato dai capelli bagnati che gli ricadono in ciocce disordinate sulla fronte e sulle tempie. 
«Magnus.» Lo chiamo, cercando di sovrastare lo scrosciare della pioggia.
Lui mi guarda, gli occhi che brillano ma senza alcuna gioia, senza rispondermi.
«Ti prego, parlami.» Lo sto implorando, prendendogli con delicatezza le mani e stringendole. Pur avendolo proprio davanti a me, lo sento distante anni luce.
«Pensavo di essere forte abbastanza da reggerlo.» Mi dice, mordendosi il labbro a sangue. «Di reggere tutto questo: aver perso la fazione, aver perso Tessa, avere di nuovo a che fare con il Circolo.» Scuote la testa, e non riesco a capire se siano le lacrime oppure la pioggia a rigargli il volto. «Ma non ci riesco. Non ce la faccio. Non potrò mai perdonarmi di aver lasciato che tutto ciò accadesse.»
Io muovo un passo per stargli ancora più vicino, posandogli le mani a coppa intorno al viso. Lo sento tremare, probabilmente non solo per il freddo.
«Magnus, nulla di tutto ciò che è accaduto è colpa tua. Nulla. Ti prego, non infliggerti ancora più dolore.»
«Ma come potrei non farlo?» Ribatte, alzando il tono della voce. È disperato. «Ho lasciato che la mia fazione venisse corrotta e usata per uccidere. La mia migliore amica è morta. Ti ho picchiato e ho il terrore di vedere quante ferite e lividi potrei averti causato. Camille mi ha usato come un burattino contro di te, ed io l’ho uccisa a sangue freddo. Ora sono qui a chiedere rifugio da una delle persone che mi hanno rovinato la vita, coloro che mi hanno reso un mostro!»
«Tu sei tutto fuorché un mostro.» Sento un moto di rabbia montarmi nel petto. Vorrei poter avere la capacità di farmi carico del suo dolore, di poter assorbire ogni sofferenza che lo affligge. «Nessuno poteva immaginare che gli Eruditi sarebbero arrivati a tanto…e la morte di Tessa non sarà stata vana, se riusciremo a sconfiggere loro ed il Circolo.» Riprendo fiato, guardandolo dritto negli occhi dorati. «So che è difficile, Magnus. Io non posso nemmeno immaginare quando tu abbia sofferto e stia soffrendo adesso. Ma ti prego, non pensare mai che sia colpa tua, perché nulla di tutto ciò lo è. Abbiamo bisogno di te, Magnus. Io ho bisogno di te.»
Magnus continua a guardarmi, ma non sembra convinto dalle mie parole. I suoi occhi sono tristi, pieni di dolore. 
«Come puoi dirlo, dopo quello che ti ho fatto?» Gli sfugge un singhiozzo. «Ti ho quasi ucciso, Alexander. Come potresti mai fidarti di me?»
«Magnus…» bisbiglio, ma qualunque cosa avessi intenzione di dire si perde tra i miei pensieri. Allora premo la bocca sulla sua, perché so che baciarlo mi aiuterà ad affrontare tutto quanto: il pensiero del pericolo imminente, della morte, dei venti di guerra che soffiano sempre più forti nelle nostre vite. Come potresti mai fidarti di me?
Forse, se si trattasse di chiunque altro, non lo farei. Ma è di Magnus che stiamo parlando, e lui ha sconvolto tutte le mie certezze, ogni mio punto fermo, ogni convinzione.
Lui risponde al bacio. La sua mano scende dalla mia guancia a sfiorarmi il fianco, segue la linea della vita e poi quella delle anche, facendomi rabbrividire. 
Realizzo di non riuscire a immaginare un futuro senza di lui, che gli appartengo totalmente.  
Lo capisco dal modo in cui vorrei strapparmi il cuore e metterglielo fra le mani, se solo questo potesse servire ad aiutarlo a superare il suo dolore.
Sento l’acqua piovana scorrermi lungo le guance, il freddo della pioggia in contrasto con il mio viso rovente.
Magnus arretra di pochi centimetri, la punta del suo naso che si sfiora con la mia, gli occhi contornati dalle lunghe ciglia umide puntati nei miei.
«Non so cosa avrei fatto, se stanotte ti fosse accaduto qualcosa.» Sussurra. «Sei tutto ciò che mi rimane. Se te ne andassi anche tu…»
«Non me ne andrò da nessuna parte.» Rabbrividisco quando mi sfiora le labbra con il pollice, quasi a volerne tastare la consistenza. «Anche se tutto il resto va in pezzi.»
Magnus mi stringe a sé, le sue braccia forti mi circondano la vita e poso la testa nell’incavo del suo collo. La sua pelle odora di sangue, fumo e pioggia.
Non so dire quanto tempo rimaniamo in questa posizione, a reggerci l’uno con l’altro, ma questo momento rimarrà impresso a fuoco nella mia memoria.
Le sue braccia sono l’unico luogo in cui ormai riesca a sentirmi al sicuro.



§



Quando torniamo alla fattoria, veniamo travolti dagli aromi provenienti dalla cucina. Jocelyn sta preparando il pranzo per tutti noi, ed io sento immediatamente lo stomaco contrarsi dalla fame.
Gli sguardi apprensivi dei miei fratelli, Clary e Simon si posano su di noi come a voler controllare che tutto sia apposto. Magnus risponde con un sorriso timido, e loro sembrano tranquillizzarsi.
Quando ci mettiamo a tavola mangiamo tutti in un garbato silenzio. 
Il riso leggermente speziato, il pane fresco e le verdure al vapore mi sembrano quanto di più buono abbia mai mangiato in tutta la vita; probabilmente perché non tocco cibo da più di dodici ore e il corpo cominciava a implorarmi di trovare qualsiasi cosa fosse commestibile.
Mentre mangio, a volte sento la spalla ferita mandarmi delle scariche di dolore lungo tutto il braccio.
Ogni tanto getto qualche occhiata a Magnus, seduto sulla sedia accanto alla mia: per lui anche solo sapere che la madre di Clary sta mangiando al suo stesso tavolo deve essere qualcosa di indescrivibile, un tipo di dolore che forse non riuscirò mai a comprendere del tutto.
Lui però, almeno apparentemente, sembra tranquillo mentre con gli occhi fissi sul piatto mangia vorace la sua porzione di riso.
Vedo Jocelyn aprire la bocca come a volerci dire qualcosa, ma un suono elettronico la interrompe prima che possa emettere un fiato: è un suono breve, simile ad un campanello, che preannuncia l’accensione del televisore che sporge dal davanzale della cucina.
In tutte le case e negli edifici principali della città sono presenti questi schermi, che insieme ai tablet  e ai computer fungono da principale canale di comunicazione tra le fazioni. Sulle mura della Torre Centrale, nel cuore della città stessa, ve ne sono di giganteschi ben visibili anche dalle zone urbane più distanti.
Ovviamente, tutto è rigorosamente controllato e filtrato dal governo, i televisori vengono accesi in automatico solo quando vi sono delle importanti notizie da dare in diretta a tutta la popolazione.
Sullo schermo compare un uomo robusto, con addosso l’elegante completo blu indossato solitamente dagli esponenti più alti della fazione degli Eruditi: ha una cicatrice che gli divide in due il sopracciglio sinistro, occhi nerissimi in contrasto con i capelli color carta. A impatto, non sembrerebbe avere più di quarant’anni. 
La somiglianza con Jonathan è così evidente che mi sembra di star guardando una versione più vecchia di lui.
«Valentine…lo hanno fatto uscire di galera.» Mormora Jocelyn, senza fiato. Lei e Clary si lanciano uno sguardo profondamente allarmato, improvvisamente i loro volti si fanno più pallidi che mai.
«Il mio nome è Valentine Morgenstern.» La sua voce dal televisore risuona profonda, quasi minacciosa. «In passato ero a capo dell’ente governativo di ricerca e sviluppo. Questa notte, come già saprete, il Parlamento degli Abneganti è stato sciolto e i suoi esponenti giustiziati. Eruditi e Intrepidi hanno formato una nuova e potente alleanza, volta a sradicare ogni forma di corruzione e di minaccia alla sicurezza della città.»
Clary, dall’altra parte del tavolo, ha assunto un pallore malsano, la sua pelle tende quasi al verde. Jace le prende una mano e la stringe tra le sue. 
Mentre osservo Valentine, noto che nel suo sguardo c’è qualcosa che mi turba nel profondo, qualcosa di malato e disumano: è lo stesso sguardo che ho visto in Camille, in Woolsey e Jonathan, gli stessi occhi spietati e infiammati dalla sete di potere.
«Alle prime luci dell’alba, sembrerebbe che un gruppo di Divergenti abbia fatto irruzione nel Quartier Generale degli Eruditi e l’ex capo-fazione Erudito Camille Belcourt è rimasta uccisa nell’agguato, insieme all’ex capo-fazione Intrepido Woolsey Scott.» Il suo tono di voce è freddo come ghiaccio, il ritmo delle sue parole meccanico. Non sembra esserci umanità in lui. «A seguito di questi ultimi eventi, a guidare la nuova fazione degli Intrepidi sarà mio figlio Jonathan Morgenstern. La fazione degli Eruditi invece passerà a me, e con essa, anche tutto il potere governativo.» La sua bocca si distorce in un ghigno, ed io sento un brivido corrermi giù per la schiena. «Per quanto riguarda i Divergenti ribelli, verranno rintracciati e arrestati al più presto. Avremo a breve anche i dati delle Iniziazioni degli Intrepidi, l’unica fazione che si era rifiutata di consegnarceli, in modo da poter presto conoscere tutti i loro profili. Vi conviene consegnarvi spontaneamente: per chi non lo fa, l’ordine è quello di sparare a vista. Con la guida degli Eruditi, un futuro prosperoso attende questa città.»
Il televisore si spegne, e nessuno di noi ha il coraggio di dire una parola.
   
 
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