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Autore: Eneri_Mess    10/06/2022    1 recensioni
FINE (Prima parte)
Con il segreto che nasconde, Yokohama è una città dove non si possono dormire sonni tranquilli.
Dal Preludio:
Una mano di Dazai gli strinse il braccio, mentre le dita dell’altra si aggrapparono alla sua camicia sgualcita sul petto. Il nemico barcollò, ma si rimise in piedi, recuperando una delle proprie pistole.
«Chuuya...» ridacchiò Dazai, fuori luogo. «Di nuovo: ho mai sbagliato nel formulare un piano?»
«Smettila!» e la prima nota di supplica si mischiò alla richiesta. «Non sei lucido!»
Genere: Azione, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Chuuya Nakahara, Osamu Dazai, Sakunosuke Oda
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 21

The Darkest Night
(Parte 1)





 

In this farewell
There's no blood, there's no alibi
'Cause I've drawn regret
From the truth of a thousand lies
So let mercy come and wash away

[What I’ve done - Linkin Park]




 

Oda attese qualche secondo di troppo, sostando all’angolo del muro, aspettando una visione che non arrivò. Quando fece il passo per superare lo stallo, la pistola bassa, nel corridoio non c’era nessuno. 

Nonostante la tranquillità apparente, una fastidiosa sensazione di tensione per la mancata presenza di un comitato di benvenuto armato lo tenne fermo sul posto, immobile in quella vacuità fuori luogo. 

Alzò gli occhi e fissò dritto nell’obiettivo della telecamera puntata su di sé. La luce lampeggiante suggerì che il sistema fosse ancora in funzione, nonostante il blackout. Eppure non ci furono scalpiccii o urla in lontananza. Solo silenzio. 

Secondo le informazioni acquisite, Oda aveva scelto un punto d’accesso non semplice da raggiungere, ma non impossibile. Non trovare nessuno gli fece tenere la guardia alta per non finire in una trappola in grado di superare Flawless

Camminò senza fretta, piano, ma l’area continuò a risultare spoglia di qualsiasi presenza. I passi rimbombavano sulle pareti. Superò diverse telecamere, fissandole tutte, ma comprese che ci dovesse essere un qualche malfunzionamento di base. 

Riarmò la guardia in prossimità della cabina della sorveglianza, ma anche lì, entrando, trovò solo due guardie riverse sulle sedie, addormentate, le bevande rovesciate che gocciolavano dal piano di controllo. Guardingo, esaminò il passaggio dei cavi dai monitor alla parete, individuando il gabbiotto principale incassato nella parete. Una volta aperto, notò i dispositivi con cui erano state manomesse le ricezioni delle telecamere. 

Ciò che attirò la sua attenzione fu però un mucchietto di fogli ripiegati sul fondo del pannello. 

Alla fine del terzo corridoio alla sinistra di questo troverai una serie di interruttori generali che danno energia ai palazzi. Piazzaci una carica e falli saltare dal numero A1 all’E5. Ignora gli altri. Fai ripartire i generatori ausiliari dal B1 al B7. Ho bypassato il resto dei circuiti, non ti puoi sbagliare. Segui i segni che ti ho lasciato. Le guardie sono state richiamate altrove. E prima di pensare che sia una trappola e accartocciare questi biglietti, ricorda che sono centoquaranta piani a piedi senza dispositivi ausiliari.

PS: nel prossimo gabbiotto troverai altre indicazioni! ;)

Non erano firmati, ma un solo e unico nome balenò nella mente di Oda. Li accartocciò comunque, fissandosi il pugno chiuso, per poi voltarsi nella direzione indicata per proseguire. 

I corridoi rimasero deserti come descritto, eppure l’uomo non si liberò della fastidiosa sensazione di trovarsi al centro di un microscopio. Dazai stava prevedendo le sue mosse come se fosse stato lui il possessore di Flawless

Trovò il secondo gabbiotto e le nuove istruzioni. Non si trattò di una mappa, ma qualcosa di molto simile, qualche disegnino corredato da una sequenza di passaggi brevi da compiere per aggirare trappole o imboscate nel palazzo, fino all’ubicazione esatta del Boss. 

Strinse i nuovi fogli tra le dita, riconoscendone l’utilità con qualcosa di simile alla frustrazione. Il bivio per decidere se fidarsi o meno si assottigliò, facendosi netto come un rasoio. Le cose stavano andando come Dostoevskij aveva ipotizzato e il pensiero lo morse. 

Hai un ascendente particolare su Dazai… 

Probabilmente ti aiuterà o farà qualcosa di stupido per assicurarsi che tu salga indenne. Anche se… non riesco a figurarmi quale potrebbe essere il suo piano principale. Mh. Che seccatura doverlo catturare vivo. 

Oda fissò il pugno dove stringeva le istruzioni e quello del braccio prostetico. Fu soltanto nella sua testa, ma per un secondo sentì delle corde avvolgere entrambi i polsi e tirare in due direzioni differenti. 

Si svuotò la mente con un lungo respiro e passò all’azione. Piazzò le cariche senza spenderci ulteriori rimuginamenti. L'esplosione fu circoscritta, a differenza del buio che calò da un istante all’altro. O almeno così si aspettò Oda. Un brillio fosforescente catturò la sua attenzione. 

Ben fatto!

Era stato scarabocchiato di fianco al gabbiotto esploso, invisibile finché la luce non era andata via. L’uomo fissò la calligrafia leggera, scrollando la testa. Nella sua mente quel complimento era risuonato con una voce specifica, ma si rifiutò di soffermarcisi. Diede le spalle agli interruttori saltati, solo per trovarsi nuove scritte e indicazioni discrete segnate qui e lì con il marcatore luminoso al buio. 

Seguì meccanicamente le istruzioni per riavviare solo un lato specifico del palazzo e ignorò tutto il resto, tendendo invece l’orecchio per individuare scalpiccii o rumori fuori luogo. 

Come scritto nei bigliettini, non incrociò praticamente nessuna guardia nei corridoi che percorse, mentre si accorse di voci affannarsi verso i pannelli che aveva fatto saltare. La sua abilità restò silente, mescolandosi alla quiete quasi tombale che aleggiava tra i corridoi labirintici di quei sotterranei immersi nell’oscurità. Si fermò a un bivio, dando retta a un sesto senso affinato insieme a Flawless

Pacato e indolente, un sospiro lo raggiunse. 

«A sinistra c’è un montacarichi, a destra le scale. Nessuno si è mai preso la briga di specificarlo con un’indicazione. Ma se posso esserti utile...»

Oda si ritrovò teso come se avesse dovuto parare una pugnalata, ma né una visione né alcun fruscio annunciò l’arrivo di un attacco. Voltò di poco le spalle e il capo. Un vago accento, volutamente lasciato trapelare dall’inflessione su sillabe specifiche, fece intuire al giustiziere chi lo avesse raggiunto. 

Verlaine era a una decina di passi da lui. Sopraggiunto con un passo privo di rumore, aveva sul palmo una piccola lampada sferica a illuminare la sua pelle diafana e a creare ombre sul suo viso così nere da sembrare senza fondo. 

«Tu sei la Guivre.»

L’ex spia francese non accennò neanche un guizzo dello sguardo a quell’epiteto. Il suo sorriso si consumò in una linea più affilata. 

«E tu devi essere il Fantasma Rosso. Il tuo operato ha raggiunto perfino la mia cattedrale di solitudine» replicò morbido, così delicato, come l’angelo della morte a cui aveva rubato le vestigia. 

Oda si tese appena, vedendo. Anche quando accadde realmente, e tre stiletti volarono nella sua direzione, la precisione fu così millimetrica e predittiva che una delle lame lo sfiorò nonostante si fosse mosso per evitarle. 

Verlaine inclinò la testa con un sorriso mite quanto interessato. 

«L’uomo con il dono di vedere nel futuro» lo apostrofò, appoggiando la lampada su una delle tante sporgenze del corridoio, sfoggiando la disinvoltura di un anfitrione che si stava preparando per i propri ospiti. «Ricordo un altro uomo con un’abilità simile, un leader e un eroe della Grande Guerra… André Gide. Ho saputo in seguito che ha trovato pace e morte proprio qui, quattro anni fa. Per mano tua.»

La provocazione aleggiò nel silenzio come la polvere di un passato irrequieto. La maschera che l’ex tuttofare indossava non rivelava nulla, ma a Verlaine non parve importare. Fece spallucce. 

«Vedere il futuro è un potere molto utile, se si è un assassino. Direi invidiabile o fastidioso, a seconda della prospettiva. Tuttavia… io ora sono solo l’ombra di me stesso.» 

L’ex spia assunse una posa meno rilassata e lo scintillio di una nuova lama apparve tra le sue dita. 

«… l’unica vita che contava l’ho passata al fianco di Arthur e lui non aveva eguali. Se non me.»

Verlaine ghignò alla pistola che il giustiziere gli puntò addosso con uno scatto repentino e una visione in corso. 

«È molto che non evito un proiettile… ma tu lo hai appena visto con la tua abilità, non è vero?» 

Il futuro cambiò, perché Verlaine abbandonò l’intento di attaccare, osservando l’avversario e la canna dell’arma che rimase quieta. 

«Oh. Quindi li ho evitati tutti, eh?» 

Il silenzio si protrasse, insieme alle visioni e il cambiamento di queste, come un mucchio di lettere che continuavano a essere recapitate al destinatario sbagliato. 

«Dobbiamo trovare il modo di spezzare questa impasse, mon ami.»

Non iniziare uno scontro con Verlaine.

Oda sentì i consigli del Demone Prodigio bruciargli nelle orecchie con la sua voce piana e fastidiosamente ragionevole, un’eco remota e un sussurro che si infilarono come veleno nelle vene.

Per quanto la sua abilità sia latente, potrebbe giocarti brutte sorprese, insieme alla sua esperienza. 

E cosa dovrei fare, Dazai?

Il Fantasma Rosso scosse la testa per scacciare quei mormorii, quello spazio opaco, sfuocato, parole che formarono i colori e gli odori familiari di un pub, dove quei bigliettini scarabocchiati di istruzioni avevano preso le fattezze della spia che non poteva più uccidere e che insisteva nell’aiutarlo. 

Sparò a Verlaine senza pensarci un secondo di troppo. Un proiettile dovuto più al bisogno di disobbedire e rimarcare la propria indipendenza da quell’ausilio insidioso, che una reale volontà di colpire. 

Il francese lo evitò come avrebbe fatto con un insetto, fissando il suo ospite con un’occhiata risentita. 

«Non sei all’altezza della tua fama se ti comporti così, Sakunosuke

Il nome vibrò nell’aria ferma, come un vessillo strappato che lentamente si depositava a terra. Ad Oda arrivò come un’altra nota già sentita.

Ora i tuoi occhi sono esattamente come i miei. Benvenuto nel nostro mondo, Sakunosuke.

Oda-kun… si dice in giro che tu non abbia mai ucciso nessuno con quella pistola. Come mai? 

Un leggero e persistente accento francese e un’insinuazione travestita da domanda, entrambe polvere negli angoli della sua mente che non se ne andava mai. Tenne a bada l’istinto contro le voci frenetiche che stavano plasmando le sue ombre.

«Devi avere un banchetto di demoni chiassosi in testa, dico bene?» mormorò Verlaine, riacquistando i suoi modi suadenti, quasi gentili, mentre faceva scivolare una seconda lama nella mano libera. «Posso sentire i battiti del tuo cuore da qui.»

Oda non replicò, a tratti neanche lo ascoltò. 

Aggiralo. Non batterti con lui. Rendilo impossibilitato a colpirti o seguirti. 

Smettila, Dazai.

«Non sono interessato alle beghe di Mori-san e ai suoi scheletri nell’armadio» riprese l’ex spia europea. «Tuttavia, di sopra ti sta aspettando il mio fratellino e lo hai già ridotto male una volta. Non mi sono rimaste molte ragioni di divertimento al mondo, quindi vorrei evitare di perdere la più importante.» 

Odasaku. So cosa stai pensando. Non farlo. 

Per me è tutto finito.

La voce di Dazai vibrò con un’intensità diversa - disperata, un vinile di un’altra epoca. Lo distrasse, marginalizzando la visione che annunciò l’attacco del francese.

Oda si difese lasciando le redini all’istinto, ma si trovò a faticare nell’impedire a Verlaine di piantargli le sue lame sottili nei punti vitali o negli occhi della maschera. 

Si separarono quando il Fantasma Rosso sfruttò la minima apertura di un fianco scoperto, mancandolo di poco, ma abbastanza da minacciarlo e farlo balzare indietro. 

«Quindi è questa la tuta miracolosa» osservò Verlaine, inclinando la testa. «Manca di buon gusto e si taglia facilmente.»

Si scagliò contro di lui, più forte e veloce, e il giustiziere si trovò costretto a pararsi col braccio di metallo. Verlaine imprecò in francese con un velo di frustrazione. 

«Una seccatura in più.»

Se non trovi il modo di bloccarlo non ti lascerà andare finché non ti avrà sbranato. Tu minacci una delle sue ragioni per vivere. Devi arginarlo.

Non ti riguarda, Dazai.

Cerca i segni che ti ho lasciato.

Oda ringhiò di frustrazione per quella distrazione incorporea, parandosi dai colpi di Verlaine, ma venendo anche preso di striscio dagli stiletti. 

«Continua a perderti nei pensieri, mi renderai più facile ucciderti.»

Qualcosa balenò nel campo visivo dell’ex tuttofare. La sua mente lo ricostruì prima che gli occhi potessero accertarsi di ciò che aveva visto. In una mossa azzardata, Oda respinse Verlaine con un calcio, che non gli impedì un taglio alla gamba, e allargò d’improvviso le braccia verso l’alto. Il tempo della sorpresa durò a sufficienza perché riuscisse, in rapida successione, a puntare le canne delle sue armi a quei segni. Due x piccole e brillanti, fosforescenti, sui tubi del soffitto buio dei sotterranei. 

Però non ucciderlo, Odasaku… tu non sei così. 

Non sono affari tuoi, Dazai.

Bastarono un paio di proiettili e i condotti rilasciarono sfiatate violente di gas, costringendo Verlaine a retrocedere. Una granata completò l’opera. L’aria si incendiò, esplose, e parte del soffitto crollò sul francese. 



 

* * *



 

«Questo era nei piani!?»

«Un blackout totale lo avevo previsto» sospirò Dazai, spostandosi dal centro dell’ascensore verso la parete in vetro da cui si poteva avere una panoramica della città. «Che i generatori di emergenza non ripartissero subito… era una possibilità. Pensavo avremmo avuto ancora un’ora.»

«Merda…» 

«Forse l’infestazione di ratti era più preoccupante del previsto…»

Chuuya si attaccò alla stessa parete trasparente con la fronte e i palmi, tentando di scorgere cosa stesse avvenendo ai piedi del palazzo principale. L’oscurità dabbasso era illuminata da esplosioni a intermittenza irregolare ma costanti. Durò diverse manciate di secondi, prima che calasse una quiete apparente. Alla distanza a cui si trovavano non era possibile stabilire l’entità dei danni. Il rosso strinse i pugni, imprecando. 

Non erano arrivati neanche a metà della discesa quando la mancanza di corrente aveva fermato l’ascensore. I palazzi limitrofi si erano spenti sotto i loro occhi, diventate sagome incombenti, nere e cieche, buchi di trama nella distesa di luci notturne di Yokohama. 

«Cazzo, cazzo, cazzo… sta succedendo qualcosa là sotto!»

Dazai fu più pacato e pratico. Sintonizzò la trasmittente che aveva tenuto in tasca fino a quel momento. 

«Hirotsu, mi senti? Qual è la situazione?»

Il brusio riecheggiò nel piccolo spazio, mentre Chuuya si accostava al partner. 

Prima che il mafioso più anziano rispondesse si avvertì un’altra esplosione. 

… nulla di ingestibile.

Tossì appena.

Molti Red Hood hanno appena attaccato l’ingresso principale, il secondario e il garage.

«Che diavolo significa molti!?» sbraitò il rosso, accostandosi ancora di più senza tenere a bada l’impotenza di non poter agire. Dazai restò calmo per entrambi, quasi impassibile, analizzando quanto sentito. 

Abbiamo l’imbarazzo della scelta, Chuuya-san. Red Hood adulti, ragazzi e anche qualche bambino. Tutti con la maschera cremisi e armati. Per ora i rinforzi del palazzo tengono.

Nel momento in cui lo disse, l’ennesima esplosione accese l’aria. Il flash raggiunse i bordi dell’ascensore, lambendo per un attimo i volti dei due giovani dirigenti. 

⎯ … temo che le mie ultime parole siano state fatidiche. Quali sono gli ordini? 

Senza essere esplicito, fu chiaro che si stesse rivolgendo a Dazai e ai suoi piani. Chuuya stesso ne cercò lo sguardo, incalzandolo a rispondere. 

L’ex detective si prese un momento per riflettere, stringendo la trasmittente. Le possibilità sfrecciarono nel suo sguardo, brillando e morendo alla stregua di meteore. Quando si portò il dispositivo alle labbra, la sua voce fu ferma.

«Il vero Red Hood non è lì in mezzo. Potete ingaggiare il nemico. Sono tutti ratti di Dostoevskij, hanno votato la vita a lui. Non avranno scrupoli» sancì, chiudendo gli occhi. Sentì il respiro di Chuuya rallentare fino quasi a fermarsi in stasi. Non molto dissimile alla loro situazione attuale: lo scontro vero non era ancora cominciato. Quella all’ingresso era solo un’ouverture. Riprese.

«La priorità è impedire che salgano oltre i primi piani. Abbiamo bisogno di campo libero e di non ritrovarci mine vaganti a farci qualche brutta sorpresa.»

Ricevuto.

«E…» aggiunse, fissando il partner negli occhi. «Limitate le morti non necessarie. Salvate i bambini, Hirotsu-san. Ma fate attenzione, potrebbero avere giubbotti imbottiti di esplosivo. Metteteli al sicuro.»

Sarà fatto. 

L’anziano mafioso chiuse la conversazione, ma Dazai non scostò lo sguardo dalla trasmittente. 

«Merda! Che diavolo sta succedendo, Dazai!?» esplose il rosso, perdendo la presa sul proprio autocontrollo. «Cos’è questa pagliacciata dei Red Hood!?»

«Termine curioso e azzeccato» commentò l’altro privo di qualsiasi inflessione, tirando fuori il cellulare e constatando che la linea e l’apparecchio stesso fossero disturbati. «Dostoevskij ha mosso i suoi ratti, mascherandoli per burlarsi di noi.» Ci ripensò un attimo. «Per burlarsi di me. Deve aver previsto che l’ordine sarebbe stato quello di non attaccare Odasaku.»

Chuuya si sfogò contro una delle pareti della loro gabbia di vetro, non tanto da romperla ma abbastanza da incrinarla. 

«E usa dei bambini!?» 

Dazai guardò altrove, lasciando calare le spalle nel svuotarsi il petto con un lungo sospiro. 

«Risparmiati i ringhi. Non è la prima volta che li mette in mezzo per farsene scudo e sviare l’attenzione.» 

«A cosa gli serve questa cazzo di farsa!? Se ti conosce come dici, lo sa benissimo che anche tu lo avrai previsto!»

L’ex detective si appoggiò alla parete di vetro proprio davanti a Chuuya, regalandogli un sorrisetto mentre incrociava le braccia. 

«Hai acceso il cervello, Lumaca?»

«Non scherzare» replicò l’altro tra i denti. «Dov’è Odasaku ora? Lo sai, non è vero?»

Lo sguardo del Demone Prodigio si alzò a scandagliare il cielo privo di luna. 

«Una delle ipotesi era che arrivasse dall’alto con un elicottero schermato o qualcosa di simile, ma non abbiamo ricevuto rapporti dalle nostre sentinelle.»

«Quindi non entrerà dal tetto?»

«Quindi… potrebbe non essere ancora arrivato» lo corresse l’altro, prosciugando ulteriormente la pazienza del rosso, ma proseguì prima di ritrovarsi strattonato per la camicia. «Potrebbe essere già nell’edificio da ore. O chissà, nascosto qui da qualche giorno.»

Chuuya sgranò gli occhi alla possibilità, raddrizzando le spalle. Lo Sgombro scartò l’ipotesi con un gesto della mano. 

«Per quanto la tattica di nascondersi sotto il naso del nemico funzioni, può andare anche molto storta. I sistemi di sicurezza della Port Mafia sono sofisticati e se non sai come aggirarli è un attimo mettere il piede in fallo. Lo avremmo già individuato.»

Il rosso non lo afferrò per i vestiti, per quanto la sua aura minacciosa propendesse in quella direzione. Fece un semplice passo avanti, portandosi così vicino al partner da sfiorarlo, ma diede l’impressione di aver appena sfondato una porta. 

«Stai chiacchierando troppo.»

Dazai accusò il colpo in un guizzo dello sguardo, ma nulla di più. Chuuya non schiodò gli occhi dai suoi. 

«Basta ipotesi. Che diavolo dobbiamo fare noi?» 

Non c’era più spazio per le esitazioni, era un ultimatum

O mi dai un piano concreto o faccio di testa mia

Era un atteggiamento che l’ex detective conosceva da sette anni e che più volte lo aveva costretto a stringere il guinzaglio prima che il rosso si gettasse di testa in qualche casino. 

La sua risposta fu rialzare la trasmittente e sintonizzarla su un altro canale. 

«Boss. È iniziata.»

Ci fu un fruscio appena percettibile in risposta e Dazai continuò. 

«La situazione rientra tra gli scenari novanta e centodieci.»

Chuuya aggrottò la fronte, concentrandosi per seguire il discorso. 

Capisco. Immagino che al momento ci sia molto chiasso al piano terra.

«Precisamente» confermò Dazai, senza bisogno di aggiungere spiegazioni. «Lui però non è lì in mezzo.»

No, non lo è, concordò Mori e si poté percepire la sua calma melliflua anche da quelle brevi risposte.  

Nel mentre, Dazai fece cenno a Chuuya di aprire le porte dell’ascensore. Anche senza capirne il motivo, ma potendo finalmente impiegare le mani pruriginose di azione, Chuuya eseguì. Per lui fu facile come scostare un’anta scorrevole, ma si ritrovò davanti uno spiraglio troppo piccolo persino per lui in cui cercare di sgusciare per uscire. Tuttavia, l’ex detective parve soddisfatto così. 

«Stiamo per raggiungervi» proseguì lo Sgombro. «I generatori di emergenza sono ancora fuori uso e temo lo resteranno per parecchio.»

Un contrattempo fastidioso, ma nulla di imprevisto, commentò il Boss. ⎯ Ci atteniamo alle strategie pari a due cifre, presumo?

«Sì» confermò il Demone Prodigio, mentre si appoggiava in un angolo dell’ascensore quasi con stanchezza. 

Perfetto. Io e Fukuzawa-dono ci spostiamo. 

La linea si interruppe e Dazai ripose nuovamente l’apparecchio, afferrando poi il corrimano dietro di sé e dedicando tutta la propria attenzione al partner. 

Chuuya aveva la faccia di qualcuno che non aveva afferrato la metà della conversazione, ma questo non risparmiò all’ex detective un’occhiataccia e la minaccia di un morso. 

«Io ti mollo qui» sentenziò, adocchiando la botola sul soffitto. Dazai si protese in avanti, afferrandolo per un polso e vanificando qualsiasi iniziativa carica di gravità. 

«Sei pessimo come eroe della situazione» lo canzonò il partner, sospirando pesantemente. «Porta su l’ascensore e fidati, avrai bisogno anche di me.»

Chuuya si liberò con uno strattone. 

«Sei una palla al piede.»

Non ci furono smentite e il rosso imprecò, piegandosi sulle ginocchia per saltare. Scardinò l’apertura del vano con irruenza e approdò sul tetto. L’attivazione della gravità innescò una serie di sinistri cigolii e la rottura dei sistemi che impedivano all’ascensore di precipitare. Con un lieve sobbalzo, restò solo la cabina sospesa nel vuoto dall’abilità della Lumaca. 

«Portami in paradiso, Chuuuuya!» cinguettò Dazai con le mani intorno alla bocca, palesandosi dal buco della botola, per poi tornare nell’angolo e restare ancorato al corrimano. 

La rispostaccia del partner si perse negli stridii con cui cominciarono la salita. 



 

* * *



 

Nello stesso momento.


All’interruzione di corrente, Mori alzò il capo verso il soffitto, in un gesto quasi banale, restando con le dita sospese strette intorno alla tazza di tè. 

Dopo qualche lungo secondo di attesa, ne bevve un sorso, prima di far tintinnare la porcellana nell’oscurità. Di fianco al piattino era stata allineata una pila di documenti, divisi in varie cartelline di colori diversi, più o meno vecchie, ma con quel buio non erano altro che uno dei tanti oggetti informi e spigolosi a cui il Boss diede una schicchera annoiata. 

«Sembra che i generatori ausiliari non ripartiranno subito» commentò, sistemandosi comodo contro lo schienale della poltrona e guardando l'orizzonte oltre le vetrate.  

«Pensavo che avremmo potuto giocare a carte per ingannare l’attesa» continuò in tono sconsolato, ma l’unica altra persona presente che avrebbe potuto rispondergli lo ignorò, come anche Elise, che continuò a colorare fogli con le sue matite fosforescenti. Passarono diversi minuti di silenzio, prima che Mori sospirasse affranto. 

«Potremmo aprire un dibattito sulla filosofia mentre-»

«Cosa sai di queste chiavi?» lo interruppe Fukuzawa. Restò nell’ombra al proprio posto, ma la sua voce bastò a concretizzarne la presenza. 

Il Boss rivolse l’attenzione alle proprie spalle, alle ombre dove la sua guardia del corpo stanziava senza venir delineata da alcun fioco riverbero. Abbozzò un’espressione pensierosa, al limite dell’innocenza. 

«Onestamente, niente.»

Fece spallucce. 

«Potrei essere più utile se potessi visionare i file che Sakaguchi-kun vi ha passato, ma temo di non essere nella posizione per ottenerne l’accesso.»

Fukuzawa non si espresse, lasciando intendere l’insoddisfazione per la risposta. 

«Tuttavia» riprese Mori, avvezzo a quel mutismo. «Ora mi è più chiaro il perché Natsume-sensei tenesse così tanto alla protezione della città. Sebbene l’impressione sia che stiamo miseramente fallendo, non trova, Fukuzawa-dono? Prima l’Agenzia, ora la Port Mafia… la Divisione è stata totalmente inutile, pace agli sforzi di Sakaguchi-kun.»

L’ombra assunse una dimensione e il Presidente acquisì un contorno definito. Si portò alle spalle della poltrona di Mori emanando un intento tutt’altro che amichevole. Il medicastro gli dedicò un’occhiata sfuggente e un sorrisino, alzando la testa verso di lui. 

«Il fatto che Yosano-kun sia ancora loro ostaggio, o che al suo pupillo siano state tarpate le ali, per finire con Dazai che ha fatto ritorno come un figliol prodigo qui non tiene alto il nome della vostra agenzia.»

Ciò che Fukuzawa avrebbe voluto rispondere restò una minaccia priva di parole e Mori accolse quel livore come aveva sempre fatto, crogiolandocisi a proprio agio. 

«D’altra parte, noi della Port Mafia non abbiamo brillato nel riuscire ad arginare l’avanzata di Red Hood. Il crollo del palazzo e la distruzione del Porto Vecchio sono due macchie ostinate da cancellare e hanno riportato alla mente di Yokohama spiacevoli ricordi. Nessuno vuole altri incidenti come quelli che hanno creato Suribachi o portato al Conflitto della Testa di Drago.»

Lanciato nella propria apologia, Mori si fissò le mani, l’oscurità come sua zona di conforto, per poi dedicarsi di nuovo alla città piena di luci spettatrice del loro patibolo. 

«Sarebbe più corretto dire che sia colpa di entrambi, vista l’implicazione di Dazai. In fondo, fino a tre settimane fa era ancora sotto la sua ala.»

La frecciatina non scalfì Fukuzawa, ma servì solo a indurire la sua espressione. Invisibile, ma percepibile e lapidaria. 

«Ti fidi di Dazai?»

Mori si prese qualche secondo nell’intrecciare le dita. 

«Dimmelo tu» replicò diretto e con un tono scontento. «Negli ultimi due anni è stato con te, cosa dovrei aspettarmi? È una creatura nuova.»

Se qualcuno avesse avuto tempo di guardare bene nell’ufficio, i segni della litigata con Dazai erano ancora presenti. Mobili graffiati, fori di proiettili, qualche macchia di sangue. Uno schiocco di dita del Boss avrebbe sistemato tutto in un giorno, ma Mori aveva preferito lasciare intatti i loro scarsi tentativi di dialogo, per poterli fissare come monito o come spunto di riflessione. 

«In questo momento» iniziò Fukuzawa, soffermandosi nel formulare ciò che sarebbe seguito, memore della fragilità restituitagli dalle reazioni dell’ex detective durante il loro ultimo colloquio. «Dazai non è in grado di ricambiare la fiducia degli altri.»

La linea delle labbra di Mori, mascherata da sorrisetto, aveva già la risposta, ma non gradì di guardarla per ciò che era. 

«Temo lei abbia ragione, Fukuzawa-dono» replicò, tornando a quel rispetto lezioso e scivoloso. «Mi pare di capire che ci troviamo in uno spiacevole Zugzwang. Conosce il significato del termine?» 

Negli anni - che non si erano limitati soltanto a quelli precedenti alla carica di Boss della Port Mafia - Mori Ougai aveva imparato a soppesare e analizzare ognuno dei silenzi provenienti dal Ginrou. Che si trattassero di minacce, di assensi o della più blanda ignoranza. 

«L’ho appreso in Germania giocando a scacchi. È un modo di interpretare una situazione in cui si è messi alle strette dall’avversario e ci si trova a compiere una mossa obbligata, sapendo che qualsiasi cosa si farà si perderanno delle pedine o la partita stessa.»

La piega sulle labbra si allargò e sembrò in grado di nutrirsi delle ombre e risucchiare la pochissima luce proveniente dalle vetrate. 

«È un modo subdolo di vincere una partita» concluse, ma senza la reale intenzione di lasciare andare il discorso. «La domanda ora è: da quale parte della scacchiera ci troviamo, Fukuzawa-dono?» 

Alzò lo sguardo verso di lui, sapendo di poterne intercettare gli occhi ancora intenti a osservarlo oltre la spalliera della poltrona. 

«Saremo i vincitori o i vinti?»

La trasmittente sul tavolino si attivò, attirando l’attenzione di entrambi. 

Boss. È iniziata.

Una pausa. La voce era quella di Dazai. 

«Parli del demone…» sussurrò Mori, troppo piano per essere sentito. Prese la trasmittente, attendendo. 

La situazione rientra tra gli scenari novanta e centodieci.

Mori annuì soddisfatto, mentre Fukuzawa aggrottava la fronte. 

«Capisco. Immagino che al momento ci sia molto chiasso al piano terra.»

Precisamente. Lui però non è lì in mezzo.

«No, non lo è» concordò Mori, alzandosi dalla seduta. Si spostò di poco, quanto bastava per ritrovarsi davanti a Fukuzawa, la trasmittente in mezzo a loro. Avvertirono dei fruscii e un’imprecazione appartenente a Chuuya. 

Stiamo per raggiungervi. I generatori di emergenza sono ancora fuori uso e temo lo resteranno per parecchio.

«Un contrattempo fastidioso, ma nulla di imprevisto» replicò Mori facendo spallucce. «Ci atteniamo alle strategie pari a due cifre, presumo?»

Sì.

«Perfetto. Io e Fukuzawa-dono ci spostiamo» e nel dirlo, Mori spense l’apparecchio e piantò gli occhi in quelli della sua guardia del corpo. Non c’era nulla di promettente in quello sguardo, se non la certezza stessa che il gioco fosse ancora in mano sua. 

«Mi segua.»

Il Boss raggiunse una delle pareti del proprio ufficio, quella alle spalle della scrivania. Con la visuale libera, Fukuzawa si accorse che Elise era sparita, lasciando in terra una mezza dozzina di disegni luminosi che raccontavano incubi. 

«Che cosa hai in mente, Mori-sensei?»

Era una domanda inutile, quasi più un complimento l’ammettere di non riuscire a vedere lo schema dietro tutta quella affettata tranquillità. Nel mentre, nella parete si era aperto un passaggio, stretto e composto da scale. Lievi bagliori di luci di emergenza indipendenti lo illuminavano fiocamente. 

«Dopo di lei» lo incoraggiò Mori, glissando del tutto quanto chiesto. «Devo sistemare un paio di cose ancora.»

Il Boss si attardò presso la propria scrivania. Recuperò una piccola penna a torcia da uno dei cassetti e tirò fuori una pistola, infilandola nel cappotto come un oggetto qualsiasi. Un motivetto a labbra serrate accompagnava i suoi gesti affaccendati, regalando ancora una volta un quadretto che cozzava con la situazione generale. 

«Per rispondere alla sua domanda» riprese, una volta pronto. «Ho svariati pensieri» e lo disse facendo una panoramica del proprio ufficio. 

«In tutta sincerità, al momento riesco solo a pensare che domani dovrò staccare diversi assegni per la ristrutturazione di questo palazzo.»

Senza spiegarsi ulteriormente, anche a fronte di un nuovo silenzio giudicante da parte di Fukuzawa che lo fece ridacchiare appena, Mori digitò qualcosa sul monitor nell’ombra all’ingresso del passaggio, per poi scendere le scale facendo luce con la piccola penna a torcia. 



 

* * *



 

Oda emerse dai sotterranei del palazzo nella confusione provocata dalle sue controfigure.

Dedicò all’ingresso uno sguardo coinciso per registrare la situazione, restandosene in disparte. Gli agenti della Port Mafia erano tutti occupati e lui si mosse indisturbato verso la zona degli ascensori.

Tuttavia, anche se vide arrivare il fendente, perfino la visione sembrò in ritardo rispetto alla velocità con cui venne attaccato. 

Con uno scatto laterale evitò per un soffio la lama che avrebbe fatto rotolare la sua testa in terra. Più che scorgerlo, sentì un sorriso compiaciuto provenire dalla sua avversaria alle proprie spalle. 

«Ara, allora davvero l’albero non era nascosto nella foresta.»

Kouyou si delineò dalle ombre dello spazioso androne al confine con gli ascensori. Il Golden Demon apparve alle sue spalle come una presenza eterea, la spada ancora sguainata, a guarnire la pericolosità della donna.  

«Dazai ha previsto tutto ancora una volta… Mi chiedo davvero come ci riesca. O sa cosa succederà questa notte, o ti conosce meglio di quanto credi.»

Oda aprì il fuoco nella sua direzione, scaricandole contro quasi un intero caricatore. I proiettili caddero a terra tagliati a metà. La Dirigente si coprì le labbra con la manica, inclinando la testa e ridendo solo con lo sguardo. 

«Mi aspettavo più gentilezza da parte della persona che è stata in grado di cambiare Dazai.» 

Anche se non riprese a sparare, il Fantasma Rosso non abbassò l’arma, continuando a puntarla contro la fronte della donna. Questo disse molto a Kouyou, che non si scompose e preferì logorare l’avversario su altri terreni e divertirsi a modo suo con la propria preda. 

«Lui ti vuole salvare, lo sai?» sussurrò, scandendo le parole perché il suo labiale si leggesse come un segreto sciocco. «È proprio innamorato, povero, dolce Demone Prodigio

L’abilità umanoide ingaggiò di nuovo battaglia. La Dirigente restò in disparte, osservando lo scontro come una spettatrice indolente capitata lì per caso. Le sue parole continuarono a vagare su quel terreno di Non ti scordar di me calpestati. 

«Hai conficcato un bagliore di luce nella creatura più oscura che abbia mai abitato questo reame, Oda Sakunosuke. Sei riuscito a cambiarlo sul serio.» 

Nonostante il giustiziere fosse in grado di difendersi, il Golden Demon era troppo veloce per permettergli di mettere una distanza di vantaggio. Colpirla era inutile e l’uomo dovette indietreggiare e tuffarsi oltre una doppia porta tagliata in due dal demone stesso. Rotolando contro una fila di serie, capì di essere finito in un’ampia sala per conferenze. Ne registrò vagamente il perimetro, spoglio di finestre, prima di trovarsi di nuovo sulla difensiva. Afferrò una delle sedie e la scagliò contro Kouyou. 

La seduta non arrivò neanche a sfiorarla, tagliata in due dalla spada dell’abilità. Il giustiziere sfruttò il momento. Corse incontro alle due, per poi evitare il demone con una scivolata, portandosi più vicino possibile alla Dirigente e puntandole la pistola contro. 

Kouyou non indietreggiò, anche se le sue labbra espressero la sorpresa per quella mossa repentina. Si difese con uno scatto, parandosi con l’ombrello. Questo fu colpito e distrutto, lasciando snudata la spada al suo interno. Prima che Oda potesse ripetersi, il Golden Demon era di nuovo in difesa, lacerando l’aria di fendenti. L’uomo balzò indietro, a debita distanza dalla spada, per riprendere fiato. 

«Non fraintendermi» iniziò Kouyou, senza muoversi dalla soglia della sala, la spada in mano ma in posizione bassa, di riposo, non dando a intendere che l’avrebbe usata. «Non ho la presunzione di fermarti, Odasaku

«Non chiamarmi così.»

La sua voce riecheggiò lì dove non arrivavano i rumori degli scontri all’esterno. La presa sulle pistole si fece più ostinata. Kouyou sorrise maliziosa, come se avesse appena fatto centro. 

«Oh, ma allora una voce ce l’hai. E anche bella» cinguettò con una risatina. «Ogni minuto che passa trovo sempre più motivi che mi spiegano come Dazai sia rimasto abbagliato da te.»

Il suo sguardo si affilò e la lama nella sua mano scattò in posizione, vibrando nell’aria densa. 

«Ora completiamo il quadro… mostrami il tuo volto!» 

Si scagliò con uno slancio violento ma privo di imperfezioni, dimostrando una velocità celata fino a quel momento. Il demone era al suo seguito, raddoppiandone la pericolosità. Oda l’attese come l’aveva prevista e fermò la lama con una delle pistole, sparando con la seconda. Kouyou non si fece cogliere impreparata, danzando sulle punte dei piedi ed evitando il colpo. Volteggiò e lasciò spazio al proprio demone e alla sua lama: la punta della spada sbucò dal nulla, colpendo la maschera cremisi. 

Grazie a Flawless, l’incrinatura fu minima, lasciando volare via soltanto qualche frammento. L’uomo roteò il polso sparando un’ennesima sequenza di colpi che costrinse Kouyou a ricorrere al Golden Demon per non venire raggiunta. 

«Tch» si lasciò sfuggire la donna, mentre guidava la carica del demone con un gesto secco della mano. L’ex tuttofare cercò di distanziarsi, finendo col lanciare sedia dopo sedia per guadagnare spazio. Quando arrivò all’altezza del palco della sala, l’abilità assassina si bloccò e lui poté riprendere fiato. Non abbassò la guardia e la concentrazione trasparì anche dalla maschera scheggiata. 

«Dazai non vuole capire una cosa basilare» sussurrò Kouyou, fissandolo come se avesse potuto parlare direttamente ai suoi occhi, con la confidenza di una persona che desiderava soltanto dare il proprio aiuto alla causa. «L’amore distrugge qualsiasi cosa si costruisca. Non importa che per un periodo funzioni, alla fine… l’amore brucia tutto e lascia solo cenere. O dei fantasmi, come te.» 

Sospirò e, di nuovo, le sue labbra sillabarono solo le parole, come una preghiera affranta e senza la speranza di venire ascoltata. 

«Se Dazai lo accettasse sarebbe tutto più semplice. Ci permetterebbe di ucciderti una volta per tutte.»

Di fronte all’impassibilità di Oda, la Dirigente scosse la testa, scoppiando poi a ridere. Senza timore, si voltò per uscire dalla sala. 

«Non hai neanche idea di cosa io stia dicendo, non è vero?» e gli scoccò uno sguardo crudele, avvolto da una magnanimità pietosa. «Sei solo un burattino in mezzo alla scacchiera di due demoni, ne sei consapevole? Sei venuto qui per morire ed è proprio un peccato.»

Un primo tintinnio. Seguito poi da un secondo, un terzo e così via. 

Oda distolse lo sguardo dalla donna per guardarsi intorno, facendo scattare la testa a ogni lato. Flawless non aveva ancora avvertito un pericolo imminente, ma il suo istinto sì. Alcune canaline si erano aperte nelle pareti e dei limoni gialli in metallo stavano scivolando sul pavimento. 

Una risata sguaiata ed esagitata riempì l’intera sala. Motojirou Kajii fece il suo ingresso con le braccia levate verso l’alto. 

«Finalmente ci conosciamo, fantasma dell’epoca oscura!» dichiarò pieno di folle entusiasmo. «So che è grazie a te se ho potuto progredire la mia scienza alla luce del mondo! Hai sacrificato la tua vita per la nobile causa del comandante in carica dell’universo! Quindi ti farò omaggio rendendoti il soggetto sperimentale delle mie ultime creazioni!»

Oda si lanciò in avanti, verso l’ingresso, ma la figura del demone dorato gli tagliò la strada, ingaggiando un nuovo giogo di fendenti da cui non riuscì a svincolare. 

«Devo però fare una precisazione a carattere scientifico!» proclamò implacabile Kajii, incurante dello scontro e degli spari con cui il giustiziere tentava di colpirlo, la mira sporcata dall’insistenza del Golden Demon

«Ozaki-san è stata troppo romantica su una cosa: l’amore è inconsistente! È soltanto un inganno chimico! Non può bruciare niente di niente! Ma qui abbiamo qualcosa di più efficace!»

Tirò fuori dal camice un innesco e lo attivò senza alcun esitazione.

Oda aveva visto cosa sarebbe successo, ma aumentare l’insistenza contro il demone non fu sufficiente a permettergli di fuggire. Nel momento del click, l’abilità assassina scomparve per riapparire alla porta. Le bombe esplosero una dopo l’altra, rendendo l’aria ardente.

Un boato rivaleggiò con i rumori degli scontri all’esterno, che non cessarono neanche quando si avvertì parte del soffitto e del pavimento della sala cedere. 

Lontana dalla soglia, con le fiamme a divampare e lambire parte dell’atrio della Port Mafia, Kouyou fissò con sdegno quel putiferio. Detriti e pezzi incendiati rotolarono fuori, ma nulla sembrò prossimo a quietarsi. I sistemi antincendio erano stati momentaneamente disabilitati. 

Kajii fischiò ammirato, osservando il proprio operato e battendo le mani compiaciuto dello spettacolo. Raggiunse la donna saltellando. 

«Appena domeremo le fiamme e lo tireremo fuori, quel braccio in metallo lo voglio nel mio laboratorio!»

Kouyou spostò lo sguardo critico dall’incendio allo scienziato. 

«Rammenti che gli ordini di Ougai-dono erano di non ucciderlo, vero?»

Kajii si strinse nelle spalle, alzando le mani. 

«Non ha specificato in quanti pezzi dovevamo catturarlo. Avrà perso forse le gambe o l’altro braccio… O potrebbe avere le vie aeree bruciate, uhm. A quello non avevo pensato.»

Un tintinnio, non dissimile da quello delle bombe a forma di limone. 

Kouyou abbassò lo sguardo e la consapevolezza la fulminò in viso. Kajii riuscì a essere impossibilmente più veloce, gettandosi su di lei.

Fu tardi per qualsiasi tentativo di scamparla indenni.  

Una granata atterrò poco distante dai loro piedi ed esplose con fragore. 



 

Non ci fu del silenzio vero, ma solo l’assenza di voci e respiri deboli mentre il fuoco consumava lentamente ciò che era rimasto di quella parte di ingresso. 

Rintronata dall’esplosione, Kouyou riuscì appena a vedere qualcosa, il sangue a renderla cieca da un occhio. Tastò con circospezione il corpo immobile sopra di sé. Kajii aveva una pulsazione vaga e flebile. Le dita trovarono uno, due fori di proiettile nella sua schiena, colpi sparati e coperti dalla confusione della granata. Strinse la mandibola, per quanto le facesse male, nell’osservare il giustiziere. 

Oda torreggiava su di loro. Kouyou tentò vanamente di evocare il proprio demone, ma riuscì solo a fissare impotente l’uomo. La manica della tuta sul suo braccio prostetico era a brandelli, piccoli pezzi carbonizzati dal fuoco si staccavano, consumandosi nell’aria senza mai raggiungere il suolo. Il metallo era annerito, ma non restituì l’idea di aver perso la propria prestanza. 

La vista della Dirigente si offuscò per lo sforzo di restare vigile. 

«Sei proprio un fantasma» mormorò, raccogliendo le poche forze rimaste. «Dazai non ha capito che ad amare i fantasmi si muore…»

L’uomo non la degnò di una risposta. Le diede le spalle, avviandosi verso l’ascensore. 

«Maledizione…» sibilò la donna, muovendo con dolore la mano fino a raggiungere la trasmittente che sentiva contro il fianco. Avvertì la coscienza scivolare via, ma riuscì a sintonizzare l’apparecchio prima di perdere coscienza. 

«Ha superato l’ingresso… sta salendo…»

«Me ne occupo io.»

La voce del Mastino della Port Mafia risuonò in attesa. 



 

To be continued




 

Avete atteso davvero un sacco, alcuni di voi mi hanno fatto compagnia su instagram ( @nolongerflawless.fanfic ) e fatto il tifo per questo aggiornamento. Iniziano i capitoli finali, densi di azione - sigh, scusate se è scritta da cani - e delle ultime sfaccettature di questa storia. 

Per scrivere questa parte mi sono cercata un po’ di film action e telefilm (Marvel grazie), perché sapevo cosa dovesse accadere, ma a grandi linee. Non pensavo ne sarebbero venuti fuori tre capitoli. Però spero che ve li godiate e che riusciate a immaginarveli con le azioni dell’anime. Io ho un film in testa da mesi con questa Notte Nera! Mi sono permessa qualche evoluzione, soprattutto nel prossimo capitolo. Il bello di scrivere storie lunghe dove i personaggi pian piano “crescono”. 

Tutto quello che non vi è chiaro fatemelo sapere! Sarà utile per una cosa della seconda parte ;) 

Grazie e alla prossima! 


Prossimo capitolo The Darkest Night (parte 2)
 
   
 
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