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Autore: Redferne    11/06/2022    2 recensioni
Quando l'inavvertito quanto inconsapevole mancato utilizzo del "plurale maiestatis", come invece converrebbe in certi casi, può dare vita ad un autentico dialogo dell'assurdo.
E davvero così facile equivocare, certe volte...
Genere: Comico, Demenziale, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Julia, Shin
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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QUI PRO QUO

 

 

By Redferne

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'omaccione si fece come di rito le rampe di scale una dopo l'altra.

Come ogni dannata, dannatissima volta.

Certo, per i polpacci e per i quadricipiti doveva essere di sicuro un toccasana, un'autentica manna.

O almeno era quel che i più sostenevano e dicevano.

Ma per le rotule era un disastro. Un supplizio.

Una tortura. A giudicare da quanto sinistramente scricchiolavano per lo sforzo a cui venivano sottoposte.

Ogni volta di più. Sempre un po' di più.

D'altronde non é che il corpo umano é composto solamente dai muscoli, e che cazzo.

Ci sono pure i tendini. E le giunture. E quelle non si possono allenare, ma possono soltanto logorarsi progressivamente col passare ed il trascorrere inesorabile del tempo. Sempre di più.

Anche le articolazioni, così come la cartilagine di cui sono fatte e composte, avevano i loro sacrosanti diritti. E nei momenti diffcili li reclamavano a gran voce, tramite fitte e stilettate pungenti quanto dolorose.

E le sue, a giudicare dal male, stavano letteralmente gridando vendetta. Sempre ammesso e non concesso che non si trattasse di un mandarlo a fare in culo vero e proprio. Il tutto in barba ed in sprezzo al fatto che fosse il loro signore, padrone, nonché proprietario.

Proprio come certi bifolchi che talvolta osavano schiamazzare. manifestare e lamentarsi per il pane, che spesso scarseggiava. Così come pure l'acqua.

Ma quelle, a differenza dei villici, non é che le potevi zittire a suon di sprangate sulla zucca e colpi d'ascia.

Per sempre, il più delle volte. Che era un fastidio da non dirsi, con quelle loro vociaccie roche e stridule rinsecchite dal lavoro, dal sole cocente e dal vento che sferzava senza sosta alcuna le loro ugole sgraziate.

Se ti tagliavi le gambe come si faceva, poi?

Rimanevano più corte, eh. E poi non é che tutti c'erano portati ad andare in giro in equilibrio sulle braccia, come solevano fare certi giocolieri e saltimbanchi intineranti che talvota giungevano lì ad allietare la soldataglia.

Prima di venire cacciati via con un tozzo di pane mezzo marcio, secco ed ammuffito cacciato in bocca a forza, come ricompensa per lo spettacolo. O addirittura a calci in culo o uccisi direttamente sul posto al termine della loro squallida esibizione, se erano talmente stronzi da non portarsi dietro le loro assistenti. Belle o brutte che fossero.

Perché il senso di tutta quanta la recita, la farsa e la pantomima era quella.

Lo scopo era di scopare. Di farsi la valletta come extra.

Altrimenti per quale motivo si satrebbe lì tutti quanti a vedere un fesso che fa il pagliaccio ed il buffone senza un po' di fessa in ricambio per il disturbo?

Senza un poco di fica da fottere...nulla ha senso. Nulla vale la pena o lo sforzo.

E comunque...quanto sarebbe servito un ascensore, da quelle parti.

Certe volte gli mancava davvero la cara, vecchia elettricità. Anche se ormai la si poteva e doveva considerare poco più che paragonabile ad un sogno, ad un desiderio ormai perduto quanto irrealizzabile.

Una leggenda, ecco. Una storiella, da raccontare attorno ad un improvvisato focolare, tra una bevuta ed una sbronza.

Tra un rutto emesso ed espletato di pieno petto e a pieni polmoni, una fragorosa vomitata e un sonoro quanto maleodorante peto. Rimembrando magri i tempi che furono, e che oggi non sono più.

Dalla piazza sottostante, nel frattempo, provenivano rozze urla e schiamazzi impenitenti. Frammischiati a lazzi imprecazioni ed insulti di ogni tipo. E al rombo dei motori e delle marmitte delle moto e dei bolidi intenti a sgasare senza ritegno sotto la spinta di manopole d'acceleratore girate a tutto spiano e tenute prennemente a massimo regime.

La tipica sinfonia di rude marmaglia mezza indisciplinata in Si bemolle minore.

Nient'altro che il classico concertino e sottofondo musicale che si poteva tranquillamente trovare in posti come quello. Ed in qualunque altro posto che risultasse in mano e governato da regolare regime di stampo dispotico che tanto andava in voga.

Tsk. Una mano, proprio. Chiusa a pugno ed avvolta in un guanto non certo di velluto ma piuttosto di puro ferro a placche e borchiato, capace di dispensare solo percosse e basta.

A tempo pieno e ad orario continuato, per giunta.

Da loro, e dovunque oltre che da loro, si serviva solo tanto bastone e pochissima carota. Quasi mai.

Ed era perfettamente inutile stare a specificare, le grame volte in cui la passavano al posto del bastone, cosa ci facessero con la carota in questione. E dove la infilavano...

Nello stesso posto in cui talvolta finiva infilato pure il randello, no? E non sempre era di legno.

Alle volte era pure quello di carne, fornito in dotazione e di serie da quella gran puttanaccia che doveva essere madre natura in persona.

Perché soltanto la più lurida vacca lebbrosa sulla faccia del fottuto pianeta doveva aver cacato fuori dal suo buco del culo una razza di bestie immonde come lo erano gli uomini di quel luogo e di quel tempo.

Se non lo avesse fatto, serebbero sati tutti quanti senz'altro più felici. Ma ora c'erano, e quindi...tanto peggio per chi non era d'accordo e non gli stava bene, la cosa.

Cazzi loro. In tutti i sensi.

Cazzi loro. Questo era l'imperativo da osservare e seguire, se si voleva avere anche solo un'opportunità di cavarsela e di sopravvivere.

Non sta succedendo a me? Allora non é un mio problema.

Hanno assaltato, distrutto e messo a ferro e fuoco un villaggio vicino al mio? Pazienza.

Chi cazzo se ne strafrega e fotte. Mica ci abito io, dopotutto!!

Il frastuono ed il fracasso che arrivava dal basso si stava facendo via via sempre più forte ed insistente, al punto di passare attraverso le solide e spesse pareti laterali del palazzo.

E sì che vi era una certa ragguardevole distanza, tra loro e la scalinata. Eppure...

Eppure era arrivato a trapanare i muri, persino. E a desso aveva preso a perforargli anche i timpani, generandogli un certo qual fastidio. E nervoso.

Forse avrebbe dovuto fare dietro – front, e scendere. Andare da quel branco di iene bastarde e trucidarne un paio sotto agli occhi di tutti con qualcuna tra le tecniche micidiali per cui era tristemente rinomato presso il resto dello sterminato quanto sconfinato esercito.

Sono gli esempi che contano, dopotutto. E se si vuol mantenere rigorosamente sia l'ordine che la disciplina, essi vanno usati ed applicati anche verso i propri diretti sottoposti, e non solo con la plebe che funge da forza lavoro.

Non bisogna mai mancare di farlo. Soprattutto con loro, perché in quanto parte dell'armata devono essere i primi a dvoer rigare dritto. Ed il triplo degli altri.

Liberi di saccheggiare, incendiare, radere al suolo, rubare, uccidere, approfittare e violentare. Questo sì. Assolutamente. Un guerriero dev'essere un guerriero così come un predone dev'essere un predone.

Ma quando si proclama un'adunata...significa solo una cosa.

Niente stronzate, ecco cosa significa.

Niente stronzate. Per tutto il tempo della sua durata.

Almeno quello, si veda di rispettarlo. E' una questione di buona creanza.

Era davvero tentato, di ridiscendere. Ma poi, accadde qualcosa.

Era subentrato tutt'un altro tipo di rumore. Anzi, di sinfonia.

Dapprima timido, quasi in punta di piedi, come se non volesse minimamete disturbare. Come se a momenti stesse chiedendo scusa anche all'aria, per qualla sua improvvisa sortita ed intromissione.

Ma poco a poco, man mano che saliva a gran fatica i gradini, esso parve acquistare sempre più fiducia e forza.

Raggiunse ben presto il volume dell'altro, suo avversario e contendente. Si mise in pari, e lo superò.

Aveva vinto. Ma forse non aveva nessun merito da rivendicare a propristo di quel trionfo.

Poteva essere che la bolgia sottostante avesse raggiunto il suo picco, il suo massimo grado d'intensità. E che adesso, complice il progressivo allontanarsi da parte di chi udiva, avesse cominciato pian piano a diminuire di raggio e di portata fino a scemare del tutto.

In ogni caso, stava cedendo terreno al nuovo arrivato. E questo era indubbio, fuori da ogni discussione.

Una melodia che somigliava ad un lamento. Anche se a chi non era avvezzo con un certo genere, come ad esempio il tizio che si stava facendo un altro piano ed un altro giro ma senza regalo, tra una bestemmia e l'altra messe ad opportuno corollario per infarcire quell'obbligato quanto tassativo pellegrinaggio...il tutto doveva apparire come una lugubre nenia, e nulla più.

La lugubre e triste nenia di un funerale di terza classe, come minimo. Di quelli talmente sciapi e squallidi da non potersi permettere neanche un vestito non si dica decente ma almeno in grazia di Dio. Figurarsi una bara con cui seppellirlo degnamente.

Da far cascare neanche la braccia, ma direttamente la pelle dalle braccia, insieme alle ossa.

Da tirarci giù la carne, insieme ai coglioni. Per non avere nemmeno la soddisfazione di toccarseli per opportuno quanto antico gesto scaramantico.

Magari era pur vero che le sue orecchie non erano abituate ai fini piaceri. E che non avesse il benché minimo gusto, o senso del bello. Oppure il palato non sufficientemente fine e non abbastanza raffinato.

Tuto poteva essere.

E forse ci avrebbe fatto davvero la figura di chi non ne capiva un tubo, a pensarla così. Ma per essere un totale e completo ignorante in materia...a lui quella roba faceva semplicemente schifo.

Gli aveva da sempre preferito le grida dei nemici uccisi e degli schiavi presi a frustate fino a staccargli intere strisce di pelle. E i lamenti delle femmine mentre venivano stuprate, fino allo sfinimento.

Fino a che non ne potevano più. Fino aperdere i sensi, mezze soffocate da tutto il seme maschile che le aveva riempite fin quasi all'orlo.

Decisamente più grezzo, rozzo e cacofonico. Ma che dava infinitamente più piacere e soddisfazione.

Garantito.

Intanto, era finalmente giunto nell'ampio salone situato all'ultimo piano.

Finalmente. Il calvario, la porzione e riproduzione su scala assai ridotta del Golgota ma egualmente donatrice di pari patimenti se non addirittura in maggior misura era finita.

Grazie al cielo.

Guardò istintivamente alla propria destra, da dove ben sapeva che stava provenendo la musica.

Eccola. Come al solito tutta intenta a strimpellare sempre gli stessi quattro accordi in croce. Gli unici che conosceva e che doveva aver imparato, con tutta quanta la probabilità.

Seduta e con le chiappe poggiate sempre sul solito sgabello. E sempre dietro e alle prese con quel cavolo di enorme strumento. Come diavolo é che lo chiamava? Che era solita chiamarlo?

Arpa? Arca? Boh.

E chi cazzo lo sa. Non é che uno si può ricordare sempre tutto nella vita, e che cazzo. Specie se poi sono autentiche puttanate di nessuna utilità pratica.

Pareva una bambola. Un automa, con quel suo pallore fisso e con quel suo sguardo perso nel vuoto e dall'espressione sempiternamente afflitta.

Sempre bellissima, eh. E ci mancherebbe. Di questo gliene si doveva rendere senz'altro degno atto.

Ma anche sempre emaciata come uno spettro, bianca come un cencio lavato e magra come un chiodo.

E non si dimentichi algida come un autentico ghiacciolo, naturalmente.

Ad un uomo, un vero uomo, una simile vista non suscitava il benché minimo interesse o passione. Figurarsi la voglia.

Non era più il tempo delle smancerie, dell'amor cortese.

La figura della donna come oggetto romantico da tenere in una teca per idealizzarla al solo scopo di nutrire le proprie fantasie era ormai sorpassata da tempo.

Roba da checche e da finocchi omosessuali.

Come le banconote e la valuta che qualche cretino si ostinava ancora a tenere.

Giusto buona per pulircisi il culo, appunto.

Si era tornati al principio, alle origini. Come una volta.

Ci si annusava, ci si piaceva, ci si accoppiava. Senza tanti preamboli.

E spesso anzi, era solo il maschio a decidere, dopo aver vinto il duello con tutti gli altri simili.

Che avvicinava con i denti scoperti ed il membro turgido ed eretto che a momenti lacerava e faceva esplodere i panataloni, le mutande e gli indumenti che lo contenevano. E con la femmina di turno che, opportunamente sottomessa, sporgeva all'indietro le terga come una meretrice fidata e fedele che le offriva al suo cliente abituale e di lunga data...

Questo era scopare, gente. Ma una come quella...che razza di soddisfazioni poteva dare?

Lo sapeva solo lui.

Sempre chiara ossuta come uno scheletro con le ossa esposte a cuocere al sole. Sembrava una fantasma.

Era viva, ma ormai la vita sembrava averla abbandonata da tempo.

Da tempo quella fanciulla doveva aver deciso di lasciare il suo stesso corpo qui, fuggendo col suo spirito chissà dove.

Ma che se ne faceva Sua Maestà, di un simile grissino? Ed in tal proposito...

Ah, già. Ecco. Sua maestà, giustappunto.

Eccolo là. Sulla balconata, a rivolgere gli occhi verso un orizzonte inesistente e che vedeva soltanto lui. Come di consueto.

Nulla di diverso dal solito e dall'ordinario, almeno sotto a quel punto di vista.

Un orizzonte che il resto dei comuni mortali poteva soltanto immaginare. Anzi, che non riusciva neppure ad immaginare.

Del resto come si fa ad immaginare cosa e quel che pensa un autentico DIO?

I suoi propositi, disegni e progetti rimangono totalmente sconosciuti quanto incomprensibili, alla totalità degli uomini.

Si può solo sperare che una parte dei suoi progetti riguardi pure noi, da vicino. E su tutto quanto il resto...pregasi archiviare nell'apposito registro o fascicolo, alla voce LE SUE VIE SONO MISTERIOSE E INFINITE.

Anche se qualche cosa la si può intuire, visto che se é vero che sono gli uomini stessi a creare gli Dei per poi adorarli ed avere così qualcosa in cui poter credere a prescindere ed in qualunque situazione si potesse venire a trovare, meglio ancora se tragica e disperata...allora gli Dei, pur nella loro apparente perfezione, sono destinati ad ereditare i difetti, i vizi e i capricci di chi li ha originati ed ideati.

Degli uomini.

Chissà, forse Sua Maestà scrutava così tanto l'orizzonte perché la tizia che teneva dentro alla sua reggia come un uccellino in gabbia sembrava non degnarlo di una sola occhiata. E le uniche che gli rifilava erano soltanto colme di sdegno e commiserazione.

In realtà il problema era tutto lì. Era pur sempre una questione di UCCELLO, da come la vedeva il bestione.

Eh, già. L'uccello. Sta tutta lì, la cazzo di questione.

E proprio questa, la risposta alla fottuta domanda.

Uccello, cazzo, fottuta. Gira sempre tutto intorno a quei tre concetti chiave.

E anche chiave, in fin dei conti.

Uccello, cazzo, fottuta, chiavare. Non occorre altro.

Perché Sua Maestà non lo capiva? Perché si fissava di non volerlo capire.

Eppure era così semplice...

L'omone si prostrò a suoi piedi, nonostante si trovasse ancora ad una considerevole distanza.

Poggiò il ginocchio sinistro sul pavimento, tenendo la gamba destra ad angolo perfettamente retto di novanta gradi spaccati e mettendoci sopra il braccio corrispondente, tenuto piegato allo stesso modo e con la medesima angolazione, e poi abbassò la testa.

“I miei rispetti e omaggi, Maestà.” gli annunciò. “Sono qui, come ordinato.”

La figura davanti a lui, a quel richiamo, si voltò facendo ondeggiare i lunghi capelli biondi e dai riflessi dorati.

“Ah, mio fidato Balkom” disse, con tono impersonale. “Ottimo. Puntuale come sempre. Ti stavo aspettando.”

“Le truppe sono schierate ed allineate” gli spiegò il comandante. “E' tutto pronto per la mobilitazione serale.”

“Molto bene. E del maledetto che mi dici, piuttosto?”

Eccolo. Ci si era arrivati.

Quello là. La spina nel fianco del suo impero, tra i suoi soldati e nella costola della sua branca di allievi del Sacro Pugno. Al comando del supremo Shin, Generale tra i Sei Sacri Guardiani del Cancello Imperiale suoi pari. E detentore del NANTO KOSHU – KEN, il PUGNO DELL'AQUILA SOLITARIA.

“Uhm...stando alle informazioni in nostro possesso, fornitaci dai nostri personali informatori e dal nostro servizio di spionaggio...l'uomo con le sette cicatrici sul petto si dovrebbe trovare nei pressi del villaggio di Yeziyah, al di fuori dei nostri confini. Gestito però dal comandante Gerk.”

“Il comandante Gerk, dici?”

Quel nome pareva non comunicargli niente. Assolutamente niente, almeno a prima vista.

“Sì, Sire. Si era stabilito in quel luogo insieme al suo battaglione, secondo gli accordi e le strategie del nostro piano espansionistico, e in rispetto della previsione di allargare ulteriormente la nostra sfera d'influenza nei territori limitrofi, allo scopo di garantire delle zone cuscinetto.”

Il viso di Shin, che nel frattempo aveva preso ad incamminarsi nella sua direzione, quasi si illuminò di una bagliore di speranza.

“Bene...” fece. “E, dimmi...lo hanno finalmente sconfitto? Lo hanno ucciso, quel bastardo?”

A quella parola, la fanciulla si bloccò.

Smise di suonare, le dita raggelate nell'ultimo pizzico di corda così bruscamente interrotto, e proprio nel bel mezzo dell'esecuzione.

“Ehm...purtroppo no, Maestà” gli rispose Balkom, titubante. “Le ultime notizie in merito...purtroppo non sono affatto buone come speravamo. Per niente. Sempre secondo i nsotri informatori, il guerriero di Hokuto ha già sgominato l'intera guarnigione, ed ora si ritrova all'inseguimento del comandante.”

“Che cosa?”

La fanciulla riprese a suonare, riprendendo la triste melodia dal punto stesso in cui l'aveva bloccata.

“E...esatto, mio signore” gli confermò Balkom. “Tutti i suoi sottoposti sono già in pieno rigor – mortis, a quanto ne sappiamo. E anche a Gerk rimane poco da vivere. Ha già il biglietto prenotato per l'inferno, purtroppo. Un viaggio di sola andata. Quando quel bastardo prende di mira qualcuno, specie se uno dei nostri...non c'é speranza di salvarsi.”

“Pazienza” dichiarò Shin. “Non mi dicono nulla, queste morti. Così come i nomi di chi muore. Dopotutto, finché se la prende con i miei semplici cani da guardia...la cosa non mi disturba affatto. Non mi fa né caldo, né freddo. Lui crede di farmi dispetto e di colpirmi, facendo così. In realtà mi sta facendo un favore, e nemmeno se ne accorge!”

Nonostante l'apparente enfasi, il suo modo di fare era tornato ad essere svogliato quanto indifferente.

A tutto. Ad ogni cosa.

“Se vengono sconfitti e cadono per mano di quel pusillanime e miserabile, vuol dire che non erano all'altezza!” Dichiarò, lapidario. “E ripulire il proprio esercito dagli inetti e dagli incapaci rappresenta sempre un bene. Sì...prendersela con i cani randagi come lui, ecco il massimo che può riuscire a fare. Non può fare altro che questo! E sia. Lasciamolo sfogare. Persino la peggiore tra le minacce finisce col diventare innocua, se la si lascia fare. Praticamente innocua, se le si concede il minimo e giusto spazio d'azione e di manovra. Una distruzione controllata, ecco quel che gli concederemo! Dopotutto...non c'é bisogno di catturare subito tutti i pesci, quando sono già lì che sguazzano dentro alla rete che hai calato in mare. Li lasci muovere e nuotare, perché tanto sono già in trappola. E nemmeno lo sanno! Le maglie sono troppo strette perché possano fuggire, e puoi issare la rete come e quando vuoi! Quando ti aggrada! Quel dannato può fare ciò che gli pare, oltre il mio regno. Tanto, non potrà mai arrivare a minare le basi del mio impero, lui e la sua dannata arte omicida! L'uomo dalle sette stelle non arriverà mai fin qui! Non giungerà mai fino a qui, nella mia città! Non arriverà mai a vedere la Croce del Sud!!”

“Non possiamo che sperarci, che sia così...” commentò sottovoce Balkom.

Ma per sua sfortuna, Shin aveva ben udito.

“Che cosa hai detto?” Gli chiese.

“Io...uhm, niente, Maestà.” rispose il generale.

Grazie al cielo aveva sentito, ma non fino in fondo e così bene. O forse non aveva capito. O magari aveva persino fatto finta di non capire.

Su certe cose, il Re non aveva orecchie per ascoltare.

Come tutti i condottieri, doveva ritenere che la ragione stesse da una sola parte ed una soltanto.

La SUA, ovviamente.

“Sì” disse tra sé. “Faremo come ho progettato. Faremo proprio così. E' un piano davvero sublime! Sono un genio.”

“Se lo dice lei...” bofonchiò ancora Balkom.

“Che cosa hai detto?”

“Uhm...nulla, Maestà. Assolutamente nulla.”

“Bene. Meglio così.”

Il suo ottundimento non gli aveva neppure fatto notare il gravissimo in quanto mancato uso del plurale che in genere si riserva ai nobili ed ai regnanti.

Ormai sentiva solo la sua voce. Nient'altro che quella. Oltre ai suoni striduli emessi dalla tizia pallida con quel suo cavolo di strumento.

“Lasciamo perdere” gli disse. “Piuttosto...é per un altro motivo che ti ho convocato qui, oggi. Visto che ti trovi al mio cospetto...mi serve un favore, da parte tua.”

“U – un favore, Sire? Che...che genere di favore, se posso permettermi?”

Shin indicò la ragazza in fondo, messa laggiù in un angolo.

“Mi serve un consiglio, Balkom. Riguarda Julia. Io non la capisco. Ti giuro che non la capisco più. E' sempre triste. Non sorride mai, nonostante tutti i regali e i gioielli che le porto e che le faccio in dono. Sto anche facendo realizzare una statua in oro massiccio col suo aspetto, su di una base tappezzata di diamanti. E non ti dico che razza di fatica occorre per recuperare pietre e minerali preziosi, di questi tempi.”

“Immagino, Maestà.”

Io vorrei...io voglio solo che mi ami. Voglio che mi ami, null'altro!!” Confessò. “Ma come posso fare? Come posso fare, per renderla felice? Come ?!”

“Maestà, se mi posso permettere...io sono, resto e rimango un soldato, non sono ferrato né tantomeno pratico nelle questioni sentimentali e amorose. Ma credo che la schiettezza tra uomini sia d'obbligo. Necessaria, specie quando ci si deve intendere al volo sul da farsi. Quindi...sarò breve e conciso.”

“Bene. Allora vuota il sacco. Sono tutt'orecchi.”

Certo. Come no.

“Qualunque cosa, pur di risolvere finalmente il porblema che mi affligge!” Dichiarò. “Qualunque cosa, pur di togliermi dalla testa questo dannato tarlo!!”

“Ecco, Maestà. Come le stavo dicendo, e se posso permettermi...” proseguì Balkom, “...il problema con la signorina Julia é che sta a suonare tutto il santo giorno l'arpa e NON LA TROMBA!!”

Il volto di Shin tradì incredibilmente sorpresa.

“C – come?!” Fece.

“E'...é quel che ho appena detto, Maestà” ribadì fermamente il generale, seppur mantenendo un tono umile di circostanza.

“Tutto...tutto qui?!” Richiese Shin. “Sta davvero tutta qui, la soluzione?!”

“Tutto qui, Maestà.”

La sua incredulità e dabbenaggine apparivano a dir poco irritanti, specie agli occhi di un uomo di mondo che di sicuro doveva averne viste e vissute di ogni.

Possibile che fosse davvero così ingenuo?

Evidentemente il suo sovrano doveva essere ambizioso e lungimirante nelle guerre, negli scontri e nelle conquiste almeno in pari misura di quanto doveva essere inesperto e sprovveduto in materia di donne. Nonché di sesso.

Ovviamente, Balkom si guardò bene dal dirgli pure questo.

E' l'indole, purtroppo. Non c'é niente da fare.

D'altra parte occorre una mente fine per governare un impero, ed il suo relativo esercito.

Ma il guaio é che chi é abituato ad usare principalmente il cervello e basta finisce col rimanerne imprigionato. E di vivere e passare il resto dei suoi giorni racchiuso e rinchiuso nella sua mente.

Prigioniero, ergastolano della sua testa.

E qui entra in gioco l'uomo comune. Che vive anzi, che sopravvive principalmente di pratica.

Perché un tempo erano i dirigenti, i pezzi grossi a far fruttare le fabbriche. Ma erano gli operai e i manovali a farle funzionare.

Da quel punto di vista, nulla era cambiato o era distante poi di molto rispetto ad allora.

Ogni tanto anche un brillante e geniale stratega ha bisogno del supporto, del consiglio e dell'aiuto da parte di un misero quanto miserabile zotico.

A quanto pare anche un villano quale era lui alle volte aveva l'opportunità di saperne un po' di più rispetto a chi gli sta sopra. E di far così sentire e valere adeguatamente la propria voce e di dar fiato ai suoi pensieri e alle sue opinioni.

Non che ci volesse molto.

Alla fine le donne vogliono tutte quante la stessa cosa.

Non vogliono che quello.

Il cazzo.

La rivincita della canaglia pezzente, signori. Succede anche questo.

Gli venne quasi da sorridere.

Forse il suo Re l'aveva capita, finalmente.

“Tutto qui, il problema?!” Ribadì Shin. “Julia vorrebbe...”

“Sì, Maestà. E' così.”

“...Julia vorrebbe solo PRENDERE UN ALTRO STRUMENTO? Ma perché non me lo ha detto subito? Glielo avrei fatto procurare immediatamente!!”

“M – ma v – veramente, Maestà...”

“Silenzio!!” Lo zittì Shin. “Dà immediatamente ordine a tutti gli uomini di setacciare tutte quante le città del mio regno e delle zone vicine in cerca di una tromba! Subito! Che non si perda tempo, capito? Cercate in tutti i posti dove una volta sorgevano negozi di strumenti musicali, o almeno quel che ne é rimasto! E vedano di trovare e rimediare qualcosa, altrimenti...sarà corda e sapone per tutti quanti! Sono stato abbastanza chiaro?!”

“S – sì, Maestà.”

“E in tal proposito...” aggiunse, con una nuova nota di crudeltà che già gli si faceva largo nello sguardo altezzoso. “Mi sbaglio, o per questa sera era previsto un nuovo giro di esecuzioni?”

“E...esatto, Maestà. Abbiamo un po' di tutto, in programma. Disertori, sobillatori, ribelli assortiti e qualche fuggiasco in aggiunta.”

“Ottimo” commentò Shin. “Visto che ci siamo...ho deciso per un cambio di programma. Da stasera si passa alle impiccagioni, che di vedere tagliare e rotolare le teste mi sono stufato. E' sempre la stessa zuppa, dopo un po'.”

“A...agli ordini, Maestà. Sarà fatto.”

“E' tutto” lo congedò. “Hai i tuoi ordini. Ora và.”

Balkom si rialzò, si accomiatò con un inchino, fece una riverenza alla signorina non appena le passò nelle vicinanze e riprese la rampa.

Lo aspettava una nuova e lunga serie di scale, anche se in discesa.

Non aveva capito.

Non aveva capito niente. Per l'ennesima volta.

Invece di stare lì con la sua bella a dargli pane e cazzo tutto il giorno, il suo Re preferiva continuare a trascorrere e perdere il suo prezioso tempo ad elaborare strategie per fermare l'uomo dalle sette stelle.

Strategie talemente contorte, elaborate e complesse che il più delle volte finivano col naufragare ed andare a mare praticamente da sole e per proprio conto.

Tentava inutilmente di farlo uccidere. Così come tentava inutilmente di farsela dare da quel tocco di iceberg malcagato della sua squinzia. Per poi sfogarsi sadicamente sui suoi subalterni e prigionieri.

Ormai le giornate alla Croce del Sud trascorrevano così.

Giorni sprecati e buttati tra piani fallimentari, esecuzioni e seghe.

E non dovevano essere solo mentali, le seghe in questione.

O almeno questo era il sospetto che nutriva.

Ormai queste erano le giornate, lì.

E se davvero era così...non erano destinate a durare ancora a lungo.

Meno del tempo che ci mette un maschio a venire dentro senza nemmeno avere la cortesia di tirarlo fuori un attimo prima. Come si farebbe con un arrosto sullo spiedo per evitare che si bruci.

Era decisamente ora di cambiare, di questo passo.

Ora di cambiare musica, giusto per restare e rimanere a tema.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Qui Pro Quo, 11 Giugno 2022

 

 

FINE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Allora? Che ne dite?

Questa volta, oltre all'aggiornamento della mia storia principale, ecco per voi una piccola sorpresina in aggiunta.

Un po' per farmi perdonare della lunghissima assenza, anche se per motivi pienamente giustificati.

Un po' perché é venuta così. Spontanea, di botto e di getto, in seguito ad una battuta che ha fatto mio fratello (che pure lui avrebbe i numeri per scrivere, a parer mio, anche se più che i racconti preferisce le sceneggiature cinematografiche. Ma non si decide, purtroppo. Diciamo che...non ha avuto ancora la scintilla, a differenza di me. Non gli si é ancora messa in moto la macchina dello scrittore. Ma prima o poi riuscirò a convincerlo). A cui ovviamente ho chiesto il permesso di utilizzo, come si conviene in questi casi.

Lì per lì mi ha fatto scompisciare. E infatti, come tutte le barzellette, va raccontata subito.

Perché le battute sono come il pesce, se le lascì lì senza cucinarle...dopo un po' puzzano, gente.

Ed ecco qua, dunque. Una storiella breve, fatta con nessun scopo se non quello di far ridere, di regalare (spero) una sana sghignazzata di gusto.

Che ce n'é un gran bisogno, di questi tempi. Per usare un'altra battutaccia...forse se sei nella merda fino al collo un barzelletta non ti salva la vita. Ma magari ti fa morire un po' più contento e meno incazzato.

Mi auguro vi faccia lo stesso effetto che ha fatto a me.

Perché la risata é soggettiva, ragazzi. Altrimenti fare il comico non sarebbe il mestiere più difficile del mondo.

Come sempre, un grazie di cuore a chiunque vorrà leggerla e se la sentirà di lasciare un commento.

Grazie ancora e...alla prossima!

 

 

See ya!!

 

 

 

 

 

Roberto

 

   
 
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