Anime & Manga > Yuukoku no Moriarty/Moriarty the Patriot
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Autore: Ode To Joy    16/06/2022    1 recensioni
[Past-Moran x Louis]
[Mentioned- Sherlock x William / Mycroft x Albert]
“Quando la mia ora arriverà, molte cose rimarranno in sospeso,” disse Jack. “Ho bisogno di una persona fidata che continui il lavoro al posto mio.”
Moran esitò, poi si puntò l’indice contro il petto. “Parli di me?”
“Insegna a quei bambini quello che serve sapere, proprio come io ho fatto con te e coi fratelli Moriarty.” Una pausa. “Chi lo sa? Magari quando quel giorno arriverà, ci sarà anche tuo figlio insieme a loro.”

Arrivato alla soglia dei quarant’anni, il Colonnello Sebastian Moran si ritrova a fare un bilancio della sua vita, delle scelte che lo hanno portato dov’è e ripensa alle persone che gli hanno lasciato un segno addosso.
Una di queste, letteralmente.
Blank Canvas IV
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Louis James Moriarty, Nuovo personaggio, Sebastian Moran
Note: Soulmate!AU | Avvertimenti: Mpreg
- Questa storia fa parte della serie 'Blank Canvas '
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Move Forward 
(and let him go)


Fu una carezza a svegliare il Colonnello.

Il tocco delicato di un indice che tracciava le linee del marchio impresso sulla pelle sensibile dell’interno del polso.

Sapeva cosa il suo amante stava facendo e non aveva alcuna intenzione d’interromperlo.

“So che sei sveglio.”

Ma era troppo intelligente per essere ingannato.

Il Colonnello aprì gli occhi e le iridi scarlatte della sua Anima Gemella lo convinsero a lasciarsi alle spalle il mondo dei sogni. 

“Buongiorno.” Educato, composto, senza alcun vestito addosso. Era un capolavoro di contrasti da cui era impossibile staccare gli occhi.

“Non ti sei rivestito.” Il Colonnello ne era sinceramente sorpreso.

“Avrei dovuto farlo?”

No, certo che no. La luce fredda del sole d’inverno illuminava completamente la stanza, offrendo al soldato una deliziosa panoramica della pelle pallida che aveva assaggiato appena poche ore prima. Aveva lasciato qualche segno su quel giovane corpo? Si disse che avrebbe dovuto controllare e, in caso, rimediare alle sue mancanze. Doveva solo trovare la volontà di muoversi, e sottrarsi alla carezza di quelle dita.

Decise che non aveva fretta.

“Stai bene?” In vita sua, quella era solo la seconda volta che aveva la premura di porre una simile domanda. 

“Uhm-uhm…”

“No, sul serio, stai bene?”

Quegli occhi scarlatti lo derisero in silenzio. “Di cosa ti preoccupi?”

Il Colonnello scrollò le spalle. Era un uomo navigato, ma quel genere di vicinanza gli provocava un certo imbarazzo. Non era abituato all’intimità. Alla passione della carne, sì, quella era la sua materia. 

Su quel letto era avvenuto qualcosa di completamente diverso, ma il Colonnello non era un poeta e non conosceva le parole giuste per spiegarlo. 

“M’importa sapere se ti ho fatto stare bene.” Non c’era un modo meno imbarazzante di esporsi, ma era un prezzo che era disposto a pagare.

Le labbra del suo amante, della sua Anima Gemella, si piegarono in un sorriso che era raro vedere su quel giovane volto. “Sono ancora qui.” Fu la sua unica risposta.

Il Colonnello si decise a sottrarre il braccio dalla carezza di quelle dita. Lo sollevò e affondò la mano tra i capelli biondi del più giovane. “Sono contento che tu lo sia.”

E lo credeva davvero.




 

Londra, 1884 




 

”Continua a guardare avanti…”

Era stato il primo ordine di WIlliam per lui. 

E Sebastian Moran lo aveva eseguito per cinque lustri - anno più, anno meno. 

Qualcuno - primo tra tutti, Louis James Moriarty - avrebbe potuto obiettare che i tre anni successivi all’incidente del Tower Bridge non erano stati proprio esemplari, ma il Colonnello aveva smesso di giustificarsi. 

Al tempo, quando William James Moriarty e Sherlock Holmes erano stati dichiarati ufficialmente morti, erano accaduti i due eventi tipici che accompagnano un lutto: i cuori di molti si erano fermati, ma il mondo no. Qualcuno di loro era stato bravo a tenere il passo - come Louis e Mycroft - qualcun altro non ce l’aveva fatta - oltre a se stesso, Moran non poteva non includere Albert in questa categoria. 

Ma William e Sherlock erano tornati. Le ferite del cuore si erano rimarginate, anche se la cicatrice si sarebbe sempre fatta ricordare.

Alla fine, il Colonnello Sebastian Moran era stato fedele ai patti: era andato avanti. Non nel mondo in cui aveva desiderato, non come si era aspettato ma non si poteva avere tutto dalla vita. 

Ciò nonostante, alla soglia dei suoi quarant’anni, Moran uno sguardo alle proprie spalle ogni tanto lo lanciava. Era più forte di lui. 

Quarant’anni. Anche a essere ottimisti, aveva ormai superato la metà del suo tempo ed era assai improbabile che un uomo nella sua posizione raggiungesse la vecchiaia. Jack era lì per provare il contrario ma esistevano le eccezioni. Il Colonnello Sebastian Moran non si sarebbe mai ritirato a fare vita privata, dopo anni di servizio. No, sarebbe morto improvvisamente, sul campo, proprio come tutti si aspettavano da lui. 

Tranne Louis. Il piccolo stronzo - che aveva quasi trent’anni e tanto piccolo non era più - ci teneva, di tanto in tanto, a fare qualche battuta infelice del tipo: “verrai ucciso in una rissa da bar, ti getteranno in un fosso e quando ti ritroveranno, spetterà a me l’ingrato compito d’identificare il tuo cadavere.”

Louis James Moriarty era sempre stato il fratello simpatico, ma in silenzio, più a suon di occhiatacce che a parole. Ora che era divenuto il capofamiglia, gran parte della sua timidezza era andata perduta. Poco dopo il ritorno di William, aveva smesso di dargli del voi, tanto per sottolineare che tanto rispetto per il Colonnello non lo provava. Moran non era per le formalità e aveva accettato la cosa di buon grado. Tornare a essere il braccio destro di un Moriarty non gli era affatto dispiaciuto, ma Louis non era William.

Moran non voleva lamentarsi. In cuor suo, provava una sincera e profonda stima per il minore dei fratelli Moriarty. Dopo il Tower Bridge, era stato lui a pagare il prezzo più alto e, nonostante questo, aveva tirato fuori dal suo dolore qualcosa di superbo. Certo, era stato Mycroft Holmes a offrirgli il ruolo di M e l’MI6, ma se Louis si era retto sulle proprie gambe, lo doveva solo a se stesso. 

Moran si era lasciato alle spalle un ragazzino ed era tornato per starsene a faccia a faccia con un uomo adulto, un leader e anche capace. Senza rendersene conto, Louis aveva acquisito lo stesso magnetismo con cui William li aveva raccolti, uno dopo l’altro. Il Colonnello non ne era rimasto abbagliato, non questa volta. Al contrario, Louis aveva attirato la sua attenzione gradualmente. 

Dopo la presunta morte di William, Louis aveva tentato di tendergli la mano - come se non fosse lui a dover essere sostenuto, dopo la perdita del fratello - e per poco tempo si erano ritrovati più vicini di quanto non fossero mai stati.

Moran se ne era approfittato, Louis non gli aveva offerto il tipo di conforto che aveva cercato e non si erano rivisti per tre anni.

Ed era dovuto passarne un altro ancora, prima che Moran riuscisse ad avere una conversazione sincera con Louis. Era stata l’unica volta in cui il Colonnello aveva chiesto scusa a qualcuno per essere scappato di fronte al dolore della perdita di William. Con Louis - e solo con Louis - si era sentito in dovere di farlo. Averlo abbandonato nel momento del bisogno era una colpa che condivideva con Albert, che al tempo non era riuscito a ricordare che quello annegato nel Tamigi non era l’unico fratello che aveva.

Entrambi se ne vergognavano, ne avevano parlato. La parte peggiore era che Louis non serbava alcun rancore in merito a quella faccenda. Sì, con Moran era più spigoloso di quanto lo fosse col fratello adottivo, ma non c’era vera cattiveria nei suoi gesti o nelle sue parole. Louis aveva solo un carattere di merda, ma meritava tutta la lealtà che aveva riservato anche a William.

Col senno di poi, Sebastian Moran si sarebbe dovuto fermare lì, senza pretendere di più. Ma piangere sul latte versato non aveva alcun senso.

La verità era che, mentre gli anta si avvicinavano inesorabilmente, il Colonello Sebastian Moran ripercorreva tutti i passi che lo avevano condotto fino a lì e sapeva che non sarebbe voluto essere da nessun’altra parte, pur con tutti i dolori del caso.

Un istante dopo aver formulato quel pensiero, un soldatino giocattolo lo colpì dritto all’occhio destro e la sua mente fece una brusca inversione di rotta: si pentì di ogni scelta che lo aveva portato a vivere quel preciso momento storico.

“La tua strategia fa schifo!” Esclamò il piccolo demonio che gli stava di fronte. “Sei sicuro di aver servito nell’esercito, quello vero? Nessun Generale farebbe passare le proprie truppe su di un ponte completamente libero, in terra straniera. Chiunque capirebbe che si tratta di un’imboscata!” 

La giornata era buona e stare all’aria aperta faceva bene ai bambini, così era stato detto a Sebastian Moran. 

“Passa un po’ di tempo con Jamie in giardino, così non rischia di fare troppo rumore nella stanza dei giochi e svegliare Charlotte dal pisolino pomeridiano,” aveva detto Louis. E per paura che quella bestiola demoniaca decidesse di arrampicarsi sugli alberi, entrare nella serra per distruggere il roseto di Fred o fare qualsiasi altra attività che potesse mettere a rischio il suo osso del collo, Moran aveva afferrato la scatola del soldatini, certo di poter usare la sua esperienza nell’esercito per mettere insieme un gioco interessante. Per rendere più divertente la cosa, aveva raccolto sassi e rametti per creare un vero e proprio campo di battaglia in miniatura. Dopo aver messo insieme tutti gli elementi necessari, aveva proposto al piccolo compagno di giochi una storia di guerra - una versione edulcorata di una delle sue esperienze in India - ed era finito per appassionarsi a quel facciamo finta più lui, che il bambino per cui lo aveva messo insieme.

Ma Jamie - all’anagrafe James Sherlock Holmes - aveva preso i suoi sforzi e, senza troppe cerimonie, li aveva buttati via.

Moran inarcò entrambe le sopracciglia, ammutolito dal cipiglio da superiore che quel moccioso di quattro anni gli rivolgeva senza alcuna vergogna. “Piccolo, bast-“

“Moran!” 

La voce di Louis mise il Colonnello subito sull’attenti. “Ci tieni a farmi prendere un infarto?” Tuonò. Se non poteva prendersela con la prole maledetta nata dal fatale incrocio di un Moriarty con un Holmes, tanto valeva sfogarsi con l’unico adulto della famiglia in circolazione.

Louis non rispose, si accomodò al tavolino in ferro battuto sotto il gazebo del giardino, a pochi passi dal campo di battaglia giocattolo. “E tu, Jamie,” aggiunse, con espressione per nulla ammorbidita. “Dovresti portare rispetto per le persone anziane.”

Moran strabuzzò gli occhi. “Anziano a chi?” Indicò il bambino che aveva di fronte. “Lo hai sentito come parla? Puzza ancora di latte e sembra abbia quarant’anni!”

“Tu hai quarant’anni e metti insieme strategie di guerra come un bambino di quattro,” replicò Jamie, alzandosi in piedi per avvicinarsi allo zio.

Suo malgrado, Louis rise. “Jamie…” Provò a rimproverarlo, ma il bambino aveva già capito di averla avuta vinta.

“È vero!” Il piccolo Holmes si accomodò su un’altra sedia, incrociando le braccia contro il petto. La stupidità del Colonnello lo aveva profondamente offeso.

Moran si alzò dall’erba, borbottando qualcosa di volgare su cui Louis preferì non indagare. 

“Dov’è la mocciosa?” Domandò il Colonnello, raggiungendo gli altri due sotto il gazebo. “Pensavo fossi con lei.”

Louis non lo guardò nemmeno gli occhi. Dopo quello che era accaduto, lo faceva spesso. “Si è addormentata e ho continuato a fare quello che dovevo,” rispose, “ma è una bella giornata e ho pensato di far servire il tè qui fuori.”

Gli occhi verdi di Jamie s’illuminarono di nuova luce. “C’è anche la torta?”

Louis allungò la mano per liberargli il viso dalla frangia corvina. “Se non ricordo male, quando ha saputo che tu e Charlotte sareste stati da noi per un po’, il Maestro Jack ha detto che avrebbe preparato qualcosa per festeggiare.”

Jamie si sfregò le mani con aspettativa.

Moran più lo guardava, più aveva voglia di prenderlo a schiaffi. Forse perché aveva la faccia da Holmes e, in particolare, tutte le espressioni e tutti gli atteggiamenti di Sherlock. Ciò nonostante, Louis lo adorava e il moccioso sapeva come approfittarne.

“Notizie dagli appestati?” Domandò Moran, estraendo il pacchetto di sigarette e l’accendino dalla tasca dei pantaloni. 

Louis si decise a rivolgergli un’occhiata, ma non c’era nulla di gentile nella sua espressione. “Dopo che Charlotte si è addormentata, ho mandato Fred a fare un giro di controllo,” disse. “È rientrato poco fa. Sembra che il piccolo Watson si stia riprendendo bene ed era quello che ci preoccupava di più. La signorina Hudson non sembra avere sintomi. John e William non hanno più la febbre e questo vuol dire che il peggio è passato.”

“Meglio così,” disse Moran, solo dopo si accorse che mancava qualcuno. “E Holmes?”

Jamie incrociò le braccia sul tavolino. “Papà?”

“No, non tuo padre, piccolo demonio,” chiarì il Colonnello. “Mi riferivo all’altro.”

Louis scrollò le spalle. “Immagino sia vivo.”

Ovvio, che altra risposta ci si poteva aspettare da Louis James Moriarty?

Jamie aggrottò la piccola fronte. “Perché lo zio Sherlock non dovrebbe essere vivo?”

Dall’espressione che comparve sul viso di Louis, Moran dedusse che si era reso conto di aver commesso un errore. Il rapporto tra il più giovane dei fratelli Moriarty e il più famoso Detective della Gran Bretagna era altalenante, ma a senso unico.

Moran era certo che Sherlock non provasse altro che rispetto per il cognato - forse un po’ di timore - Louis passava dall’ucciderlo con lo sguardo a essergli grato per la felicità di William. Nulla di tutto questo poteva cambiare il fatto che facevano entrambi parte della stessa famiglia e che i bambini avevano il diritto di crescere in un ambiente amorevole, con meno tensioni possibili.

“Lo zio Sherlock sta bene, Jamie,” disse Louis, accennando un sorriso. “Ha solo preso un brutto raffreddore e ci vorrà ancora qualche giorno, prima che ritorni in forze.”

Tre giorni prima, alla sede dell’Universal era arrivato un telegramma da parte della signorina Hudson: un’epidemia d’influenza al 221B aveva reso necesserio il trasferimento dei bambini in un’altra casa. Il primo a cadere era stato il Dottor Watson, forse a causa di un pazienza. Insieme a lui, era stato contagiato il figlioletto avuto dalla defunta moglie. Sherlock era seguito e, poco dopo, era toccato a William. Il destino aveva voluto che i fratelli Holmes si fossero visti la sera prima che al minore salisse la febbre ed era stata una condanna certa sia per Mycroft che per Albert.

“Sono rimasta io a tenere il forte,” aveva detto la signorina Hudson, quando aveva consegnato al Colonnello e a Louis sia Jamie che Charlotte. “Ma credo sia solo questione di tempo e sarebbe impossibile per me tenerli al piano di sotto, mentre Sherlock e William sono di sopra.”

Louis si era lanciato subito in prima linea per aiutare e gli altri residenti dell’Universal avevano fatto lo stesso.

“E i proprietari di questo?” Domandò Moran, indicando il bambino seduto dalla parte opposta del tavolo. 

Jamie gli fece la linguaccia.

“Mycroft sta meglio,” rispose Louis. “Albert ha ancora la febbre.” 

Moran sbuffò. “Sempre il solito Albert!” Esclamò. “Se può renderti le cose difficili, s’impegna di proposito!”

“Se ha bisogno di più tempo per guarire, saremo qui a concederglielo. Non ammetto lamentele,” disse Louis, fermo. Le parole riguardo al fratello maggiore gli fecero guadagnare un’altra occhiata preoccupata da parte del nipotino. “Non è nulla di grave, Jamie, hai la mia parola,” aggiunse, rassicurante.

“Sì, Jamie,” gli fece eco Moran, un po’ sarcastico. “Prendila come una vacanza con lo zio Louis e gli altri zii dell’MI6.”

Jamie s’imbronciò. “Sto più qui che a casa di mio padre. Dove sarebbe la vacanza?”

Moran fu a tanto così dal tirargli il tavolino addosso, ma il giovane Moriarty sorrise. Niente da fare, il Colonnello avrebbe potuto sbattere in faccia al proprio superiore che stava guardando con fare adorante una piccola copia di Sherlock Holmes con gli occhi verdi, ma Louis avrebbe continuato ad amarlo come se fosse suo.

Considerando che Jamie era nato nell’oscurità della Torre di Londra - o forse proprio per questo - quell’amore era il minimo che potessero dargli per rimediare agli errori passati. Moran non aveva nulla da dire a riguardo. Era solo un altro capitolo della loro storia in cui non c’era stato. Un’altra ragione per alimentare un senso di colpa che non sarebbe mai andato via.

“Zio Louis, posso farti una domanda?” Jamie drizzò la schiena, come se il sedersi composto potesse aumentare le sue probabilmente di avere la risposta desiderata.

“Dimmi pure,” gli concesse Louis, mentre Moran estraeva una sigaretta dal pacchetto con le labbra.

“Che cosa sono le Anime Gemelle?”

Moran rimase bloccato con l’accendino aperto, sospeso a mezz’aria. Non provò nemmeno ad azionare la fiamma. I suoi occhi cercarono quelli di Louis e vi videro riflesso lo stesso turbamento che aveva pietrificato lui. Nessuno dei due era pronto a un discorso simile. O meglio, entrambi non si erano mai posti il problema di doverlo essere.

Louis fu bravo a mascherare il senso di panico con un’espressione gentile. “Me lo chiedi come se già sapessi qualcosa, Jamie.”

Moran sorrise sotto i baffi, la sigaretta stretta tra le labbra. Ottima mossa, Louis, pensò. Fai parlare il moccioso e limitiamoci a colmare qualche vuoto. Che ci pensino i genitori a fare i discorsi importanti!

“Papà mi ha detto che lui e mamma lo sono,” rispose Jamie. “Che è per questo che sono nato io ed è la stessa ragione per cui zio Sherlock e zio Liam hanno avuto Charlotte.”

“Mi sembra che tu sappia già tutto, Jamie,” disse Louis, cercando una via di fuga indolore da quella conversazione.

“Sì, ma che vuol dire Anime Gemelle?” Insistette il piccolo Holmes. “Come faccio a capire se io ne ho una? È una cosa importante da scoprire!”

“Quattro anni…” Mormorò Moran, prendendo la sigaretta tra le dita per buttare fuori una nuvola di fumo.

“Facciamo una prova.” Louis decise di stare al gioco in un modo in cui sapeva di poterlo controllare. “Ti è mai capitato di non vedere un colore che tutti gli altri sembrano notare?” Conosceva già la risposta. Era una discussione che avevano avuto in famiglia di recente, quando si erano chiesti se la condizione di Anime Gemelle potesse essere tramandata geneticamente.

Sherlock e Mycroft erano fratelli ma i loro sintomi si erano presentati in modo tanto differente che quest’ultimo non aveva sospettato di nulla nemmeno dopo aver conosciuto Albert. Quello di William e Louis era stato un caso analogo.

Incosciamente, il più giovane dei fratelli Moriarty strinse le dita della mano destra intorno al polso sinistro, aspettando che il nipote rispondesse alla domanda. Moran, che conosceva il significato di quel gesto, lo notò ma decise di rimanere in silenzio.

“Sì, vedo tutti i colori!” Confermò Jamie, con un gran sorriso.

“Allora è probabile che t’innamorerai senza nessuna influenza da parte del destino,” disse Louis.

Moran storse la bocca in una smorfia: era un’interpretazione delle Anime Gemelle piuttosto discutibile. Prima di tutto, ogni storia tra due persone - non per forza romantica - non poteva non essere influenzata dal destino. William non si era di certo imbarcato sulla Noathic sapendo che avrebbe incontrato Sherlock, e capire che il Detective era la sua Anima Gemella non lo aveva dissuaso dal salire sul Tower Bridge. Moran doveva ammettere con profonda amarezza che se quella notte non era finita in tragedia, era solo grazie a Sherlock. Di una scelta di Sherlock.

Il caso di Albert e Mycroft era ancora più indicativo per affossare la tesi di Louis. Se non avessero concepito Jamie, non si sarebbero mai accorti di come il destino li aveva legati l’uno all’altro. Se si erano voluti, era stato per una loro decisione.

Poteva esserci qualcosa di miracoloso nelle nascite di Jamie e Charlotte, ma Moran non vedeva nulla di così metafisico nel modo in cui i loro genitori erano finiti insieme.

Una cosa andava detta a riguardo: guarire di colpo dal daltonismo era una cosa difficile da ignorare, mentre avere addosso un segno che riguardava un’altra persona - tipo una sorvolabile voglia - era più difficile da notare.

In tal senso, Louis non era stato molto fortunato. Forse era per questo che guardava con tanta avversione alla storia delle Anime Gemelle. Le esperienze di William e soprattutto di Albert erano state la sua lezione, non c’era stata alcuna sorpresa per lui. Per questo si sforzava di sorridere a Jamie, mentre si torceva il polso nervosamente. Louis sapeva a chi era destinato, ma non c’era stato nessun amore a impedirgli di vedere quel marchio sulla propria pelle come una maledizione.

Mentre si perdeva in quei pensieri malinconici, gli occhi di Moran caddero sul faccino del piccolo Jamie, su cui era comparsa un’esilarante espressione disgustata. “Bleah!” Esclamò, con la grazia che solo la copia carbone di Sherlock Holmes poteva mostrare. “Perché mai dovrei innamorarmi?”

Moran buttò fuori fumo dal naso. “È un’obiezione con cui concordo.”

Il vero colpo di scena fu che anche Louis gli diede ragione. “Esatto,” disse, passando una mano tra i capelli ricciuti del bambino. “L’amore non esiste solo per fare bambini, sai?”

“Magari fosse un elemento necessario alla riproduzione,” s’intromise Moran. “Si eviterebbero tante tragedie quotidiane, ma poi l’umanità finirebbe dimezzata nel giro di un paio di generazioni.”

“L’amore tra fratelli non è un sentimento meno forte di quello che lega due genitori,” proseguì Louis, ignorandolo. “Quello che voglio che tu capisca, Jamie, è che proverai infinite forme d’amore nella tua vita e quella romantica non sarà per forza quella più importante.”

Moran alzò gli occhi al cielo: come se non fosse già abbastanza chiaro a lui e al mondo intero che William sarebbe sempre venuto al primo posto per Louis.

“Scusate il disturbo.”

O no, forse no.

“Si è svegliata piangendo e ho pensato di portarvela.” Fred comparve nel campo visivo di Moran un istante più tardi. Tra le sue braccia, Charlotte se ne stava buona ma con gli occhi blu pieni di lacrime. 

Louis decise di smetterla di torturarsi il polso e si alzò in piedi. “Dalla pure a me, Fred.” Era tornato a sorridere con sincerità e non appena ebbe la bambina tra le braccia, il giovane viso s’illuminò di una luce completamente nuova. “Grazie, puoi dire agli altri di raggiungerci e al Maestro di portare il tè?" 

“E la torta!” Esclamò Jamie.

“Sarà fatto,” disse Fred, con quella sua solita espressione neutra. Lanciò un’occhiata a Moran, come a dirgli che non sarebbe morto se avesse dato una mano. Il Colonnello sollevò la sigaretta, eleggendola a suo impegno improrogabile. 

Nel mentre, Jamie non sembrava particolarmente contento dell’entrata in scena della cugina. “Si è svegliata la piagnucolona,” disse, ma poi si mise in piedi sulla sedia per arrivare a toccarle le guance.

“Con delicatezza, Jamie,” gli ricordò Louis, ma con gentilezza. “È solo piccola, per questo piange spesso. È il suo modo di comunicare. Non sa ancora parlare come noi.”

“Piangevi tanto anche tu, moccioso,” intervenne Moran. Al tempo del suo ritorno a casa, Jamie aveva appena imparato a camminare e a disseminare distruzione ovunque andava. Era stato un periodo di aggiustamenti per tutti, tra il ritorno di William e Sherlock, la liberazione di Albert e l’entrata in scena di Billy. 

Jamie aveva avuto su tutti il tipico effetto da panico del primo figlio, con Charlotte era stato diverso. Una volta nata - e non era stata una passeggiata per nessuno - si erano dimostrati tutti più preparati.

“Anche a te mancano zio Liam e zio Sherlock, Charley?” Domandò Jamie, affondando il piccolo indice nella guancia morbida della cuginetta.

Per tutta risposta, Charlotte si girò dall’altra parte, nascondendo il viso contro la spalla di Louis.

Jamie sbuffò, tornando seduto composto. “Visto? È antipatica!”

“È ancora mezza addormentata,” disse Louis, paziente. “Dalle tempo.”

Moran storse la bocca in una smorfia. “Sì, Jamie, dalle tempo che impari a camminare e parlare. Se continua di questo passo, tu e lei diventerete due tiranni e noi povere pedine nelle vostre mani.”

Louis sospirò. “Mora-“

“Tu sei il primo!” Esclamò il Colonnello. “Vorrei che ti vedessi mentre hai lui vicino,” indicò Jamie. “E lei in braccio,” fece lo stesso con Charlotte. “Questi bambini ti danno alla testa!”

Louis allontanò Charlotte da sé per poterla guardare. “Il Colonnello Moran è contrariato dal fatto che non può più essere il viziato della casa, vedete?” 

Jamie se la rise.

Moran li fissò esterrefatto. “Viziato?” Domandò. “Io? Non ricordo di aver mai mancato ai miei dove-“

“Moran…”

“E non guardarmi così!” Sbottò il Colonnello. “Sorvoliamo la faccenda del finto maggiordomo. Sono un soldato, non una domestica!” 

“Zio Sherlock dice sempre che ci dobbiamo dare una mano con le faccende,” intervenne Jamie. “Ogni volta che lo fa, John e la signorina Hudson lo guardano in modo strano. Non so perché.”

“Perché lui è un altro a essere caduto sotto il sortilegio di un Moriarty!” Esclamò Moran.

“Oh, ricordo i giorni in cui eri sempre pronto a mettere in discussione i piani di William,” disse Louis, sarcastico.

“Quella è storia vecchia, Louis!”

“Davvero?” Il giovane Moriarty si alzò in piedi e gli mise tra le braccia la piccola Charlotte. “Accomodati,” aggiunse, sedendosi di nuovo. “Prova a guardarla in faccia e dire di no.”

In un primo momento, Moran sorresse la piccola sotto le braccia, come se fosse una bomba sul punto di esplodere. Sospesa a mezz’aria, Charlotte prese ad agitare i piedini, come a smuoverlo ad avere una qualunque reazione. Non era la prima volta che veniva affidata al Colonnello, ma ogni occasione era più sconvolgente della precedente. Non era così semplice per Moran - forse nemmeno per Louis - vedere gli occhi di Sherlock sul viso di William. 

Se Jamie era un Holmes in tutto e per tutto, esclusi gli occhi verdi, Charlotte era il perfetto opposto. Non restava che aspettare e vedere se avrebbe avuto la personalità caotica di Sherlock o quella più quieta, ma non meno tenace, di William.

Poco male, in entrambi i casi, l’avrebbe avuta vinta su tutti loro col solo uso delle parole. Jamie stava imboccando la stessa strada.

Di colpo, senza motivo, Charlotte gli sorrise e Moran seppe che nulla avrebbe potuto salvarlo dal sortilegio dei Moriarty, non finché avrebbe avuto vita. Lasciò andare un sospiro frustrato, simile a uno sbuffo e Louis seppe di averla avuta vinta.

“Molto bene,” commentò, soddisfatto, riprendendosi la nipote. “Questa volta però cerchiamo di fare gioco di squadra: se Charlotte decidesse di agire in modo stupido e d’informarci in anticipo, invece di assecondarla, diciamole no.”

Il riferimento al Tower Bridge era molto evidente.

Moran assottigliò gli occhi. “Ti sei mai chiesto perché nessuno ha detto nulla, quando hai preso il comando di tutto?”

Per rispetto ai propri fratelli, Louis evitò di rispondere.

“Ancora nessuno mi ha spiegato bene che cosa sono queste Anime Gemelle, però!” Esclamò Jamie. 

Moran lasciò cadere la sigaretta a terra e la schiacciò sotto il tacco della scarpa. Louis commentò il gesto con una smorfia tra l’esasperato e il disgustato, poi cercò di mettere insieme una risposta che potesse soddisfare il nipote.

“È il miracolo che ha permesso a te e Charlotte di venire alla luce,” disse Moran, prendendo il giovane Moriarty completamente di sorpresa. “Se i vostri genitori non fossero stati l’Anima Gemella l’uno dell’altro, voi non sareste qui ora. E penso di parlare a nome di tutti dicendo che il mondo è un posto un po’ più bello ora.”

Di sicuro, quei due bambini erano una ragione per migliorarlo ancora.

Louis non ebbe nulla d’aggiungere e quando si rese conto che era comparso un sorriso sulle proprie labbra, fu svelto a nasconderlo tra i capelli biondi di Charlotte. Con la coda dell’occhio, vide Jamie annuire con soddisfazione.

Missione compiuta.

“Quarant’anni e ha finalmente imparato a fare un discorso di senso compiuto.” Jack arrivò sulla scena ridacchiando, seguito da tutti gli altri. “Mi hanno detto che il signorino aspettava con ansia questa.” Fece scivolare sul tavolo il vassoio con sopra una torta tanto perfetta che sembrava essere il lavoro di un pasticcere professionista.

Jamie saltò sul proprio posto con entusiasmo. “È bellissima!”

“Stai seduto composto e potrai averne più di una fetta,” disse Louis, afferrando il braccio del bambino perché non cadesse.

”Oh, si è svegliata la principessa!” Bond fece il giro del tavolo per avvicinarsi a Louis, spingendo la sedia di Moran verso il tavolo nel processo. 

“Ehi, Bond, evita d’investire le persone con la tua esuberanza!” Esclamò il Colonnello, mentre Fred e Moneypenny si accomodavano rispettivamente alla sua destra e alla sua sinistra.

Il collega lo ignorò deliberatamente. “Ma te l’hanno mai detto che sei una vera bellezza?” Si chinò per guardare Charlotte da vicino, come se non l’avesse mai vista. “Louis, ti prego, fammela tenera!” Aggiunse, quasi squittendo. “Non posso resistere a quelle guance!”

Il giovane Moriarty guardò la nipote e si accorse che fissava l’agente con un certo interesse. “Ti va di andare, Charlotte?” La bambina non si sporse verso Bond, ma quando questi la sollevò, non fece alcuna obiezione. Tradì solo un po’ d’insicurezza continuando a cercare gli occhi di Louis.

“È proprio bella!” Esclamò Bond, innamorato, prendendo tra le dita una delle manine.

“Merito di William,” disse Moran, versando il tè per sé e per i suoi compari. “E di Louis,” aggiunse. “Potrebbe spacciarla per figlia sua, nessuno noterebbe la differenza.” Quel complimento tra le righe venne completamente ignorato dal giovane Moriarty e il Colonnello portò la propria attenzione altrove. “Vecchio, siediti. Evita di morire davanti ai bambini.”

“Ha ragione, Maestro,” concordò Louis. “Accomodatevi con noi.”

Jack occupò l’unica sedia rimasta libera. “Se mi fate questo onore…”

Bond, nel frattempo, stava studiando il faccino di Charlotte, valutando con attenzione la somiglianza con i genitori. “Dai, Moran, ammettilo, in questa meraviglia c’è anche qualcosa di Sherlock.”

C’erano molto più di qualcosa, ma il Colonnello aveva delle preferenze che non poteva ritrattare e così anche il collega. “Bond, questa è la tua antica cotta per Holmes a parlare,” disse, allo scopo di metterlo in imbarazzo.

Non ci riuscì.

“Beh… La mia almeno è antica. A te, quella per William è mai passata?” Domandò Bond, con un sorrisetto criminale.

Il Colonnello per poco non si strozzò con il tè. 

Moneypenny rise sotto i baffi, con molta discrezione. Fred diede qualche pacca sulla schiena del vecchio compagno di avventure, tanto per assicurarsi che non soffocasse davvero.

Jack decise di metterci il carico e peggiorare la situazione. “Era Will?” Domandò, fingendosi perplesso. “Credevo che, in tempi non sospetti, Moran la cotta ce l’avesse per Albert.”

Tutti e due,” sottolineò Louis, senza disturbarsi a nascondere la nota velenosa nella sua voce. “Il Colonnello non ha mai saputo cosa fosse il contegno.”

Moran arrossì fino alla punta delle orecchie. “Louis, non dare impressioni sbagliate!”

Il giovane Moriarty continuò a sorseggiare il proprio tè con compostezza.

“Avevi una cotta per mamma e zio Liam?” Domandò Jamie, con la bocca piena di torta.

Moran guardò il proprio superiore di traverso. “Bravo, voglio vedere come la risolvi!”

“Jamie, avvicina la sedia al tavolo e pulisciti la panna dal viso, prima che finisca dappertutto," disse Louis.

“Non mi riferivo a questo!” Sbottò Moran.

Forse disturbata da tutta quella confusione, Charlotte prese a lamentarsi. 

“No, principessa,” la rassicurò Bond, con un sorriso gentile. “Vai dallo zio, va tutto bene.”

Louis posò la propria tazza di té nel piattino e fece per sollevare le braccia. Moran si alzò e lo precedette. “Dalla a me, Bond,” disse e quando la prese tra le braccia, tutta l’insicurezza di qualche minuto prima sembrò non essere mai esistita.

Louis non comprese il motivo del gesto. “Posso pensarci io,” obiettò, nonostante Charlotte si fosse calmata da sola con il Colonnello.

Moran lanciò al giovane Moriarty un’occhiata eloquente. “Da quando i bambini sono qui, non ti sei mai preso una pausa. O ci sono loro o c’è il lavoro. Assicurati che il piccolo demonio non si soffochi con la torta e goditi una tazza di tè in compagnia,” disse. “La mocciosa non è particolarmente amante delle scene affollate, come te.”

Louis lo guardò prendere le distanze dal gazebo. Contro ogni sua aspettativa, Charlotte non fece nulla per richiedere la sua presenza. Stare in braccio a un uomo di quasi due metri doveva essere molto divertente per lei.

“Stai sereno, Louis,” disse Bond, sedendosi sulla sedia lasciata libera dal Colonnello. “Moran ha ragione. Stai facendo il genitore per due mentre mandi avanti l’MI6 da solo, facendo anche le veci del Direttore.”

“È solo una cosa temporanea,” disse Louis, controllando che Jamie non si stesse davvero soffocando con un boccone di torta troppo grande.

“Ma non tutti saprebbero gestirla, se mi posso permettere,” intervenne Moneypenny. “Noi siamo qui, a vostra disposizione, ma voi e Moran state facendo gran parte del lavoro. Il vostro è un ottimo gioco di squadra.”

Io e il Colonnello non siamo una squadra. Louis aveva l’obiezione in punta di lingua, ma non gli diede voce. Mettere l’accento su stesso e Moran non avrebbe fatto altro che dare l’impressione sbagliata. “Tutti noi siamo una squadra,” disse, invece. “Forse io e Moran siamo gli unici in prima linea con i bambini, ma se non foste efficienti in tutto il resto, non funzionerebbe. Vi devo ringraziare.”

“Non serve, Louis,” intervenne Fred, con la sua solita voce pacata. “Come ha detto Moran, il mondo di tutti noi è un po’ più bello adesso e lo dobbiamo a voi fratelli Moriarty e agli Holmes.”

Louis li guardò tutti, uno per uno. Nessuno era lì per dovere. Quello che li univa poteva non avere un nome, ma era un legame più forte del sangue - anche di quello versato. 

“No, mocciosa, non si mangia!”

Louis si voltò: Moran era entrato nella serra in cui avevano cercato di riprodurre il famoso roseto dei Moriarty e Charlotte teneva tra le manine una foglia strappata da una delle piante. Il Colonnello stava cercando di sottrargliela, ma la bambina opponeva resistenza, volendo a tutti i costi assaggiarla.

“Chi lo avrebbe mai detto che Moran sarebbe stato bravo con i bambini,” disse Jack.

“Già…” Gli diede ragione Bond. “Inoltre, è così premuroso con te, Louis. Non lo ricordo così attento nemmeno con Will.”

Louis strinse le dita intorno al polso sinistro e rimase in silenzio.

“Mah…” Commentò Jamie, impegnato a consumare la sua seconda fetta di torta. “I discorsi degli adulti sono così noiosi.”





 

C’era una cosa su cui i bambini non accettavano compromessi. Doveva essere Louis a metterli a letto e dar loro la buona notte. Per tanto, una volta finito di cenare, il giovane Moriarty salutò tutti e si ritirò al piano di sopra, con Charlotte tra le braccia e la mano di Jamie nella propria. 

A Moran non sarebbe dispiaciuto passare il dopocena con Moneypenny e Fred, ma quest’ultimo non era tipo da fare tardi e lei - sebbene fosse più accondiscendente di Louis - evitava sempre di farlo esagerare. Peccato che dopo aver passato una giornata a farsi bacchettare da un bambino di quattro anni, il Colonnello avesse bisogno proprio di quello: una bella sbronza e una donna abbastanza disinibita da passare la notte con lui, come ai vecchi tempi. Il pensiero gli provocò un entusiasmo di breve durata. Appena il tempo di raccogliere tutti i piatti sporchi dal tavolo e il Colonnello realizzò che, una volta finito di fare ciò che doveva, sarebbe stato troppo stanco anche solo per varcare la porta di casa.

Paterson era un buon compagno di bevute domestiche, ma non lo vedeva in giro da qualche giorno. Restava Bond. Moran lo escluse a priori: i bambini gli facevano rivangare discorsi vecchi di anni, come quello delle loro relazioni passate - sia quelle consumate che non - e il Colonnello non aveva voglia di sentire per l’ennesima volta la storia di come Sherlock Holmes aveva conquistato il cuore di Irene Adler senza nemmeno provarci.

Ah, gli amori perduti. Moran aveva perso il conto degli amanti che aveva avuto nel corso dei suoi quarant’anni, ma le persone che avevano lasciato il segno le ricordava tutte. Beh, sono davvero poche, si disse, mentre usciva dalla sala da pranzo con i piatti sporchi tra le mani. A stringere, William era il solo per cui aveva sentito il cuore andare in mille pezzi, quello che gli aveva insegnato quanto l’amore potesse dannatamente fare male. Eppure, non lo aveva mai avuto.

Albert era stato un’esperienza più completa, decisamente più realistica. Non avevano avuto un futuro fin dall’inizio, ma si erano vissuti completamente dal primo all’ultimo minuto. 

Poi c’era stato James Bond. Di tutte le avventure del Colonnello, quella era stata l’unica in grado di metterlo in soggezione. Per la prima volta, Moran non si era ritrovato a guidare il gioco e, in principio, questo lo aveva fatto sentire smarrito come un ragazzino alle prime armi. La loro non era mai stata una storia, solo un’amicizia con benefici e si erano divertiti parecchio, senza dover pagare il prezzo di quell’intimità rubata tra una missione e l’altra.

Moran non sapeva se comprendere anche Moneypenny in quella lista. Il suo cuore gli suggeriva di farlo, ma la sua mente gli diceva che non era affatto giusto. Tra loro c’erano sguardi, sorrisi e una bella intesa di squadra. Se avesse detto che gli era indifferente, Moran avrebbe mentito. Ma qualunque cosa lo attirasse verso di lei non era abbastanza da spingerlo a prendere una decisione definitiva. 

Ultimo ma non ultimo, c’era il proprietario del nome che Sebastian Moran portava inciso sulla pelle.

“Oh…” Quando lo vide varcare la porta della cucina, Jack gli rivolse un sorrisetto sarcastico. “I bambini ti spingono a prenderti delle responsabilità.”

Moran alzò gli occhi al cielo. “Smettila, sono solo dei piatti sporchi da lavare,” disse, deponendo le stoviglie nel lavandino. 

“Lascia, ragazzino,” disse Jack, affiancandolo. “Quel bambino di quattro anni ti ha sfiancato.”

Moran non se ne andò, si arrotolò le maniche della camicia fino ai gomiti e si spostò di lato per recuperare uno strofinaccio. “Ti ho già detto che non è il caso di farti morire di fatica, non mentre i bambini sono qui.”

Jack prese a lavare i piatti. “Dovrà succedere, prima o poi, ragazzo.”

Il Colonnello si bloccò e lanciò al vecchio Maestro un’occhiata smarrito. “Che diavolo stai dicendo?”

“Solo la pura verità, Moran,” rispose Jack, continuando a fare quello che stava facendo. “Ormai sono più utile all’MI6 come domestico che come soldato. Mi piace prendermi gioco di voi giovani ma, in realtà, vi invidio un pochino.” Passò un piatto al più giovane e questi prese ad asciugarlo.

“Beh, sono alla soglia dei quarant’anni,” disse Moran, per smorzare un po’ l’atmosfera. “Non sono più così giovane a mia volta.”

Jack ridacchiò. “Sei un ragazzino. Speravo che fossi il primo a divenire un adulto, per il bene di Will, di Albert e di Louis, invece sei ancora fermo al punto di partenza.”

Moran assottigliò gli occhi. “Non ho capito se vuoi impartirmi una lezione delle tue o insultarmi gratuitamente.”

Le successive parole di Jack non fecero nulla per chiarire il motivo di quella conversazione. “Sei bravo con quei bambini,” disse. “Tanto bravo che sono persuaso a credere che ci sia ancora speranza per te.”

Moran alzò gli occhi al cielo. “Vecchio, parla chiaro. È stata una giornata già abbastanza stressante così.”

Jack si fece improvvisamente serio. “Tu sai che arriverà il giorno in cui quei bambini dovranno imparare a combattere, vero?”

“Se facciamo bene il nostro lavoro, non-“

“Il mondo non può essere sanato una volta per tutte,” lo interruppe Jack. “Si può migliorare, certo, ma finché sorgerà il sole ci saranno sempre delle ombre. Jamie e Charlotte dovranno imparare ad affrontarle.”

Moran scosse la testa. “I mocciosi saranno liberi di essere quello che vogliono. Non saranno condannati a fare la nostra stessa vita.”

“Sì, sono certo che i loro genitori s’impegneranno per dare a entrambi quanta più libertà di scelta possibile, ma credi davvero che sarà sufficiente?”

“Mi stai dicendo che devo dubitare di William e Albert?”

“Ti sto dicendo che la loro non sarà un’eredità semplice,” rispose Jack. “Se la piccola Charlotte dimostrerà di avere lo stesso talento dei suoi genitori, pensi che un ruolo da dama di società l’accontenterà? Non credo.”

Moran pensò al bambino che era stato William, quello che era cresciuto per divenire il Signore del Crimine. Scosse la testa. “La storia di Charlotte e Jamie sarà diversa.”

“Sono entrambi sia Holmes che Moriarty,” ribatté Jack. “La loro infanzia sarà migliore di quella dei loro genitori, senza dubbio. Il loro destino però non può essere semplice.”

Moran sbuffò. “Te lo chiedo un’ultima volta vecchio: dove vuoi arrivare con questo discorso?”

“Ho quasi settant’anni, Sebastian, la mia vita sta giungendo al termine.” Nonostante il discorso sull’invidia di poche battute prima, Jack sembrava accettare con serenità quella realtà. “Quando l’inevitabile accadrà, molte cose rimarranno in sospeso. Ho bisogno di una persona fidata che continui il lavoro al posto mio.”

Moran esitò, poi depose il piatto tra le sue mani e si puntò l’indice contro il petto. “Parli di me?”

Jack rispose con un sorriso enigmatico. “Insegna a quei bambini quello che serve sapere, proprio come io ho fatto con te e coi fratelli Moriarty.” Una pausa. “Chi lo sa? Magari quando quel giorno arriverà, ci sarà anche tuo figlio insieme a loro.”

“Non dire assurdità, vecchio…” Moran asciugò l’ultimo piatto, poi si aggiustò le maniche della camicia lungo le braccia. “Non è destino.”

“Non era destino che il piccolo Will arrivasse al suo venticinquesimo compleanno, ora ha quasi trent’anni.”

“Quella è stata una scelta, non ha nulla a che fare col destino.”

“Esatto, scelte,” Jack sottolineò l’ultima parola con particolare enfasi. “Il destino è una forza incontrollabile, Sebastian. Magnanimo, a volte. Crudele, altre. Ma nei pochi momenti in cui ci è concesso, le scelte che facciamo possono fare un'enorme differenza. Qui tutti hanno imboccato una strada. Tu devi ancora decidere qualcosa per te stesso e hai già quarant’anni, ragazzo.”

Moran aggrottò la fronte. “Un istante fa, hai detto che non erano così tanti.” Gettò lo strofinaccio vicino al lavandino e si voltò. Per quella giornata, aveva già dato abbastanza.

“E dove sei diretto?” Domandò Jack, curioso.

“Al porto,” rispose Moran, senza voltarsi. “Passerò la notte nei peggiori pub di Londra, con la compagnia più compromettente che questa città può offrire e mi dimenticherò di tutte queste stronzate filosofiche sul destino e le scelte di vita!”





 

Il marchio di cui Louis era portatore partiva dall’interno del polso e si estendeva fino a metà dell’avambraccio. Più che una voglia, sembrava una cicatrice. Anzi, per un po’ di tempo, era stato convinto che lo fosse, magari conseguenza di un incidente dell’infanzia di cui non conservava alcuna memoria. 

Louis era un figlio dell’East End, aveva passato i primi dieci anni della propria vita con le braccia e le gambe perennemente ricoperte di ematomi scuri. Bastava un niente per lasciargli un segno e alcune ferite gli erano rimaste addosso sotto forma di linee bianche, in rilievo. Quella sul polso era l’unica rossa, come se fosse stata impressa a fuoco.

Louis la tracciò distrattamente con la punta dell’indice: era una M dagli angoli tondeggianti, come se si fosse fusa con una S

Perché doveva essere così difficile? Perché il mondo non aveva permesso agli uomini di scienza e di filosofia di studiare quel fenomeno in modo abbastanza approfondito da stilare delle linee guida? Tutte le leggende erano d’accordo nel dire che si trattava di un fenomeno raro. Tre casi di Anime Gemelle nella stessa famiglia andava un po’ oltre il concetto di rarità. Inoltre, nelle storie popolari si parlava solo di un’incapacità a percepire determinati colori, miracolosamente corretta dall’incontro con la propria metà. 

Dei tre fratelli Moriarty, solo il caso di WIlliam presentava simili sintomi. 

“Sei triste, zio Louis?” 

Louis allontanò lo sguardo dal marchio, per guardare i due bambini che occupavano il grande letto insieme a lui. Charlotte era accoccolata tra i grandi cuscini e Jamie era accanto a lei. Quest’ultimo intratteneva la cugina lasciandola giocare con le proprie dita. Se ne stavano tranquilli, ma nessuno dei due sembrava sul punto di cedere al sonno.

“Non preoccuparti, Jamie,” disse Louis, allungano la mano per accarezzare i capelli corvini del bambino. “Dormi, su.”

“Ma Charley non si è ancora addormentata,” obiettò il bambino. “Se non le tengo la mano fino a che non chiude gli occhi, potrebbe piangere. Te l’ho detto che è una piagnucolona.”

“Sono sinceramente curioso di sapere se andrete d’accordo, quando lei comincerà a interagire,” disse Louis. Come se avesse capito che stava parlando di lei, Charlotte alzò gli occhi blu verso di lui. 

“Tutto dipende se sarà antipatica o no,” disse Jamie, ma intanto continuava a tenerle la manina.

Se Charlotte gli avesse tenuto testa, c’erano buone probabilità che avrebbero passato la maggior parte del tempo a bisticciare. Ciò nonostante, Louis era certo che si sarebbero sempre coperti le spalle a vicenda. O forse stava solo proiettando sui nipoti un rapporto che era a metà tra quello che lui aveva con William e quello che i fratelli Holmes avevano tra loro.

“Non lasciarla mai sola,” disse Louis. “Cercate di prendervi cura l’uno dell’altro, sempre.”

Era assai improbabile che avrebbero avuto dei fratelli, ma il giovane Moriarty sapeva quanto poteva fare la differenza condividere tutta la vita con un’altra persona accanto. Sperava che Jamie e Charlotte potessero trovare quel luogo sicuro l’uno nell’altra. 

La porta si aprì senza preavviso.

Louis si tese, pronto a scattare. Quando riconobbe Moran, alzò gli occhi al cielo e lasciò andare un sospiro. “Che cosa ci fai qui?” Domandò, visibilmente annoiato.

Il Colonnello indicò i due bambini nel letto. “Loro cosa ci fanno qui?” Domandò. “Sono entrato nella nursery, non li ho trovati e mi è preso un colpo.”

L’espressione di Louis divenne derisoria. “Adesso ti preoccupi di controllare se i bambini dormono sereni?”

“Avanti, Louis!” Esclamò Moran, richiudendosi la porta alle spalle, anche se nessuno lo aveva invitato a restare. “Sappiamo entrambi che se succedesse qualcosa, i tuoi fratelli vorrebbero la mia testa e non la tua.”

“Quante arie ti dai,” commentò Louis, mentre entrambi i bambini si mettevano a sedere.

“Anche tu vuoi dormire nel letto grande, Sebastian?” Domandò Jamie.

“No, moccioso, sono qui solo per assicurarmi che tu non faccia ammattire tuo zio,” rispose il Colonnello.

“Erano entrambi molto rilassati, prima che tu entrassi,” lo informò Louis. 

“Seh, talmente rilassati che gli stavi facendo discorsi esistenziali,” ribatté Moran. “So che il moccioso suona come un quarantenne, ma evitiamo di confonderlo con un adulto. Si fanno danni irreparabili in questo modo.”

“Vuoi farmi una lezione su come si danneggiano i bambini?” Domandò Louis, con un’occhiata eloquente.

Moran si sedette sul bordo del materasso, in modo d’appoggiare la schiena alla colonna del baldacchino. Ancora una volta, nessuno lo aveva invitato a restare. “Ti credevo un bacchettone,” ammise. “Pensavo fossi più il tipo da lasciarli piangere nella nursery fino a farli crollare.”

“Sono bacchettone con un adulto da cui ci si aspetta una certa condotta, non ha alcun senso farlo con un bambino.” Louis sollevò Charlotte, che stava cercando di arrampicarsi su di lui, e la mise a sedere sulle proprie gambe.

“I miei genitori e gli zii ci fanno dormire nel letto grande, qualche volta,” raccontò Jamie. “Papà dice che però non devo prenderla come un’abitudine.”

Moran inarcò le sopracciglia. “Pensa tu, nemmeno Mycroft Holmes è un vero bacchettone!” Ne era sinceramente sorpreso. 

Charlotte si strofinò i pugnetti contro gli occhi, adagiandosi sul petto dello zio. 

“Moran, lei ha sonno,” disse Louis. “Ti sarei grato se-“

“Ma io no!” Esclamò Jamie. “Sebastian, raccontaci una storia di guerra!”

Il Colonnello storse la bocca con una smorfia. “Così che tu possa giudicare tutte le strategie a cui ho preso parte? Non ci penso proprio!”

Jamie gonfiò le guance. “Allora raccontami come hai conosciuto lo zio Louis!” 

Il Colonnello esitò. Cercò gli occhi rossi di Louis, sperando in un qualche intervento, ma l’altro si limitò a rispondere al suo sguardo. Non gli impose di stare zitto né gli diede il consenso ad andare avanti.

Moran decise di fare di testa sua. “Va bene, moccioso!” Acconsentì. “Ma mettiti sotto le coperte e stai fermo!”

Jamie ubbidì, gli occhi verdi brillanti di aspettativa.

Tanto per essere sicuro, il Colonnello lanciò un’altra occhiata al biondo. Louis però sembrava in attesa, esattamente come il nipote. 

Moran impiegò un istante a mettere in ordine le idee e, alla fine, cominciò il suo racconto. “Era un giorno di pioggia. Io ero seduto per terra, in strada, come un cane randagio. E un Moriarty mi ha salvato…”






 

La storia andò avanti per una decina di minuti, poco più, poi Louis interruppe la narrazione. “Si è addormentato,” disse, a bassa voce. “Ed è crollata anche lei,” aggiunse, posando un bacio tra i capelli biondi della bambina tra le sue braccia.

Il Colonnello appoggiò la nuca alla colonna del baldacchino, liberando gli occhi dalla frangia ribelle con uno sbuffo. “Le giornate con i mocciosi sembrano infinite, non sembra anche a te?”

“Che cosa ci fai qui, Sebastian?” Domandò Louis, diretto. Lo fece chiamandolo per nome, in modo che l’altro capisse che non aveva alcuna voglia di giocare o fare discorsi inutili.

Moran fece finta di non recepire il messaggio. “Vivo qui, con te, ricordi?”

Louis scosse la testa. “Smettila. Potresti essere di sotto a bere e parlare con gli altri. Potresti essere fuori di qui, a divertirti come piace a te.”

“Continuo a dirlo per mantenere una certa immagine ma non lo faccio da anni,” disse Moran. “E lo sai benissimo anche tu.”

“E perché?” Louis lo stava sfidando. “Ti avevo imposto un coprifuoco anni fa, ma ora sei libero di muoverti come desideri, quando i tuoi servigi non sono richiesti.”

Sebastian Moran non era il tipo da rinunciare a un confronto, ma era sinceramente stanco di quella tensione tra lui e il più giovane dei fratelli Moriarty. I due bambini addormentati rendevano la circostanza poco adatta a quella conversazione, ma forse avrebbero impedito a entrambi di alzare i toni e dire cose di cui si sarebbero pentiti. 

“Tu pensi davvero che siamo entrambi maledetti?” Domandò Moran, slacciandosi il polsino della manica destra. “Credi che il destino ci abbia incatenato, piuttosto che bendetto?” Aggiunse, sollevando il braccio e mostrando il proprio marchio. 

Le lettere non erano chiarissime, ma Louis riuscì a distinguere la L anche da dove si trovava. “Le mie iniziali sono L.J.M.,” disse. “Il tuo marchio mostra una L e un’altra lettera che non ha nulla a che fare con me.”

“Insisti ancora con questa storia?” Moran abbassò il braccio. “Louis James Moriarty non è il tuo vero nome. È una cosa di cui abbiamo già parlato.”

“Non ho mai confermato che quella seconda lettera abbia a che fare col mio cognome di nascita.”

“Perché sei uno stronzo.”

“Ah, lo stronzo sarei io?”

Louis non aveva alcuna intenzione di discutere dell’identità che aveva bruciato insieme alla casa dei Moriarty. “Quello che è successo tra noi, Sebastian, lo abbiamo voluto entrambi. Non starò qui a negarlo e so che non lo farai nemmeno tu. Le circostanze che ci hanno portato a stare insieme possono essere dipinte con mille sfumature, ma la ragione per cui credo che non siamo destinati l’uno all’altro è molto semplice: io mi sono fidato di te e tu mi hai tradito.”

Moran strinse le labbra, ma non abbassò lo sguardo. Era colpevole di tutte le accuse.

“Sì, siamo entrambi portatori della maledizione delle Anime Gemelle,” aggiunse Louis. “Ma non temere, non è a me che sei incatenato. Sei libero di fare ciò che più preferisci. L’idea che il destino ti abbia legato a qualcuno senza chiedere il tuo permesso t’infastisce? Lo capisco, non riesco ad accettarlo nemmeno io. Per quel che mi riguarda, finché ho l’amore dei miei fratelli e dei loro figli, non mi serve altro.”

Era difficile discutere contro la pura e semplice verità. Sì, Sebastian Moran aveva fatto in modo che Louis James Moriarty si fidasse di lui. Sì, lo aveva tradito. Sì, l’idea di essere legato a un’altra persona non per sua scelta lo mandava fuori di testa.

Ma Louis aveva ridotto tutto a una sequenza di bianchi e neri, ignorando completamente le sfumature di grigio. 

No, Sebastian Moran non aveva usato Louis James Moriarty, ma si era comportato da esemplare pezzo di merda. No, non gli aveva mentito, perché credeva a ogni parola che aveva convinto il più giovane ad abbassare le difese e lasciarsi andare, ma la propria condotta nei suoi confronti era stata riprovevole. No, al Colonnello non andava a genio tutta la storia delle Anime Gemelle, ma se doveva trattarsi di Louis…

“Sai cosa davvero mi fa incazzare?” Moran si costrinse a non allontanare mai lo sguardo da quegli occhi scarlatti, mentre parlava. “Mi fa incazzare che Sherlock Holmes conosca il tuo vero nome e io no.”

Louis abbassò lo sguardo sulla bambina addormentata tra le proprie braccia. “Quella fu una scelta di William, non mia.”

“E a te sta bene che una cosa tanto intima sia stata condivisa con una persona che detesti?”

“Non lo detesto.”

“Oh, certo, in confronto a me, Sherlock è l’uomo perfetto, no?”

“Vuoi davvero che ti risponda?” Louis aveva un orgoglio che voleva mantenere intatto, ma quando la sua situazione veniva paragonata a quella dei fratelli, era impossibile non provare dolore. “Vuoi davvero mettere sul piatto della bilancia la tua condotta con quella di Mycroft e Sherlock Holmes?”

Invidia. Era un sentimento che Louis si vergognava di provare nei confronti di William e Albert, ma non poteva farne a meno, non di fronte a Sebastian Moran.

“Il tuo marchio non riguarda me,” insistette il giovane Moriarty. Non poteva prendere in considerazione l’opzione contraria, o sarebbe andato in pezzi. “Ci siamo sfiorati ma non era destino, Sebastian. Può succedere. Non ci resta che guardare avanti.”

Continua a guardare avanti.

Il primo ordine di William. Al tempo, gli aveva dato speranza. Ora che Louis gli rivolgeva parole simili, suonavano terribilmente come una condanna.

“Buonanotte, Colonnello Moran.” Louis non aveva altro da dire.

Moran si alzò in piedi. Lo fece con cautela per non disturbare i bambini addormentati. Il destino gli aveva dato un’occasione e l’aveva sprecata. 

Amori perduti, eh? La voce della sua coscienza lo derise. Con Albert, non eri ancora pronto ad amare nessuno. Con William, sei sempre rimasto al suo fianco e sei riuscito comunque ad arrivare troppo tardi. Con Louis… Beh, con Louis è stato importante, vero? Ti fa male? Bene, perché te lo meriti.

Ma a Louis la parte del dolore non l’aveva mai raccontata.

“Louis,” chiamò Moran, una mano ferma sulla maniglia della porta. “Il vecchio prima ha sparato un po’ di stronzate alla anziano saggio, ma una di queste era interessante: ha detto che il destino che il destino è una forza inarrestabile, ma che i momenti in cui ci viene concessa una scelta possono fare la differenza.” 

Gli occhi scarlatti del giovane Moriarty lo fissavano, imperturbabili.

“Ti dico come la penso io, poi non parleremo più di questa faccenda,” promise Moran. “A meno che non sia tu a volerlo.”

“Ti ascolto.”

Il Colonnello si umettò le labbra. “Durante la nostra prima notte insieme, ricordo che hai tracciato le linee del mio marchio con la punta dell’indice.” Mimò il gesto in modo goffo. “Non sembravi vittima di una maledizione in quel momento.”

Louis non disse nulla a proposito.

Moran andò avanti. “Io penso che le iniziali sul mio polso siano le tue, Louis-qualunque-sia-il-tuo-vero-nome, ma non potevo saperlo prima di quella notte insieme, prima di vedere la tua reazione a queste due lettere. Noi siamo diversi dai tuoi fratelli e dai loro Holmes. Il mondo non si è improvvisamente riempito di colori e non abbiamo ricevuto un violento colpo dalla vita concependo un bambino. No, noi ci siamo trovati, abbiamo visto l’uno il marchio sulla pelle dell’altro e gli abbiamo dato un senso. Quello che non abbiamo detto ad alta voce era che quel senso ci stava bene.” Prese un respiro profondo. “Non ti biasimo per desiderare che il tuo marchio non sia legato a me. Chiunque sano di mente non accetterebbe mai una cosa del genere, non dopo quello che ho fatto. Per tanto ti dico un’altra cosa che penso io: non credo che questo legame predestinato c’impedisca di amare qualcun altro.”

Louis si umettò le labbra. “Quindi ami uno dei due…” Concluse con un filo di voce. “Chi è?” Domandò. “Bond o Moneypenny?” Scosse immediatamente la testa. “Scusami, non ho diritto di-“

“Il discorso sull’amore non era per me,” chiarì Moran. “Era per dirti che, Anime Gemelle o meno, puoi ancora scegliere chi amare. Col tempo, io diverrò solo una brutta prima esperienza, nulla di più.” Una pausa. “Non ho certo la superbia o l’intelligenza per mettermi a fare ipotesi sulle intenzioni del destino, ma sono ragionevolmente convinto che il suggerimento che ci viene dato tramite questi marchi abbia l’importanza che siamo noi stessi a dargli. Ti ho fatto male e me ne pento ma non temere, Louis, non ti ho privato della possibilità d’innamorarti. Nessun uomo sbagliato deve avere un simile potere.”

Louis dischiuse la labbra ma non riuscì a fare altro che ingoiare aria, come se respirare fosse divenuto improvvisamente difficile. Si costrinse a darsi un contegno. “Hai parlato di scelte,” gli disse. “Se né Bond né Moneypenny sono la tua, allora immagino che abbia vinto la libertà.”

Moran sorrise, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni. “Louis, mi conosci,” disse, con quella faccia da schiaffi che avrebbe fatto venire il nervoso a chiunque. “Scegliere significa crescere e io non ho alcuna intenzione di farlo.”

Quella piccola recita finale era tutto ciò che il Colonnello Sebastian Moran poteva fare per il bene di Louis James Moriarty. Andava bene così.

“Buonanotte, Louis.” Si chiuse la porta alle spalle, prima che il più giovane potesse rispondere.

Non udì mai la voce rotta di Louis che spezzava un’ultima volta il silenzio della camera da letto. “Buonanotte, Sebastian.





 

Moran perse il conto dei respiri profondi che prese nel scendere le scale. Era a corto d’aria e doveva trovare un modo per tornare a respirare, sedando il cuore impazzito nel proprio petto. La soluzione più veloce a cui pensò fu quella a cui si era affidato innumerevoli volte: bere. Gli servivano almeno tre o quattro bottiglie di vino da portare in camera sua, dove avrebbe potuto affogare la coscienza e i peccati a suon di frequenti e generosi sorsi.

Incontrare Paterson a metà del corridoio del piano comune rovinò i suoi piani. “Oh, bene, non sono arrivato troppo tardi.”

Moran lo fissò per un lasso di tempo ridicolmente lungo, come se si fosse materializzato dal nulla. “Che cosa ci fai qui?”

L’agente infiltrato a Scotland Yard si aggiustò gli occhiali sul naso. “Sono passato a bere un bicchiere di vino con i miei colleghi. Dopo una lunga giornata di lavoro, è un buon modo per allentare la tensione, sai?”

Moran non ne aveva idea. Più ci pensava e più aveva il dubbio che l’unico modo per stenderlo definitivamente fosse una dose di oppio - che in una residenza governativa non era ammesso. 

“Colonnello, state bene?” Domandò Paterson.

“Sì, perché?”

L’agente scrollò le spalle, come a dire che non lo sapeva di preciso neanche lui. Prima che quella conversazione prendesse veramente il via, la porta del salotto si aprì e la testa bionda di Bond fece capolino. “Oh, siete entrambi qui!” Esclamò. “Entrate e accomodatevi. Non abbiamo ancora finito il vino!”

“E parla piano!” Sbottò Moran, senza curarsi di regolare il tono a sua volta. “I mocciosi dormono e Louis con loro.” Lo disse, ma nulla gli impediva di pensare che il giovane Moriarty se ne sarebbe rimasto sveglio a riflettere sulla loro conversazione per tutta la notte.

Una volta nel salotto, Moran fu sorpreso di scoprire che anche Fred e il vecchio Jack erano dei loro. 

“Coraggio!” Bond non diede tempo ai due nuovi arrivati di sedersi che aveva già preparato due calici di vino per loro. “Animiamo un po’ questa serata!”

L’unica a non avere da bere era la signorina Moneypenny - probabilmente per sua scelta - che se ne stava seduta composta sulla propria poltrona. Fu la seconda ad accorgersi che qualcosa non andava nel Colonnello. “Moran, tutto bene?”

“Bene, non sono l’unico ad aver notato qualcosa di strano,” disse Paterson, accomodandosi su uno dei divani.

Fred si voltò a guardarlo. “In effetti…”

Moran, rimasto immobile vicino alla porta, scattò come una molla. “In effetti, cosa? Parla chiaro Fred!”

“Sì, ma stai calmo!” Bond gli arrivò vicino, un calice nella mano destra e una bottiglia nella sinistra. “Sebastian, sul serio, non hai per niente una bella cera,” commentò, a voce più bassa. “È successo qualcosa di cui dovremmo essere informati?”

Il Colonnello scosse la testa stancamente e tracannò il contenuto rosso scuro nel bicchiere in un solo colpo. “Aspetta che la medicina faccia effetto e tornerò in me.”

Fred lo fissò. “Quello è vino, non ha proprietà medi-“

“Dettagli!”

Jack ridacchiò sotto i baffi. “Con i bambini in casa ventiquattr'ore su ventiquattro, il nostro Moran sta sperimentando le gioie della genitorialità.”

“Non dire assurdità, vecchio!” Il Colonnello porse il calice vuoto a Bond in una chiara richiesta di riempirlo. “Se c’è una cosa che sto sperimentando è lo stress!”

“Oh, ma le tue due uniche modalità sono stressato o ubriaco,” ribatté Bond, con nonchalance. “Varia solo l’intensità a seconda dell’umore e della situazione.”

A quella battuta, Paterson venne preso da un attacco d’ilarità nel bel mezzo dell’atto di bere.

“Strozzati, Paterson!” Esclamò Moran, rancoroso. “Ben ti sta!”

“Ma anche la nostra Moneypenny sta sorridendo!” Bond saltellò allegramente nella direzione di lei. “Non essere timida. Deliziaci col tuo sorriso, mia cara.”

Moneypenny si aggiustò gli occhiali sul naso e arrossì, ma non con disagio. Le attenzioni dell’agente Bond non l’avevano mai disturbata.

“Vedi come ci si comporta con le signore, Moran?” Bond gli fece l’occhiolino. “Il segreto è farle sorridere!”

“Bond, porta qui quella bottiglia e falla fini-“ Farlo sorridere. Moran si bloccò, mentre un ricordo s’imponeva di prepotenza nella sua mente: la luce fredda del sole d’inverno che entrava attraverso le tende, quegli occhi scarlatti che sembravano contenere tutto il gelo dell’esterno, nonostante il loro colore. Quando Sebastian Moran si era svegliato accanto a lui, lo aveva sorpreso a guardarlo dormire.

E Louis gli aveva sorriso.

Il Colonnello chiuse gli occhi.

Continua a guardare avanti.

Sì, non aveva altra scelta.

“Moran, sul serio, ci stai facendo preoccupare.” La voce di Bond lo fece tornare alla realtà.

Moran scosse la testa, come a dirgli di lasciar stare. Attraversò la stanza e, finalmente, si sedette. Era esausto.

“Se non ti conoscessi bene,” aggiunse Bond, dando voce a quello che era un po’ il pensiero di tutti i presenti, “direi che quella è la faccia di un uomo dal cuore spezzato.”

E avresti ragione.

Sebastian Moran sollevò il calice vuoto. “Basta con le idiozie, versami altro vino!”







 
   
 
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