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Autore: Breathless    18/06/2022    0 recensioni
[…] Italia si chiese da quanti anni avesse quelle fattezze.
«Hey Germania, quando sei nato?»
Stavolta il tedesco girò tutta la testa verso di lui.
Il significato della parola “nascita” per le nazioni, era un po’ diverso rispetto a quello convenzionale.
«Nel 1814, con la fondazione della Confederazione Germanica» disse meccanicamente.
«E che aspetto avevi quando sei nato?»
Un’ occhiata interrogativa tardò di qualche secondo la risposta; non si sarebbe mai del tutto abituato alle stranezze altrui. […]

________
[GerIta]
Il rapporto fra Italia e Germania raccontato durante gli eventi storici dell’ultimo secolo.
Genere: Romantico, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Berlino – 9 Novembre 1989
 
Germania fece scontrare vigorosamente il boccale di birra contro il proprio. Parte della schiuma fuoriuscì e cadde a terra, ma la cosa non sembrò preoccuparlo. Anzi, una risata profonda esplose dalle sue labbra, l’ennesima della serata.
Italia lo aveva visto raramente ubriacarsi in quel modo, e probabilmente mai così euforico.
Il motivo ce l’aveva di fianco: Prussia aveva appena fatto eco alla risata con il suo peculiare tono ruvido e sguaiato. L’ultima volta che si erano visti, era stato quarantatré anni prima.
Germania barcollò e si aggrappò alla spalla del fratello che traballò a sua volta. Per poco non caddero. Un’altra esplosione di risa.
Si trovavano fuori da un locale nella zona ovest di Berlino, non molto lontano dal valico di frontiera di Bornholmer Straße, che era stato attraversato da una fiumana di persone quella sera. Le stesse persone che ora li circondavano e festeggiavano, in un clima di felicità e emozione.
I locali stavano servendo da bere gratis, ed erano ancora aperti nonostante fosse notte fonda.
Italia bevve un generoso sorso dal proprio boccale, sorridendo contagiato dal buon umore generale. E dire che aveva assistito a quell’evento per caso.
Si trovava a casa di Germania in una delle sue consuete visite, quando Prussia aveva chiamato avvisando che stava succedendo qualcosa. I suoi capi avevano deciso di concedere l’attraversamento del muro tramite un lasciapassare e avevano dato anche a lui il permesso, dopo tanti anni, di andare dall’altra parte. Il provvedimento sarebbe entrato in vigore la mattina successiva.
Germania era voluto partire subito alla volta di Berlino e Italia lo aveva seguito, offrendosi di guidare la macchina. Al loro arrivo qualche ora dopo, gli abitanti della parte Est, avevano già invaso le vie di quella Ovest. Un errore in un comunicato stampa, spiegò loro Prussia, aveva fatto ammassare ai posti di blocco una folla smisurata e alle guardie di frontiera non era rimasto altro da fare, che lasciarli passare.
 
Lo sguardo di Italia vagò sulle persone attorno a sé; l’eccesso di alcol non lo aveva risparmiato e il panorama pareva ondeggiare. Focalizzò la sua attenzione su un giovane e, a causa dei riflessi rallentati, impiegò un po’ a capire cosa stesse facendo. Mosso dalla curiosità si avvicinò, tracannando un altro sorso di birra. Aveva in mano un piccone e picchiava ripetutamente sul muro che tagliava in due la città, scavando un buco e facendo saltare per aria calcinacci.
Quando si accorse di essere osservato gli rivolse un’occhiata furtiva, cercando di caprine le intenzioni.
Italia lo guardò con espressione beata, dondolando sui talloni e mimando un brindisi con il boccale. Compreso che non avrebbe tentato di fermarlo, il giovane riprese a picconare.
Un frammento di cemento decorato dalla vernice spray di un graffito, rotolò vicino al suo piede. Il castano si piegò e lo raccolse, osservandolo per qualche momento. La propria felicità non era esplosiva come quella dei due tedeschi, ma qualcosa di più morbido e diffuso. Sapeva cosa significava tutto questo per Germania, per il suo orgoglio. La speranza che questo potesse dare inizio alla tanto desiderata riunificazione, si accendeva sempre di più.
Infilò il frammento di muro in tasca, giusto qualche secondo prima che di sentire la presa di un braccio maschile e forte passargli attorno alle spalle e attirarlo a sé. Si ritrovò appiccicato al fianco di Prussia.
«Italia, cosa ci fai qua da solo? E con il bicchiere mezzo vuoto, per giunta» biascicò, la voce era maggiormente roca rispetto solito. Probabilmente era il più sbronzo fra di loro. «Andiamo a riempirlo» disse entusiasta cominciando a trascinarlo verso il locale.
«Solo se lo riempi anche tu» Lo assecondò Italia, senza nessuna intenzione di frenarlo. Prussia si era sempre comportato in modo amichevole nei suoi confronti, e quei lunghi anni di isolamento non sembravano averlo cambiato.
«Allora, ti sei preso cura del mio fratellino mentre non c’ero?» gli domandò con un sorriso sghembo, ma non lo lasciò rispondere che subito berciò in direzione di Germania. «Hey West, sono geloso! Tu sei stato tutto il tempo con Italia e al magnifico me è toccato Russia. Hai idea di quanto sia inquietante stare con lui? Adesso facciamo cambio per un po’!»
«Neanche morto fratello!» rispose Germania con tono divertito.
 
Prussia farfugliò qualcosa di incomprensibile e poi tornò a far ciondolare la testa sul petto. Italia constatò che, nonostante fosse leggermente più basso e meno muscoloso rispetto al fratello minore, era comunque parecchio pesante da trasportare. Specie perché era tutto fuorché collaborativo: a stento muoveva i piedi in dei passi malfermi.
«È svenuto?» chiese rivolto a Germania.
Lo sorreggevano dai i lati e si erano fatti passare le sue braccia attorno al collo.
«Credo di sì» rispose il biondo lanciandogli una breve occhiata. «Riesci a portarlo?»
«Certo, non è niente in confronto ai tuoi allenamenti» replicò, anche se stava facendo fatica. Ma la loro vecchia casa era vicina al punto in cui avevano parcheggiato, quindi non avrebbero dovuto fare tanta strada. Il cielo cominciava a rischiararsi, segno che l’alba stava giungendo. Faceva freddo ma, a causa dell’alcol ingerito, non se ne accorgeva quasi. Germania sembrava essersi un po’ ripreso rispetto a qualche ora prima, si comportava in maniera più composta. Ma il passo traballante tradiva il fatto che la sbornia non fosse ancora passata.
«Erano davvero così terribili?» il tedesco cercò il suo sguardo. Lo aveva fatto così tante volte quella sera, che aveva perso il conto. E lui ne era stato inevitabilmente felice.
«Pessimi» Annuì con un sorrisetto, mentre varcavano il cancello e attraversavano il piccolo giardino che dava su un portico in legno. Ottenne un piccolo sbuffo divertito in risposta.
Per poco non cadde sotto il peso eccessivo, quando Germania allentò la presa sul fratello per aprire la porta. Ma tenne duro e riuscirono a trascinarlo fino alla sua camera da letto. Prussia non diede segno di accorgersi di nulla, neanche quando lo lasciarono cadere scompostamente di faccia sul materasso.
«Vai pure, ci penso io a levargli il giubbotto e le scarpe» fece cenno il biondo e Italia lo lasciò fare, uscendo dalla stanza.
 
Era dalla seconda guerra mondiale che non metteva piede in quella casa. Molti ricordi affiorarono mentre attraversava il corridoio e il salotto, tornando all’ingresso. La maggior parte dei mobili era rimasta uguale, anche se tanti degli accessori e degli elettrodomestici erano stati rimpiazzati con quelli moderni. Era tutto più disordinato rispetto a un tempo, chiaro segno che in quella casa Prussia fosse solo. Aprì la porta e fu di nuovo all’esterno; inspirò a fondo l’aria fredda del mattino, lasciando fuoriuscire dalle labbra una nuvola di condensa.
Trovò posto sulla panchina sotto il portico, a osservare il cielo che diventava via via più chiaro e si colorava di giallo e arancione. Si accorse solo in quel momento di avere sonno. L’adrenalina data dai festeggiamenti stava sparendo, lasciando posto alla stanchezza della nottata in bianco. Ma allo stesso tempo voleva godersi un po’ quell’atmosfera tranquilla, il pacato silenzio della città che si svegliava prima che ci fossero persone e macchine in strada. I Berlinesi stavano per ridestarsi su una nuova epoca.
Germania lo raggiunse poco dopo. Non si voltò ma lo sentì aprire la porta e, con la coda dell’occhio, vide che aveva ancora il cappotto addosso.
«Che ci fai qua fuori? Fa freddo» lo guardò con una punta di curiosità, forse cercava di capire quanto era ancora ubriaco.
«Guardo l’alba» Italia fece un cenno verso il cielo. Il tedesco in risposta, mise le mani in tasca e si sedette accanto a lui. Percepì la sua spalla sfiorare la propria e gli venne istintivo appoggiarsi, cercarne il contatto. Ebbe l’impressione che anche l’altro si fosse chinato verso di lui.
«Ah, a proposito» un pensiero tornò alla mente del castano, e frugò nella tasca andando ad estrarre il frammento di cemento che aveva raccolto in precedenza.
«Un ragazzo stava spaccando il muro prima» spiegò tenendolo fra il pollice e l’indice per mostrarglielo «Mi sembra di buon auspicio.» spiegò porgendoglielo. Germania osservò quel pezzo di calcestruzzo colorato, rigirandolo fra le dita con aria meditabonda.
«Me lo stai regalando?»
Italia annuì
«È tuo, del resto. E poi io ho già un ricordo di questa serata» spiegò con aria sorniona, andando a tirare fuori dalla stessa tasca una polaroid e mettendogliela sotto il naso. Nell’immagine, un po’ sottoesposta, si vedevano loro due cingersi il fianco a vicenda, ognuno con un boccale mezzo vuoto in mano. Prussia si era messo davanti, con le ginocchia piegate per non coprirli e di boccali ne reggeva ben due. Vedere un sorriso così ampio sul volto dell’albino non è cosa rara, e neppure sul quello di Italia. Ma quando la stessa espressione, per giunta ubriaca, si trova sul viso di Germania, le cose si fanno decisamente più interessanti. Il biondo strabuzzò gli occhi per la sorpresa. Si ricordò solo in quel momento dell’uomo con la macchina fotografica che andava in giro a immortalare i presenti.
«Aspetta, non puoi tenere una foto del genere!» protestò cercando di afferrarla, ma Italia fu rapido a sottrargliela e la nascose all’interno della giacca.
«Troppo tardi» sentenziò con aria soddisfatta. «È mia.»
«…non provare a farla vedere in giro» brontolò il tedesco che, nonostante percepisse ancora l’ebbrezza dell’alcol, sentì affiorare l’imbarazzo.
Italia osservò il suo broncio e si lasciò cullare dalla sensazione piacevole che gli dilagava nel petto ogni volta che stava con Germania. Quante volte era successo? Aveva perso il conto da anni.
«Solo se dopo mi fai dormire assieme a te» sentenziò.
«Tanto dormiresti comunque con me, no? Dovresti chiedermi qualcosa che non sono disposto a fare.» sospirò il biondo, anche se non era veramente scocciato. Anzi, proseguì con tono morbido «Possibile che debba insegnarti anche come ricattarmi?»
Italia ridacchiò divertito e anche felice per ciò che implicavano le parole altrui.
«Lo sai che mi piace quando mi insegni le cose» Concluse senza l’intenzione di ricattarlo sul serio.  Semplicemente andò ad appoggiarsi di nuovo a lui, ma con aria più disinvolta.
«Mi piace un sacco anche Berlino, spero che tornerai presto a viverci» continuò guardando l’alba che si levava. «La prima volta che sono stato qua, non era neppure diventata la capitale della Prussia. Era così piccola rispetto ad adesso…» gli raccontò di ricordi lontani, offuscati dal trascorrere del tempo. Germania impiegò qualche secondo a rispondere.
«Eri con Sacro Romano Impero?» chiese e dal tono si intuì che stava soppesando le parole.
Italia fece un cenno con la testa. «Si, ero con lui.»
Da quando si era sfogato la prima volta, riusciva a parlarne sempre più tranquillamente. Come se quella ferita rimasta a lungo aperta stesse finalmente guarendo.
Germani rimase in silenzio, ma lo sentì tendersi leggermente contro di lui, come se volesse dire o fare qualcosa. All’italiano venne da girare lo sguardo alla ricerca del suo volto. Lo trovò con gli occhi puntati sul pavimento, le sopracciglia avevano formato una piccola ruga al centro della fronte. Forse fu l’alcol che aveva ancora in corpo a sconfiggere le resistenze e tirare fuori quello che gli ronzava in testa da un po’ di tempo.
«Italia» cominciò «Tu vuoi stare sempre assieme a me, vieni a trovarmi spesso anche se questo fa arrabbiare tuo fratello. Sei rimasto mio amico perfino dopo quello che è successo durante la guerra.» fece un piccolo sospiro «È perché ti ricordo Sacro Romano Impero?» cacciò finalmente fuori quella domanda, rifuggendo il suo sguardo. «Mi è venuto il dubbio che forse preferiresti ci fosse ancora lui, al mio posto.»
Italia non sembrò sorpreso dalla sua uscita, anzi, sul viso si formò sorriso mesto ma consapevole.
«Sai, avevo paura che ti saresti fatto questa idea. È uno dei motivi per il quale ho impiegato tanto tempo a dirtelo» si morse il labbro inferiore. Non gli piaceva che Germania pensasse questo di lui, ma allo stesso tempo il dubbio era più che legittimo. Dal canto proprio, conosceva la risposta già da tempo.
Andò a prendergli la mano e se la portò al volto, esattamente come aveva fatto qualche anno prima sul gonfiabile in mezzo al lago. Ma questa volta andò ad appoggiare al proprio viso il suo palmo, e chiuse gli occhi. La testa gli vorticò leggermente a causa della birra, ma il contatto gli sembrò così rassicurante. La mano di Germania era grande, un po’ ruvida ma molto calda.
«Germania, hai sempre un’aria severa e ho perso il conto delle volte in cui mi hai sgridato. Ma sono state molte più le volte in cui ti sei comportato in maniera gentile. Pensi di non darlo a vedere, ma io me ne accorgo sempre. Ti preoccupi per me e mi aiuti ogni volta che ne ho bisogno. Mi assecondi quando voglio fare qualcosa, anche se quella cosa non ti piace, e stai con a me anche se combino un sacco casini. Mi hai pure salvato molte volte, durante la guerra.»
Tenne gli occhi chiusi e le parole fluirono senza esitazioni, perché era già da tempo che aveva fatto i conti con quei sentimenti.
«Mi piace la tua espressione quando mangi quello che cucino, mi piace il modo in cui corrughi le sopracciglia quando sei concentrato in qualche lavoro, mi piace come ti imbarazzi quando fai un gesto carino, mi piace come ti cadono i capelli sulla fronte appena sveglio, ma mi piace anche come li pettini non appena ti alzi. Mi piace come rispondi ai miei abbracci, mi piace appoggiare la testa sul tuo petto e sentire il rumore che fa il tuo cuore. Batte così lento, è molto tranquillizzante sai?» finalmente aprì gli occhi. Incontrò lo sguardo di Germania che ora lo fissava talmente immobile che sembrava essersi dimenticato di respirare.
«Sono questi i motivi per il quale ti sto sempre appiccicato. E altri ancora.» Italia sorrise, girando il viso contro la sua mano e andando a posare le labbra sul palmo. Un bacio morbido, in cui inspirò il sentore leggero della sua pelle. «Credimi, non penso che sarei riuscito a frequentarti troppo a lungo, se tu mi avessi ricordato Sacro Romano Impero e basta. Mi avrebbe fatto solo male.» Mormorò.
Germania rimase fermo in silenzio per un lungo istante, sembrava frastornato, come se avesse appena ricevuto un colpo in pieno viso senza aspettarselo. Poi il suo respiro fremette e Italia sentì la mano che aveva contro il volto muoversi, afferrargli la nuca e tirarlo contro di sé. Prima di rendersene conto, si ritrovò con il viso premuto contro il suo petto. Il tedesco si era chiuso su di lui, entrambe le braccia erano strette in una presa salda, il capo chinato sul suo e la bocca posata contro la chioma castana. Era la prima volta che lo abbracciava di sua iniziativa. Poteva sentirne il respiro accarezzargli le ciocche e il rumore del suo cuore. Ma al posto del suo solito battito lento, lo sentì martellare furiosamente contro il petto, come se volesse scappare fuori.
«Germa-» lo chiamò sollevando la testa alla ricerca del suo sguardo, ma trovò invece le sue labbra. Germania aveva azzerato le distanze premendo la bocca contro la sua.
La mente ebbe un blackout e il cuore prese a galoppare con la stessa furia di quello del biondo. Una sensazione prepotente eruppe dal petto e si sparse in tutto il corpo, cancellando qualunque pensiero. Andò ad aggrapparsi al suo collo con una mano, mentre l’altra si appoggiò al viso. Dischiuse le labbra per rendere più profondo il bacio, per farlo durare più a lungo possibile. Non riuscì a quantificare quanto tempo rimasero così, ma quando si staccarono gli occhi si trovarono ancorati ai suoi.
Italia non disse nulla, fece solo un paio di rapidi respiri e poi si avventò nuovamente contro la sua bocca.
Gli era sempre sembrata un’ipotesi così remota, quella di riuscire a baciarlo, che si rendeva conto solamente ora di quanto lo avesse desiderato.
E non poteva quasi crederci nel sentire come Germania rispondeva, con quanta foga lo cercasse a sua volta e come la presa fosse salda attorno al proprio corpo, quasi avesse paura gli sfuggisse. Presto la bocca non gli bastò più e passò a baciare il collo del biondo, la pelle sottile della gola che lo richiamava più invitante che mai. Inspirò a fondo il suo odore e gli sfregò contro il capo. Poi sentì un sussurro.
«Entriamo»
La voce roca e profonda di Germania, il respiro caldo vicino l’orecchio, gli provocarono un fremito. Annuì.
Il biondo mantenne la presa attorno a lui e quasi lo portò di peso dentro casa. Barcollarono entrambi verso il letto, liberandosi dei giubbotti, della sciarpa, e lasciandoli cadere a terra. Italia si aggrappò al suo collo e si lasciò cadere con la schiena contro il materasso, trascinandolo con sé e obbligandolo a rimanergli addosso. Gli catturò ancora le labbra, mentre inarcava la schiena e sollevava il bacino a premerlo contro il suo. Sentì che era eccitato quanto lui.
Il sorriso affiorò spontaneo mentre Germania gli sollevava il maglione e gli slacciava i pantaloni, e si affrettò a ricambiare il favore. Nell’arco di poco si trovarono sotto le coperte, uno addosso all’altro, pelle contro pelle. A Italia sembrò strano non essere l’unico completamente svestito. Approfittò per esplorare il corpo altrui con le dita, saggiarne le forme e percepire la muscolatura in punti che il tedesco non gli aveva mai concesso di toccare.
La testa girava e l’atmosfera gli sembrò irreale, sospesa come il pulviscolo che fluttuava in lente volute, colpito dalla luce del mattino. I movimenti energici ma a tratti sgraziati di Germania, ne rivelavano l’inesperienza. Tuttavia traboccavano di premura e di una malcelata urgenza, che era la stessa di Italia. Anni e anni passati l’uno accanto all’altro, a desiderarsi e trattenersi, fino a quando i loro sentimenti avevano cominciato a straripare senza che se ne accorgessero.
Italia pensò che fosse andata bene così. Sentirlo muoversi addosso a lui, poterlo stringere, sapere che quel piacere intenso proveniente dal bassoventre era opera sua, era quanto di più bello potesse provare.
Con sommo appagamento, Germania gli rimase addossato anche quando terminarono. Si stesero su un fianco rivolti l’uno verso l’altro e il tedesco gli avvolse il busto fra le braccia, appoggiando il capo biondo e spettinato contro il petto. Italia lo ricambiò stringendo le spalle con un braccio e il collo con l’altro, affondando le dita fra i capelli sulla nuca e accarezzandoli lentamente. Erano entrambi totalmente sfatti e si abbandonarono al sonno, inseguiti dalle sensazioni del tutto nuove che avevano appena provato.
 
Riferimenti Storici:
 
  • Il 9 Novembre 1989 venne deciso che gli abitanti di Berlino Est avrebbero potuto attraversa il confine con un apposito permesso. Il provvedimento sarebbe entrato in vigore il giorno successivo, dando il tempo alle guardie di frontiera di organizzarsi. Durante la conferenza stampa che si tenne poco dopo il ministro della propaganda della Repubblica Democratica Tedesca, che non aveva ricevuto informazioni precise, disse che il provvedimento risultava effettivo da subito. Migliaia di Berlinesi si precipitarono ai posti di blocco e le guardie, non avendo mezzi per sedare la folla, furono costrette ad aprire la frontiera e lasciarli circolare liberamente. Vi furono grandi festeggiamenti e i bar nei pressi del muro cominciarono ad offrire da bere gratis.
  
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