Fumetti/Cartoni europei > Miraculous Ladybug
Ricorda la storia  |      
Autore: Picci_picci    18/06/2022    2 recensioni
Possono un paio di scarpe farti camminare verso la strada giusta?
Sinceramente, Marinette non lo sa, ma se Monsieur Agreste o Paul sentissero una risposta negativa la ripudierebbero dalla maison togliendole il titolo di stilista.
Per Adrien, invece, sono il posto adatto per un anello.
--------------------
Abbiamo lasciato Marinette e Adrien nella loro bolla felice con un Paul curioso e un Gabriel in versione mastino, ma dovevamo dare un happy ending degno del suo nome ai questi due che sono sopravvissuti a tutti gli avvenimenti di "l'amour est le pire des monstres"
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nuovo personaggio, Plagg
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'L’amour'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Non sapeva come era finita in quella situazione e, davvero, non voleva ricordarlo.

«Dico solo una cosa: un’opera d’arte.”

«Sono due, Paul.»

«Dettagli» esclamò il suo amico muovendo una mano in aria.

Si portò, distrattamente, una mano al collo dove sfiorò quel ciondolo ad A che una volta scoperto il suo significato, non si era più tolta. 

A di Agreste.

A di Adrien.

Marinette sospirò, sgranchendosi le spalle, «Paul, siamo qui fermi da quindici minuti.»

«Ma hai visto che capolavoro!»

«L’ho visto, ma fidati che come non è cambiato in quindici minuti, non cambierà in trenta.»

Paul incrociò le braccia alzando un sopracciglio, «noi stiamo contemplando l’arte.»

«No, stiamo perdendo tempo.»

Quando era scesa nel magazzino, pensava che avrebbe fatto veloce, tempo di consegnare dei fogli con le nuove direttive…e invece era stata incastrata da Paul.

Non sapeva dove il suo amico avesse trovato un piedistallo, fatto sta che lo aveva trovato e lo aveva posizionato al centro della stanza con sopra il nuovo paio di scarpe della collezione Agreste.

«Marinette, queste scarpe sono sensazionali.»
Alzò gli occhi al cielo, «ti devo ricordare che le ho disegnate io insieme a Monsieur?»

Ma Paul non stava già più ascoltando, troppo impegnato a contemplare.

Le scarpe con il tacco a spillo in argento erano nere e ricoperte di pizzo macramè che usciva dalla scarpa fino a decorare il collo del piede come un tatuaggio. Già così sarebbero state sensazionali, ma lei e Monsieur avevano impreziosito il tutto con pietre verdi e viola che brillavano ogni volta che la luce le colpiva.

Marinette colpì Paul alla testa, «posso andare?»

Lui sbuffò, «vai, tanto non capisci l’arte.»

Il volto di Marinette diventò rosso mentre stringeva gli occhi in due fessure. Aveva voglia di litigare? Mon Dieu, no, aveva già il suo bel da fare con il suo capo e suo figlio.

Uscì dal magazzino e salì fino al suo ufficio, sperando di avere un po’ di pace prima della pausa pranzo.  

«Non preoccuparti, Marinette» la voce sottile arrivò alle orecchie della ragazza, ma non riusciva a tirarla su come sempre.

Sprofondò nella sedia della sua scrivania, quando la voce monotona di Natalie parlò, «mademoiselle, Monsieur la vuole nel suo ufficio.»

Annuì e, taccuino alla mano, bussò due volte.

«Avanti!»

Entrò nel covo del mastino con passo sicuro e sguardo stanco.

«Sì, Monsieur?»

Accanto alla scrivania del suo capo, un altro tavolo era posto vicino, con mille fogli sparsi, un computer lasciato acceso, una fotografia di Emilie Agreste e un certo biondo dall’altro lato.

«Buongiorno, ma belle.»

«Chaton» rispose lei con un sospiro.

«Perché così abbattuta, mia signora?»

«Non ci interessa» tagliò corto Gabriel, «ho bisogno che tu prenda appunti.»

«Oggi è così premuroso, monsieur.»

«Hai voglia di chiacchierare, Marinette? Perché penso che tu abbia speso più di qualche minuto giù con Paul.»
«Sì, a parlare di scarpe!»

«Almeno avete lavorato.»
«Ho dovuto contemplare le nuove scarpe della collezione per più di quindici minuti, in silenzio» aggiunse puntigliosa Marinette, stanca già di prima mattina.

Gabriel alzò un sopracciglio nella sua direzione, «e come mai?»

La ragazza alzò le braccia al cielo, «lo chieda a Paul!»

Accortasi del tono alto di voce che aveva usato, si ricompose, «mi scusi, Monsieur.»
«Non parlerò con Paul, chi capisce quel ragazzo è bravo. Lo tengo solo perché è il migliore nel suo lavoro.»

«A me Paul non dispiace» commentò Adrien con tranquillità.

«Tra pazzi ci si capisce, mon minou.»

«Ehi» replicò lui, fintamente offeso.

Allo scuotimento di voce di Gabriel, i due si misero sull’attenti.

«Marinette, prendi appunti.»

E la ragazza sapeva che la giornata sarebbe stata veramente lunga.

 

«Paul, non ne ho le forze.»

Era tornata a casa sua solo per prendere qualche vestito e poi sarebbe tornata da Adrien. In effetti, in questi mesi aveva abitato più a Villa Agreste che a casa dei suoi.

Appena aveva messo piede nella boulangerie, aveva trovato Paul che chiacchierava amabilmente con sua madre. Quei due erano diventati veramente troppo amici. La spaventavano più di Plagg lasciato senza camembert per più di due ore consecutive.

«Suvvia, mia cara, quanto può essere stressante stare con Adrien Agreste?»

Per nulla se non si contavano i continui giochi di parole e il suo capo che bussava alla porta di camera anche alle tre del mattino per questioni di lavoro.

«Almeno dimmi una cosa» sussurrò curioso. Non andava mai a finire bene.

«Perché mi stai facendo tutte queste domande?»

«Io e tua madre siamo curiosi.»

Marinette allargò gli occhi, «oh, tu e mia madre?»

Lui annuì convinto.

«Sentiamo» domandò mentre sprofondava nella chaise longue.

«Quanto è bravo a letto?»

Troppo.

È appena fece quel pensiero, scosse con fermezza la testa mentre le guance le andavano a fuoco.

«Paul!» esclamò di un ottava più alta.

«Che c’è?»

Lei continuò a scuotere la testa. Non se lo spiegava come mai quella domanda era arrivata proprio adesso visto che lei e Adrien stavano già insieme da qualche mese. Senza contare il loro trascorso. Davvero mooooolto lungo.

«Mia signora!» ma l’entusiasmo di Adrien che spalancava la botola si attenuò quando vide la sua lady seduta sulla chaise longue con il volto stanco.

«Che è successo?» chiese a Paul che stava guardando con occhio critico uno degli abiti di Marinette.

«Oh, nulla, fa la finta timida.»

Un verso esasperato risuonò nella stanza, «Paul, io sono timida!»

«Disse quella che ha lasciato il party della sfilata che lei stessa ha organizzato per passare una notte bollente col suo fidanzato. Per giunta, a casa del suo capo.»

La testa di Marinette crollò nei cuscini, «puoi smettere di ricordarmelo?»

«Preferisci la volta in cui hai macchiato il completo bianco di Monsieur con il caffè? Il tuo primo giorno di lavoro?»
«Paul!»
«Lo hai fatto veramente?» chiese scioccato Adrien, «e non sei stata licenziata?»

«Quella ragazza ha una fortuna infinita.»

«O forse, ho talento.»

Paul sorrise, «quello che vuoi dolcezza. Tu, piuttosto» chiese guardando il biondo, «cos’hai sotto braccio?»

Appena Adrien spostò la scatola sotto la luce della stanza, un grido di shock si alzò.

«Stai. Scherzando.»

Marinette guardò con un sopracciglio alzato il volto estasiatico del suo amico, «potresti spiegare anche ai poveri mortali, Paul?»

«Cosa ci fai con l’opera d’arte in mano?»

«Eh?»

Paul corse dalla ragazza colpendole la fronte, «a volte mi chiedo come tu possa essere così geniale… Non le riconosci? Sono le scarpe che hai disegnato tu!»

La fronte di Marinette rimase aggrottata, «come fai a sapere che sono quelle scarpe se sono ancora dentro la scatola?»

«Non hai stalkerato il dipartimento di packaging?»

«No?»

«Suvvia, Marinette, le basi!»

Adrien attirò l’attenzione dei due, «Paul, potresti lasciare me e Marinette?»

«E per cosa, tesoro?»

La manata a Paul arrivò un attimo dopo insieme a due occhi celesti che dicevano chiaro e tondo: smettila e esci di qui.

«Va bene, va bene, mastino due la vendetta» ma mentre scendeva le scale si sentiva ancora la sua voce, «vado da tua madre, ma ti aspetto giù con le scarpe.»

Marinette annuì affranta. Ma cosa avevano tutti con quelle scarpe?

Quando riaprì gli occhi e trovò quelli verdi di Adrien scosse la testa, «non c’era bisogno che tu venissi qui, ti avrei raggiunto più tardi a Villa Agreste.»

«Non importa.»

«Importa eccome» esclamò un esserino nero, «potevo già essere a casa a gustare il mio camembert.»

«Plagg» mormorò Tikki per tenerlo buono.

La risata di Marinette riempì l’aria, «chaton, perché hai portato quelle scarpe?»

«Per te.»

«Per me? Monsieur vuole che applichi delle modifiche?»

Adrien inclinò la testa, «più o meno.»

«In che senso?»

«Diciamo che sia io che lui vorremmo delle modifiche.»

Incerta di quella nuova informazione, Marinette prese la scatola bianca dal logo dorato dalle mani di Adrien e tolse il coperchio, «e da quando sei un esperto di moda?»

Ma la domanda le morì sulle labbra. Sopra a l’impalpabile velo che proteggeva l’opera d’arte - come le chiamava Paul - una scatolina in velluto faceva la sua comparsa come un trofeo.

Ma non poteva essere quello che pensava, giusto? Non poteva gettare un anello in una scatola di scarpe, vero? O sì? Il cervello di Marinette era andato in ferie momentanea.

«No.»

Adrien alzò gli occhi, «no?»

La bocca di Marinette era spalancata, «no. Cioè, no nel senso che non voglio, come potrei non volerlo? A meno che tu non voglia, ovvio. Ma è quello che vuoi, giusto? Oddio, e se non è quello che penso?!» scosse la testa, «forse mi sto sbagliando. Oddio, mi sono sbagliata, vero? Scusami, davvero, io non volevo insinuare nulla, ma ho aperto la scatola e ho visto…sì, insomma, io-»

Si fermò, senza fiato e con le mani sugli occhi. Voleva sprofondare. Ovvio che non era quello che pensava, Adrien non le avrebbe mai fatto la proposta così, ma ci aveva sperato e sognato tanto.

«Marinette» disse lui trattenendo le risa, «mio padre, ed io in particolare, vorremmo che tu modificassi il tuo cognome.»

Tolse le mani dagli occhi e disse la cosa più intelligente che le veniva in mente, «eh?»

Lui si chinò davanti a lei, si inginocchiò, e prese la scatolina di velluto e la aprì davanti a lei. Portò la mano al petto, sfiorò la sua collana in un gesto familiare.

Non abbassò mai lo sguardo, non lasciò mai quello di Adrien.

«Marinette Dupain-Chen, vuoi diventare Marinette Agreste?»

Era il sogno, una sensazione di euforia nel petto che le pesava così tanto che pensava che avrebbe schiacciato il suo cuore.

«Dici davvero?»

Lui annuì, gli occhi verdi lucidi.

«Certo che dice sul serio, avresti dovuto sentire tutte le sue lamentele!»

«Plagg!»

Ma i due portatori erano persi l’uno nell’altro e quando Marinette annuì con le lacrime agli occhi, nessuno ascoltava più le lamentele di Plagg.

«Milady, non sai quanto mi hai reso felice» esclamò il biondo sulle sue labbra, quelle labbra che sapevano di miele, solo ed esclusivamente sue. Ed ora lo sarebbero state per sempre.

Marinette gli sorrise, le mani tra i capelli biondi e gli occhi ridenti, «tu hai appena realizzato i miei sogni d’adolescente, chaton. Non potrei amarti di più. Sei tutta la mia vita, il mio respiro, il mio sogno.»

«Dovrei farla io la dichiarazione, mia signora.»

«Già, ma a quanto pare il tuo senso di romanticismo è portarmi delle scarpe.»

«Scusa?» esclamò offeso, «non sono delle semplici scarpe, sono delle scarpe killer perfette.»

«Ci credo, le ho disegnate io.»

«E hai preso ispirazione da un certo gatto?» chiese malizioso.

«Può darsi.»

Le loro mani non lasciarono mai la figura dell’altro, nemmeno quando Tikki venne ad abbracciarli, «sono così contenta per voi due.»

Plagg annuì, «ora dovremmo sopportare il dramma del matrimonio. Vi avviso, io voglio del camembert al ricevimento.»

Risero tutti mentre la ragazza gli accarezzava il capino nero, «non essere così drammatico.»

«Drammatico?! Lo dici perché non sei stata l’ultimo mese a sentire le lagne di questo qui!»

Marinette alzò un sopracciglio in direzione del suo fidanzato, «cosa intende dire?»

«Bè, diciamo che questo non era il piano originale. Tu e mio padre avreste dovuto realizzare il più bel paio di scarpe di tutta la maison, visto quanto tieni alle tue scarpe killer-»

«-tuo padre tiene a quelle scarpe, io ne farei a meno.»

«Fammi finire, coccinella cattiva. Dicevo? Ah sì, dopo che le scarpe sarebbero state pronte, saremmo dovuti andare a cena insieme. Io ti avrei lasciato le scarpe, un bel vestito e avrei organizzato una caccia al tesoro per Parigi finché non saresti arrivata in cima alla Torre Eiffel e lì avresti trovato me.»

Marinette sorrise compiaciuta, «sembrerebbe la proposta perfetta.»
Lui annuì, «ma appena ho saputo che le scarpe erano pronte, non ce l’ho fatta ad aspettare e sono venuto qui.»

Lei sorrise, «non sei mai stato bravo ad attendere, mon minou.»

«Vero. Per noi non ci saranno mai momenti perfetti o giuste occasioni. Io e te ci siamo innamorati sotto la pioggia battente per un ombrello. Siamo quelli che si sono allontanati e cercati per anni. Siamo quelli che si sono dichiarati in un ascensore costruito in una settimana.»

«Ti prego» disse sconsolata, «non ricordarmi la storia di quell’ascensore.»

Adrien rise, «quello che voglio dire, mia signora, che ogni giorno, ogni momento, è giusto per dirti che ti amo e che voglio passare il resto della vita con me.»

In contemporanea dai due kwami partì un: «che romantico»,  «che schifo.»

«Direi che sei bravo pure tu nelle dichiarazioni» concluse la ragazza sfiorando le sue labbra.

«In cosa non sono bravo?»

E si baciarono fino a che rimasero senza fiato e anche dopo. E si baciarono, si baciarono finché un colpo e una voce fastidiosamente alta li interruppe.

«Si possono vedere queste opere d’arte?»

Marinette buttò la testa indietro, «giuro, a volte non so se sia più fastidioso Paul o Plagg.»

«Ehi» disse offeso il kwami in questione.

«Plagg» rispose Adrien senza nessun dubbio. 

«Senti, moccioso, vogliamo vedere la prossima volta che devi salvare Parigi come-»

Fu la voce tranquilla di Tikki che interruppe il brontolone, «secondo me è colpa della lettera P.»

Il gattino agitò la coda indignato, «pure tu?!»

«C’è ancora qualcuno lassù?»

«Arriviamo Paul.»

Marinette guardò il suo fidanzato, «e ora chi glielo dice?»

«Tu.»

 

«Finalmente, pensavo che eravate morti. O impegnati in altre attività, ma in quel caso vi avrei sentito.»
«Paul» sussurrò divertita Sabine.

Gli occhi di Paul si spalancarono, «sei stata su, tutto quel tempo, e non hai indossato Le scarpe? Marinette!»

Davvero, odiava quando Paul tirava fuori la voce oltraggiata alta più di due ottave. Sarebbe diventata sorda prima del tempo.

«Già, ma ho un’altra cosa da mostrarti. Mostrarvi, a dire la verità.»

«E cosa? Hai sempre quel vestito da fatina del bosco.»

Lei guardò il suo vestito lilla in taffetà, «non insultare il mio abito.»

«Non l’ho insultato.»

Sabine posò la tazza di tè mentre si alzava dal divano, «tranquilla, Marinette, facci vedere.»

Le si imporporarono le guance mentre allungò la mano sinistra.

Un anello dalla sottile fascia argentata e con un diamante tondo circondato da altri piccoli diamanti splendeva come una scritta al neon in piena notte.

Tutta la stanza trattenne il respiro. Persino Paul.

«Cosa…»

«È quello che penso?»

«Io..» ma la voce di Marinette si fece meno, non voleva venire fuori.

«Sì» spezzò il silenzio Adrien, «le ho chiesto di diventare mia moglie.»

Fu dopo quelle parole che la stanza scoppiò nel caos con grida di gioia e salti per la stanza.

«Ce l’abbiamo fatta, Sabine, ce l’abbiamo fatta.»
«Ne ero sicura, Paul, oddio devo correre a dirlo a Tom.»

E mentre Sabine correva da suo marito, Paul non aveva pietà.

«Mon Dieu, fammi vedere» e strattonò la mano di Marinette che non cadde solo grazie alla presa di Adrien, «è successo. Sapevo che sarebbe successo, io e tua madre lo aspettavamo da settimane, anzi mesi. Ma guarda quanto brilla questo diamante, quanti carati sono? E come te lo ha chiesto, di grazia? Voglio sapere T U T T O.»

Marinette e Adrien si cercarono con lo sguardo. Sarebbe stata una giornata ancora più lunga.

 

Stavano scendendo dalla corvette di Adrien solo due ore più tardi. Erano stati bloccati dalle domande di Paul, dalla curiosità di Sabine e la gioia di Tom. E anche da qualche dolce per festeggiare, Adrien in particolare.

Tom li aveva mandati via con due vassoi di dolci così da festeggiare anche con Gabriel con la promessa che tra poco avrebbero festeggiato tutti insieme con una cena. Paul aveva già dato conferma della sue presenza.

«Ci aspetta l’interrogatorio anche da tuo padre?»

Adrien scherzò, «certo, è sempre così loquace.»

Nonostante la stanchezza rise, la scatola delle scarpe sotto il braccio e l’anello al dito che rimirava.

«Come sapevi che sarebbe stato quello giusto?»

Lo sguardo verde seguì quello azzurro e sorrise, «appena l’ho visto ho pensato ai pois della coccinella e del tuo costume. E ho deciso che quell’anello doveva essere tuo.»

La risata di Marinette riempì i giardini della vita, «ringraziamo le coccinelle.»

Poi la sua mano finì in quella di Adrien che le girò il palmo.

Sulla fascia argentata era incisa una A identica a quella della sua collana.

Il logo della maison.

La A di Agreste.

La A di Adrien.

La A di Amore.

Lo baciò d’impeto mentre barcollavano sulle scale.

«Adrien è perfetto.»

«Come te» rispose in totale adorazione, «e come me.»  Poi imboccò veloce l’atrio della villa.

Rise mentre lo raggiunse.

Su una poltrona, Gabriel aspettava entrambi.

«Ho già fatto iniziare i lavori nell’ala ovest così da rifare i vostri appartamenti e da avere un po’ di pace. E io non inciamperò in situazioni…imbarazzanti. Stanno anche già progettando il terrazzo.»

«Terrazzo?»
Adrien annuì, «io e mio padre abbiamo pensato che potremmo stare qui visto quanto posto c’è e abbiamo fatto fare dei lavori per creare un appartamento nell’ala ovest. Se a te va bene, ovviamente.»
Marinette annuì, per lei non c’era nessun problema. Gabriel era il suo capo, ma anche il padre di Adrien e sapeva quanto lui detestasse che suo padre rimanesse da solo ora che le cose tra loro andavano bene.

«Mi sfugge il perché vogliate fare il terrazzo se abbiamo a disposizione un giardino.»

«So quanto tu sei affezionata al tuo terrazzino.»

«Mancava una terrazza in Villa Agreste.»

Marinette incrociò le braccia portando la scatola di scarpe davanti al petto, «fatemi capire, questa scelta sarà tipo la costruzione dell’ascensore per la sfilata della maison?»

Adrien negò, ma Gabriel non ebbe esitazioni, «esatto.»

Marinette annuì sconsolata, gli Agreste avevano un problema. 

E lei tra poco sarebbe diventata un’Agreste.

«Quindi sarai mia nuora?»

Lei sorrise a Gabriel, «saremo legati per la vita.»

Gli occhi del suo capo brillarono, «bene.»

E mentre lei e Adrien percorrevano le scale della magione per andare nella loro stanza e festeggiare in pace, la voce autoritaria di Gabriel li raggiunse.

«Che fine hanno fatto le scarpe?»

L’urlo di frustrazione di Marinette scosse la villa, «si può sapere che avete tutti con queste scarpe?»



Angolo autrice
Ebbene, sono tornata! Complice l'aver concluso ora la quarta stagione, questi due mi sono tornati in mente e non si sa bene come, da un paio di scarpe killer - come direbbe Adrien - è venuta fuori una proposta di matrimonio. Mi scuso per gli eventuali errori, ma è stata scritta di getto :)
Come sempre vi ringrazio, anche solo per essere arrivati qui.
Un bacio,
Cassie
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni europei > Miraculous Ladybug / Vai alla pagina dell'autore: Picci_picci