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Autore: Louis Agreste    21/06/2022    0 recensioni
Felix è appena tornato a Londra, dopo aver fatto tappa a Parigi per ottenere il tanto agognato Miraculous del pavone. Pensa di poter finalmente tornare a casa e concentrarsi sulle fasi successive del suo piano, ma un fortuito incontro rimanderà i suoi impegni.
Genere: Slice of life, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Duusu, Felix Agreste, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Look before you Leap

Non appena aveva messo piede fuori dal treno, nella stazione di St Pancras, l’aria di Londra gli era parsa, per la prima volta, piacevole e respirabile. Forse si trattava di suggestione, per l’essere finalmente riuscito a liberarsi di un peso, che, in futuro, avrebbe potuto presentarsi come ostacolo insormontabile. Il suo tanto agognato riposo, rimandato per il suo bisogno di non avere nulla pronto a rovinargli le giornate all’improvviso, lo attendeva a casa, assieme a sua madre.
Una volta uscito dall’edificio, il suo sguardo venne inaspettatamente catturato da una piuma bianca, che aveva notato perché sembrava essere stata presa in contropiede dalla leggera brezza proveniente da fuori, e le aveva permesso di uscire assieme a lui. Non era una piuma bianca come altre, non gli sembrava affatto simile alle solite che gli capitava di vedere volare in giro, ma non riuscì comunque a trattenersi dallo starnutire.

«… Dannati volatili» riuscì a borbottare.

Diede le spalle alla penna, una volta recuperato il fazzoletto personale dal taschino. Ci si tamponò il naso e, una volta testato il riuscire nuovamente a respirare da questo, tirò fuori l’aria dalle narici e poi rimise a posto il fazzoletto ripiegato. Recuperò il cellulare dall’altra tasca e, selezionato il contatto dell’autista sull’app di messaggistica, scrisse velocemente di essere arrivato alla stazione e di starlo aspettando.

«Vediamo un po’ se si spaventa…» Disse, con un sorrisetto malizioso. Fece per rimettere il telefono a posto, ma un altro starnuto quasi glielo fece lanciare in aria: «… Prega la corona reale che tu non sia ancora dietro di me…» Proprio come da lui immaginato, quella strana piuma era tornata vicino a lui: «… Vieni un po’ qua.»

Rimesso in un batter d’occhio il cellulare a posto, afferrò la punta del calamo tra due dita e mantenne la mano distante. Si guardò attorno, in cerca di un cestino e, una volta trovato, ci si diresse con sempre il non ancora pennino da calligrafia ben lontano.

«Addio.»
«Fermo!»

L’esserino blu, che quasi l’aveva fatto sobbalzare, era sbucato fuori dal suo gilet e si era impuntato tra lui e la sua stessa mano.

«… Duusu, giusto?»
«Sì!»
«Mh… Finalmente ci rivediamo.» Pronunciò, prima di squadrarla bene e poi rivolgere l’occhio critico sulla piuma: «… Non ho idea di che cosa ti passi per la testa, ma sono io il tuo padrone. Nonostante sia tecnicamente tu la mia genitrice, non ho intenzione di darti il rispetto che tanto agogni.»
«… Eh?» Uscì alla kwami, che scosse la testa prima di tornare a guardarlo: «Non mi importa! Tu non puoi buttarla via!»
«È solo una piuma…»
«Da che pulpito, signorino!» Lo riprese violentemente lei, incrociando subito le zampette al vederlo indurire lo sguardo.

«Non parlarmi così. Io non sono-»
«E secondo te io vado a fare la sentimentale con ogni piuma che incontro?!» Sbottò inaspettatamente la kwami, sgranando gli occhi prima di tapparsi la bocca con entrambe le zampette.

Felix, in realtà, non aveva reagito in nessun modo a quel suo sfogo. Era rimasto a guardarla con la tipica faccia da poker, ancora di più dopo la sua ennesima uscita: lei era letteralmente il kwami dell’emozione, che avesse un’empatia maggiore rispetto a tutti gli altri kwami, paragonabile alla famosa sensibilità associata a chi era del segno del cancro dai credenti dello zodiaco, gli sembrava più che scontato.

«… Non guardarmi così!»
«E allora dimmi perché io dovrei fare il sentimentale con una piuma qualunque.»
«Questa non è una piuma qualunque!» Esclamò, prima di strappargliela di mano per poterla tenere tra le proprie zampette: «… Io mi ricordo di lei.»
«Ahhh… E io che speravo di poter tornare a casa e rilassarmi…» Buttò fuori il biondo, con un leggero accenno di fastidio.

Afferrò malamente la coda della kwami per farla allontanare da lì e, con lei nuovamente nascosta, si diresse verso i tre archi a tutto sesto, che parevano essere l’unico punto abbastanza nascosto, seppur permettesse l’ingresso a un ristorante e un hotel.

«… Quindi?» Domandò, prima di ritrovarsi Duusu davanti agli occhi e dopo essersi coperto il naso con il fazzoletto: «Cos’ha questa di speciale?»
«Lei è Ladybug…»

L’aria imperturbabile di Felix parve rompersi peggio di un specchio. Quella sì che era una rivelazione che mai si sarebbe aspettato.

«La ragazzina a pois è un sentimostro?»
«… Tralasciando il fatto che tu non sei tanto più grande di lei, no.»
«E allora cosa dici a fare “lei è Ladybug”?»
«Perché Nathalie l’ha chiamata così.»
«Nathalie ha creato un sentimostro con le sembianze e il nome di Ladybug? Se era suo intento ingannare quel micetto innamorato si è trattato di un piano quasi geniale…» Ragionò a voce alta, con l’altro indice sotto il mento.

Duusu chiaramente avrebbe voluto non avere più a che fare con soggetti simili, ma i suoi occhi erano fin troppo concentrati sulla piccola piuma per dare modo alla bocca di pronunciare quei pensieri.

«… Comunque ancora non comprendo perché tu non mi abbia permesso di buttarla.»
«Lei è ancora qui… Io non posso permetterti di abbandonarla come se fosse niente.»
«Non c’è nessun lei. Tu stai parlando di un rimasuglio di coscienza che è, miracolosamente, ancora in quella penna.»
«… Nathalie, seppur l’abbia trattata con il piedi, l’ha creata con tutta la forza di volontà e l’amore per Gabriel che in quel momento l’hanno portata a fare una scelta disperata come quella… Lei l’ha abbandonata.»
«E io ho intenzione di fare lo stesso. Quindi mollala qui.»
«No!» Negò con tutta forza la kwami, subito dopo essersi scansata, per evitare la mano che il ragazzo aveva silenziosamente proteso per sottrargliela: «… Non te lo permetto.»
«E io ti ordino di darmela, Duusu» pronunciò, prima di aprire la mano.

La kwami, sgranati gli occhi, non poté impuntarsi in alcun modo e tantomeno rifiutarsi. Obbedì, ma, per via del senso di colpa, tornò immediatamente a nascondersi tra il gilet e la camicia del giovane.
Lui, con ancora il fazzoletto sul naso, si soffermò su quella piuma: era molto piccola, per una persona qualunque sarebbe stato difficile addirittura riuscire ad afferrarla. Se lì, come gli aveva appena spiegato il kwami legato ad esse, c’era ancora qualcuno, anche solo un briciolo, sarebbe davvero riuscito a buttarla via? A differenza sua, da quanto gli era stato detto, era stata creata e abbandonata nel corso di pochissimo tempo. Si era rivelata completamente inutile quasi subito?
Un pensiero fugace gli attraversò la mente e allora si guardò diverse volte attorno, prima di tornare sulla piuma.

«… Duusu» si sarebbe sicuramente pentito di quella scelta unicamente dettata dal suo non essere un mostro «trasformami.»

La piccola divinità quantica si unì al gioiello, appuntato sotto la cravatta durante il tragitto e lui rimase immobile dietro la colonna. Per fare ciò che sarebbe stato una sorta di strattone alla leva tra i due binari tra i quali era indeciso, si rimise il fazzoletto in tasca, per coprire la penna con entrambe le mani e provare a fare ciò che gli aveva descritto – approssimativamente – Duusu.

«… Grazie Ladybug, ti aiuterò.»” Erano state le sue ultime parole.

Tutto il resto era passato con una velocità inaudita nella sua mente: il momento esatto in cui aveva aperto gli occhi e le era stata spiegata la sua unica funzione, poi il combattimento finto con Mayura, la presa in giro verso Chat Noir e infine il combattimento vero e proprio. Lei era davvero ancora lì.
Duusu aveva usato la psicologia inversa per farlo trasformare e quasi sbattergli in faccia la cosa in sé?… Decisamente no. Da quel poco che l’aveva conosciuta, non gli era comunque sembrata tanto sveglia da fare un ragionamento come quello.

«… Mi sono scavato la fossa la solo…» Pronunciò, prima di riaprire le mani e poter tornare a guardare la piuma: «… Non posso farlo.»

Riusciva tranquillamente a immaginare la kwami di fronte a sé, che se la rideva per l’aver avuto sempre ragione. Ma adesso cosa poteva fare? Conosceva la metodologia, non c’era dettaglio di cui non fosse a conoscenza ed era proprio questo il tasto dolente: era necessario un oggetto per dare forma a un sentimostro. Sentiva, dentro di sé, quasi il bisogno di ridarle la vita che nessuno le aveva concesso.

«… Prima eri legata a un portachiavi a forma di Tour Eiffel…» Ricordò ad alta voce, prima di assottigliare gli occhi: «… Forse riesco a fare qualco- Etciù!»

Annullò la trasformazione per mettere mano nella tracolla che si era portato dietro. Dentro, oltre al cambio di vestiti, il necessario per l’igiene e i documenti, c’era una tasca interna dove teneva questi ultimi. Alla zip che gli permetteva di aprirla, si trovava un portachiavi praticamente identico a quello che aveva visto nei ricordi di lei. Era pacchiano, non aveva nulla di speciale, ma si era comunque trattato di un regalo di sua madre e aveva deciso di tenerlo unicamente per quel motivo.

«… Wow, e poi sarei io la sentimentale.»
«Mia madre è mia madre. Pur di renderla felice io farei qualsiasi cosa.»
«E allora perché hai intenzione di legare la piuma a qualcosa che ti ricorda tua madre?» Domandò Duusu, serrando poi immediatamente la bocca al notare i suoi occhi sgranati fissi su di lei.

Quella, in realtà, era una domanda sensata. Perché mai aveva intenzione di legare quella dannata piuma a un regalo che significava così tanto per lui? Perché non legarla al fazzoletto con il quale si era unicamente tamponato il naso?
Nel mentre che si poneva mentalmente queste questioni, si premurò di staccare il portachiavi, per poterlo tenere comodamente in mano e poi… darlo a lei.

«… Secondo me vuoi solo che si senta a casa, in qualche modo.»
«La mia scelta è ugualmente ingiustificata…»
«Dal mio punto di vista, no. Si tratta comunque di qualcuno, a cui vuoi dare una seconda possibilità. Hai paura di stravolgerla, dopotutto non sei neanche tu quello che l’ha creata.»

Di nuovo, quel kwami se n’era uscito con delle affermazioni esatte.

«… Ma io posso davvero far tornare lei?»
«Come gli uomini restano attaccati alla vita, penso che anche le emozioni, se abbastanza forti, siano dure da lasciar morire.»
«… È vero.»

Decise, allora, di prendere un respiro profondo e chiedere nuovamente alla kwami di trasformarlo. Con la piuma in una mano e il portachiavi nell’altra, Felix chiuse la mano destra e tentò di infondere in essa le emozioni che ricordava bene di aver sentito provenire da lei. Riaprì gli occhi e allora la fece entrare in contatto con la piccola torre di metallo.
Dei movimenti, assieme a dei rumori affatto piacevoli da udire, parvero circondarlo prima che il sentimostro, dalle sembianze dell’eroina parigina, gli comparisse davanti.

«Ladybug?» La chiamò, dopo aver deglutito per l’improvviso bisogno di rinfrescarsi la gola: «… Rispondi, Ladybug.»
«… Tu non sei Mayura» pronunciò lei, subito dopo aver sbattuto le palpebre.

Un improvviso ed effimero sorriso incorniciò il viso di Felix. Lui, subito dopo, annullò la trasformazione e le consegnò il portachiavi.

«… Il mio nome è Felix.»
«Sei tu che-.» Lei aveva provato a rispondergli, ma il ragazzo le aveva malamente tappato la bocca con una mano.

«Non ringraziarmi e non dirmi nient’altro. Tu sei libera adesso e puoi fare quello che vuoi.»
«Oh, che bello rivederti!» Esclamò Duusu, costringendo, questa volta, Felix a coprirsi gli occhi con la mano che aveva appena allontanato da Sentibug.

«… Tu chi sei?»
«Mi chiamo Duusu! Sono il kwami dell’emozione, legato al miraculous del pavone!»
«Oh… Quindi sei tu che… mi hai creata?»
«In un certo senso, sì! Ed è così bello poterti parlare!»
«… Un momento, qui c’è un problema a cui, incredibilmente, non avevo pensato prima.»
«Che problema?» Domandarono le due all’unisono.

Duusu si era affezionato alla ragazza così in fretta da essersi seduta sulla sua spalla per permetterle di accarezzarle la testa. Felix, ancora più consapevole di essersi scavato, non una fossa, ma un burrone da solo, si passò la mano lungo il viso.

«… Tu sei Ladybug.»
«Sì… È un problema…?»
«… Non so se definirti ancora più insopportabile, ma comunque sì, è un problema.»
«… Perché?» Domandò ancora lei, come se non riuscisse veramente a collegare i puntini che, agli occhi di Felix, avevano già formato l’intera mappa astrologica.

«Ahhh… Non posso farti girare per Londra così. Potrebbero scambiarti per quella vera e allora sì che sarebbe un serio problema.»
«… Ma… se proprio ti crea problemi, perché non mi hai cambiata?» Domandò, vedendo chiaramente lo sguardo del ragazzo fissarsi a terra: «… Ho detto qualcosa di male?»
«Felix aveva paura che, una volta tornata, non saresti stata più tu.» Spiegò Duusu, rivolgendo un largo sorriso al ragazzo quando, di nuovo, si voltò a guardarla con gli occhi sgranati.

«Non posso comunque farti uscire così.»
«… Mi dispiace…» Finì per dire Sentibug, mentre stringeva il portachiavi tra le mani.

Felix, stranamente, negò con il capo. Probabilmente, se aveva le sembianze di Ladybug, possedeva anche i suoi poteri.

«… Riesci a nasconderti dagli occhi di tutti e seguire da lontano la macchina della mia famiglia? Poi fingerò di averti incontrata per strada e… Non lo so, ti accompagnerò da qualche parte.»
«… Non avresti potuto lasciarmi andare e basta…?»
«Io-… Ti confesso che era mia intenzione farlo. È stata Duusu a fermarmi…»
«Perché l’hai fatto…?» Domandò alla kwami, con un’espressione che mostrava il suo, già evidente, dispiacere.

«Non volevo perdessi la vita…»
«Ma la mia non è-.»
«Senti!» Esclamò Felix, che, in mezzo secondo, si era avvicinato a lei per afferrarle le braccia: «Sinceramente, tu meriti di vivere più di molte altre persone. Mio zio non se lo merita, dopo tutto quello che ha fatto. Tu sei stata creata, sei nata e nessuno deve mai più permettersi di portarti via il tuo diritto di vivere. Mi hai capito, sì o no?»

Sentibug, lì per lì, non riuscì a dare una risposta. Rispetto a Chat Noir, l’unico altro ragazzo con cui aveva scambiato due parole, Felix era molto più freddo, duro e riflessivo. Le aveva ridato la vita, glielo doveva e… per chissà quale motivo, aveva sentito il viso diventare leggermente più caldo per il modo in cui quei suoi occhi verdi erano fissi sui suoi.

«… Ehi, mi hai sentito?»
«S-Sì. Io devo… nascondermi e… seguire la macchina sulla quale salirai tu.»
«Sì, perfetto.»

Il cellulare del ragazzo vibrò nella tasca e lui allora si sporse dalla colonna per controllare la strada, sulla quale aveva appena parcheggiato proprio quell’auto. Si sistemò la cravatta e poi rivolse lo sguardo, serio, su Sentibug.

«… Resta nascosta.»
«Sì.»
«… Andiamo, Duusu.»
 
· · ·

L’autista aveva insistito sul chiedergli il perché avesse deciso di entrare in uno di quei negozi d’abbigliamento di seconda mano, ma lui, ovviamente, l’aveva minacciato di licenziarlo se avesse nuovamente posto domande simili. Questo, subito dopo avergli intimato di trovare un posto dove parcheggiare che non fosse così vicino a dove si doveva recare lui, ovviamente giostrandola sul dover mantenere alta l’aria della sua famiglia, che non poteva permettersi di essere riconosciuta in luoghi mondani come quello.
Aveva fatto un giro completo, con la figura intera della ragazza in mente, per essere sicuro di recuperare le cose necessarie da coprirle tutto il corpo, compresi i capelli e il viso. Si era anche disordinato i capelli per non essere riconosciuto e, considerate le precedenti prove, quel dettaglio così insignificante era più che sufficiente. Pagato l’importo, fin troppo alto, secondo lui, per delle robacce come quelle, raggiunse un vicoletto al lato del negozio e si preoccupò di sistemarsi immediatamente i capelli, con le mani e il piccolo pettine che teneva in tasca.

«… Ehi?» Aveva praticamente sussurrato. Al richiamo, la ragazza vestita di rosso era subito scesa dall’edificio e gli era atterrata di fronte, con anche il rischio di finirgli addosso per come aveva messo male il piede: «… Comprendo che tu non sia così fluida nei movimenti, ma devi fare veloce.»
«… Cosa devo fare?»
«Vestirti» le rispose, porgendole anche la busta con tutto il necessario.

Tra una coppola a quadri, degli occhiali da sole molto scuri, un lupetto, una gonna, dei guanti, delle calze e un paio di ballerine, lei aveva finito per storcere la bocca alla vista di tutto quel rosa. Aveva, però, indossato tutto senza battere ciglio e alla fine era anche rimasta a guardarsi.

«… Mh, penso possa bastare.»
«Dici?» Domandò lei, una volta alzati gli occhiali.

«Sì. Perché, tu non lo pensi?»
«No no, è… tutto molto carino, però-… No, fa niente.»
«Cosa? Dimmi, che c’è?»
«Questo colore… ecco… non mi piace così tanto.» Glielo aveva confessato con un sorrisetto bello tirato, che si era completamente rigirato per il modo in cui Felix si era coperto il viso con entrambe le mani: «No no no! Io non volevo offenderti!»
«Non sono offeso.» Ci tenne a precisare lui, con un lato della bocca storto: «Semplicemente, perdere tempo a lamentarsi per cosa si indossa, lo trovo inutile.»
«Oh, scusami…»

Lui, ormai sul punto di perdere definitivamente la pazienza, azzerò in un batter d’occhio la distanza tra di loro per afferrarle la mano e trascinarla fuori dal vicolo. Sentibug pensò di non aver reagito in alcun modo, ma il viso le si era colorato ancora di un rosso che ricordava perfettamente quello del costume.

«… Non hai un nome e io non ho intenzione di affibbiartene uno casuale, quindi fai finta di essere muta. Alle domande che ti farà il mio autista non rispondere.»
«Sì» sussurrò, con aggiunto un cenno del capo.

L’uomo aveva trovato posto sull’altro lato della strada e lei, che prima aveva tenuto gli occhi fissi sulla vettura, aveva finito per guardarsi attorno solo in quel momento. Il non trovarsi più a Parigi, più specificatamente in Francia, le sembrava quasi scontato, tutto lì appariva diverso, a cominciare dall’aria che si respirava. Il cielo grigio, in un certo senso, le trasmetteva un leggero senso di smarrimento, ma la prova concreta del non trovarsi in un posto totalmente sconosciuto da sola – la stretta di Felix – la rassicurava. Non aveva paura di lui, si sentiva al sicuro.

«S-Signorino Felix, mi perdoni, ma… chi sarebbe la-?»
«È una mia amica. L’ho incontrata per caso mentre tornavo qui da te.»
«Una vostra… amica, signorino?»
«Sì, Charles. Ti risulta così incredibile?» Domandò lui, abbastanza scocciato, non appena entrò nella macchina, subito seguito dalla ragazza.

«Co-Confesso, un po’, signorino…» Balbettò nuovamente l’autista, prima di inserire la prima e ritornare in carreggiata.

Il ragazzo, notato anche lo sguardo dell’uomo dallo specchietto, non roteò gli occhi e non sbuffò, ma mostrò il suo completo disappunto e fastidio con un'occhiata che avrebbe perforato persino un giubbotto antiproiettile.

«E co-come… vi siete conosciuti?»
- Quanto siete prevedibili… - Pensò, quando chiuse gli occhi per un attimo: «Scusami per non averti avvertito prima, Charles, ma la mia amica è muta.»
«O-Oh, veramente?» Sentibug, ricevuto il testimone, si rivolse verso lo specchietto retrovisore e annuì con il capo, prima di rivolgere all’autista un sorriso accennato.

«Chiedo scusa, mi perdoni, non era assolutamente mia intenzione quella di metterla a disagio…»
«Non preoccuparti, non è mica raro che la gente dia la normalità per scontata, quando non ci sono segni evidenti che guidino loro verso il contrario.» Commentò Felix, con un sorrisetto malizioso che si allargò al notare i brividi che percorsero la schiena dell’uomo.

Per tutte le altre domande dell’autista, Felix decise di prendere in mano la situazione e rispondere a quelle che necessitavano di una spiegazione più dettagliata, mentre per le altre, alle quali bastava un sì o un no, si premurò di farle segno, di fare uno o l’altro con la testa, con le dita. Il ragazzo aveva fatto bene a prendersi la responsabilità anche della seconda possibilità, proprio perché lei era stata creata con un certo compito, il capire e saper parlare inglese era qualcosa di assente nella sua “programmazione”.

«… Dobbiamo accompagnare la sua amica a casa, signorino Felix?»
«Veramente-.» Aveva fatto per negare e dirgli di accelerare per arrivare prima a casa, ma il suo occhio era stato attirato dalla reazione improvvisa di lei.

Si era avvicinata con uno scatto al finestrino, proprio quando loro avevano superato il British Museum.

«… Che succede?»
«Qualcosa non va lì dietro?»
«No, Charles, a lei… interessano i musei…»
«Oh, quindi è solita passare per il British Museum, signorina?»
«Bri…?» Aveva sussurrato lei, prima di tornare a guardare il ragazzo.

«… Bri, British Museum.» Disse lui, scandendo per bene le sillabe e aggiungendo il linguaggio dei segni per far credere a Charles che fosse suo intento quello di spiegarle come si scrivesse: «Comunque no, lei non ha ancora avuto la possibilità-»
«Bri?» Ripeté, inaspettatamente, anche l’autista, con lo sguardo aggrottato.

Sul momento i due sgranarono gli occhi e si scambiarono un’occhiata rapida, lei con una mano sulla bocca e l’altra che era tornata a stringere il portachiavi.

«Oh, lei si chiama Bridgette!» Esclamò poi, con un largo sorriso.

Felix, faticava a crederlo, ma si sentiva infastidito per come quell’omuncolo, nato con il solo scopo di far muovere un pezzo di metallo per strada, si era permesso di affibbiare a lei un nome come se si fosse trattato di una cosa qualunque.

«Davvero molto carino come nome, sa signorina Bridgette?»
«Lei non-!» Aveva fatto per affondare sul nascere quella che lui considerava un’illuminazione, ma gli occhi di lei, nascosti, come la maschera, dal punto di vista di Charles, a lui trasmisero un senso di tranquillità e pace, generato proprio da quel nome che le era arrivato alle orecchie per la prima volta.

«… Oh, mi perdoni, cosa stava dicendo signorino Felix?»
«Dicevo… che lei non ha ancora avuto l’occasione di visitare proprio quel museo. Però le interessa molto.»
«Era nei suoi piani visitarlo?» Domandò, ricevendo un cenno di assenso in ritardo come risposta: «… Beh, penso che a sua madre non dispiacerà se tardiamo un po’, soprattutto se si tratta di un impegno importante come l’accompagnare un’amica.»
«… Sì, certo.» Gli rispose Felix, con una smorfia che aveva cercato di nascondere nel miglior modo possibile.

Non appena lo vide abbastanza distratto da non badare più a loro, si avvicinò di più alla ragazza.

«… Cos’hai visto di tanto incredibile?»
«Oh, ecco… Semplicemente prima sembrava tutto più o meno uguale e poi… ho visto quella struttura così diversa…»
«… Mh. Va bene, tarderemo a casa, ma di poco. Facciamo un giro veramente veloce, perché forse ho già in mente quello che potrebbe interessarti.»
«Mh?»

Charles li lasciò scendere, perché impossibile trovare un posto in un luogo affollato come quello, e fu sul punto di fare la solita raccomandazione a Felix sul cellulare, ma il ragazzo l’aveva anticipato sul tempo, come sempre. Lui, con nuovamente una mano occupata a tenere quella della ragazza, proseguì con passo tranquillo verso l’ingresso del museo, che, per qualunque altro, sarebbe stato negato per la mancata prenotazione, ma era bastato il documento d’identità per far rabbrividire l’addetto e permettere loro di entrare.

«Ehehe…»

Quella lieve risata, proveniente da fin troppo vicino per non essere stata causata da quello che era appena successo, lo portò subito a rivolgersi alla ragazza al suo fianco.

«Cos’hai da ridere?»
«No, niente… È solo che alla gente tu fai proprio paura, ehehe!»
«E con ciò? Loro mi sono solamente d’intralcio…»
«Ahaha!»
«… Ti diverte davvero così tanto questa situazione?» Domandò con una faccia che sapeva proprio di piano malvagio in progettazione.

«Mi diverte il fatto che tu sei lo stesso a cui devo la vita.»
«… Quindi non hai paura di me?»
«Beh, tecnicamente sono già morta. Il peggio l’ho superato, giusto?»
«Non hai tutti i torti…» Le concesse, mostrando anche i denti quando lei alzò gli occhi e le spalle.

«Cos’è che volevi farmi vedere qui? Ce ne sono davvero tante di cose belle…»
«È nella stanza 62 o 63, “Morte egiziana e aldilà”.»
«… Adesso che lo dici tu non è più così divertente, però.»
«Eh, va be’… La supererò.»
«Ehehe!»

Tra vetrine che mostravano i corpi mummificati o contenevano manufatti, raffiguranti divinità degli antichi egizi, lei fu trascinata da Felix di fronte a un particolare papiro, nel quale era riuscita a distinguere più di una decina di figure, tra cui diverse con delle teste di animali.

«… Questo fa parte del libro dei morti Hufener, che contiene incantesimi per potenziare i morti attraverso gli inferi, ma qui la scena è molto più interessante.»
«Perché?»
«La vedi quella bilancia?» Disse, indicandogliela senza nemmeno sfiorare il vetro.

«… Sì.»
«Sul piatto a sinistra è posato il cuore del defunto, mentre sul piatto a destra una piuma, di struzzo.»
«… Oh. E come mai?»
«Si tratta di un rito. Attraverso questo si scopriva se la persona era cattiva o buona. Nel primo caso il cuore pesava più della piuma, nel secondo l’opposto. Adesso, sentirlo così su due piedi, sembra una cosa scontata, perché è risaputo che le piume pesano molto meno dei cuori.»
«… Sì, giusto…» Rispose lei, dandogli corda seppur, effettivamente, lei molte di quelle cose non le sapesse affatto.

«Però la sai una cosa, che non possono sapere tutti?»
«… Che cosa?»
«Tu sei nata da una piuma.» Le ricordò, con un sorriso che non gli aveva mai visto fare e, in un certo modo, l’aveva stranita: «La tua vita vale più del cuore di una persona orribile. Se a me fosse toccato scegliere tra la tua vita e quella di mio zio, avrei scelto la tua, senza ripensamenti.»

Aveva dell’orrido l’affermazione appena fatta dal ragazzo, ma l’aveva comunque colpita, abbastanza da farle sgranare gli occhi e colorare di nuovo le guance di rosso.

«Capisci cosa voglio dire?»
«… Sì.» Gli rispose, subito dopo aver deglutito: «… È anche… sorprendente il modo in cui tu ci abbia ripensato in un momento critico come quello…»
«Se si tratta di seguire i miei obiettivi, nessuno può anche solo sperare di mettermi i bastoni tra le ruote. Troverò sempre un modo per smontare i loro piani.» Le ricordò, con il ritrovato sorriso da pericolo pubblico, che la contagiò in maniera talmente immediata da stranirlo: «… Cosa c’è?»
«Nulla, nulla… Grazie per avermi portato qui.»
«È stata mia l’idea, ma sei stata tu la prima interessata. L’unico buco nell’acqua è stato Charles, che, contro ogni mia aspettativa, ha preso quella ripetizione come un soprannome.»
«… In realtà» era riuscita a catturare immediatamente il suo sguardo e dovette deglutire ancora per continuare «Bri-… Bridgette mi piace, come nome.»
«… Oh.» Scappò a lui, che arrossì quando lei storse la bocca per trattenere una risata: «Andiamo adesso, però. Stare in mezzo alla gente mi infastidisce…»
«D’accord
 
· · ·

«Oh! Quindi questa ragazza è un sentimostro creato da Nathalie che tu hai salvato?»
«Sì, madre.»
«Che bravo il mio bambino!» Esclamò la donna, facendo rabbrividire la ragazza, prima di abbracciare stretto il figlio e poi lasciargli un bacio sulla fronte una volta allontanatasi: «Corro di là a prepararvi una tazza di tè, che ne dite?»
«Sì, penso sia una buona idea.» Le diede corda il ragazzo, che cambiò espressione non appena la donna lasciò la stanza: «Va bene, togliamoci questo sassolino dalla scarpa.»

Lei, da seduta sul divano e occupata ad imboccare Duusu, si alzò il piedi e la kwami svolazzò in direzione del portatore, che spostò lo sguardo da lei alla corvina. Quest’ultima si era spogliata precedentemente per tornare davanti ai suoi occhi come Ladybug.

«… Visto e considerato il mio precedente consiglio in fatto di guardaroba, fallito, questa volta… farò come mi hai chiesto tu.»
«Quindi rimarrai con gli occhi chiusi?»
«… Pensavi che sarei rimasto a guardare?»
«Non lo so, se avessi saputo i tuoi gusti avrei aggiunto qualcosa, non credi?»
«Ahhh… Duusu, tu accompagnala in bagno non appena ti chiederò di ritrasformarmi.»
«Va bene!» Esclamò subito la kwami, prima di agitare rapidamente una zampetta verso la ragazza, che ricambiò.

Vedeva ancora il loro rapporto come fin troppo profondo per non essersi mai conosciute fino a quella mattina, ma lasciò perdere quel pensiero per evitare di distrarsi.

«… Duusu, trasformami.»
«Ci vediamo, Felix» gli disse, prima che lui protraesse le mani verso di lei e chiudesse gli occhi.

Nella propria mente, non comparve mai una vera e propria figura della ragazza. Si trattava di cose delicate e, soprattutto, private, quindi avere come unico pensiero quello di rimuovere il costume e alterare, solo un poco, le sue caratteristiche fisiche, era stata la decisione migliore.
Finita quella lunga operazione, ordinò a Duusu di annullare la trasformazione e, sempre con gli occhi chiusi, riuscì a tornare comodo sul divano senza inciampare nel tavolino da caffè.

«Andiamo, muoviti!»

Aveva chiesto a sua madre di portare lì alcuni capi d’abbigliamento che non le piacevano più e lei, come se li avesse tirati fuori dall’armadio quello stesso giorno, era tornata con tre pile di cose, che lui non aveva sbirciato nemmeno per sbaglio.

«Allora? Questo come ti sembra?»
«Mi piace! Anche il colore… Mi ricorda te, Duusu.»
«Davvero? Eppure mi sembra più chiaro del mio colorito…»
«È blu lo stesso, no?»
«Ehehe! Ok, lo prenderò come un complimento!»
«… Avete finito?» Domandò, visti gli infiniti minuti che erano sicuramente già trascorsi.

«Quasi!» Gli rispose proprio la kwami, prima di accomodarsi sulla sua spalla.

Felix prese un respiro profondo e poi buttò lentamente fuori l’aria. Probabilmente tutta quell’attesa avrebbe finito per spazientirlo, ma sperava che quella diceria sulla durata dei cambi femminili non valesse proprio per tutto il genere.

«… Ehi?»

Riaprì gli occhi solo in quel momento e, alzato appena lo sguardo, incrociò subito gli occhi di lei, che erano leggermente più chiari di quelli che ricordava. I suoi capelli erano rimasti di quel nero illuminato di blu, mentre il suo viso appariva leggermente più rotondo. Aveva scelto di indossare una polo bianca, sotto a una giacchetta grigia scura, e un paio di pantaloncini di colore azzurro con la parte finale apparentemente ripiegata. Come scarpe aveva scelto dei mocassini tendenti al marrone, dai quali riusciva a vedere sbucare appena dei calzini bianchi.
Lei, rivoltogli un largo sorriso, gli porse la mano destra.

«Piacere, Bridgette!»



Angolo autore:
Ho personalmente realizzato la copertina e l'illustrazione di questa oneshot, che vi è stato possibile vedere all'inizio.
Tutto questo è nato da una conversazione avuta con un mio amico, e la capacità ereditata da Marinette Dupain-Cheng in merito di film mentali ha fatto il resto.
Spero che, a voi che l'avete letta, sia piaciuta.

Sto dando sfogo alle ultime idee prima dell'inizio degli esami di stato, quindi non so quando tornerò a pubblicare.
In caso vogliate lasciarmi una recensione, anche negativa, io sarò contento di leggerle.

Alla prossima!
- Louis_

 
   
 
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