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Autore: ValePeach_    27/06/2022    1 recensioni
Inghilterra, 1826
Quando la sorella maggiore ed il marito decidono di partire per una stravagante quanto inaspettata luna di miele in Italia e di mandare la giovane Camille al nord per tenere compagnia ad un suocero che odia qualsiasi tipo di contatto con la società ed una zia bisbetica molto più affezionata ai suoi amati gatti che alle persone, con grande sconforto inizierà a pensare che la sua vita sia finita.
Stare lontana da Londra e dal ton è quanto di peggio le potesse capitare e tutto ciò che spera è di tornare presto alla normalità. Ancora non sa, però, che anche la tranquilla e monotona vita di campagna può riservare svolte inaspettate… e fra l’arrivo dell’insopportabile quanto affascinante John Mortain e l’accadimento di un omicidio che la vedrà inaspettatamente coinvolta, inizierà a pensare che, forse, una vita anonima non era poi tanto male.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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CAPITOLO 13

 
 
 


«Sai, sono convinto che Camille sarebbe una viscontessa perfetta.»
A John andò per traverso il pezzo di quaglia che stava masticando e iniziò a tossire indemoniato alla ricerca di aria. Ci mancava solo che con tutto quello che aveva affrontato morisse per un maledetto pezzo di carne… o per l’affermazione di suo padre, dipendeva dai punti di vista.
«Come la fai tragica» continuò Vincent imperterrito, come se non avesse appena assistito al quasi soffocamento del figlio. «Lo penso dal momento in cui sei tornato e, se proprio ci tieni a saperlo, ne sono sempre più sicuro ogni giorno che passa.»
«Come…» un colpo spasmodico di tosse. «Diavolo…» altri due colpi spasmodici di tosse. «Avete fatto…» un respiro profondo e finalmente sentì di nuovo l’aria fluire nei polmoni, seguito da un ulteriore colpo di tosse. «A mettervi in testa una cosa tanto ridicola?» concluse, bevendo un intero bicchiere d’acqua. Non era mai stato più vicino alla morte come in quel momento.
«Suvvia John, sarò pur vecchio ma fortunatamente non mi sono ancora rincretinito.»
Al diavolo, ma perché la cena non poteva continuare tesa e silenziosa come fino ad un minuto prima? Non bastavano i suoi pensieri al riguardo, ci si doveva mettere pure suo padre a rincarare la dose?
«È l’idea più assurda che io abbia mai sentito» affermò, continuando a sentire una strana sensazione alla gola.
«Io invece credo di no» insistette. «In fin dei conti ha tutte le qualità che una buona moglie dovrebbe avere ed in più non è forse una bellissima giovane donna? Sii sincero, non dirmi che non ti ha colpito almeno un po’… sebbene il tuo comportamento di oggi sia stato riprovevole, e per questo spero tu le faccia le tue scuse quanto prima o sarò costretto a trascinarti per un orecchio come quando eri bambino, non può averti lasciato indifferente. Montgomery mi riferisce tutto ciò che accade sotto il tetto di questo castello e so che avete passato parecchio tempo insieme.»
 «È vero» ammise John, ripensando alle loro chiacchierate nello studio. «Ma lasciatemi dire che non ci sono solo gli aspetti che avete elencato da considerare… e dovreste saperlo meglio di me, visto che, se ben ricordo, siete stato voi il primo a definirla una giovane piuttosto entusiasta
«Ma è naturale, vista l’età… diventerà più docile col tempo.»
John ne dubitava fortemente. Neanche fra un milione di anni Camille sarebbe diventata più accomodante e, qualora fosse successo, non glie lo avrebbe mai perdonato, perché avrebbe voluto dire che aveva cambiato il proprio carattere solo per compiacere qualcuno.
In un attimo rivide lei sorridente mentre passeggiava nei giardini a braccetto col signor Sterling. Lui che ad un certo punto si fermava, le prendeva le mani e avvicinandosi le portava alle labbra. Per poco non aveva rotto il bicchiere con dentro il brandy nel vedere quella scena melensa.
Sì, l’aveva spiata.
Non si era presentato nel salotto per ovvi motivi, non gli sembrava il caso di litigare con Camille davanti ad un ospite fondamentalmente sconosciuto, ma non aveva resistito all’impulso di osservare le mosse del signor Sterling dalla finestra. Pessima decisione ovviamente, ma d’altronde in quel periodo non ne azzeccava una, per cui una in più una in meno non faceva differenza.
«Dovresti parlarle» disse di nuovo suo padre. «Se non altro per risparmiarle di finire fra le mani di quell’uomo insignificante.»
«Pensavo vi piacesse» rispose lui, ignorando deliberatamente la prima frase. Per quello ci aveva già pensato Daniel a rintronarlo a sufficienza.
«Figuriamoci!» esclamò con veemenza. «Se avessi potuto, l’avrei cacciato non appena Montgomery è venuto a dirmi che mi chiedeva udienza. L’ho accolto perché purtroppo non posso esimermi dal ruolo di tutore, ma se fosse dipeso da me avrei evitato quell’incontro come la peggiore delle malattie» disse, sospirando malinconico. «Sai, speravo tanto non succedesse.»
«Che cosa?»
«Il corteggiamento. Secondo te perché l’anno scorso mi sono rifiutato di partecipare a quanti più eventi possibile? Mi sono comportato da perfetto egoista, lo so bene, ma così facendo avevo sperato di evitare l’inevitabile ancora per un po’… perché la verità è che vorrei che Camille restasse qui per sempre. Per questo avevo pensato che voi… insomma… oh, lasciamo perdere! Sono soltanto i vaneggiamenti di un vecchio diventato troppo sentimentale.»
John sentì il cuore stringersi nel sentire suo padre pronunciare quelle parole e il senso di colpa che in quelle settimane aveva iniziato ad assopirsi, tornò prepotente ad invadergli i sensi.
«Mi dispiace» disse di getto.
«Per cosa? Non è certo colpa tua se Camille ha dei corteggiatori.»
«Non intendevo per quello, ma per tutti questi anni in cui vi siete sentito abbandonato. Avrei voluto che le cose andassero diversamente… avrei potuto sforzarmi di più.»
«Non essere sciocco! Non rimpiango nulla di quanto è stato. Certo a volte non posso negare di essermi sentito solo, ma se tornassi indietro non c’è nulla che cambierei della mia vita… insomma, sto per diventare nonno e il figlio che credevo di non rivedere mai più è tornato. Cos’altro avrei potuto desiderare? Forse qualche anno ancora insieme a tua madre» disse sorridendo. «Caspita, sono diventato oltremodo sensibile… l’avresti mai detto?»
John trovò la forza per sorridere a sua volta, sebbene il groppo alla gola non se ne voleva andare.
«No… siete sempre stato severo ed imperscrutabile, come me d’altronde. Ed ora ci troviamo entrambi succubi di una giovane donna irriverente ed altezzosa» concluse, prima di mordersi la lingua. Suo padre infatti lo stava già guardando con occhi da volpe. «Non dite niente» lo implorò.
«Come preferisci, dopotutto sei un uomo adulto e in grado di capire da solo cosa è meglio per te… ma se non altro ti chiederei di fare comunque attenzione a quel signor Sterling. Non sappiamo davvero niente di lui e se fosse un cacciatore di dote? A Camille si spezzerebbe il cuore.»
«È una buona idea» disse, anche se in realtà aveva già pensato di scrivere al signor Yale per chiedere informazioni circa le reali condizioni economiche del signor Sterling e se fosse o meno coinvolto in un qualche scandalo di dubbio gusto dal momento in cui era arrivato a Lodgewood quel pomeriggio.
Si era detto che lo faceva per il bene di Camille e per evitarle inutili illusioni, ma la verità era che ci sperava proprio saltasse fuori qualcosa su di lui. Se lo sarebbe levato di torno senza dover muovere un solo dito.
Vigliacco gli urlò una voce.
Da quando si arrendeva a quelle flebili speranze? Dov’era finito il suo coraggio e il suo orgoglio? Ma soprattutto: aveva affrontato pericoli ben maggiori di una giovane donna impertinente.
Basta.
Al diavolo le conseguenze, al diavolo tutto. Daniel e suo padre avevano ragione: doveva parlare con Camille subito. Poco importava se poi lei lo avrebbe odiato, doveva dirle la verità.
Attese quindi con una certa agitazione che la cena si concludesse, dopodiché, dopo aver dato la buonanotte a suo padre, si diresse a passo di marcia davanti alle sue stanze. Il visconte le aveva permesso di sistemarsi negli appartamenti padronali, che comprendevano oltre alla camera da letto anche un piccolo salottino, uno spogliatoio e la stanza da bagno.
Al primo bussare della porta non ci fu risposta. Tentò di nuovo, ma ancora niente. Era impossibile che stesse già dormendo, non erano nemmeno le nove… decise di fare un altro tentativo, bussando più forte.
«Entra pure Jane, ho quasi finito» disse a quel punto Camille, anche se la sua voce gli giunse particolarmente lontana.
«Camille, sono io.»
Silenzio.
«Vorrei parlarvi.»
Ancora silenzio.
«Per favore, aprite» aggiunse.
«Non posso.»
Naturale… non si aspettava certo gli rendesse le cose facili.
«Capisco la vostra collera, davvero, ma ho bisogno di parlarvi. Posso entrare?» chiese, mentre aveva già la mano sulla maniglia.
«No!» urlò lei.
«Camille…»
«Sono nella vasca!»
Ah.
Maledizione.
Ci mancava solo quella come immagine. Lei nuda nella vasca da bagno.
Deglutì a vuoto, la sensazione che i calzoni fossero diventati improvvisamente stretti, mentre la sua mano non ne voleva sapere di schiodarsi dalla maniglia. E se avesse aperto lo stesso, cosa sarebbe successo? La risposta era più che ovvia e non ci sarebbe stato posto per eventuali dilemmi.
Si schiarì la gola, fattasi improvvisamente secca. Si impose anche di fare un passo indietro e di lasciare quella dannata maniglia.
«Vi… vi aspetto nel salotto, se vorrete… ehm…» stava davvero per usare la parola venire? «Devo parlarvi» concluse, girando sui tacchi e allontanandosi da quella porta il più in fretta possibile. Non attese nemmeno che lei gli rispondesse, perché se fosse rimasto lì davanti ancora per un altro istante avrebbe perso del tutto il controllo.
Una volta arrivato nel salotto si piazzò davanti al mobile dei liquori, si versò un abbondante bicchiere di brandy e pregò che l’alcool lo aiutasse a calmarsi. Purtroppo per lui il diversivo funzionò per un minuto scarso, perché quando si mise seduto sul divano a fissare le fiamme del camino, il pensiero di Camille nella vasca da bagno tornò prepotente e lui si ritrovò agonizzante.
Aveva perso la testa, non c’erano altre parole per descrivere il suo stato emotivo. E non appena lei si presentò nella stanza, a quel punto avrebbe preferito non lo facesse, l’impulso di prenderla fra le braccia, baciarla, stenderla sul divano e saggiare ogni millimetro della sua pelle gli fece quasi male.
Se soltanto fosse riuscito a distogliere lo sguardo, a non fissarla come un lupo affamato di fronte ad un appetitoso agnello… Dio, era bellissima. Indossava una vestaglia verde scuro, saggiamente ben chiusa sul davanti, sebbene non ci avrebbe messo che un istante a sciogliere il nodo che la teneva legata e rivelare così i suoi tesori nascosti, e delle pantofole dello stesso colore. I capelli erano ancora umidi e legati in una treccia che tratteneva a stento i boccoli più corti, mentre le guance erano rosse come ciliegie. John non seppe dire se per via del bagno appena fatto oppure perché consapevole del suo sguardo, ma probabilmente non aveva idea di quanto fosse desiderabile. Perché nonostante avesse corrotto una cameriera per farsi dire cosa succedeva in un talamo nuziale, non sapeva un bel niente di come funzionava veramente fra un uomo e una donna. Non si sarebbe presentata così, altrimenti… o non si sarebbe avvicinata fino a sederglisi di fianco.
Il profumo del sapone di agrumi e lavanda era intenso. John respirò a pieni polmoni, tentando di reprimere ogni suo più basso istinto. Lo sapeva almeno che quanto succedeva in un letto matrimoniale, poteva accadere anche lì e in quel preciso istante? 
«Dunque, cosa volevate dirmi di tanto urgente?» domandò furiosa.
John si riscosse come da un sogno. La guardò negli occhi e se i suoi erano pieni di desiderio, quelli di Camille invece erano pieni di rabbia. E per fortuna, aggiunse, perché se vi avesse scorto qualsiasi altro sentimento l’avrebbe baciata su due piedi.
«Volevo parlarvi» fece, cercando di riprendere il controllo di sé e della situazione.
«Questo l’avete già detto. Quattro volte» e incrociò le braccia al petto.
«Sì, ecco… volevo chiedervi scusa… per… per tutto.»  
«Apprezzo lo sforzo, ma se pensate che basti vi sbagliate di grosso.»
«No, infatti… per questo avevo bisogno di parlarvi, per dirvi…» si bloccò, mentre il cuore iniziava a battere più forte. Aveva creduto sarebbe stato molto più semplice, ma così non era. Fece un respiro profondo e forse Camille percepì la sua difficoltà, perché riportò le mani in grembo, assumendo una posizione meno sostenuta.
«John?»
Lui non osò alzare gli occhi su di lei, preferendo fissare il fuoco del camino.
«Quello che sto per dirvi… io… non so davvero da dove iniziare» ammise, passandosi una mano fra i capelli. «Si tratta di una verità scomoda che avrei preferito non rivelarvi, ma dopo quanto successo oggi non posso più tenervela nascosta… e se non altro, indipendentemente da quello che penserete di me alla fine, almeno non ci saranno più segreti.»
«Così mi spaventate.»
«Mi dispiace. Non vorrei, dico sul serio, ma non posso permettere che il mio passato rovini… rovini la nostra amicizia» se poi di amicizia era lecito parlare. Camille ad ogni modo rimase in silenzio, così John poté prendere un ulteriore respiro prima di aprir bocca. «Vi ricordate il pomeriggio a Windermere, quando vi raccontai del motivo che mi spinse lontano da casa per tanti anni?»
«Sì, certo che me lo ricordo.»
«Bè, sappiate che c’è dell’altro.»
«Dell’altro?»
«Dopo che andai via da Londra, praticamente distrutto, feci credere a tutti di essere andato in Jamaica… e ci rimasi, questo è vero, ma solo per pochi mesi.»
«Voi… cosa?»
«Stavo vivendo un inferno. I ricordi della guerra e delle sue conseguenze mi lasciavano a malapena dormire la notte… persi un caro amico nella battaglia di Waterloo: Henry Stantford. Non faceva parte della cerchia della buona società, era il figlio di un maniscalco, ma nonostante quello diventammo inseparabili. Combattemmo sotto Wellington per tre lunghi anni, fino a quel maledetto giorno. Sapevamo che quella battaglia sarebbe stata decisiva, ne avevamo il sentore da giorni, ma nessuno si aspettava che durasse tanto e soprattutto che portasse con sé orrori del genere… lo sapete in quanti morirono?» lei fece segno di no con la testa. «Quasi cinquantamila, Camille, riuscite ad immaginarlo? Fu un massacro: bombe di cannone che esplodevano ovunque, urla, spari, nitriti di cavalli impazziti… e poi una di quelle bombe esplose sopra di un carro vicino a noi. Sarei morto, se non fosse stato per Henry… non ha esitato un secondo: si è gettato sopra di me, facendomi da scudo. Le schegge di legno mi colpirono solo la gamba, da qui la mia ferita. Henry invece morì fra le mie braccia, dopo avermi fatto promettere che sarei andato avanti, che avrei dimenticato e che sarei tornato ad amare come prima… come potete immaginare, non ci riuscii: non mantenni la promessa.»
«John…» provò a dire Camille, ma lui non le diede la possibilità di parlare oltre. Se lo avesse fatto, non avrebbe più trovato il coraggio di continuare.
«Così scappai in Jamaica. Stupidamente pensavo che la dura vita delle piantagioni mi avrebbe aiutato a dimenticare, ma i ricordi erano troppo forti e la solitudine non aiutava di certo lo scopo. Fu per un caso fortuito che incontrai un uomo, tale Robert Porter, durante l’unica festa a cui partecipai: si fingeva un ricco mecenate in cerca di nuove prospettive, ma in realtà indagava su quei possidenti che ancora praticavano la schiavitù e che erano immischiati nel traffico di essere umani. Fu lui a propormi di aiutarlo, vide in me un potenziale, e così da quel momento entrai a far parte dei servizi segreti britannici. Girare di Paese in Paese come diplomatico mi sembrò un’opzione migliore che marcire in una piantagione e lasciare che gli anni della mia vita scorressero senza aver fatto niente di buono. In cuor mio avevo pensato che così facendo avrei anche in parte adempiuto alla promessa fatta ad Henry.»
«Mi state dicendo che… che per tutti questi anni in cui zio Vincent e Jamie vi hanno creduto in Jamaica, voi… voi…»
«Ero una spia» disse John al suo posto. Camille sgranò gli occhi incredula. «Tornai in Inghilterra insieme al signor Porter e lì conobbi il mio partner: Daniel Cooper.»
«Il vostro valletto?»
«Il mio migliore amico.»
«Ma, allora, dove siete stato?»
«A Torino per i primi due anni, poi in India per altri tre ed infine in Russia negli ultimi cinque. Poi mi hanno congedato per colpa della gamba… purtroppo la ferita che riportai era grave e in questi anni è sempre peggiorata. Secondo loro non sarei più riuscito ad adempiere al mio compito in maniera sicura, per cui onde evitare di trovarsi un visconte sul groppone, hanno deciso di farmi rientrare in Inghilterra.»
«E siete tornato.»
«Sì. Pensavo sarebbe stato semplice: Jamie era lontano in luna di miele e mio padre sarebbe stato così felice di riavermi a Lodgewood da sorvolato qualsiasi interrogativo sul mio passato… invece ho trovato voi, piena di curiosità ed imperterrita nel farmi domande.»
«Non potete farmene una colpa. Chiunque al posto mio lo avrebbe fatto.»
«Non lo so, può darsi, ma comunque mi avete messo non poco in difficoltà… oggi soprattutto.»
«Perché?»
«Perché non è stata la polizia a convocarmi, bensì un mio vecchio superiore. Vogliono che indaghi sull’omicidio della duchessa. Capite bene che non potevo portarvi con me, avreste scoperto tutto, ma eravate talmente insistente che ho dovuto trovare quella drastica soluzione per farvi smettere.»
«Cioè state dicendo che le parole che mi avete rivolto questa mattina…»
«Non le pensavo davvero. Erano l’unico modo per farvi desistere dal venire con me… mi dispiace, se potessi rimediare lo farei all’istante.»
«Lo avete fatto per allontanarmi?»
«Sì, Camille, e vi chiedo perdono.»
«Quindi non mi odiate?»
«Ma certo che non vi odio, io…» si bloccò, perché all’improvviso a Camille sfuggì un singhiozzo, mentre i suoi occhi iniziavano a riempirsi di lacrime. «Camille!» esclamò John, prendendo una sua mano e stringendola fra le sue. Lei però in un attimo scoppiò a piangere in maniera molto poco signorile. Svelto tirò fuori il fazzoletto dal taschino della giacca e glie lo porse. Lei lo prese e lo fissò stupita, poi in preda ai singhiozzi glie lo rilanciò dritto sul naso.
«Non lo voglio il vostro dannato fazzoletto!» inveì furiosa.
«Vi prego…»
«Siete orribile!»
«Lo so, ma…» non riuscì a proferire parola, perché lei lo interruppe ancora una volta.
«Io avevo pensato… io credevo… io… che voi…» farfugliò, in preda al pianto.
«Camille, vi prego, calmatevi.»
«No! È tutta colpa vostra… mi avete fatto credere di odiarmi! Avete idea di come mi sono sentita?»
«Sono mortificato, davvero… non so che altro fare più che chiedervi scusa» e le riporse il fazzoletto, che questa volta accettò. Fece due respiri profondi e finalmente i singhiozzi diminuirono, fino poi ad arrestarsi del tutto.
Seguirono attimi di silenzio. Camille si torturava le mani nervosa, mentre John avrebbe solamente voluto stringerla a sé. Decise allora di riprenderle la mano e con suo enorme stupore e sconcerto, lei poggiò l’altra sulla sua.
Si guardarono e poi Camille fece qualcosa che non si aspettava, non in quel momento e non dopo tutto quello che le aveva rivelato: gli sorrise. John deglutì a vuoto, mentre con la mano saliva lungo il braccio, le accarezzava la spalla per poi fermarsi sul collo. La vena le pulsava all’impazzata e con una certa soddisfazione la vide arrossire. Le sistemò una ciocca ribelle dietro l’orecchio, poi con il pollice raccolse una lacrima rimasta incastrata nell’angolo dell’occhio.
Si avvicinò. Non molto, ma quel tanto che bastava per sentire il respiro di Camille farsi più rapido.
L’avrebbe fatto, l’avrebbe baciata, non fosse che all’improvviso udì dei passi avvicinarsi al salotto. Veloce si alzò, non badando allo sguardo interrogativo di lei, mettendosi davanti al camino. Un attimo dopo irruppe nella stanza il signor Montgomery e John ringraziò mentalmente i suoi sensi sviluppati, perché se li avesse sorpresi un attimo prima le conseguenze sarebbero state oltremodo drammatiche.
«Milord, signorina… perdonatemi, non pensavo di trovarvi qui» disse lui imbarazzato, non potendo comunque fare a meno di squadrare entrambi da capo a piedi.
«Non preoccupatevi, Montgomery» fece John sbrigativo. «La signorina Grey ed io stavamo semplicemente chiarendo le nostre posizioni.»
«Ma certo, milord… posso farvi portare qualcosa?»
«Non ce n’è bisogno, la signorina stava per andarsene.»
«Molto bene… per qualsiasi cosa, suonate il campanello» concluse, prima di lasciare la stanza.
«Non me ne andrò affatto» proruppe invece Camille, non appena non si udirono più i passi del maggiordomo nel corridoio.
Figuriamoci. Sarebbe stata la fine del mondo se gli avesse dato ascolto.
«Lo immaginavo.»
«Sono a dir poco sconvolta.»
«Mi sorprenderebbe se non lo foste.»
«E sappiate che non vi ho ancora perdonato.»
«Lo accetto.»
«Questa storia poi dell’agente segreto… se lo sapesse zio Vincent, ne soffrirebbe moltissimo.»
«Per questo non c’è bisogno che vi chieda di non dirglielo.»
«Ovvio che non glie lo dirò, per chi mi avete presa?»
«Avete ragione.»
Di nuovo scese il silenzio. John tornò a fissare le fiamme del camino, mentre Camille sospirò triste.
«Mi dispiace per tutto quello che avete passato» disse in un sussurro. «Mi dispiace per il vostro amico e per tutto il dolore che avete provato e che provate tutt’ora… non avrei mai voluto essere invadente. Se avessi saputo cosa vi lasciavate alle spalle, sarei stata più discreta.»
«Lo so e non dovete dispiacervi, ormai è passato tanto tempo… anche se temo che il senso di colpa mi perseguiterà per il resto dei miei giorni. A volte penso che sarebbe stato meglio se fosse successo il contrario: se mi fossi sacrificato io, anziché Henry, avrei risparmiato anni di sofferenze sia a me stesso che alla mia famiglia.»
«Non ditelo neanche per scherzo!» esclamò risoluta. «Certo le vostre scelte possono essere di sicuro messe in discussione, ma che diritto abbiamo noi di giudicarle? Né Jamie né vostro padre hanno idea di cosa avete passato, io men che meno, dunque posso solo supporre che se avete agito in quel modo era perché sentivate di non avere altra scelta… non tutti reagiscono allo stesso modo di fronte al dolore. Io, per esempio, quando i miei genitori morirono non versai una sola lacrima… al contrario, mi chiusi in me stessa e in un rigoroso mutismo. Ricominciai a parlare solo due anni più tardi.»
John rimase profondamente colpito da quelle parole. Aveva scordato che anche Camille aveva avuto la sua buona dose di sofferenza.
«Se non fosse stato per Heather, il suo amore e la sua pazienza, non so come sarei stata a quest’ora… per cui vedete? Nessuno ha diritto di giudicare le scelte altrui: io ho ricominciato a parlare e voi siete tornato, per me solo questo ha importanza.»
«Forse avete ragione, ma non è semplice.»
«Affatto, anzi: è molto difficile… basta fare un passo alla volta, ne sono sicura» e gli sorrise di nuovo, per poi alzarsi e avvicinarsi a lui. Gli mise una mano sul braccio, stringendolo, e la sua mano ancora una volta andò a posarsi sulla sua. «Non serve a niente ancorarsi al passato: la vita in fondo può offrire tante cose belle, bisogna solo avere il coraggio di vederle.»
Non poté fare a meno di concordare con lei. E lui era fortunato, perché quella cosa bella ce l’aveva di fronte. Sperò che potesse diventare così anche per Camille.
«Ora siete voi quella saggia» disse, dopo un attimo di silenzio. 
«Non siatene così sorpreso.»
John rise. «No, non lo sono… e vi ringrazio.»
«Per cosa?»
«Per non essere scappata via.»
«Non lo avrei mai fatto… e poi ora che mi avete detto la verità, almeno mi permetterete di aiutarvi.»
«Non posso, Camille.»
«Per quale motivo? Ora non dovete più temere di dirmi bugie.»
«Perché è pericoloso… stiamo parlando di un omicidio e di un assassino in libertà. Cosa succederebbe se si sentisse alle strette e vi facesse del male?»
«Sarò discreta, lo prometto» lo implorò lei, stringendogli maggiormente il braccio. «Vi prego, vi prego non mettetemi da parte. E poi avete bisogno di me. In fondo chi altri meglio di me è in grado di muoversi nei salotti e di conversare amabilmente, ascoltando quanti più pettegolezzi possibile?»
Aveva ragione. Maledizione, sarebbe stata una complice perfetta. Doveva però tener conto di tutte le variabili.
«Avete scordato la parte in cui vi ho detto che è pericoloso?» chiese appunto.
«Ci sareste voi, mi fido e so che non correrei alcun pericolo.»
«Camille…»
«Per favore.»
John sospirò. «Non mi darete pace, vero?»
«Diventerò il vostro peggiore incubo.»
«E va bene» disse alla fine, esasperato. Era possibile provare una simile attrazione per una donna che lo avrebbe mandato al manicomio? Era sicuro di no. E vedendo Camille già pronta ad esplodere dalla gioia, si sentì comunque in dovere di smorzare quell’entusiasmo sul nascere. «Ad una condizione.»
«Quale?»
«Che mi darete ascolto.»
«Va bene.»
«Dico sul serio, Camille, perché non è uno scherzo. Se vi dico di fare qualcosa, voi la farete… e se mi renderò conto che le cose stanno diventando pericolose, non esiterò a lasciarvi fuori.»
«Siete davvero spietato, ma d’accordo: farò tutto quello che vorrete. Ma anche voi però mi dovete promettere che non mi nascondere nulla» disse, allungando una mano. «Andata?»
John la strinse. «Andata.»
A quel punto Camille, presa dall’euforia, gli si gettò addosso. Gli strinse le braccia intorno al collo, mormorando una serie infinita di “grazie”. John non li sentì. Percepì solamente la morbidezza e il calore del suo corpo contro il suo. Evidentemente se ne rese conto anche lei, perché si allontanò spaventata, rischiando anche di inciampare nell’orlo della vestaglia e di cadere all’indietro.  
«Io…» sussurrò, mentre le sue guance diventavano di nuovo rosse. «È meglio che vada» disse, facendo dietrofront e rischiando di andare a scontrarsi con il signor Montgomery.
John lo guardò preoccupato. Da quanto tempo era lì? Ma soprattutto: aveva deciso di tendergli delle trappole? Oppure era suo padre che gli aveva ordinato di spiarli?
«Perdonatemi di nuovo» fece lui apparentemente ignaro di tutto. «Ma c’è la signorina Simmons che chiede di vedervi.»
«Phoebe?» domandò Camille. «È qui?»
«Sì, signorina… è arrivata poco fa e sembra parecchio sconvolta.»
«Santo cielo, portatemi da lei» esclamò.
«Non ce n’è bisogno» e così dicendo si fece da parte, lasciando entrare una signorina Simmons pallida come un fantasma.
Ora era proprio curioso di sapere cosa fosse successo.




 
   
 
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