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Autore: shana8998    29/06/2022    0 recensioni
Appena arrivato, in soli dieci minuti, era riuscito a fare retromarcia contro la mia cassetta delle lettere, a disseminare per il mio giardino immacolato gli incarti del fast food di cui straripava la sua auto, e per finire si era svuotato la vescica sul grosso tronco della vecchia quercia che si trovava sul prato di fronte, indirizzandomi un sorriso pigro e una scrollata di spalle, non appena si accorse di me, scandalizzata, sull'uscio di casa.
Quel ragazzo era un barbaro.
Nei quattro mesi successivi, aveva trasformato la mia vita da cartolina in un inferno. Non riuscivo a spiegarmi come potesse, un ragazzo da solo, avere un impatto tale sulla mia felicità, eppure lui ce l'aveva.
Genere: Erotico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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6.



 

La palestra della facoltà era piena. Avevo appena finito di montare le luci strobo, allestire gli stendardi, controllare che sui tavoli ci fosse tutto l’occorrente e maledire Haly per quello scherzo di merda, quando, dal piccolo palco allestito dalla Jekins, un tipo incravattato inaugurò l’inizio di quella maledetta serata.

La musica si propagò per la palestra e miriadi di teste invasero la “pista”.

Per un buon quarto d’ora restai fermo davanti alla serie di tavoli imbanditi, ponderando cosa potessi mandare giù e, rendendomi conto che di alcolico non c’era praticamente nulla, decisi di riempirmi un bicchiere con della limonata - sperando che quel liquido giallognolo fosse realmente limone.

«Oh mio Dio, lo amo!», piagnucolò a voce alta una ragazza, Cindy o qualcosa del genere. Dopo venti minuti fermi come due ebeti a sentir piangere e parlare solo lei, incominciavo ad agitarmi.

Mi guardai attorno nervosamente e sospirai di sollievo quando vidi un gruppetto di ragazzine raggiungerci circondando lei.

«E’ proprio uno stronzo!», disse una di loro.

«Non dire così! Io lo amo!», pianse Cindy.

«Oh lo so, ma tu meriti di meglio». Storsi un labbro quasi disgustato. Quindi avrei passato tutta la sera ad ascoltare storie di cuori infranti?

Comunque, stava andando tutto bene. Con l’arrivo delle consolatrici, potevo tornare a supervisionare quel branco di teeneger con gli ormoni in subbuglio che ascoltava pessima musica.

Avrei volentieri ucciso Halanie.

Feci per allontanarmi dal gruppetto, quando, mi sentii chiamare.

«Signor Green, come può farmi questo?», esclamò la stessa Cindy, implorante.

Rimasi con un piede a mezz’aria e mi guardai - per la seconda volta - attorno.

Magari lì accanto c’era un altro signor Green che non vedeva l’ora di occuparsi della questione. Ma non credevo di essere così fortunato.

Mi schiarii la voce «Farti cosa, esattamente?»

Cindy mi rifilò un’occhiata carica di sarcasmo, con due occhi increduli dai quali dedussi che dovevo essere messo - per forza - al corrente di tutto quello che stava accadendo nella sua vita.

Considerando che non avevo mai prestato attenzione alla vita di una donna, Cindy era destinata ad un risveglio a dir poco brusco.

Grazie al cielo, una delle sue amiche ebbe pietà di me.

«Marc Grisword. Nelle ultime due settimane hanno mangiato allo stesso tavolo per ben due volte! Durante l’ora di studio individuale le ha parlato per tutto il tempo ed ora, è qui con quella.», finì con una smorfia talmente disgustata che non potei far a meno di seguirne lo sguardo.

Vidi Marc che ballava con una moretta molto carina. Il suo nome lo ricordavo: Lucia. Era una ragazza sveglia e terribilmente simpatica. Se la memoria non mi ingannava, Marc era stato cotto di lei durante l’ultimo anno. Quel povero ragazzo, che normalmente era sicuro di sé e rilassato, quando c’era lei si trasformava in un idiota balbettante. Mi ero chiesto spesso quando avrebbe trovato il coraggio di chiederle d’uscire e…be’ quella sera l’aveva trovato.

«Uhm, buon per lui», borbottai suscitando uno sguardo collettivo d’offesa.

«Come può dire questo?», pianse Cindy ancora più forte. Mi sentii rimpicciolire.

Oh, si. Decisamente, avrei ucciso Haly per quella situazione.

«Emh…Giusto. Allora, mettiamola così…Lui non ti merita.», farfugliai, cercando di consolarla. Speravo anche in un suo attimo di distrazione così da potermela dare a gambe, effettivamente.

Cindy sorrise sollevata.

I suoi occhi carichi di qualche emozione che, oltre a non aver individuato, mi spaventava persino un po’, si allargarono a dismisura.

«Detto da un uomo fa un altro effetto», cinguettò e poi, come un rapace, intercettò il mio braccio attorniandolo con entrambe le sue.

Deglutii.

«Perché non mi fa da cavaliere, signor Green», disse sbattendo le ciglia.

Ebbi un brivido e non fu piacevole.

«Emh, ecco…», maledetta Haly «Sono il supervisore, non mi è permesso, mi dispiace.»

Cindy mimò un profondo e calcato broncio, ciononostante, continuò a spalmare le sue tette contro il mio gomito.

«O-Ok, diamoci una calmata.», recuperai il mio arto strappandoglielo dalle grinfie. «Sono certo che troverai qualcuno che sarà ben disposto a farti da cavaliere.» Dissi e con una serie di brevi passi mi dileguai verso il centro della pista.




 

«Sono stato molto bene.» Avevo veramente un appuntamento, l’ultimo sulla mia agenda degli appuntamenti lampo che falliranno. Dopo Jonathan non ci sarebbe stato nessun altro.

Mi costrinsi a sorridere e ovviamente mentii. «Anche io.», dissi, sperando che lui non mi chiedesse di specificare che cosa mi fosse piaciuto, perché sarebbe stata davvero un’impresa ardua trovare qualcosa di piacevole in quella serata, se escludevo il fatto che stava per finire.

Era davvero l’ultima volta che uscivo con qualcuno suggeritomi da Sam o da Gretha. In questo caso da Sam, perché Gretha non mi rivolgeva la parola.

Anche se, in fin dei conti, non era stato tanto male all’inizio. Lui era stato puntuale e l’avevo trovato abbastanza carino, anche se un po nerd. Era alto e un po’ allampanato, ma tutto sommato non male.

Indossava abiti puliti e aveva un buon profumo. Il primo sentore che c’era qualcosa che non andasse l’avevo avuto al ristorante.

Era stato allora che la madre lo aveva chiamato la prima volta. Si, la prima volta, perché le chiamate erano state più di una. Per l’esattezza, nelle 4 ore d’appuntamento - che era durato così tanto perché lui ci aveva messo un’eternità a mangiare - lei aveva chiamato in totale sei volte. Ero sicurissima che fosse la madre, perché lui aveva risposto rimanendo sempre seduto a tavola, e l’interlocutore dall’altra parte del telefono parlava decisamente forte.

Il motivo delle telefonate passava da: dirgli che le mancava, sapere se preferiva tornare a casa e mangiare quello che aveva cucinato lei, ricordargli che avrebbe dovuto riordinare la sua stanza e, quello che personalmente preferiva, sapere se era ancora con lei.

A giudicare dal tono e dal numero di chiamate, la mamma non era molto felice che il suo bimbo era uscito con me.

Peccato che il bimbo in questione avesse trent’anni e, per sua stessa ammissione, non aveva mai vissuto da solo.

E perché mai avrebbe dovuto se viveva con la sua migliore amica e amante? Ovvero la sua cara mamma.

Certo, aveva passato un bel po’ di tempo a lamentarsi di quanto ingiusta fosse sua madre. Chi avrebbe immaginato che un trentenne potesse essere messo in castigo perché non aveva raccolto i calzini sporchi dal pavimento? Io no di sicuro.

Non vedevo l’ora di tornare a casa, infilarmi una tuta e squagliarmi sul mio divano davanti ad un buon libro.

Era tutto ciò che desideravo quella sera, null’altro.

No, forse qualcos’altro c’era.

Dovevo chiedere scusa ad Aron. Lo avevo lasciato in balia della Jekins e dei mocciosi che frequentavano l’altra ala dell'istituto: sicuramente era furioso.

Per questo, la grossa fetta di torta al cioccolato con copertura di arachidi nel contenitore che avevo tra le mani.

Da come aveva divorato i miei muffin, ad Aron dovevano piacere particolarmente le cose dolci e perciò, poteva essere comprato con il cibo.

«Bene, eccoci qui», dissi allegramente mentre Jonathan accostava nel mio vialetto di casa. «Mi sono divertita. Grazie mille.», salutai veloce aprendo lo sportello e scendendo dall’auto.

Tutto ciò che volevo fare era correre mille miglia dalla sua auto e da quel momento imbarazzante.

«E’ davvero una casa carina.», disse lui. Sobbalzai: la sua voce proveniva da qualche parte vicino alle mie spalle, troppo vicino.

Mi voltai e trattenni a stento l’imprecazione che stava per sfuggirmi dalle labbra. Mi stava seguendo verso l’ingresso.

Volevo piangere. Davvero. Quando sarebbe finito quell’incubo?

Camminai fino alla porta e mi appiccicai un altro sorriso finto sulla faccia. «Be’, grazie di nuovo.»

«Prego.». Mi rivolse un sorriso timido e poi…si chinò per baciarmi.

Grazie al cielo me ne accorsi in tempo, e girai la faccia per ricevere un bacio umidiccio sulla guancia. Dio.

Quasi non riuscivo a trattenermi dalla voglia di asciugarmi la faccia.

Cancellerai questo ricordo sotto una bella doccia calda, promisi a me stessa con una smorfia.

«Ops, scusa.», mormorò chinandosi per darmi un altro bacio.

Seguendo il più arcano degli istinti - quello di sopravvivenza - mi schiacciai contro la porta, pronta, forse nemmeno troppo, ad andare incontro al mio terribile destino. 

Jonathan si avvicinò. Vicino. Sempre più vicino.

No, non potevo arrendermi così, non avrei sopportato un’altra sbavata.

Aprii la porta più veloce che potei e tirai un passo indietro sperando che l’ingresso della villetta mi risucchiasse come in uno di quegli horror che avevo visto da piccola.

Ovviamente non accadde.

«Be’, sono stata bene ma…»

«Posso entrare per un caffè?», chiese ansioso. E poi ovviamente aggiunse «Stasera posso fare tardi quanto voglio.» Oh, sapevo che stava mentendo. Si sarebbe beccato una bella lavata di capo da mammina.

Stavo aprendo bocca per rifiutare cordialmente, quando la faccia annoiata di Aron apparve alle spalle di Jonathan.

«Sei tornata, finalmente», sbadigliò.

Indossava ancora la giacca nera e la camicia bianca, e non lo sto facendo notare perché era scioccante vederlo così bello in quei panni, ma perché mi ero resa conto che probabilmente la festa della Jekins si era protratta fino a quel momento.

Feci un salto.

«Che cos-», non feci in tempo a chiedere nulla. Aron tirò da dietro le spalle, la mano che da un po’ teneva nascosta. In pugno, quelle che avevano tutta l’aria di essere un paio di manette.

Jonathan sgranò gli occhi. Guardò me, totalmente confuso, e poi Aron in maniera molto meno amichevole.

«Pensavo fossimo d’accordo che mi avresti avvisato prima di invitare qualcun altro nel nostro letto», disse lanciando una rapida occhiata a cuore di mamma.

«Be’ sei fortunato», lo sorpassò snobbandolo leggermente «c’è lubrificante in abbondanza.». Una volta che fu ad un passo da me si voltò nella direzione del giovane allampanato e mimando un occhiolino proseguì dicendo «Spero che tu non sia il tipo di ragazzo che urla quando io…»

«Voi siete malati!», gridò Jonathan interrompendolo prima che potesse finire la frase.

«E tu», poi si rivolse solo a me, «sta lontana da me, non provare nemmeno a cercarmi!»

Sbigottita mi resi conto solo qualche secondo dopo della porta che sbatteva alle sue spalle e dell’auto che ripartiva a tutto gas, secondi a seguire.

«Quello è per me?», domandò Aron con un insolito sorrisetto sornione stampato in faccia, indicando il contenitore tra le mie dita. A quel punto gli avrei dovuto gridare qualcosa tipo “che diavolo ti è saltato in testa” o “perché lo hai fatto”, ma tutto ciò che mi uscì fu un «Forse.» e un sorrisetto inebetito. 

Aron mi girò intorno come un predatore pronto ad attaccare.

«Questa volta, perché ti sei intromesso?»

Abbandonò le manette sulla consolle accanto alla porta d’ingresso e con uno slancio provò ad intercettare il contenitore che, prontamente, sollevai oltre la mia testa.

Ridacchiai.

«Dovevo vendicarmi.» Allungò di colpo una mano, ma ancora una volta riuscii a non fargli afferrare il contenitore.

«E quelle?», indicai le manette.

Curvò le labbra all’insù, rifilandomi l’occhiata più maliziosa che avessi mai visto sul suo viso. D’un tratto temevo di sapere cosa se ne facesse di quelle manette.

«Un regalino della mia ex.»

Spalancai le palpebre e un’espressione sbigottita, ma  anche carica di sarcasmo, si piazzò sul mio viso.

«Davvero?»

Aggrottò la fronte «No. E’ un regalino delle tue dannate matricole. Tu non sai cosa ho dovuto sopportare questa sera.»

Di colpo, potevo immaginare Aron ringhiare come un cane, il ché mi divertiva da matti.

Infatti risi, cosa che lo fece imbestialire.

Scattò verso di me, lasciando che dalla mia gola si liberasse un gridolino: sapevo che non avrei potuto proteggere il pezzo di torta ancora a lungo.

«Dammi quella torta!», protestò. Mi ritrovai con le spalle contro la parete: il viso di Aron ad un palmo dal naso, e le sue mani attorno ai miei polsi. Li stringevano delicatamente, eppure, avevo l’impressione che in quel punto esatto la mia pelle stesse prendendo fuoco.

Trattenni il fiato.

Incredibilmente, non avevo la più pallida idea del perché mi sentissi così…strana.

«Ok, ok. Tienila.»

Sogghignò vittorioso.

«Grazie.».

Tornai a respirare solo quando si impossessò del contenitore e ci guardò dentro.

«E’...»

«Glassa al burro d’arachidi e cioccolato, si.», terminai al suo posto.

«Sei fantastica.» mormorò quasi a bassa voce.

«Come dici?»

«Dicevo alla torta.», mentì.

«Si…certo…», ammiccai un sorrisetto, poi lo superai e mi diressi in cucina.

«Ti prendo un cu-», stava già addentando la torta afferrandola con le mani. «Come non detto. Un tovagliolo.»

 

Qualcosa aveva spinto Aron a restare appollaiato sul mio divano anche dopo aver trangugiato il pezzo di torta.

La tv era accesa su un canale che, sicuramente, non avevo scelto io e lui se ne stava lì svaccato, con le braccia lungo la testata azzurra, in silenzio.

«Hai intenzione di restare per molto?», gli chiesi riemergendo dalla cucina, con due di tazze di the tra le mani. 

«Finché non avrò abbastanza sonno da decidere di tornare a casa mia.»

E sicuramente con quella bomba ipercalorica e stra-carica di zuccheri il sonno gli sarebbe arrivato l’indomani.

Sospirai rifilandogli un’occhiata rassegnata.

«Ecco, tieni.» Aron afferrò la tazza di the e dopo qualche istante fece un sorso.

Mi accomodai accanto a lui.

«Allora? Com’è andata la serata?»

«Non chiamarla serata, piuttosto, chiamala nottata infernale.»

Risi.

Lui aggrottò la fronte «Guarda che non ti ho ancora perdonata.»

Risi di più.

«Che c’è? Tu puoi accanirti su di me per un anno intero ed io non posso farti uno scherzetto?»

«Chiamalo scherzetto! Sai cosa vuol dire passare la serata a controllare un branco di adolescenti in balia dei loro ormoni?»

Annuii «L’ho fatto per due anni, so cosa significa.»

«Be’ io no. E giuro che la prossima volta, se mi fai uno scherzo del genere…», stava per aggiungere qualcos'altro, quando il suo telefono squillò.

Aron si infilò la mano in tasca e guardò il nome sul display.

Quasi mi venne voglia di chiedergli se fosse Gretha ma quando rispose dicendo «Ehi, amico…», una parte di me sembrò sollevata.

Si alzò dal divano e raggiunse il corridoio lasciandomi sola.

Una parte di me ancora cercava di realizzare il motivo per cui lui fosse a casa mia, dopo quello che era successo fra noi, dopo Gretha e le innumerevoli volte che ci eravamo dati fastidio.

Era come se, di colpo, si fosse riscoperto curioso di cosa potesse nascere fra noi comportandosi da…amico.

Perché non c’erano dubbi, Aron voleva solamente essere mio amico, anzi, voleva solo avere un passatempo da torturare quando si sentiva annoiato. Ecco la verità.

«Era Mitch», disse tornando verso il divano, come se a me dovesse interessare qualcosa di chi lo chiamava, «Dice che non riesce a contattare Piper e Gretha da ieri sera.»

«Oggi erano a lezione, magari sono usciti per una delle loro serate folli.» Ponderai con attenzione le espressioni sul viso di Aron, ma non lessi fastidio dopo la mia affermazione.

«Sicuramente.»

«Si faranno vivi…», conclusi affondando la schiena contro la morbidezza del divano e poggiando le dita dei piedi sul bordo del tavolino di vetro davanti a me.

Mantenni gli occhi puntati sulla tv anche mentre Aron tornava a sedersi.

Il noioso programma sulle armi da fuoco venne sostituito con un film di qualche anno prima, uno di quelli leggeri che si guardano i fine settimana di pioggia. Per fortuna, almeno mi sarei potuta concentrare su altro che non fosse la presenza di Aron ad una spanna da me.

Specie, perché ora si era disteso dall’altro capo del divano e il suo ginocchio aveva urtato la mia coscia restandoci appiccicato.

Mi sentivo proprio una stupida: che diavolo mi prendeva? Perché ero così tesa?

«Perché sei qui?».

«Mh?»

Lo scrutai. Ero certa di avere un’aria imbarazzata che poche volte al mondo mi capitava di assumere.

Fatti coraggio Haly «Perché sei qui?», dissi di nuovo.

Aron fece spallucce «Non ho niente di meglio da fare.»

Arroganza. Di nuovo.

Non dovevo stupirmi, era Aron in fondo.

«Be’ io potrei avere di meglio da fare.», commentai acidamente.

«Cosa? Uscire con un altro pagliaccio?»

A quell’affermazione la mia testa schizzò nella sua direzione.

«Jonathan non era un pagliaccio! Era solo…»

Mi rifilò un’occhiata eloquente «Un pagliaccio. E lo sai anche tu.»

Odiavo quando aveva ragione.

«Ok, non era un principe azzurro, ma almeno è stato gentile con me ed educato…»

Storse un labbro, lo sguardo rivolto alla tv «Abbiamo idee differenti di gentilezza ed educazione e sicuramente di come flirtare con qualcuno.»

«Oh, questo è poco ma sicuro.», brontolai.

«Che c’è, vuoi che me ne vada? Ti ho rovinato la serata con quel tipo?»

Mimai una smorfia «Mi piacerebbe ammettere che sia così.» - ma non è così. Senza di lui, forse a quell’ora mi sarei trovata in un bel pasticcio.

«Allora ammetti che il mio aiuto è stato provvidenziale», il suo tono di voce si era affievolito, ora sorrideva persino un po’.

Alzai gli occhi al cielo «Ok, mi sei stato d’aiuto.»

«Lo sapevo.», proferì vittorioso.

Restammo in silenzio nei minuti successivi, intanto, la protagonista del film si era appena mollata con il suo ragazzo ed ora la vedevo piangere davanti a una coppa enorme di gelato. Che scena patetica, sembrava quasi me.

«Ti fa male la schiena?», la voce di Aron mi fece trasecolare impercettibilmente.

«Mh?»

«Te la stai massaggiando.»

Effettivamente, avevo un fianco indolenzito. Sicuramente stare rannicchiata in quell'angolino di divano doveva essere parte della causa.

«Un po’ ma non…» - che stava facendo!?

Aron sollevò la schiena e mi afferrò per le spalle nello stesso modo in cui si afferra qualcosa di estremamente leggero. Mi sentii sollevare come un sacco di patate, nessuno dei miei muscoli era riuscito a flettersi opponendosi, e in men che non si dica, mi ero ritrovata con la schiena premuta contro il suo petto.

La testa contro la sua clavicola, il profumo da uomo incastrato nelle mie narici.

Il cuore mi schizzò in gola.

«Meglio?»

Che dovevo rispondere? Si, così da restare sopra di lui? O no, così da liberarmi da quella situazione?

Qualsiasi cosa stesse pensando di fare Aron, aveva tutta l’aria di una forma di resa.

Stava a dire “tregua”: basta litigi e dispetti.

Forse sbagliai, ma mi accomodai meglio contro di lui. Voltandomi, ora, avevo il viso contro il suo petto e lo sguardo rivolto verso la tv.

«Adesso va meglio.»

Aron lasciò che mi accoccolassi sul suo addome, prima di richiudere le braccia attorno a me.

Potevo sfiorare con le dita le pulsazioni del suo cuore che, a differenza del mio, erano placide, tranquille.

Assurdo! Tutto quello che stava succedendo…mi piaceva.

Anche se mi sentivo agitata, se avevo il cuore in gola e lo stomaco serrato; stare così, in pace, con lui, mi piaceva.

«Ti ha pagato la cena?»

Sollevai lo sguardo oltre la mia fronte.

«No.»

Ridacchiò «Un pagliaccio con la P maiuscola.»

Che nervi!

«Dacci un taglio!» gli pizzicai un pezzetto di pelle sotto la camicia, cosa che lo fece contorcere per un istante.

«Dico sul serio,», proferì cercando di fermarmi i polsi «come fai? Come riesci ad attirare così tanti casi umani?»

Spalancai le palpebre. Ora volevo fargli male sul serio.

«Tipo te?»

Ridacchiò. Avevamo appena ingaggiato una lotta senza neanche accorgercene.

«Amore, io sono il migliore.», strizzò l’occhio.

«Egocentrico.», dissi mimando una smorfia che si attirò l’ennesima risata divertita da lui.

«Sei così presuntuoso.»

«E ti piacerei se non fosse così?».

Mi si mozzò il fiato.

«Com- Cos- A me tu non piaci! Ti sopporto appena.»

Se avesse nominato il bagno e quella notte al Club, giuro, lo avrei cacciato. Ma non lo fece, sarebbe stato veramente indelicato, altrimenti.

Aron si sollevò ancor prima che potessi accorgermene.

Mi ritrovai in ginocchio, di fronte a lui, gli occhi nei suoi.

Di colpo, ebbi l’impressione che si stesse domandando: “Perché?”.



 

Perché? Perché non riuscivo a capire? Maledizione!

Possibile che Halanie riuscisse a mandarmi in confusione, così?

Non ero attratto da lei, almeno non come credevo.

Mi dava sui nervi il fatto che mi avesse sempre snobbato, per questo le davo il tormento. Ma non provavo attrazione per lei. Almeno era quanto continuavo a ripetermi da giorni.

Perché era assurdo che, dopo quella notte al club, non me la fossi riuscita a togliere dalla testa.

Avevo visto altre ragazze dopo.

E nonostante avessi scopato abbastanza da poter dire che quel bacio non era stato nemmeno un granché, ancora ci stavo pensando.

Quella sera potevo essere ovunque, in un bar, ad una festa migliore di quella della Jekins, sotto le coperte con qualcuna; e invece avevo deciso di passare il resto della notte con Haly. E lo avrei fatto, ovviamente.

Dovevo capire, a tutti i costi, cosa mi stesse passando per la testa.

Era il suo modo di essere che mi portava ad avere atteggiamenti del genere verso di lei?

Forse, non era tanto strano sentirmi in dovere di proteggerla. Lei era quel genere di ragazza capace di essere spezzata anche solo con un’occhiata di troppo. Era così fragile delle volte, che quasi avevo l’impressione di poterla rompere anche solo sfiorandola. E delle altre, invece, era così forte da diventare persino sexy. E mi costava caro ammettere che l’avevo trovata attraente in quelle circostanze. Haly non era il mio tipo: non era brutta, sia chiaro. Tutt’altro. Ma, ecco, se dovevo vedermi assieme a qualcuna, quest’ultima non aveva nulla di Halanie.

Purtroppo, però, quel pensiero si contrapponeva a quanto, invece, mi stava suggerendo da giorni la testa…e non solo.

E ora che l’avevo ad un palmo dal muso, continuavo a cercare cosa, in lei, mi attirasse così tanto.

Haly storse la testa da un lato, forse se ne era accorta. La mia incertezza, i miei dubbi; non era una stupida.

«Sei più buffa del solito.» Dissi, impedendo al resto del mio corpo di fare qualcosa di veramente sciocco, che l’avrebbe fatta scappare chilometri da me.

Aggrottò la fronte «Lo devo prendere come un complimento?»

Feci spallucce.

E se avessi seguito i miei istinti, invece?

Difficilmente riuscivo a non essere egoista: se avevo voglia di qualcosa, me la prendevo.

Magari avrei scoperto che Halanie mi piaceva sul serio, oppure, che volevo solo scoparla.

D’un tratto, mi domandai come fosse averla nuda sotto di me e lo stomaco si strinse. 

Non riuscivo a distogliere lo sguardo dal suo viso e Haly non stava facendo nulla perché questo accadesse, il ché non aiutava. Affatto.

Era rimasta in ginocchio, i gomiti stretti contro il seno e i polsi ancora fra le mie mani.

Non sapevo esattamente dove guardare. Se il suo viso, che di colpo mi sembrava più accaldato del solito, il suo seno stretto fra i gomiti o le sue gambe scoperte.

Se solo ne avessi avuto il coraggio, forse a quell’ora le sarei saltato addosso.

Ma non ero così temerario, specie di fronte a qualcosa a cui non sapevo dare un perché.

Haly, ad un certo punto, ritirò le braccia e poggiò i palmi delle mani sul divano, in procinto delle sue ginocchia.

Adesso era persino peggio.

Il vestito a fiori che indossava non aveva una profonda scollatura, ma le aderiva così tanto che ad un certo punto, messa in quel modo, i bottoncini allacciati proprio sopra il seno sembravano pronti a schizzarle via delle cuciture.

Deglutii. Lo faceva apposta? O era solamente della sana ingenuità?

«Va tutto bene?», domandò curiosa.

«Emh, si. Non dovrebbe?»

No. No che non andava tutto bene. Ero in preda agli ormoni manco fossi stato un quindicenne. Assurdo! Mai successo.

Una parte di me avrebbe - veramente - voluto rovinare tutto.

Volevo saltarle addosso e fare cose assolutamente poco pudiche.

Ma l’altra, quella più razionale, invece, disse «Che ne pensi di amici?»

«Amici?», domandò incredula.

«Si, amici. Abbassiamo l’ascia di guerra e proviamo a tollerarci.»

L’espressione di Haly in quel momento era un pastrocchio di pensieri ed emozioni che non mi era dato conoscere.

«Perché vorresti essere mio amico…?»

A quel punto non mentii «Perché sto bene con te.» e i suoi occhi divennero enormi.

«Davvero?», non ci credeva nemmeno lei.

Annuii.

«Davvero.»

«Amici.», disse di nuovo.

«Si, se per te va bene.»

Strinse le labbra. «Non so a cosa possa portarci, ma si, perché no. Amici.» Si sollevò dal divano. Ovviamente, non feci nulla per non guardarle l’orlo della gonna svolazzarle quasi a pari di chiappe.

Amici. Certo, come no…

   
 
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