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Autore: _Zaelit_    03/07/2022    0 recensioni
È trascorso qualche mese dal termine della lotta per la libertà dei guerrieri originati dal Progetto Jenova e Progetto Yoshua.
Sephiroth è partito in cerca della sua redenzione, mentre Rainiel vive con Zack ed Aerith nel Settore 5. Un altro nemico, però, intende portare avanti la guerra che loro credevano terminata. Quando un vecchio amico porterà discordia nelle vite dei due ex-SOLDIER, quando un angelo dalle piume nere tornerà a cercare il dono della dea, Rainiel e Sephiroth, e tutti i loro compagni, dovranno ancora una volta confrontarsi con un male più pericoloso del precedente e che, come se non bastasse, sembra conoscerli molto bene.
Libertà, amore, pace: tutto rischia di essere spazzato via ancor prima di poter essere ottenuto... e il Dono degli Dèi è più vicino a loro di quanto pensino.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genesis Rhapsodos, Nuovo personaggio, Sephiroth, Zack Fair
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Crisis Core, Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Heiress of Yoshua'
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Capitolo 35
VITTIME E PECCATORI
 
Quella notte, per Rainiel, Midgar aveva il doppio degli edifici e dei settori, le sue luci erano sfuocate e accecanti, i suoi suoni sibilanti per quanto lontani.
Nel sangue della ragazza scorreva qualcosa che, in quei duri minuti, lottò come un folle contro il siero che le era stato iniettato. Un calmante, una droga, un sonnifero? Non aveva idea di cosa le corresse in corpo, ma quel che di Yoshua era in lei era più forte, tanto che iniziò pian piano a riprendersi.
Non l'avesse mai fatto, il senso di vertigine peggiore della sua vita s'impossessò di lei non appena si vide fluttuare sulla grande piattaforma, a metri e metri dal suolo. Con la vista ancora opaca e le orecchie che le fischiavano, si aggrappò a ciò che più trovò vicino: una giacca scarlatta dal lungo colletto.
«Non muoverti troppo o potrei valutare l'idea di lasciarti cadere.» schioccò la lingua Genesis, che la reggeva fra le braccia da chissà quanto tempo. Ma il suo non era un abbraccio protettivo, quello che ci si sarebbe aspettato da un mentore o un amico, era semplicemente costretto a trascinarla fino alla meta che gli era stata imposta.
Rain avrebbe rimesso la cena, se non fosse stata cosciente del fatto che a quel punto lui l'avrebbe davvero fatta piombare a tutta velocità sull'autostrada del quinto settore sotto di loro. Allentò la presa sforzandosi di non iniziare a scalciare o dimenarsi. Fare perdere l'equilibrio al suo rapitore sarebbe stato un suicidio. Allo stesso tempo, però, non aveva intenzione di starsene buona mentre veniva portata in quelle condizioni chissà dove.
Strinse le labbra, come se fossero aride. Sentì la gola secca. «Dove... dove stiamo andando?» chiese, forse un po' ingenuamente.
«Alla Torre Shinra, ovviamente. Credevi che ti avrei portata a vedere una messa in scena di Loveless?»
Il sarcasmo di Genesis non fu apprezzato, specialmente in quel momento. Rainiel stava pian piano ritrovando le proprie facoltà e sapeva che, se aveva intenzione di ribellarsi, doveva farlo al più presto.
Dondolò la testa, estremamente pesante. «Fammi scendere. Io... non posso tornare lì.»
«Non è un ritorno piacevole neanche per me, credimi.»
«Allora fermati.» replicò, la voce che quasi veniva sovrastata dal rumore del battito agile dell'ala del SOLDIER, «Devo tornare dagli altri. Narcisse ha...»
«Gli altri, gli altri...» Genesis emise un verso disgustato, ma qualcosa in lui si smosse. Quella ragazza era così dannatamente generosa che un po' gli ricordava Angeal. E quella non era la nottata ideale per piangere la scomparsa di un amico deluso. «Perché non inizi a preoccuparti un po' per te stessa? Non ti aspetta nulla di buono alla Shinra.»
«Lo so. Per favore.» Rainiel strinse gli occhi e batté le palpebre, respirando piano. «Genesis, devi fermarti. Perché lo stai facendo?» Provò a tirare la sua giacca, ma il suo gesto fu tremendamente debole, ogni movimento lento e invano. «Qualsiasi sia il motivo, noi... noi possiamo aiutarti. Possiamo sistemare le cose. Sephiroth...»
A Genesis importava poco del fine di quella frase. Bastò sentire quel nome, quel maledetto nome che prima o poi lo avrebbe fatto impazzire. Lo tormentava notte e giorno.
Si udì il lamento strozzato di Rain mentre il giovane uomo si lanciava in picchiata a caduta libera. La ragazza sentì di precipitare nel vuoto e suo malgrado saldò la presa su di lui, sentendosi inerme.
Planarono sul tetto di un grattacielo del settore che stavano sorvolando fino a poco prima. Era un edificio insulso in confronto alla Torre Shinra, ma non per questo poteva essere considerato mediocre. Contava almeno una trentina di piani e, molti metri più in basso, le luci dei semafori e dei lampioni illuminavano la città eternamente sveglia, con le automobili che sfrecciavano tra le strade persino a quell'ora.
Non fu un atterraggio piacevole. Rain sentì la corsa arrestarsi all'improvviso e sussultò. Prima ancora che potesse riprendersi dallo spavento, Genesis la lasciò cadere sul terrazzo dell'edificio, ancora in preda a freddi spasmi causati dalla sostanza che cercava di annullare le sue difese.
Cadde su un fianco e strinse occhi e denti trattenendo un verso di dolore. Ogni osso sembrava bruciare e rompersi ancora e ancora, in pezzi sempre più piccoli. Rotolò e si sforzò comunque fino a reggersi su ginocchia e palmi delle mani, tirandosi su con estrema difficoltà.
Genesis avanzò severo verso di lei. «Non smetterai mai di fare affidamento su di lui, huh?» sibilò infastidito, raggiungendola.
Rain temette la sua reazione e perse l'equilibrio, cadendo nella direzione opposta, sulla schiena, e trascinandosi via.
«Credi anche tu che sia un eroe, non è vero? Sephiroth è giusto, perfetto e cordiale. Ma non hai idea di cosa sia capace di fare. Di quello che ha fatto molte volte, in passato.»
La ragazza tossì, senza fiato, ma osò sollevare lo sguardo. Vide la figura del nemico sdoppiarsi e poi ritornare a fondersi in una solamente. Il cielo stellato dai colori smorzati, su di loro, ruotava attorno a lei in un giro crudele.
«Io lo conosco meglio di quanto tu creda.» lo sfidò dunque, sfruttando il ritrovato coraggio per difendere il suo compagno. Non avrebbe mai lasciato che si parlasse così di lui.
Genesis la guardò risollevarsi, una scena che considerò patetica dato che tentò e fallì più volte, cadendo a terra come un bambino che cerca di imparare a camminare, prima di riuscirci finalmente. Anche a quel punto, comunque, le sue gambe erano scosse dai tremori.
«Allora saprai già quello che mi ha fatto.» L'uomo dai capelli rossicci si sentiva fuori di sé, sconfitto dalla propria rabbia che prendeva il sopravvento sul buon senso, «Mi abbandonò quando più avevo bisogno di lui. Si rifiutò di salvarmi la vita, benché non gli costasse nulla provare.»
Rainiel, allora, si strinse le braccia attorno ai fianchi per contenere le fitte di dolore e provò a guardarlo. Il suo sguardo si perse qui e là mentre cercava di mettere a fuoco il suo viso. «Era sconvolto. Ti aveva finalmente ritrovato dopo quel che era successo. Avevate perso Angeal da così poco. Tu gli chiedesti di disertare a sua volta.» dimostrò di conoscere la storia dietro quel cupo dissidio. Genesis la guardò ergersi, indifesa quanto tenace, contro la miriade di edifici illuminati della città e lo stesso cielo, tinto di una sfumatura imprecisa tra il nero e il verdastro. «Tu lo hai tradito, Genesis.»
Il citato non prese bene quelle parole, spaventandola con un'improvvisa mossa in avanti, che la spinse per paura più vicina al cornicione del palazzo.
«Io ho tradito la Shinra!» soffiò come una vipera, la grazia del suo carattere persa nell'impeto dello sfogo. Puntò un dito verso il basso, indicando il terreno maledetto su cui camminava, «Ho voltato le spalle a quei macellai che mi hanno reso un mostro, che hanno giocato a fare gli dèi rovinando la mia vita quando ero solo un bambino.» si giustificò.
«Lo stesso accadde a lui.» rispose ancora Rainiel, «E ad Angeal, e a me. Tu hai scelto la violenza e non sei più tornato indietro.»
«Era l'unica cosa che potevo fare, l'unica cosa giusta!»
«Lui era il tuo migliore amico,» Rainiel boccheggiò per un attimo, prima di trovare fiato a sufficienza, «e tu te ne andasti senza dire una parola.»
Genesis drizzò la schiena e barcollò sul posto, incapace di replicare.
Rainiel notò il suo cambiamento e si resse alla bassa ringhiera contro cui aveva battuto la schiena poco prima. Sotto di lei, le strade e le auto e l'aria fredda della notte.
«Sapevi che anche lui era stato vittima degli stessi esperimenti. Avrebbe potuto aiutarti, avreste potuto affrontare insieme quella realtà. Ma tu te ne andasti.»
«Basta...» mormorò Genesis, scuotendo piano la testa, «Ora smettila.»
«Lui soffrì oltre ogni immaginazione per la tua scomparsa e per quella di Angeal. Non fu più lo stesso di prima. Lui teneva moltissimo a te.»
«Fa' silenzio!» Genesis si scagliò contro di lei, trovando una resistenza smorzata dall'effetto del siero. L'afferrò per il colletto della maglia e la sollevò come se fosse una delle piume che ora ricadevano dalla sua ala affilata, che si muoveva sinuosa dietro di lui. La spinse oltre il cornicione, portandola a oscillare in pericolo di vita, il vento che le smuoveva i capelli ramati e frusciava mellifluo. «Un'altra parola sbagliata,» l'avvisò allora Genesis, che non riusciva più a riconoscersi, divorato dal senso di colpa che in tutti i modi stava cercando di ricacciare là da dove era venuto, «e ti getterò dal palazzo. Non m'importa cosa accadrà.»
Rain vide di nuovo il mondo capovolgersi, sentì il proprio peso annullarsi. Il cuore le balzò in gola. Anche allora, però, non perse le speranze. Ribellarsi fisicamente non sarebbe servito a nulla; al contrario, forse, poteva fare qualcosa per sistemare la situazione, e per aiutare anche chi le stava facendo del male.
Trattenne i brividi, stringendo le dita attorno al polso della mano che la teneva sospesa nel cielo. «Stanotte non siamo venuti a cercarti per ucciderti.» tartagliò quindi, le parole spezzate dalla pressione alla gola e dalla scomoda posizione, «Ho parlato con Sephiroth. Ha detto... di essere disposto ad aiutarti. Lui voleva solo aiutarti.» ripeté, il tono disperato ma deciso.
Gli occhi chiari di Genesis si spalancarono. Affogò un grido nervoso nella sua mente in subbuglio. Rimase in apnea per qualche attimo.
Perché? Era l'unica cosa che riusciva a domandarsi. Perché diamine Sephiroth stava cercando ancora di redimerlo, dopo tutto quello che aveva fatto? Le loro lame si erano già incrociate negli ultimi tempi, ma tutto quello che Sephiroth aveva fatto era stato avvertirlo, minacciarlo, risparmiarlo. Lui aveva ferito la donna a cui si era legato, probabilmente colei a cui lui più teneva al mondo, ma il suo vecchio amico continuava a nutrire delle speranze per lui. Non gli aveva mai fatto nulla di male, non aveva mai cercato di ucciderlo.
Era snervante il modo in cui questo suo buonismo lo faceva sentire. Perché non poteva semplicemente odiarlo? Sarebbe stato tutto più semplice. Avrebbe completato la missione senza rimorsi, e invece ora doveva lottare con quel che rimaneva della propria buona coscienza.
Erano cresciuti assieme in quell'ambiente ostile. Erano diventati fratelli, compagni di vita, eguali, nonostante uno dei due fosse più forte e lodato dell'altro. Avevano affrontato insieme una guerra e la morte del loro migliore amico. Come erano arrivati a questo punto?
Genesis strinse i denti fino a farsi sanguinare le labbra. Non trovò conforto nella poesia, questa volta, né nel pensiero della Dea. Strattonò di nuovo Rainiel e, per quanto bruscamente, la tirò via dal cornicione, risparmiandole la vita e facendola ripiombare sul terrazzo con un tonfo e un lamento.
«È tardi ormai per aiutarmi. Per salvarmi.» Si stupì del fatto che la propria voce tremasse, come se la tristezza o la paura avessero avuto la meglio. E in realtà era proprio così. Aveva una maledetta paura di morire. «Sephiroth avrebbe dovuto pensarci prima.» Per quanto cercasse di convincere se stesso, non ci riuscì.
Rainiel non si lasciò sfuggire, nonostante la stanchezza e la confusione, quella nota stonata nel suo tono. «No...» tossì, «Non è tardi.»
Genesis si sentì perforare dai suoi grandi occhi blu. I segni della mako in lei erano quasi nulli. Sembrava una ragazza normalissima: non aveva ali angeliche oppure occhi ferini, eppure non era umana. In quel momento però non sembrava altro che una vittima innocente, una giovane donna che annegava nella sofferenza e al contempo cercava di venire a capo dei problemi attorno a lei.
«Perché stai facendo tutto questo?» gli chiese in un bisbiglio che si confuse con la brezza notturna e con le sue allucinanti sfumature verdi e azzurre. «Puoi fermarti, se lo vuoi.»
«Credi che dipenda tutto da me, non è vero?» Genesis non lo sapeva, ma i suoi occhi luccicavano. Il dolore era immenso, ma la paura lo era di più. L'idea di degradarsi come gli era accaduto un tempo, di riprovare quella sensazione, lo schiacciava. Tra l'altro, Jadin di sicuro aveva volutamente dimenticato di resettare il timer giornaliero, perché da qualche ora poteva sentire le proprie cellule bruciare, ogni parte di lui formicolare e spegnersi con lancinante lentezza. «Se mi fermo adesso, mi uccideranno!» L'ala alla sua sinistra fu scossa da un brivido e sbatté nel vuoto, come a dare enfasi alle sue parole.
La speranza negli occhi di Rainiel, a quel punto, scemò fino all'ultima scintilla. I muscoli delle braccia, che la reggevano per miracolo, si ammorbidirono mentre le sue sopracciglia si rilassavano.
«Ti hanno obbligato.» mormorò. Non era una domanda, ma Genesis le rispose comunque.
«Certo che sì.» confessò, muovendo un braccio e voltandole le spalle. A stento sopportava quel suo faccino triste. Non voleva la sua pietà. Non era ancora così miserabile. «Non ho ancora intenzione di morire.» le assicurò allora, prima che si mettesse strane idee in testa. Sacrificarsi per lei? Non avrebbe avuto senso. Qualcosa gli suggerì che non avrebbe dovuto farlo neanche per il suo migliore amico.
Eppure Rain non si sognò nemmeno di chiedergli una cosa del genere. Quello che domandò fu un favore, certo, ma contenne della comprensione e, soprattutto, una triste resa.
«Se adesso mi porti alla Shinra,» sussurrò a stento, guardando la sua ala, più magra e fragile di quella che lei ben ricordava, «io non ti odierò. Saprò che l'hai fatto perché sei stato costretto. Ma t'imploro...» il suo tono si smorzò, piegandosi per la disperazione. Tutte quelle parole venivano dal cuore ed erano sincere, «... non lasciare che prendano anche lui. Proverai a impedirlo?»
Genesis era incredulo. Non si capacitava del fatto che quella ragazza fosse così testarda e ingenua da scambiare la sua vita per quella di un'altra persona.
«Non farmi una richiesta del genere.» sibilò, nervoso, «Sephiroth non farebbe una cosa simile per te.»
«Sì, invece.» Rain cercò di tenere gli occhi aperti per guardarlo, «Per questo voglio che tu lo impedisca.»
Il SOLDIER davanti a lei strinse i denti finché non sentì dolore alle gengive. La afferrò per un braccio dopo aver scosso la testa. «Non posso fermarlo. Te l'ho già detto, sono un ostaggio. E non morirò per lui.»
Rainiel non fu in grado di resistere alla sua presa. Genesis si avvicinò di nuovo al cornicione e la sollevò tra le proprie braccia, saltando e battendo con forza l'unica ala. Riprese il volo, mentre Rain boccheggiava trattenendo i singhiozzi.
Il giovane uomo rifletté su quello che la ragazza doveva provare per colui che un tempo era il suo migliore amico. Davvero il loro legame era così forte? Dunque, magari, c'era davvero ancora qualcosa in buono in Sephiroth. E, se aveva deciso di dargli un'occasione di redimersi, a quanto pareva anche in se stesso. Due vittime, non erano altro che questo, e lo era anche Rain. Genesis non poteva fare altro che rispettare gli ordini ma, mentre volava in direzione della grande Torre Shinra, si rese conto di provare qualcosa di tremendo. Un senso di colpa opprimente, non solo nei confronti della ragazza, ma anche del suo amico.
Sarebbe riuscito a rimediare a un peccato così grave? Solo la Dea poteva saperlo.
 
 
   
 
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