Film > Star Wars
Segui la storia  |       
Autore: MollyTheMole    05/07/2022    0 recensioni
Circa vent'anni prima degli eventi delle Guerre dei Cloni, la Forza ha messo un padawan Jedi e una giovane duchessa sulla stessa strada. Nel tentativo di proteggere la giovane Satine Kryze dai cacciatori di taglie e da un pericoloso usurpatore, Qui Gon Jinn ed Obi Wan Kenobi saranno costretti ad immergersi nella cultura Mando, e scopriranno che i loro popoli non sono poi così incompatibili.
In particolare, il giovanissimo aspirante Jedi dovrà fare i conti con i propri sentimenti. Che dire, inoltre, quando si troverà a fronteggiare forze che non è in grado di comprendere?
ATTENZIONE: spoiler dalla serie The Clone Wars.
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Obi-Wan Kenobi, Qui-Gon Jinn, Satine Kryze
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 54

Manda

 

La notte non portò consiglio a nessuno. Solo altri guai.

Questo, però, i nostri eroi non potevano saperlo, tuttavia, potevano immaginarselo.

Se lo immaginò di sicuro una Satine arruffata quando, al mattino dopo, fu svegliata dalla mano nodosa della vecchia Lea.

- Che succede?-

- Vi'Dan sta morendo.-

La duchessa non aveva idea di chi fosse questo Vi’Dan, tuttavia aveva ben chiaro che, dopo un matrimonio, le sarebbe toccato celebrare anche un funerale.

Insomma, era già lì. Era ovvio che questo Vi’Dan, o chi per lui, avesse richiesto la presenza della duchessa.

Tanto, che le sarebbe mai costato?

Non sapevano che, in verità, Satine aveva sognato quel mattino con tutta se stessa, non per celebrare alcunché, bensì perché svegliarsi e fare colazione avrebbe significato in modo inequivocabile che Athos sarebbe venuta a prenderla di lì a poco e se ne sarebbe andata da quel luogo inquietante che sapeva essere il villaggio di Nebrod. 

Satine, come era solita dire sempre, non pensava prima di colazione, e la sua mente senza carburante decisamente non l’aiutava a cogliere tutte le implicazioni di quella novità. L’unica cosa che il suo cervello assonnato e senza zuccheri registrò, dunque, fu che la famiglia del prossimo defunto aveva chiesto il suo intervento per dargli l’ultimo saluto, e Satine non era certo il tipo da tirarsi indietro.

Così, mentre faceva colazione, aveva informato Athos di posticipare la partenza e subito dopo si era diretta con i Jedi al seguito verso la casupola del vecchietto. 

Il villaggio, quel giorno, sembrava goffo e malandato. C’era una caligine fredda e poco accogliente che avvolgeva le piccole case dai tetti di pietra grigia. L’acciottolato sul terreno era umidiccio, come se avesse piovuto nottetempo. 

Non incontrarono nessuno né per strada, né nella casa del moribondo. A parte Lea e un uomo dall’aria altrettanto anziana, non si vedeva anima viva. 

Sembrava un luogo completamente diverso da quello che i due Jedi avevano visto il giorno prima, ed ebbero la sensazione che ci fosse qualcosa in quel villaggio, qualcosa che in quel momento era compartecipe di quanto stava accadendo in quel luogo e in quel preciso momento.

La cosa, unita alle terrificanti confidenze che la ragazza gli aveva fatto una notte di tanto tempo prima, riusciva a rendere tutto ancora più inquietante agli occhi del giovane padawan. 

Satine scoprì che l’uomo anziano presente in casa era il figlio del signor Vi’Dan, l’ultimo rimastogli vicino, fosse anche solo per ragioni anagrafiche.

- Ma quanti anni ha quest’uomo?-

- Non saprei dire, Ben, ma è abbastanza normale incontrare persone così a Nebrod. Leggenda vuole che qua le persone vivano più a lungo del normale.-

Non fu un incontro piacevole. Certo, era un funerale, non si erano aspettati molto entusiasmo. La parte veramente spiacevole, però, al di là delle circostanze di fatto, fu quando l’uomo dichiarò espressamente di volere soltanto Satine e il figlio accanto a sé. 

Lea, dal canto suo, sembrava abituata ad aspettare fuori. Sfilò fuori dalla stanza, mormorando che avevo detto, io? verso Qui Gon, e i Jedi rispettarono la volontà del signore ed uscirono dalla porta da cui erano entrati.

Si erano accorti dello sguardo perplesso e scontento del figlio del vecchio, e non erano rimasti stupiti quando il moribondo stesso aveva alzato un dito pallido come la morte ed aveva rantolato fuori di qui!

- Ve l’ho detto.- bisbigliò Lea, una volta che furono tutti e tre fuori dalla casupola.- Galidraan. La famiglia di quest’uomo è stata sterminata laggiù. Come lui, ce ne sono tanti.-

Quando Satine uscì di nuovo dalla porta andando loro incontro, aveva l’aria di chi ne aveva avuto più che abbastanza di quel posto.

- Senza offesa per nessuno, ma non vedo l’ora di andarmene. Se volete venire, arrangiamo il trasporto fino al lago e poi lo lasciamo andare. Tenetevi a distanza, il figlio non vi vuole nemmeno sotto tortura. Oh, per Nebrod, mai mi sarei immaginata di doverlo dire!- e si rifugiò di nuovo dentro casa, scuotendo il capo.

A differenza di quanto Satine aveva raccontato ad Obi Wan, non vi fu nessuna Chiamata e il cadavere non si mosse. Non si alzò né camminò. Si lasciò adagiare dentro la canoa piena di fiori che lo avrebbe condotto verso il Pozzo dei Giganti e si fece docilmente condurre fino alle rive del lago, che ancora presentavano le tracce del rito del giorno precedente.

Obi Wan era memore di ciò che Satine gli aveva confessato. Sparire dentro le acque di quel lago sarebbe stato il suo destino, come lo era stato per tutti gli altri Mand’alor prima di lei. Sprofondare laggiù, nel nero, al freddo, in un lago abitato da una creatura di cui nessuno sapeva nulla e nel quale si poteva solo avere fede.

Guardò quella canoa piena di fiori mentre accoglieva le spoglie del vecchio Vi’Dan, cercando di restare quanto più lontano possibile e di rispettare la volontà del defunto. Rimasero a distanza per tutto il tragitto, poi, in una strettoia, il feretro era dovuto passare loro davanti. 

In quell’occasione, Obi Wan, costretto tra gli alberi e il feretro, vi aveva lanciato uno sguardo dentro.

E dentro, c’era lei.

Si strofinò gli occhi per essere sicuro di aver visto bene, ma non poteva sbagliarsi. Lei era inconfondibile. Bionda e pallida di un pallore innaturale, distesa su un letto di campanule canterine, uno strano diadema con delle ali di bronzo nei capelli e la lancia di sua madre stretta tra le mani giunte.

Sentì l’aria andare via dai polmoni ed afferrò Qui Gon per la manica mentre si sforzava di guardarsi le scarpe.

Che succede, ragazzo?

Quando però il povero giovane padawan fece per rispondere, nel feretro c’era di nuovo il vecchio Vi’Dan, magro e consunto e con lo sguardo ancora aperto reso opaco dalla vecchiaia.

Cercò di ricomporsi.

Niente. Vi spiegherò poi.

Quando la canoa raggiunse le sponde del lago, tutti rimasero in attesa che il fenomeno si compisse. 

Qui Gon ed Obi Wan attesero diligentemente sul limitare del bosco.

Lea aveva lanciato loro un’occhiata incerta, come se temesse che, se l’evento non fosse avvenuto, sarebbe stata colpa loro.

Il suo timore, tuttavia, fu ben presto sopito dalla luce bianca che cominciò ad illuminare l’intero lago.

La canoa si mosse delicatamente, sospinta dalle correnti di luce bianca che attraversavano il lago, si dipartivano dalla pupilla centrale ed avvolgevano il piccolo scafo. La barchetta attraversò la superficie solcando l’acqua fino al centro esatto della pupilla, dove due onde traslucide l’avvolsero come un sudario e la trascinarono nel profondo.

Il lago divenne di nuovo piatto, calmo, intonso. 

Satine si prese qualche secondo per porgere le proprie condoglianze al figlio del vecchietto, mentre Lea si incamminò di nuovo sul sentiero, pronta per tornare alla sua casetta nel villaggio.

- Se non vi rivedrò, posso dire che sia stato un piacere, contrariamente a quanto mi aspettavo.- disse, stringendo la mano di Qui Gon e lanciando un’occhiata sospettosa nei confronti di Obi Wan.

- Comportati bene, ragazzo.-

- Ci potete contare.- commentò, ma la sua mente era altrove.

 

Lo spettacolo aveva a dir poco terrorizzato il povero Obi Wan, che non riusciva a togliersi dalla testa la maledetta promessa che aveva fatto alla giovane duchessa tempo prima.  

Satine gli aveva fatto promettere che, se fosse morta, l’avrebbe portata a Nebrod. 

Dentro di sé, Obi Wan stava cercando una scusa, una qualunque, per non ottemperare a quella richiesta.

Te lo ha fatto promettere in un momento in cui era convinta di dover morire nel giro di poco.

Adesso le cose stanno diversamente.

Sapeva, però, di star cercando solo un modo per uscirne. Quando le aveva promesso che l’avrebbe accompagnata dovunque, anche nella morte, lo aveva fatto senza limiti di tempo. Già all’epoca aveva intuito che quello che lo legava a lei non era un sentimento banale, ma qualcosa di profondo che poteva essere duraturo, indimenticabile. Già all’epoca aveva compreso che lei sarebbe stata importante come nessun’altra.

Così, si mise a pregare la Forza e tutto il pantheon mandaloriano affinché ciò non accadesse mai, innanzitutto perché non voleva vedere Satine morire, e poi perché non sapeva se avrebbe avuto il coraggio di mantenere quella promessa, fatta con l’incoscienza di chi non sa di che cosa parla e soprattutto di chi farebbe qualunque cosa per la persona che ama.

Quanto aveva già visto gli sarebbe bastato per tutta la vita. 

Percepì solo distrattamente il commento del maestro e della duchessa a proposito degli alberi.

- Fortunatamente la funzione è finita senza troppi gesti eclatanti. A volte Nebrod sa veramente essere spettacolare, per chi ha il gusto del macabro. Dopo la celebrazione di solito i familiari vanno al loro albero a sentire la voce del defunto, per sapere che tutto è andato bene.-

- Ricordo che ci avevate raccontato qualcosa di simile. Stento a credere, duchessa, che sia vero.-

- Se volete, potete ascoltare. Venite, avvicinatevi ad un tronco e ditemi che cosa sentite!-

Il terzetto si mosse compatto verso l’interno seguendo un ampio sentiero sterrato e lasciando le rive di quel lago spaventoso. Obi Wan seguiva a ruota come un’automa, incerto se voleva davvero ascoltare le voci dei morti negli alberi.

Tutto sommato, ne avrebbe volentieri fatto a meno e scambiato quell’esperienza con la navicella di Athos, che lo avrebbe portato immediatamente a Kryze Manor.

Ne ho abbastanza, di questo posto.

Qui Gon, quando veniva assorbito da qualcosa, era capace di dimenticarsi di dormire, di mangiare, persino della presenza del suo padawan. Anche in quell’occasione, si dimenticò di lui e non si avvide minimamente del suo disagio. L’unica a rendersi conto di qualcosa fu Satine, che si voltò verso Obi Wan e richiamò la sua attenzione.

- Tutto bene?-

Il ragazzo quasi sobbalzò ed annuì non troppo convinto.

Ignara della visione che aveva avuto, Satine lo guardò con circospezione e continuò a guidare il gruppo verso uno degli alberi più vicini.

- Questa è la veshok dei Kast. Provate ad avvicinarvi al tronco, maestro, e poggiate l’orecchio.-

L’uomo fece qualche passo in avanti, scettico. Accarezzò la pianta con rispetto e poi posò la testa contro il tronco dell’albero.

Sulle prime non sentì niente, o almeno così dedussero i due mentre lo osservavano lanciare loro un’occhiata quasi divertita.

E’ roba per creduloni ed io non lo sono.

Poi, però, qualcosa nella sua espressione cambiò.

Aggrottò le sopracciglia e premette l’orecchio contro la superficie per sentire meglio.

Poi, Qui Gon si allontanò improvvisamente dalla pianta come se avesse appena toccato qualcosa di infetto.

- Non capisco, sembra che sia risalita con la linfa dalle radici dell’albero, una voce leggera che canta una ninna nanna. Che cosa…-

- Se vi può consolare, maestro, non capiamo nemmeno noi. Che cosa avete sentito?-

Qui Gon ci pensò un po’ su.

- Non saprei replicarlo.

Satine si grattò i capelli. Poi, prese a mormorare in Mando’a:

 

Gioisci perché

la vita è bella com’è,

gli uccelli volano nel cielo blu

sopra il tetto dove ci sei tu…

 

- Come lo sapete?-

La duchessa fece spallucce.

- E’ una ninna nanna molto comune dalle nostre parti. Me la cantava anche mia madre. L’albero dei Kast è qua da una vita, e la voce canta, da una vita, sempre la stessa canzone.- 

Obi Wan continuava ad essere inquieto. Si passò un dito nel colletto della divisa da Jedi e sentì crescere in lui sempre più intensamente la voglia di scappare da un albero che cantava canzoni per bambini e da un lago che rubava i corpi dei morti. Sentiva che c’era qualcosa di minaccioso in quel luogo. Non correvano pericoli, ma il senso di ineluttabilità che pervadeva la Forza lo disturbava, come se potesse percepire tutte le minacce di un futuro che Nebrod - o chi per lui - pareva conoscere bene. 

Soprattutto, lo disturbava il contrasto tra la gioia della sera precedente e la fatalità di quella mattina, come se ci fosse qualcosa di senziente in quel posto, un qualcosa che effettivamente partecipava - se non ne era l’artefice, come credevano i Mando - della vita e della morte, delle gioie e dei dolori della gente del posto. 

Aveva la sensazione che la Forza, qualcosa volesse dirgli che non avrebbe potuto fare nulla per cambiare il futuro, qualunque cosa fosse destinata a succedere.

Forse, anche portare il corpo di Satine sulle rive di quel lago.

Si sentiva soffocare.

Satine si accorse del dito che di soppiatto si era infilato nel colletto della divisa del padawan per allentare la stretta attorno alla gola, e gli si era fatta vicino.

- Sei sicuro di sentirti bene?-

Questa volta Obi Wan scosse il capo.

- Perdonami, ma preferisco fare due passi. Non mi sento bene e non voglio restare qua. Ho bisogno d’aria.-

Gli passò una mano sulla guancia per offrirgli conforto.

- Va bene, ma resta nei paraggi.-

Se ti senti male voglio poterti dare una mano.

Obi Wan annuì e si incamminò di nuovo verso la riva del lago, non perché lo amasse, anzi, bensì perché in quel modo avrebbe potuto abbandonare il folto delle chiome di quegli alberi così alti e così strani. Contribuivano ad acuire quel senso di incombenza che lo aveva pervaso, come se stessero per chiudersi su di lui ed inghiottirlo nel verde.

Non sapeva perché quel luogo lo disturbasse così tanto. Satine gli aveva già raccontato molto, e quanto avvenuto, per quanto inquietante, non era stato nemmeno poi così male. 

Nella sua vita da mezzo Jedi aveva visto di peggio.

Come Melida/Daan.

Forse, però, era proprio questo il problema. Non aveva nemmeno vent’anni e portava un peso sulle spalle più grande di lui. Aveva già perso troppo nella sua vita. Chissà quante altre persone avrebbe dovuto ancora perdere nella sua carriera da Jedi. Avrebbe visto morire altri amici che considerava come parenti. Lui stesso avrebbe potuto avere un padawan ed avrebbe rischiato, come Qui Gon rischiava con lui, di lasciarlo da solo per uno scontro andato male in una missione.

Aveva sofferto per tutti. Per Cerasi, per la magistra Tahl.

Per Bruck.

Satine lo aveva aiutato ad accettare il suo passato e a farci i conti, ma Obi Wan cominciava a pensare che il tormento per certi avvenimenti non lo avrebbe lasciato mai.

Aveva insegnato a Satine che lasciarsi il passato alle spalle non significava dimenticare, ma ricordare con consapevolezza, ed avrebbe dovuto farlo anche lui, ma non sapeva se voleva andare avanti a ricordare con consapevolezza per tutta la vita, perdendo chi gli era più caro.

Si asciugò gli occhi di nascosto, consapevole che Satine e Qui Gon lo stavano guardando.

Mandalore gli avrebbe potuto offrire un’altra vita. Non ci sarebbe stato meno dolore. Quello fa parte dell’esistenza di un essere umano, però avrebbe avuto lei. Satine sarebbe stata un’ancora, un porto sicuro, quella che avrebbe raccolto tutti i pezzi come lui aveva raccolto i suoi.

Sei un Jedi. La Forza è il tuo porto sicuro.

Sì, ma la Forza non ti abbraccia, non ti accarezza la schiena, non ti passa le dita nei capelli o ti canta le canzoni quando hai gli incubi. La Forza è impalpabile. E’ dovunque, la senti ma non ti tocca, non ti consola. Puoi meditare quanto vuoi, ma non sentirai mai il calore di un altro essere umano che condivide il tuo dolore. 

La Forza non ti dice che andrà tutto bene. Devi solo sederti ed aspettare che ti insegni tutto ciò che ti deve insegnare seguendo le sue vie. Anche attraverso il dolore sordo che puoi curare da solo.

Obi Wan, però, era stanco di essere solo.

Si sentiva diviso in due. Una parte di lui era attratta da quel mondo bellissimo e misterioso in cui Satine lo aveva trascinato. Era incantato da lei e dalla sua visione della vita. Dall’altra parte, però, lo scontro con la dura realtà era stato crudo. La verità era che i Mando li avevano tollerati, non integrati. Essere cacciati dal capezzale di un moribondo era stato sufficiente per fargli capire che non sarebbe bastato per lui giurare sul Resol’nare per diventare uno di loro. 

Forse, niente sarebbe bastato a togliergli di dosso l’etichetta di mago pericoloso alla corte della duchessa. 

E poi, per lui la Forza era come la luce nell’oscurità, come quando, tormentato dalle visioni, si era svegliato in preda al panico ed aveva visto le luci d’emergenza accese sulla navicella spaziale, ottenendo così la certezza, la sicurezza che tutto era passato.

Protezione, ecco cos’era la Forza per lui.

Se dunque una parte di sé lo invitava a restare, a soddisfare quel bisogno egoistico di amore e vicinanza di cui si sentiva privato senza motivo, la parte della sua coscienza più razionale e più affine al Codice dei Jedi gli intimava di tornare indietro.

Si chinò verso terra, attratto da un bagliore tra i sassolini, e raccolse una piccola conchiglia di madreperla.

Pensò a Satine e a quanto sarebbe stata bene tra i suoi capelli.

Sa fare di tutto, magari sa farci un fermaglio.

E poi, perché? Perché avrebbe dovuto scegliere? Perché era sbagliato quello che stavano facendo? La Forza sembrava dire l’esatto contrario. Anche Qui Gon si era accorto che non c’era nulla di male nei loro sentimenti. Perché l’Ordine gli proibiva di restare con lei ed essere un Jedi allo stesso tempo?

Forse l’Ordine stava sbagliando?

Qui non è solo una questione di Ordine dei Jedi, qui è una questione di politica. Anche se l’Ordine ti desse il permesso, lei potrebbe essere comunque irraggiungibile.

Si asciugò gli occhi un’altra volta, cercando di scacciare dalla mente l’immagine della terribile visione che aveva avuto e il pensiero che, qualunque cosa avesse fatto per cambiare le cose, la Forza avrebbe comunque potuto raggiungere quell’esito terribile e spezzargli il cuore.

Si chinò a raccogliere un’altra conchiglia.

 

- Ho sbagliato a portarlo qui. Avrei dovuto mettervi sulla navicella con Athos ed occuparmene da sola.-

Satine aveva compreso fin dall’inizio il turbamento di Obi Wan. Quando, quella notte di così tanto tempo fa, soli al freddo in una grotta, gli aveva raccontato della terribile premonizione che aveva avuto e della sorte che l’avrebbe attesa al Pozzo dei Giganti, aveva visto il dolore nei suoi occhi.

Vedere ciò che le sarebbe successo doveva averlo ferito ancora di più. 

- Obi Wan deve imparare a controllare le sue emozioni. E’ un Jedi. Fa parte di lui. E’ sempre stato il suo punto debole, essere emotivo.-

Satine scosse la testa.

- Mi dispiace, maestro, ma per quanto mi sforzi non riesco a vedere l’emotività di Obi Wan come un difetto. Non c’è impulsività in lui, né aggressività. Almeno, non più di quella che possiede ogni persona normale. E’ semplicemente sensibile, e temo che quanto accaduto oggi qua al lago lo abbia ferito.- 

Come se i commenti al vetriolo della mia gente non avessero già fatto abbastanza.

Una parte di Satine cominciava a rendersi conto che i suoi sogni di duchessa, di pace e prosperità e soprattutto di stima tra popoli, potevano restare davvero soltanto questo.

Sogni.

Lei, però, era una visionaria per natura. Avrebbe continuato a lottare per tutta la vita per quello che era giusto fare. Ci sarebbe voluto del tempo, ma piano piano il suo popolo avrebbe accettato la pace con i Jedi.

Non era ingenua al punto tale da dimenticare, però, che in quel lasso di tempo Obi Wan non sarebbe stato ben visto, forse al punto tale da compromettere la sua posizione di duchessa, oppure da costringerlo ad abbandonare il sistema e tornare sui suoi passi per il suo stesso bene.

Si passò una mano nei capelli, pregando che Athos li raggiungesse presto.

- Non è un difetto, duchessa, ma deve imparare ad usarla bene affinché diventi un vantaggio. Il nostro ragazzo può diventare un Jedi pregiato, se impara a controllarsi.-

Satine guardò Obi Wan mentre si chinava a raccogliere una conchiglia.

Più pregiato di così, finisce che si trasforma in una statua di beskar massiccio.

 

Forse, più che un fermaglio per i capelli ci avrebbe fatto una collana.

Ne raccolse un’altra e un’altra ancora. 

Poteva sentirli parlare alle sue spalle, ma non era certo di voler ascoltare.

Voleva solo dormire nella navicella di Athos e dimenticarsi di quell’orribile posto.

Si avvicinò all’acqua e rimase ad osservare quel fondale oscuro per qualche secondo.

No, più lo guardava più si convinceva che qualcosa in quella storia puzzava come un barile di krill di Mon Cala e non ne voleva proprio sapere di convincersi a portare Satine là sotto, se il futuro le avesse riservato una fine infausta.

Smettila. Ti stai solo facendo un sacco di paranoie inutili.

L’acqua si ritirò nel lento andirivieni della risacca e mise in mostra un’altra conchiglia fresca fresca di fondale.

Obi Wan si chinò a raccoglierla.

Non si avvide minimamente delle spire che si erano sollevate dalla riva se non quando si trovò stritolato in quei rivoli d’acqua gelida. Provò a dimenarsi, ma quei serpenti d’acqua trasparente gli avvinghiarono le gambe e non lo lasciarono più andare.

Stava per cadere quando l’acqua lo sospinse in alto, lontano da terra, e alla sua vista divenne tutto nero.

 

Sbatté le palpebre un paio di volte, incerto. 

Si era forse sentito male?

E che cos’erano quella specie di serpenti marini fatti d’acqua?

Lui, però, non era più al lago. Non c’erano acqua, né conchiglie. Non c’erano Satine e il suo maestro.

Era solo, al centro di un’ampia navata di vetro e beskar. 

Una torbida luce filtrava dalle finestre in frantumi. 

Mosse qualche passo verso la vetrata per poter guardare fuori.

Il cielo era plumbeo. C’era fumo ovunque. Le case erano quasi tutte distrutte o menomate. Si sentivano grida di guerra, spara, spara! E’ andato di là! Inseguiteli, non devono scappare!

Ciò che però gli mozzò il fiato in gola fu la vistosa crepa sulla superficie di quella che pareva una cupola di beskar e vetro, una crepa che lui aveva già visto.

Si voltò, respirando affannosamente e fissando la grande sedia di pietra intagliata, vetro e resina. Una parte di quella bellissima struttura, una vera e propria opera d’arte, ancora luccicava di luce propria, i colori sgargianti di Mandalore tessuti in delicati disegni ormai in pezzi sul pavimento.

Il resto di essa era stato tranciato di netto, squarciato da una lama affilata.

Voleva gridare, ma non ci riuscì. 

Quella era la sala del trono di Sundari.

E se Sundari era in guerra e se la sala del trono era distrutta voleva dire soltanto una cosa.

Satine non era più lì.

 

- Questi alberi sono davvero maestosi.- commentò il maestro, rivolto verso Satine e con una mano sulla corteccia della veshok.

- Dicono che qua crescano più alti.-

Qui Gon alzò un sopracciglio.

- Certo che succedono un sacco di cose in questo villaggio. Le acque del lago inghiottono i morti, gli alberi parlano, crescono di più e le persone vivono troppo a lungo rispetto ai normali standard.-

Satine alzò le spalle e fece qualche passo verso riva, cercando di individuare Obi Wan e di raggiungerlo.

- Chissà, forse il terreno è nutriente e gli esseri viventi mangiano solo me…-

Ma la duchessa non finì mai la frase. Cacciò un urlo e partì di corsa in direzione del lago.

Qui Gon fu costretto a voltarsi e si accorse del suo povero padawan, stretto nelle spire di quel lago spaventoso.

Bontà della Forza, che accidenti sta succedendo qui?

Satine non gli diede nemmeno il tempo di pensare. Si lanciò in soccorso gridando e il maestro fu costretto a tenerle dietro.

- Ben! BEN!-

 

Sentì il pavimento tremare sotto i suoi piedi. Guardò per terra e vide i frammenti di vetro e beskar sobbalzare sotto la spinta sussultoria di qualunque cosa stesse cercando di sfondare il solaio. 

Obi Wan tentò di tenersi in piedi come potè, ma un grossa crepa si aprì da sotto il trono deturpato e squarciò il pavimento sotto ai suoi piedi, facendolo precipitare nel vuoto.

Aveva creduto di cadere al piano di sotto, in una delle tante sale che costellavano il Palazzo del Governo, e invece cadde, cadde nel nulla per attimi che gli parvero eterni in una gola nera come la pece, dove creature orribili simili a piante e dagli artigli adunchi provavano ad afferrarlo fischiando, ringhiando e facendo un fracasso infernale. 

Si divincolò, cercando di sfuggire alla presa degli spettri. Per fare una simile confusione dovevano essercene migliaia, ed Obi Wan stava quasi per estrarre la sua spada laser quando il panorama cambiò di nuovo e si trovò a galleggiare nel blu. Un blu acquoso, tendente al nero, di un abisso che nulla aveva a che fare col precedente e che continuava a trascinarlo verso il basso con forza inesorabile. Un vuoto in cui gli mancava l’aria, che risaliva sotto forma di bollicine in superficie. 

Poteva vedere la luce del sole farsi sempre più rarefatta sopra la sua testa.

Si voltò, in un disperato tentativo di nuotare verso il pelo dell’acqua, quando si accorse di star precipitando in una profonda gola circolare. Nelle pareti di pietra erano stati scolpiti volti enormi, sagome di uomini e donne incoronati e dall’aria austera, le cui mani stringevano spade, archi e frecce, lance di ogni tipo.

Comprese di star precipitando nel Pozzo dei Giganti e si sentì mancare.

Il panico prese possesso di lui, ma se credeva di essere giunto all’apice della paura dovette ricredersi quando una voce cavernosa e tuttavia piuttosto familiare pronunciò oscure parole in Mando’a. 

Gli ci vollero un paio di ripetizioni per poter capire. 

 

Partayl’gar, Obi Wan, ner cyare: ni kar’tayl gar darasuum be’chaaj tuur, ni kar’tayl gar darasuum nakar’tuur.

 

Non che fosse lucido a sufficienza da perdere tempo a disquisire in Mando’a con una forza sconosciuta, in ogni caso. L’unica cosa che voleva fare era tornare in superficie, e se questo avesse significato combattere contro gli spettri o contro qualunque forza lo stesse trascinando a fondo, allora lo avrebbe fatto.

Sfoderò la spada laser, e apparentemente lo fece appena in tempo, perché nell’abisso oscuro una lama nera come la pece si schiantò contro la sua.

Comprese di non essere più immerso nell’acqua e respirò a pieni polmoni.

La visione - perché di questo si trattava, Obi Wan ne era convinto - cambiava continuamente e non gli dava il tempo di comprendere davvero che cosa stesse vedendo. Che cos’era quella spada laser dalla lama nera? Non ricordava di averne mai vista una in vita sua, ma non ebbe il tempo di pensare ulteriormente, perché un paio di orribili occhi gialli spuntarono dall’ombra e lo squadrarono con un odio talmente profondo da fargli più paura del Pozzo dei Giganti.

- Chi sei?- gli chiese, ma la creatura dagli occhi gialli non rispose. 

Respirava, quasi rantolando, un ringhio di una cattiveria infinita, di pura follia. 

Un profondo senso di vuoto lo pervase ed ebbe la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di terribile, bel oltre la sua immaginazione.

- No!-

Lasciò cadere la spada laser e tese le mani in avanti alla ricerca del suo maestro, di Satine, di qualunque cosa, nella speranza di evitare l’inevitabile.

Gli occhi gialli si fecero avanti. Una sagoma indistinta cominciava a prendere forma nel buio. Poteva sentire il respiro maligno e un suono metallico, come di leve e pistoni.

Quello era un uomo o una macchina?

Non ebbe il tempo di pensare, ancora, perché il rantolo si trasformò in un ringhio di odio viscerale ed esplose in un terrificante grido.

- KENOBI!-

 

- Ben!-

Spalancò gli occhi su un cielo lattiginoso che minacciava pioggia. 

Respirò a pieni polmoni, l’oppressione che si sollevava appena dal petto e gli permetteva di incamerare aria.

Scattò seduto afferrando l’aria con le dita, disperato, ma l’unica cosa che trovò fu la tunica del suo maestro e il suo sguardo preoccupato.

- Ragazzo, calmati!-

E comprese che quella visione orribile era finita, che aveva individuato ciò che in attimi di puro terrore era andato cercando, e si lasciò andare.

Casa. Protezione. La Forza e il suo maestro. 

Sapeva di stare piangendo. Forse lo aveva sempre fatto da quando aveva capito che qualcuno avrebbe spezzato i sogni della sua Satine. 

Ci avrebbe messo diverso tempo a comprendere il senso di quella visione. Per lui, la creatura dalle parti del corpo metalliche non avrebbe significato nulla per molti, moltissimi anni. Ciò di cui era certo, però, era che il sogno di Satine di vedere Mandalore in pace non sarebbe durato.

Anche se non sapeva come sarebbe caduta, né quando, sapeva che sarebbe successo e che, prima o poi, sarebbe stato costretto a fare per lei ciò che avevano fatto quella mattina per il vecchio Vi’Dan.

Rimase a guardare Qui Gon, piangendo come un agnello e incapace di dire altro. 

Dietro il suo viso, spuntò quello della ragazza, gli occhi grandi e sgranati in una maschera di paura.

Lanciò le braccia verso di lei e trovò le sue mani, che catturarono le sue, bagnate e tremanti, e non le lasciarono più.

Rimasero lì, Qui Gon a reggere il suo povero padawan in braccio e Satine a tenergli le mani, fino a che Obi Wan non smise di piangere nella tunica del suo maestro e i tre furono pronti per raggiungere Athos e la sua navicella.

Gli ci sarebbe voluto del tempo per digerire quanto aveva visto. Athos capì, ma non fece domande, salvo scambiare uno sguardo perplesso con la ragazza. Satine non chiese, e nemmeno Qui Gon indagò. Lasciarono che il padawan si prendesse il tempo necessario per guarire e che fosse lui stesso a raccontare quanto il lago gli aveva mostrato.

Se Satine, però, era sembrata pensierosa fin da quando aveva compreso che cosa era appena successo, Qui Gon non sapeva che cosa pensare.

Di una cosa sola era certo, anzi, due.

La prima, che non avrebbe mai più messo piede in quel villaggio finché la Forza gli avrebbe permesso di evitarlo.

La seconda, che qualunque cosa quella creatura gli avesse mostrato, il buon maestro non aveva mai visto in anni di addestramento così tanta agonia negli occhi del ragazzo.

 

***

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Manda: coscienza collettiva, paradiso, ovvero essere Mando nel corpo, nella mente e nello spirito. Anche aggettivato, come essere supremo, angelo custode

Partayl’gar, Obi Wan, ner cyare: ni kar’tayl gar darasuum be’chaaj tuur, ni kar’tayl gar darasuum nakar’tuur: Ricordati, mio caro Obi Wan: ti ho sempre amato, ti amerò per sempre. Volutamente con una grammatica imperfetta; lett. ti ho amato in un giorno lontano, ti amerò domani, dove nakaar’tuur: giorno indefinito

 

NOTE DELL’AUTORE: Mi sono sempre chiesta per quale motivo Obi Wan avesse deciso di lasciare Satine e non mi sono mai saputa dare una risposta.

Che la Forza per lui fosse tutta la sua vita, lo abbiamo sempre saputo. 

Il passaggio in cui indica la Forza come la luce nel buio è apertamente ripreso *SPOILER ALERT* dalla serie a lui dedicata.

Per il resto, i conti non mi sono mai tornati. A tratti, Obi Wan è saggio, ad un punto che uno si aspetterebbe da Qui Gon, non da lui. In più di un’occasione ha dimostrato di esserlo. 

Ho cercato di dare una spiegazione al suo contegno, all’apparente freddezza di alcuni momenti di incomunicabilità - con Anakin in particolare - attraverso il bisogno di trincerarsi dietro ad un’aria di perfezione per evitare di andare contro ciò che ha sempre voluto essere: un bravo Jedi. Una paura che ho provato a fargli superare assieme a Satine. 

E allora, se è così saggio e semplicemente si nasconde per vivere i dettami da Jedi, se è consapevole, perché lasciarla scaricandole il barile? 

“Have you said the word, I’d have left the Jedi Order”

Beh, molto comodo e discutibile, a meno che non fosse, invece, molto saggio.

Così, ho provato a colorare il racconto, ancora una volta, coi colori della politica, dipingendo un uomo immerso in una cultura che ama, ma che non lo vuole. 

E poi, Star Wars è una storia di politica - con buona pace di chi dice il contrario. Sorry.

E’ una storia di politica e di fede, e se non ci fosse lo zampino del volere della Forza - o di qualunque cosa viva in fondo al Pozzo dei Giganti - mancherebbe una componente fondamentale della saga: l’inspiegabile.

Lascio a voi l’interpretazione della visione.

Il prossimo capitolo è più divertente, almeno nelle intenzioni.

 

Vostra,

 

Molly. 

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Star Wars / Vai alla pagina dell'autore: MollyTheMole