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Autore: V a l y    06/07/2022    2 recensioni
Storia nata da una vecchia fantasia dell'autrice per una coppia fuori dalla norma. Due ragazzi che avendo in comune la stessa causa si ritrovano insieme: il rosso e la cinese. Tengo veramente tanto a questa storia, sarei felicissima se magari mi aiutaste con commenti e consigli *.*
CAPITOLO 30. [Quella mattina, la famosa domenica successiva alla notte di baldoria nel quale le ragazze del passaggio a livello erano andate a trovare i balordi del covo dell’est, non fu niente di tutto questo a svegliare prematuramente Xiaoyu. Non erano stati gli schiamazzi, la musica, lo sferragliamento di nuove casse di liquori che venivano strusciate di peso sulla ghiaia. Fu lo strano, inusuale suono prolungato del clacson di un camion, un rumore assolutamente sconosciuto alla clausura della periferia est da ogni attività urbana.]
EDIT. Al solito ho inserito un'illustrazione fatta da me dopo aver aggiornato la fic. La trovate a inizio capitolo 30!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hwoarang, Ling Xiaoyu
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Xiaoyu, durante il suo lavoro da cameriera al Matto, aveva imparato che non esisteva un orologio a scandire il tempo per determinare quando il suo turno sarebbe finito. Come in ogni altro luogo della periferia est, il ristorante di Law non seguiva le consuetudini sociali degli orari lavorativi, adeguandosi a una regola anarchica e anticonvenzionale tutta sua, semplice e cristallina: quando i clienti cominciavano ad acquietarsi era quasi arrivato il momento di staccare da lavoro.
In quel momento, al Matto regnava un insolito silenzio. Gli uomini che erano rimasti ad occupare i tavoli giocavano a carte, parlottando a voce bassa o alzandola ogni tanto quando un avversario vinceva la mano. Marshall era seduto sul davanzale della finestra vicino la cucina con la consueta sigaretta tra le dita e Forest era al tavolo con Paul ad ascoltare la musica nel vecchio lettore di musicassette del padre.
Dopo aver pulito l’ultimo tavolo libero e sistemato le sedie, Xiaoyu cominciò a spazzare per il locale, quando vide Marshall bloccarle la strada e prendere la scopa.
“Qui continuiamo noi, non preoccuparti,” le disse porgendole alcuni contanti. “Per il lavoro di stasera.”
Xiaoyu aggrottò la fronte confusa dopo aver contato le banconote con attenzione. “Ma non sono troppe?”
“Nah, va bene così,” rispose il Law agitando la mano velocemente. “Hwoarang ci ha detto della tua situazione con l’appartamento, così abbiamo deciso di darti qualche soldo extra.”
La bambina si commosse, guardando prima le banconote con un sorriso, poi affievolendo l’espressione, fino a diventare triste.
“Sei gentile, ma… non posso accettare,” disse restituendo i contanti in più. Conosceva la situazione economica dei Law, il continuo scappare da strozzini che li minacciavano per i debiti accumulati. Era stato un gesto dolce, il suo, ma la Ling non voleva contribuire a rendere la loro condizione finanziaria ancor più difficile.
Marshall la guardò interdetto, così Xiaoyu cercò subito una spiegazione che non lo offendesse. Conosceva il gestore del ristorante, sapendo che aveva un orgoglio che solo un presuntuoso e cocciuto capobanda di sua conoscenza poteva superare:
“Il fatto è che… non mi sembra giusto guadagnare di più lavorando le stesse ore di sempre,” spiegò, sperando di essere stata sufficientemente persuasiva.
“Marshall, dalli a me quei soldi!” eruppe Paul con un tono di voce persino più dirompente del solito per via della musica a tutto volume nell’orecchio destro.
“Fossi matto! Con tutti quelli che ancora mi devi, razza di balordo scansafatiche che non sei altro!” s’infuriò Law agitando un mestolo che aveva sempre nelle vicinanze solo per rappresentare scenette di quel tipo.
“Papà ha detto la parola matto… speriamo non se ne sia reso conto,” bisbigliò intimorito Forest a Xiaoyu, ricordandosi che quel termine tabù era bastato per cacciare dal locale un intero gruppo di biker pericolosissimi.
“Su, non fare il solito guastafeste e fidati di me!” esclamò Paul rubandogli i soldi di mano. Marshall lo fulminò con lo sguardo e strinse ancora di più la presa attorno al mestolo. Quando fu in procinto di sferrare il colpo alla schiena del biondo, si bloccò appena sentì le parole dell’amico:
“Ecco, Xiao, questi sono per te,” disse Paul posando i soldi sul tavolo vicino alla ragazza. “Sono la mancia di un cliente, perciò puoi accettarla senza sentirti in imbarazzo.”
La bambina e Marshall lo guardarono stupiti, la prima per la spontanea generosità, il secondo per quel lampo di genio avuto che mai si sarebbe aspettato da quel sempliciotto del suo amico.
“Xiao, prendi anche questi!” s’intromise un altro del tavolo delle carte, porgendole alcune banconote. “Preferisco darli a te come mancia che a quello stronzo di Shigure che me li fotte sempre barando a poker!”
“Non sono un baro!” si adirò quel che Xiaoyu presuppose fosse Shigure mentre si avvicinava a lei. “Ecco a te, dolcezza, ti do tutta la mia vincita come mancia,” soggiunse, dopodiché lanciò all’amico uno sguardo furioso, “soldi che ho vinto onestamente!”
“Avanti, lo sanno tutti che sei stato cacciato da tutti i casino perché baravi!” urlò il tipo che aveva perso quasi tutto poco prima.
“Era una vita fa! Ora sono cambiato!”
“Una vita fa?! Ma se è successo neppure una settimana fa!”
Mentre i ragazzacci di strada battibeccavano su chi avesse ragione con toni sempre più alti e vocaboli sempre più forti e fantasiosi, Xiaoyu allungò piano le mani e guardò i soldi, stimando che sarebbero stati più di trentamila yen. La ragazza se li strinse al petto e cominciò a piangere.
“Ehi, cretini, guardate che avete fatto!” ingiuriò uno dei farabutti del tavolo del poker notando le lacrime della bambina, “l’avete spaventata coi vostri modi da scaricatore di porto! Non sapete proprio come ci si comporta davanti a una signorina!”
Tutti si girarono a guardare afflitti Xiaoyu, che scosse la testa e sorrise.
“Non è così, è che… siete stati così generosi e dolci e… mi sono commossa,” spiegò asciugandosi veloce una lacrima e gettandosi al collo di Paul e Shigure.
Il biondo sorrise e le accarezzò paternamente la testa, mentre l’altro le cinse la schiena e andò giù con la mano.
“Non ci provare!” urlò Marshall prendendo a mestolate il braccio di Shigure, riuscendo in tempo a bloccare la mano molesta che altrimenti si sarebbe già posata sotto la gonna da scolaretta. “Baro, bugiardo e pure maniaco sessuale!” soggiunse fulminandolo con lo sguardo.
Xiaoyu, che non si accorse di niente presa da quel momento affettuoso, si staccò dai due e abbracciò entrambi i Law, che rimasero di stucco. Forest ridacchiò imbarazzato e Marshall addolcì lo sguardo in un’espressione che pochissimi in quella periferia avrebbero potuto scorgere.
La ragazza si scostò da loro e sorrise a trentadue denti. Si pulì in maniera maldestra gli occhi, proprio come una bambina, poi prese la cartellina della scuola e guardò tutti da sotto l’uscio dell’ingresso tirando su col naso. “Non me lo dimenticherò mai!”
Salutò e scese le scale. I presenti rimasti in sala sorrisero e si affacciarono alla finestra per vederla correre via e poterla salutare di nuovo.
“È bello trovare persone così… fanno sperare che il mondo sia un bel posto,” convenne uno del tavolo del poker con aria sognante, ma non appena si girò e adocchiò Shigure con una carta in mano che cercò goffamente di nascondere dietro la schiena cambiò completamente espressione. “Shigure! Posa subito quella carta, razza di imbroglione da quattro soldi che non sei altro!”
“Non ho fatto niente!” si difese l’altro con impeto. “Stavo solo aggiustando i mazzi!”
“Ti aggiusto io, ti aggiusto! Vieni qui, non scappare!”
Forest roteò gli occhi divertito, seguendo la scena con le braccia conserte. La normalità aveva di nuovo preso il sopravvento nel locale.

Xiaoyu saltellava felice come una bambina in direzione del covo della periferia est. Era così contenta che se il blouson noir l’avesse vista e presa immancabilmente in giro non le sarebbe importato niente. Nulla le avrebbe tolto quel sorriso grato dal viso.
Si fermò dopo aver sentito un rumore improvviso tra i cassonetti della spazzatura. Assottigliò gli occhi per vedere meglio e notò un gatto nero uscire dal vicolo.
“Micio micio micio!” esclamò avvicinandosi al gatto. L’animale le si strusciò sul polpaccio e cominciò a fare le fusa non appena venne coccolato. “Sei proprio carino! Ti va di venire con me?”
Lo prese in braccio e, nonostante fosse un randagio, si fidò subito di lei acciambellandosi tra le sue braccia.
La bambina sorrise e cominciò a correre concitata.

Al covo, si stavano tutti preparando all’imminente arrivo di una banda di piccoli criminali che il blouson noir conosceva di persona. Visto che tra qualche giorno lui e Xiaoyu sarebbero entrati alla Mishima Zaibatsu, decise che era preferibile avere in dotazione qualche marchingegno che potesse facilitare il loro lavoro di infiltrati.
Il capo di quella banda, Geon, era un coreano come Hwoarang. Si erano conosciuti a Seoul e avevano lavorato insieme per qualche anno. Trasferitosi a Tokyo, Geon aveva formato un team di ladri e informatici che si occupava di rubare dispositivi elettrici e migliorarne le prestazioni, rendendo i prodotti unici e di valore per il mercato nero.
Il blouson noir attendeva l’arrivo del furgone al ciglio della strada sterrata, fumando una sigaretta per far passare il tempo. Sentì il rumore di un motore avvicinarsi e le luci di due fanali gli offuscarono la vista. Mise una mano davanti per coprire gli occhi e sorrise.
Il furgone si fermò e il primo ad uscire fu un ragazzo poco più grande del blouson noir, dai capelli gellati all’indietro e con un completo di marca elegante. Appena vide il rosso, allargò le braccia ed elargì un sorriso sincero.
“Hwoarang, vecchio mio,” disse abbracciandolo. L’altro contraccambiò.
“Che ti è successo, Geon? Sembri uno di quei figli di papà che ti divertivi a derubare,” scherzò il blouson noir divertito.
“Te l’ho detto che il mio è un lavoro remunerativo. Il campo informatico è un mercato in crescita,” spiegò Geon tirandogli qualche pacca amichevole. “Ti presento i miei soci,” disse poi facendo cenno ai due usciti dal furgone di avvicinarsi.
Hwoarang vide due figure in controluce completamente diverse tra loro: uno era alto, con le spalle grosse e la schiena dritta, mentre l’altro era basso, tarchiato e leggermente ingobbito.
“Lui è Hideo,” disse Geon indicando quello più basso, “il mio piccolo genio dell’informatica. Ha appena diciott’anni e sa già costruire marchingegni come un tecnico della NASA e spippolare meglio di un programmatore della pubblica sicurezza.”
“Piacere, ho sentito tanto parlare di te,” affermò Hideo stringendo forte la mano, annuendo la testa e sorridendo.
“L’altro è Mukuro,” aggiunse Geon indicando il secondo ragazzo, che rispose solo con un cenno veloce della testa. “Lui è la mia guardia del corpo.”
“Vi faccio strada nel mio covo,” disse Hwoarang fumando l’ultima boccata di sigaretta.
I tre, con a capo il rosso, superarono una rete metallica passando da un buco ed entrarono nel piazzale dove li aspettava il resto del gruppo, che aveva predisposto per l’occasione dei tavoli accompagnati da due faretti a led.
Aprirono gli zaini e adagiarono sul piano ogni tipo di diavoleria elettronica, tra cellulari, chip, tessere magnetiche e microfoni. Poco dopo, sentirono un calpestio frettoloso avvicinarsi sempre più. I tre sconosciuti notarono sorpresi una scolaretta coi codini alti avvicinarsi concitata con un largo sorriso stampato in faccia.
“Ehilà, Xiaoyu!” la salutò felice Mugen.
“Ciao a tutti, vi presento Gatto!” esclamò la bambina agitando al vento la bestiola. “Girovagava vicino al Matto e si è fatto prendere in braccio. È carino da morire, vero?”
“Chi diavolo è questa ragazzina?” chiese Geon perplesso.
“Non preoccuparti, è dei nostri,” informò allegramente John.
“Nella vostra banda potete avere i seguaci che volete, ma io non faccio affari coi poppanti,” sentenziò il coreano lanciando uno sguardo storto alla ragazza, la quale spalancò gli occhi allibita e spense ogni accenno di sorriso.
“Ehi, Geon,” disse Hwoarang avvicinandosi a lui con espressione seria e determinata, “so che in apparenza può non sembrarlo, ma è una persona affidabile nonché una delle migliori combattenti di arti marziali che abbia conosciuto,” soggiunse facendo spalancare ancora di più gli occhi di Xiaoyu dalla sorpresa. Era la prima volta che il blouson noir usava delle parole così elogiative nei suoi confronti, e non aveva idea che pensasse questo di lei. “Se tu la vedessi in azione-”
“Non mi interessa. Può anche distruggere un intero battaglione della Mishima Zaibatsu con un solo calcio, ma io non lavoro con le ragazzine, è la mia regola,” decretò Geon severamente. Nessuno disse una parola e Hwoarang si girò verso la bambina per guardarla con un’occhiata seria e impercettibilmente dispiaciuta. L’afferrò per il polso e in silenzio la portò verso il piazzale.
“Mi stai seriamente mandando via?!” chiese Xiaoyu basita e offesa cercando di divincolarsi dalla sua presa.
“Gli affari sono affari,” disse soltanto il blouson noir.
“Che significa gli affari sono affari? Non è giusto!”
“Tanto non fa differenza se ci sei o meno. Ti aggiornerò sulle funzionalità di quelle diavolerie stasera stessa, ok?”
“Ok un corno!” ribatté Xiaoyu che con un gesto del braccio più impetuoso degli altri riuscì infine a liberarsi della presa del compagno. “Quel tizio ha la mentalità più chiusa e maschilista di un novantenne uscito da un convegno di redneck!”
“Sono d’accordo, ma certo anche te non rendi facile la situazione...”
“Che vuoi dire?”
“Che ogni volta ti comporti come una mocciosa di ritorno da un negozio di giocattoli col suo nuovo peluche! Se vuoi che le persone ti prendano più seriamente dovresti essere più matura!”
Xiaoyu aggrottò la fronte sconcertata.
“Perché poi continui a portarti dietro tutte queste bestie? Pensi di trovarti in un parco giochi o in uno zoo? Siamo un covo di criminali!” continuò imperterrito Hwoarang. “Ci hai portato cani, gatti, pipistrelli, una volta persino un tanuki, e li chiami tutti col nome della loro specie animale! Possibile che hai fantasia sufficiente da inventare dei siparietti imbarazzanti con degli sconosciuti e non riesci a dare un nome che non sia Cane, Gatto, Tanuki…!”
La bambina indietreggiò di un passo e strinse i pugni, guardando amareggiata il suo compagno, il quale solo in quel momento si rese conto di aver esagerato, spinto da una collera immotivata. Era stata causata dal fatto di non essere riuscito a gestire la situazione con l’amico come avrebbe voluto. Era stato l’atteggiamento scontroso di Geon a farlo incazzare, non lei.
Si massaggiò nervosamente la faccia e fece un profondo respiro per calmare i bollori.
“Ne riparliamo dopo,” riuscì solo a dire senza, come sempre, trovare la forza e il tempo di scusarsi.
Xiaoyu lo vide tornare dagli altri a passo svelto. Girò anche lei i tacchi, diede un calcio a una lattina vuota a terra e andò nella direzione opposta.

La bambina vagava da venti minuti per le strade buie della periferia est senza una meta. Non poteva né voleva stare al covo e non aveva più l’appartamento in cui tornare. Quel pensiero le fece pizzicare di nuovo gli occhi. In una giornata era riuscita a malapena a raggiungere un quarto della cifra necessaria per riavere casa, realizzando che solo un miracolo avrebbe potuto aiutarla a trovare i soldi necessari entro domani.
Strinse con delicatezza la presa attorno al gatto che dormiva acciambellato tra le sue braccia, costringendosi a non fare uscire le lacrime strizzando gli occhi e ispirando forte. L’aria fredda l’aiutò a calmare i bollori e le diede un brivido lungo la spina dorsale. Si fermò per qualche secondo per guardarsi attorno.
Si trovava in una strada sconosciuta che fiancheggiava una staccionata consunta e scolorita, la quale divideva la carreggiata dalle rotaie di una ferrovia. Una pompa di benzina abbandonata e buia aveva ancora il residuo pungente dell’odore di benzina e pochi lampioni erano in funzione. Più avanti, la bambina poté notare delle luci di fanali sfrecciare lungo uno stradone a quattro corsie. In quel punto la vita urbana riprendeva il controllo della città e Xiaoyu decise di dirigersi lì: il suono di automobili avrebbe potuto distrarla dal pensare all’appartamento e a quel fastidioso ricordo delle ultime parole del blouson noir. Era meglio del silenzio surreale delle vie abbandonate che la inducevano solo ad avere più pensieri in testa.
Dopo aver raggiunto lo stradone, girò a sinistra e sorpassò un passaggio a livello. In lontananza, scorse i locali aperti e le finestre di alcuni appartamenti inondati di luce.
“Bel costume, piccola,” sentì poi dire da una voce femminile provenire dal ciglio della strada. Xiaoyu si voltò e notò una decina sagome attorno a tre bidoni di alluminio nel quale erano stati accesi dei fuochi. Una di esse si avvicinò a lei, una donna alta, dall’abbigliamento eccentrico. Aveva un boa attorno al collo, un vestitino scollato e calze a rete. La bambina la guardò per capire se la conoscesse, ma era un’impresa difficile: il trucco pesante e acceso non ne faceva capire né età né la fisionomia.
“Fammi indovinare…” disse la donna con voce divertita girandole intorno e squadrandola con attenzione, “sei la scolaretta timida e un po’ ingenua che cerca in ogni uomo una figura paterna.”
Xiaoyu arcuò un sopracciglio confusa e provò a chiedere cosa intendesse dire, ma la donna le impedì di parlare accarezzandole un ciuffo e soggiungendo:
“Questi codini sono un tocco di classe! Per non parlare della divisa… sembra vera!” affermò annuendo sbalordita. “Venite a dare un’occhiata, ragazze!”
Due di loro si avvicinarono e si misero quasi all’unisono con le mani sui fianchi per squadrarla meglio.
“Diavolo, tesoro,” disse quella più in carne ammantata di un vestito attillatissimo prendendola per il mento. “Sembri proprio una sedicenne… quanti anni hai?”
“Scommetto che ai clienti dici che per te è la prima volta e di essere gentili…” proruppe l’altra, una donna di colore con dei fianchi larghi messi in evidenza da pantaloncini cortissimi. “Quando sono tra le cosce di una donna, gli uomini si bevono veramente tutto.”
“Amen, sorella!” esclamò quella in carne ridendo.
“Quel gatto fa parte del personaggio?” chiese la donna alta.
“In effetti una come te farebbe comodo al gruppo. Non hai idea di quanti uomini abbiano questo tipo di perversione… sei venuta a proporti?”
Xiaoyu, che prima non riusciva a parlare a causa dell’energico slancio delle donne, adesso si trovava a non spiccicare parola per lo shock di aver capito chi fossero davvero. Non che fosse difficile visto la serie di indizi ovvi che avevano lasciato, come ad esempio il posto in cui si trovavano e l’abbigliamento che definirlo succinto era un misero eufemismo. Per non parlare della disinvoltura con cui parlavano di certi argomenti.
Erano prostitute, donne del mestiere che aspettavano i propri clienti sul ciglio della strada. E la cosa più assurda era che l’avessero scambiata per una potenziale collega. Non si offese per questo, anzi: dopo mesi che il blouson noir insisteva a ricordarle quanto le mancasse la carne nei punti giusti per definirla anche solo una ragazza, quelle passeggiatrici le regalarono un prezioso complimento, sebbene a modo loro.
“Ragazze, non vorrei rovinare il vostro magico momento ma… e se la piccola fosse davvero una studentessa?” proruppe una di loro da lontano.
“Cielo, no… che ci farebbe in giro a quest’ora?”
“Sei forse scappata di casa? Dio mio, stai bene, tesoro?”
Ancora più donne cominciarono ad accerchiarla e Xiaoyu si sentì sempre più torchiata dalla loro energia e femminilità.
“Ehm…” riuscì a dire soltanto. “Non sono scappata. Abito… qui vicino.”
“Piccola, guarda che se ti è successo qualcosa puoi fidarti di noi. Metà delle ragazze hanno avuto esperienze simili…” affermò con tono materno una rossa prendendole il viso tra le mani.
“Madeleine, vieni a dare un’occhiata, forse la conosci?” esclamò una di loro, e Xiaoyu sgranò gli occhi sorpresa, sicura di aver già sentito questo nome.
Cercò di rammentare, di sforzare la memoria, che infine affiorò.
Si ricordò dei ragazzi del covo del coreano, delle battute un po’ scorrette e un po’ sporche su una certa Madeleine. La chiamavano la bella dal cuore di ghiaccio, la sanguisuga e l’arraffa soldi. La migliore notte che un uomo poteva avere, nonché la sua inevitabile rovina economica.
Xiaoyu comprese che quelle donne altro non erano che le vecchie conoscenze del covo della periferia, rimembrate ogni tanto per qualche goliardica nostalgia di qualche membro della banda.
Ma non fu quella la più grossa delle sorprese. Scorse una bionda avvicinarlesi con curiosità, una donna bellissima dai lineamenti delicati e il volto di una bambola di porcellana. Quando però riuscì a collegare quel viso a qualcuno di sua conoscenza, la bambina spalancò la bocca e disse, con appena un filo di voce:
“Shiori…?”
Madeleine, un nome evidentemente d’arte, altro non era che la sua vicina di casa.
“Xiaoyu?” si sorprese a sua volta la finta bionda prendendola per le mani. Osservò con apprensione la ragazza che boccheggiare senza dire nulla, così si girò verso il gruppo.
“Qualcuno porti una sedia, per favore,” disse, conducendo la bambina da essa. “Vieni, siediti un attimo,” soggiunse dolcemente facendola accomodare e mettendosi accucciata di fronte a lei. Le altre, curiose, si misero tutte attorno con la faccia eccitata di chi è appena giunto al momento clue di una soap opera.
“Che ci fai qui? Ti è successo qualcosa?” chiese preoccupata Madeleine.
“Tu, piuttosto…” riuscì soltanto a dire Xiaoyu ancora stupita. La donna abbassò lo sguardo.
“È una storia lunga… non credo che basterà una notte per raccontartela. Ma devo chiederti un enorme favore,” scongiurò Madeleine guardandola intensamente negli occhi. “Non dire niente all’amministratore del condominio su quello che faccio. Se lo scoprisse, mi caccerebbe di casa e potrebbe persino chiamare la polizia.”
“Certo che non lo farò,” promise sentitamente la bambina senza pensarci neppure due volte. Non conosceva la storia di quella donna, ma il suo intuito le aveva sempre suggerito essere una persona buona e onesta. “E poi io odio quel tizio, perciò se posso fargli il dispetto di nascondergli un segreto accetto più che volentieri.”
Madeleine ridacchiò e le accarezzò il viso, e la cinese percepì in quel gesto la gentilezza spontanea e disinteressata di una madre.
“Quindi fatemi capire,” disse una voce alle spalle di Xiaoyu, “voi due siete vicine di casa e vi siete appena incontrate nel posto più improbabile di tutta Tokyo?”
“Eh già,” ammise Madeleine, scaturendo un coro unisono di uuuh meravigliati.
“Non ci hai ancora detto chi sei e cosa ci fai qui,” convenne un’altra guardando la bambina.
“Be’, ecco…” cominciò a spiegare Xiaoyu incerta direzionando lo sguardo da una prostituta all’altra, e poi guardò Shiori. Era stata così dolce e spontanea la fiducia che le aveva riposto che le venne naturale contraccambiare:
“Qualche mese fa sono entrata a far parte del covo della periferia est per scoprire cos’è accaduto a una persona a me cara,” disse la cinese. “Io e i ragazzi avevamo un obiettivo comune, perciò ho cominciato a vivere e lavorare con loro.”
“Allora la storia che avevo sentito è vera!” esclamò stupita una delle donne attorno a lei. “Girava voce che una ragazzina si era unita al gruppo di Hwoarang!”
Xiaoyu si stupì che conoscessero quel nome, e seguitarono delle inaspettate reazioni: alcune si sorrisero tra loro lanciandosi sguardi complici, altre guardarono sognanti il cielo come a voler afferrare un bel ricordo. Erano dannatamente cotte di lui, oh come lo si vedeva. Era talmente ovvio che persino un’inesperta in amore come Ling se n’era accorta: inesperta nell’esperienza diretta, ma sapeva bene cosa volessero dire tutte quelle occhiate, visto che lei stessa tempo fa le dedicava a Jin quando neppure si accorgeva della sua presenza, ossia la maggior parte delle volte, perso in chissà quali silenziosi tormenti mentali.
Poteva solo immaginare il motivo per il quale tutte quelle donne provavano così tanto ardore nei riguardi del blouson noir: ad ogni ragazza che incontrava lanciava degli sguardi da seduttore nato, faceva qualche complimento a bassa voce e riusciva a giocarsele con del contatto fisico ben studiato – una mano sulla spalla o una carezza sul dorso della loro mano. Xiaoyu l’aveva visto in azione ben due volte, sconcertandosi di quanto fosse diverso dal modo in cui trattava lei, come una specie di poppante, di ragazzina ingenua da prendere costantemente per i fondelli, a cui non dedicare mai una parola carina.
In un moto di nervosismo, Xiaoyu si mise a braccia conserte e fece il broncio.
“Quindi conoscete anche voi quell’idiota,” disse soltanto, rendendosi conto in ritardo di quanto fosse suonata antipatica quell’uscita. Le donne risposero ridendo di gusto e a gran voce, lasciandola di stucco.
“Be’, dolcezza, saresti l’unica di noi a odiarlo,” scherzò una di loro cercando con lo sguardo il consenso delle altre.
“C’è un motivo per il quale gli siamo così grate,” spiegò Madeleine, “e non solo a lui, ma a tutti i membri della banda. Per qualche anno siamo state costrette ad avere a che fare con dei… protettori poco onesti. Ci costringevano a lavorare per pochissimi soldi, prendendosi una percentuale schifosamente alta, e ci minacciavano ogni volta che cercavamo di affrontarli. Poi, un anno fa, i ragazzi di Hwoarang sono arrivati e li hanno cacciati, rendendo il nostro lavoro libero e sicuro. Alcuni di loro si offrono tuttora per della protezione gratuita, sai… quando un cliente non si comporta come si deve.”
La cinese ascoltò senza dire una parola. “Hwoarang non me l’ha mai raccontato…” mormorò interdetta.
“Tipico dei maschi come lui,” disse quella di colore scuotendo la testa. “Vogliono per forza passare per cattivi ragazzi e non mostrano mai il loro lato dolce.”
“Vi ricordate com’erano gli uomini della periferia est prima di incontrare Hwoarang?” esclamò la tipa in carne, ridendosela di gusto.
“Come no. Una mandria di reietti. Sai, piccola, quel tale coi tatuaggi, Mugen…” raccontò la donna alta e truccatissima, “era un ragazzino scappato anni prima da un orfanotrofio.”
La bambina aggrottò la fronte dispiaciuta per il suo amico tatuato. Non aveva idea che quei ragazzacci sempre di buon umore e simpatici avessero un passato così travagliato. Si rese conto di non conoscerli come pensava...
“E quello grosso, l’americano...”
“John!”
“Sì, John!” ripeté la donna puntando il dito divertita. “Lui era un circense!”
Stavolta Xiaoyu spalancò la bocca sorpresa. Questa, poi.
“Ne trovi di tutti i colori in quel covo,” ritenne una donna un po’ più grande delle altre, sulla quarantina. “Persone che hanno perso tutto per affari andati a male, ex militari di guerre in Medio Oriente, scappati di casa, uomini che in un modo o nell’altro si sono rovinati per amore...”
La cinese si morse il labbro e guardò a terra. Quella sera, tra Madeleine e tutto il resto, c’erano tante nuove scoperte da metabolizzare.
“Poi è arrivato Hwoarang,” continuò a raccontare un’altra, “che li ha raccolti e guidati creando il gruppo di balordi uniti e intraprendenti che tu conosci. E così, l’hanno proclamato capo.”
Xiaoyu sorrise e si sporse in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e reggendosi la testa. “Sono proprio contenta di avervi conosciuto… mi avete accolta trovandomi che vagavo senza meta e raccontato tutte queste storie che non conoscevo…” ammise sinceramente grata.
“Aw, sentito che zuccherino?” disse la tipa alta strizzandole la guancia e facendola ridere imbarazzata. “Peccato che tu sia minorenne. Una così i cuori degli uomini li strappa e li cucina a merenda. Avresti tanti di quei clienti...”
“Non provare a traviare la mia piccola,” protestò scherzosamente Madeleine. “Piuttosto, parlando di Hwoarang e gli altri, perché ti hanno lasciata tutta sola?”
Come di consuetudine, proprio come una bambina, Xiaoyu cambiò repentinamente e spontaneamente d’umore facendo una smorfia contrariata.
“Be’… stasera sono arrivate delle persone con cui fare alcuni affari, e il loro capo ha detto che non voleva tra i piedi una ragazzina come me, così me ne sono andata…” rispose la cinese ancora inviperita per quell’episodio.
“Che… stronzo!” esclamò senza freni una delle tante.
“Odio gli uomini così… si atteggiano come se ogni cosa che fanno fosse di vitale importanza… scommetto che è solo un fannullone che non sa neppure allacciarsi le scarpe da solo!”
“Ben detto!”
“Perché non gliela facciamo pagare?” propose Madeleine con un sorriso furbo. “Di clienti, ormai, non c’è più l’ombra, e potremmo andare a trovare i ragazzi, visto che non li vediamo da tanto… approfittandone per fare un bello scherzo a quel tizio.”
“Hai in mente qualcosa?” chiese la tipa di colore sicura della risposta. Era una domanda retorica, lo sapeva bene, ma non vedeva l’ora di conoscere la ragione dello strano luccichio negli occhi di Madeleine.
“Pensavo…” disse quest’ultima con voce eloquente guardando la cinese, “potremmo portare Xiaoyu al covo e vestirla come una di noi. Così facciamo vedere a quel gradasso che non è affatto una ragazzina, ma una donna in tutto e per tutto.”
Le altre esultarono all’unisono, tranne la bambina che guardò Madeleine non capendo il nesso di ciò che aveva detto con la storia del capobanda antipatico.
“Non capisci, piccola?” esultò una di loro, “ti presenterai a lui come la più sexy delle femmine, magari gli farai pure qualche moina, e quando sarà bene cotto ti toglierai la parrucca e riderai di lui, anzi, rideremo tutte insieme, vero ragazze?”
“La parrucca…?” fu l’unica domanda che venne in mente a Xiaoyu di fare, oltre alle altre tante che non aveva idea di come formulare. La logica di queste donne era contorta e femminile. Forse non era sufficientemente grande da capirla?
“Ma è ovvio! Ci vuole una parrucca, un nuovo vestito e del trucco, così non ti riconoscerà nessuno, neppure quelli del covo,” spiegò la tipa in carne con ovvietà.
La bambina le lanciò uno sguardo tra lo sconcertato e il divertito. “Ma questo è impossibile, vivo con loro da mesi!”
“Sopravvaluti i maschi, tesoro,” commentò una di loro scuotendo la testa e ridacchiando.
“Non vedo l’ora di vedere la reazione di quel coglione.”
“Già me lo immagino. Sarà un momento memorabile da premio Oscar.”
“Allora, ci stai?” chiese Madeleine con un sorriso magnetico ed entusiasta.
Xiaoyu sentì lo sguardo di tutte su di sé. Ancora non aveva capito il senso di quel piano, ma vedere le espressioni concitate ed elettrizzate di tutte quelle donne che la scrutavano nella speranza di una risposta affermativa la persuasero ad accontentarle. Era da tanto che non aveva una complicità così sincera e disinvolta con delle persone, e quelle prostitute, per quanto conosciute da pochissimo, si erano già accaparrate con estrema facilità l’affetto della bambina.
“Facciamo vedere a quello scemo chi siamo!” esclamò alzandosi dalla sedia e alzando un braccio.
Un coro squillante e femminile echeggiò in risposta per le strade deserte della periferia.

Un silenzio inusuale e teso governava in tutto il covo dell’est. L’unico rumore che il blouson noir udiva era il frusciare delle banconote che venivano nervosamente contate da John al suo fianco. Il rosso alzò con casualità lo sguardo dalla microspia appena acquistata per osservare l’amico, trovandolo con un’espressione dura e accigliata. Anche Mugen e Rana, vicino al tavolo, avevano lo stesso sguardo.
Sentirono in lontananza Geon scoppiare a ridere con Hideo, e Rana, in risposta, fece una smorfia infastidita.
“Non mi piace quel tizio,” ammise soltanto guardando il suo capo.
“Già. Scusa tanto, boss, ma il tuo amico è un vero stronzo,” concordò John fissando di sottecchi il diretto interessato.
“Non è mio amico,” replicò soltanto il blouson noir.
“Xiaoyu ancora non si è fatta viva,” disse preoccupato Mugen. Era più di dieci minuti che continuava a sondare con lo sguardo tutto il piazzale, e solo in quel momento Hwoarang ne capì la ragione.
“La bambina sa badare a se stessa,” ritenne il rosso con severità. “Vi ricordate come vi ha conciati la prima volta che vi ha incontrato?”
“Già…” ammise John incrinando l’angolo del labbro. Fu il primo accenno di sorriso di quell’ultima ora.
Il silenzio tornò a regnare all’interno del gruppo. Hwoarang si accese una sigaretta, ma prima di ispirare la boccata guardò gli amici con uno sguardo riflessivo.
“Potremmo farle un regalo,” disse ricevendo un’occhiata incredula da parte dei compagni, dal momento che non era assolutamente da lui parlare di certe cose. “Non ho detto niente di strano, è quello che si fa ai mocciosi come lei quando tengono il broncio,” ironizzò passandosi la microspia tra le dita. “Stavo pensando che visto che ogni tanto si porta dietro delle bestie trovate per strada potremmo regalarle una cuccia.”
I tre sorrisero a quell’idea, e Hwoarang, imbarazzato, roteò gli occhi al cielo. “Ma dovrà curarsi lei di loro. È già sfiancante farle da balia, non ho proprio voglia di dover pensare pure alle sue bestiacce.”
D’improvviso, Mugen rizzò le orecchie e si mise sull’attenti con la schiena dritta, un atteggiamento simile ad alcune, come definite prima dal blouson noir, bestiacce della bambina. Gli altri tre lo guardarono interrogativi.
“Ho sentito la voce di una ragazza,” riferì il tatuato tutto assorto.
Il resto della combriccola rise scuotendo la testa.
“Sentire voci femminili che non esistono è il quarto stadio di astinenza da donna,” scherzò John dando una pacca all’amico. “Al quinto cominci a scambiare i ragazzi per ragazze. Ti conviene stare attento, amico.”
Mugen lo zittì bruscamente con uno shhh! secco e guardò in avanti. “Avete sentito anche voi?”
“Non abbiamo sentito proprio niente,” rispose Rana divertito, ma poco dopo qualche secondo un risolino acuto echeggiò per le stradine buie della periferia est. Il tatuato, animato da un fervore mai avuto prima, scavalcò con un solo salto il tavolo e corse con la stessa energia e velocità di un corridore olimpionico verso uno spiazzo tra due palazzi, dal quale – e non era stato un miraggio di Mugen, perché lo videro tutti – sbucarono un gruppo di donne che parlottavano allegramente tra loro.
“Le ragazze di Madeleineeee!” urlò il tatuato con la stessa foga di un marinaio che chiama terra dopo un estenuante viaggio in oceano. E, in una reazione altrettanto simile a quella di una ciurma che esulta in risposta per essere arrivata sana e salva su un’isola, si alzò un coro goliardico e spensierato di uomini felici.
Finalmente, il covo della periferia est fu di nuovo dominato dalla consueta allegria dei suoi balordi.
Le donne vennero subito accolte calorosamente, chi con un abbraccio, chi con un complimento, chi addirittura con una piroetta che la fece volteggiare in aria. Alcuni dei ragazzi tolsero da terra le bottiglie finite e misero sgabelli e cassoni attorno al perimetro del piazzale. Nuove bottiglie ancora da stappare accorsero dalle nuove arrivate, e la musica funky di un vecchio stereo collegato a due casse acustiche cominciò a rimbombare per tutto il quartiere.
“Cos’è, una specie di dono di benvenuto?” chiese Geon al rosso, con un tono che era a metà di sorpresa e apprezzamento.
“No,” rispose il coreano con un mezzo sorriso, “solo una felice coincidenza.”
Un po’ distante dalla calca creata inevitabilmente allo spiazzo che stava fungendo da pista da ballo, si trovava la bambina che, timidamente, guardava esterrefatta e divertita le reazioni dei suoi amici. Si aggiustò di nuovo il vestito rosso che indossava, toccandone la curiosa fabbricazione in lattice che l’avvolgeva in modo strano, e le venne da stropicciarsi le palpebre a causa di un leggero prurito, ricordandosi in tempo di essere coperte di ombretto e mascara. Si sistemò la frangia della parrucca dello stesso colore acceso del vestito, una chioma liscia e sintetica che le arrivava all’altezza delle scapole, e prese un profondo respiro. Poco prima che raggiungessero il covo, la prostituta che per prima di tutte le aveva rivolto la parola le si era parata davanti e le aveva steso sulle labbra un rossetto color fiamma. Era corposo e liquido, e ogni volta che la cinese serrava la bocca percepiva uno strano sentore oliato.
Vide la tizia di colore avvicinarlesi a suon di musica e prenderla per mano per incitarla ad unirsi agli altri, e Xiaoyu così fece, col passo incerto di chi stava camminando per la prima volta coi tacchi. Si fermarono in mezzo a un gruppo di delinquenti del covo che la bambina conosceva fin troppo bene: il tipo con la cresta punk, quello col cappellino sempre in testa e quello che indossava gli occhiali di sole anche la notte.
“Volete sedervi con noi, dolcezze?” disse uno di loro indicando due posti vuoti di un divanetto stretto. La prostituta, ancora mano nella mano con la bambina, la tirò dolcemente a sé e si accomodò con lei.
Xiaoyu era rigida, a disagio a causa del vestito e allo stesso tempo divertita da quella situazione, con l’aria complice ed emozionata di chi se la stava spassando per uno scherzo in atto.
“Vuoi un po’?” le chiese quello con gli occhiali da sole porgendole una bottiglia piena di sakè. La cinese strabuzzò gli occhi sorpresa per quel gesto gentile e indiscreto mai ricevuto prima: quando era nei panni della vera Xiaoyu, la scolaretta allegra e innocente, nessuno di loro era mai stato così irrispettoso da offrirle dell’alcol, eppure adesso le elargivano distillati come fossero caramelle.
“Non ci siamo già visti da qualche parte…?” fece il tipo con la cresta con fare incuriosito, assottigliando lo sguardo per guardarla meglio. La bambina deglutì e si portò la bottiglia alla bocca per nascondersi il viso, cominciando a tracannare come se fosse acqua. I ragazzi attorno a loro risero di gusto.
“Ora sono sicuro di non conoscerti. Me la sarei senz’altro ricordata una donna che alza il gomito con così gusto!” scherzò quello di prima porgendole una bottiglia di vodka.
La bambina smise di bere e percepì un calore fortissimo attraversarle l’esofago, lasciandola quasi senza fiato. Trattenne la tosse per non fare la figura della ragazzina e una parte di lei si pentì di non sfogare quel bruciore alla gola.
Lasciò la bottiglia di sakè e prese quella di vodka cominciando a scolarsela, scaturendo altre risate.
“Come ti chiami, dolcezza?” chiese quello col cappellino avvicinandosi così tanto che Xiaoyu dovette stringere le spalle per riuscire a stare tra i due ragazzi. Lo guardò senza dire una parola, rendendosi conto che se avesse parlato avrebbero potuta scoprirla. Prima che fosse necessario farlo, l’altra ragazza la aiutò affermando:
“Scusala, ma non può capirti. Vive da poco in Giappone, deve ancora imparare la lingua.”
“Ah sì? Da dove viene?” domandò il tipo con la cresta.
“Dalla Corea,” rispose la donna di colore pescando a caso la prima nazione che le venne in mente.
“Ah, come il nostro capo!” esclamò quello con gli occhiali indicando Hwoarang. Xiaoyu lo guardò immancabilmente e lo trovò ridere e scherzare coi suoi uomini e altrettante prostitute. Era sempre lui a parlare, concentrando tutta l’attenzione su di sé, e le donne lo ammiravano incantate.
“Potremmo chiamare il capo e farci fare da traduttore,” propose quello con cappellino e la bambina, per l’agitazione, fece sfuggire la tosse che per tutto quel tempo era riuscita con grande forza di volontà a tenere a freno.
“Andiamo a ballare!” proruppe la tizia di colore prendendo la bambina per le mani e correndo con lei alla pista da ballo senza lasciare il tempo ai tre ragazzi di poterle fermare.
Quando arrivarono in mezzo alla calca si guardarono per qualche secondo, poi scoppiarono a ridere.
“C’è mancato poco!” esclamò la bambina con le lacrime agli occhi. L’alcol stava iniziando pericolosamente a circolarle nel corpo, e ciò le arrecò il doppio effetto di perdita di equilibrio e di disinvoltura nel ballo. Non si era mai scatenata a una serata di musica, e la mente annebbiata e libera da qualsiasi giudizio esterno la faceva piroettare e muovere a ritmo senza freni, condotta da qualche donna di strada o da qualche canaglia che ben conosceva e che ancora non aveva capito che c’era lei sotto la parrucca rossa e il vestito in lattice. Continuavano a passarle distillati di ogni tipo, che Xiaoyu oramai beveva senza neppure più leggere le etichette.
“Piccola, non ci hai ancora detto qual è il tizio bastardo che ti ha fatto la sfuriata di prima,” le disse all’orecchio la donna in carne. La bambina era così presa da quell’impeto di vivacità senza pensieri da essersi completamente dimenticata del motivo per il quale si trovava lì. Si avvicinò alla donna cingendole il collo fingendo di ballare e le mormorò:
“È il tipo in disparte tutto ingellato con gli abiti di marca.”
“Lo dovevo sospettare! Solo quelli tanto pieni di sé si vestono come dei manichini di una vetrina di outlet,” scherzò l’altra, facendo ridere a crepapelle la cinese.
“Adesso fagli un bel sorriso da seduttrice, su. Fammi vedere come si fa!” esclamò la tipa alta incitandola con le altre. Xiaoyu, allora, stirò le labbra all’insù in un sorriso tirato che mostrava tutti i denti, facendo ridere tutte.
“Ma no, dolcezza, ci vuole un sorriso sensuale, caldo, che faccia arrapare un uomo… non quello dei bambini delle pubblicità dell’apparecchio!”
La cinese non si offese, anzi, si unì al coro di risate e fece diversi tentativi per arrivare al risultato voluto dalle nuove amiche, uno più fallimentare dell’altro.
Si divertiva da morire in quella bolgia piena di donne, ma a un certo puntò posò casualmente lo sguardo sul blouson noir diventando seria. Nonostante non si fosse unito alla pista insieme agli altri, aveva attorno a sé più donne di tutti. Alcune di loro gli si erano attaccate alle braccia, altre mentre ridevano in risposta a qualche sua battuta gli toccavano casualmente il petto, e quelle più lontane che non avevano spazio sufficiente per stargli vicino lo divoravano con gli occhi. La bambina guardò proprio una di queste ultime, una ragazza bassa, con una parrucca rosa e un eyeliner evidente attorno agli occhi, che lo fissava con uno sguardo intenso, con le palpebre leggermente abbassate e un sorriso accennato sulle labbra lievemente aperte.
Con la mente completamente vuota a causa dell’alcol, senza i condizionamenti dell’orgoglio ferito e della rabbia causati dalla difficile situazione che aveva col rosso, una parte di Xiaoyu ammise di volerlo guardare anche lei a quel modo, di volerlo stregare con gli occhi e vederlo a sua volta contraccambiarle lo sguardo con uno simile a quello che aveva visto quando lui si trovava in compagnia della ragazza universitaria di cui non ricordava il nome, la gatta morta venuta un mese prima al covo con le amiche.
Hwoarang si girò casualmente a guardarla e la cinese distolse nervosamente lo sguardo, dandogli le spalle con la scusa di una piroetta. Cercò di attenuare il battito del cuore e vide davanti a sé Geon chiacchierare discorsivamente con gli altri due della sua banda vicino alla rete metallica. Xiaoyu non smise di fissarlo neppure un attimo, aspettando che ricambiasse casualmente lo sguardo, e non appena avvenne, solo allora, lei gli lanciò un’occhiata infuocata e un sorriso malizioso senza eguali, imitando la ragazza dai capelli rosa. Il tipo ingellato sostenne lo sguardo con uno più indagatore, alzando leggermente un sopracciglio, poi le sorrise. La bambina si voltò emozionata verso le amiche, che le si avvicinarono in cerchio tutte concitate e divertite.
“Quello sì che è uno sguardo rovente!” scherzò quella di colore guardandola oltre le spalle. “Sta venendo qui! Ragazze, lasciamola sola!”
“Forza, piccola, cuocilo ben bene e poi fagliela pagare!”
La cinese le vide allontanarsi ballando allegramente e si girò in direzione di Geon, trovandoselo a un passo da lei. Nessuna delle nuove amiche aveva spiegato cosa avrebbe dovuto fare da lì in poi, così, senza sapere come agire, rimase a guardarlo in un silenzio imbarazzato.
“Come ti chiami, bella?” chiese lui con una voce dolce e bassa, completamente diversa da quella dura e antipatica che le aveva riservato quando si erano visti per la prima volta. Le ragazze della strada al passaggio a livello avevano proprio ragione: gli uomini erano degli allocchi creduloni, a cui bastava un filo di trucco e un colore diverso di capelli per fregarli.
Divertita dalla situazione, la bambina si coprì il viso per nascondere un sorriso.
“Che c’è, ora fai la timida?” disse il tipo fraintendendo il comportamento della cinese, prendendola per il polso per svelarle il volto. Con la scusa di essersi avvicinato si chinò al suo orecchio e soggiunse: “Perché non andiamo a chiacchierare in un posto più appartato? Qui è così chiassoso...”
“Capo,” disse una voce bassa e atona dietro di lui, “ti vogliono al cellulare, per quell’affare delle telecamere...”
Il tipo ingellato non riuscì a nascondere una smorfia scocciata al tale che riconobbe essere la sua guardia del corpo. Fece un sorriso di circostanza alla bambina, poi si voltò verso Mukuro e prima di andare gli sussurrò:
“Tienimela calda. E non fare avvicinare nessuno.”
Mukuro annuì e, non appena fu solo con la cinese, si mise con le gambe leggermente divaricate, la schiena dritta e una mano sopra l’altra all’altezza del cavallo dei pantaloni, nella tipica posa di un bodyguard. Xiaoyu guardò l’omone davanti a sé divertita dalla situazione, sentimento ampliato anche dai fumi dell’alcol che ancora vorticavano nella sua testa. Il ragazzone che aveva davanti era alto quasi quanto John, dalla carnagione più scura rispetto a quella di un Giapponese, i capelli a spazzola e il taglio degli occhi affilato.
“Come mai ti sei vestita così?” le chiese dopo un po’ con lo stesso tono monocorde di prima.
La bambina si fermò dall’ondeggiare a tempo di musica e lo guardò esterrefatta.
“Mi hai riconosciuta?”
“Certo. Sei la scolaretta di un’ora fa,” rispose Mukuro col volto serissimo.
“Tu sì che hai lo sguardo attento di una guardia del corpo!” esclamò Xiaoyu annuendo in maniera approvativa. “Mica come il tuo capo, che è così stupido che stava per abboccare al mio scherzo!” aggiunse poi con la spassionata sincerità di chi non ha più freni inibitori, accompagnando la constatazione con una risata.
L’uomo non disse niente. La guardò, per quanto possibile, persino più serio. Il sorriso della cinese si spense subito.
“Oh no, non glielo andrai a dire, vero…?” scongiurò Xiaoyu con gli occhi da cerbiatta.
L’uomo alzò un sopracciglio appena e rimase in silenzio, poi le disse stentoreo:
“Se glielo vado a dire, lo scherzo non è più divertente,” e accennò per la prima volta un sorriso.
La cinese lo colpì amichevolmente sul petto ridendo di gusto. “Ma lo sai che sei proprio una sagoma? Dovresti essere tu il capo della banda!”
Mukuro tossì e fece finta di non sentire l’ultima affermazione.
“Comunque, perché te ne stai così impalato a fare niente?” chiese curiosa la cinese per nulla intimorita dalla corporatura mastodontica e lo sguardo di ghiaccio di quell’omone.
“Devo sorvegliarti. Ordini superiori,” spiegò solo, confondendo ancora di più la bambina.
“D’accordo, ma puoi farlo anche ballando, no?” propose la cinese tornando a muoversi a ritmo di una nuova canzone hip-hop. “Così dai meno nell’occhio!”
Mukuro la guardò dimenarsi sciolta e felice, immersa completamente nella musica; prese una bottiglia di rum lasciata sulla cassa vicino, la sorseggiò e cominciò a ballare insieme a lei.

Una castana riccia porse una sigaretta appena cacciata fuori dal pacchetto in direzione di Hwoarang, e lui, capendo l’antifona, prese l’accendino dalla tasca del giubbotto e gliela accese. La ragazza rispose con un sorriso che appariva più ammiccante che grato.
“Potresti accenderla anche a me, Hwoary?” chiese un’altra accodandosi con una sigaretta rollata a mano.
“Ci penso io!” proruppe Mugen sporgendosi come un contorsionista pur di arrivare da lei prima del suo capo, il quale, dopo aver assistito al siparietto tragicomico dell’amico, nascose con la mano un sorriso divertito e imbarazzato.
Quando finì la canzone che rimbombava nella cassa alla sua destra, poco prima che cominciasse la seguente, sentì una risata familiare che lo fece trasecolare. La conosceva a memoria, abituato ad ascoltarla ogni volta che qualche brutto ceffo dei suoi faceva una battuta divertente, o quando lui stesso, in un moto di inusuale gentilezza, raccontava qualcosa di simpatico alla bambina senza l’intento di offenderla o prenderla in giro. Era sicuramente quella la risata che aveva sentito, e si girò a cercare con lo sguardo Xiaoyu. Quando si rese conto da dove provenisse la voce, non vide la solita uniforme scolastica e due ciuffi sbarazzini, ma un vestito attillatissimo e dei capelli rosso fuoco che si muovevano a ritmo di musica.
“Torno tra poco,” disse soltanto Hwoarang al gruppo di manigoldi e prostitute attorno a lui con un’espressione confusa, scostando gentilmente una delle ragazze di strada per poter passare e appropinquarsi alla rossa in mezzo alla pista da ballo.
Quando le fu abbastanza vicino da sentirla ridere e chiacchierare animatamente con la guardia del corpo della sua vecchia conoscenza, fu certo che si trattasse proprio di lei.
La prese per il polso per farla girare e poterla guardare con attenzione, facendola quasi spaventare per l’inaspettata e prepotente apparizione.
“Che diavolo combini conciata così?” chiese interdetto sondandola da capo a piedi con un’occhiata dapprima stupita, poi preoccupata. “Non lo starai facendo per… avere i soldi per l’appartamento, vero?”
La cinese lo guardò attonita e in silenzio, e il capo del covo dell’est capì dai suoi occhi vacui e persi che quello era lo sguardo di una persona ubriaca.
La prese per le spalle per avvicinarla a sé e scandire meglio le parole. “Bambina, sono state le prostitute con cui sei venuta a chiederti di lavorare con loro?”
Solo allora Xiaoyu capì l’insinuazione del coreano e il motivo per il quale era così inquieto.
“Ma no, non sono vestita così per… quello!” esclamò la bambina imbarazzata ed agitata. “Me ne sono andata dal covo perché non ero la benvenuta e, girando per la periferia, ho conosciuto le ragazze. Visto che quello scemo del tuo amico non vuole una bambina tra i piedi, mi hanno truccato e vestito come una di loro. E quello sbruffone ci è subito cascato!”
La bambina si reggeva a malapena in piedi, e Hwoarang dovette stringere la presa per evitare che cadesse a terra. In una situazione normale l’avrebbe sicuramente presa in giro sul fatto che neppure col trucco più pesante e il vestito più succinto sarebbe mai passata per una vera donna, ma in quel momento la preoccupazione nel vederla così ubriaca e strana aveva prevalso sulla sua personalità irriverente e menefreghista.
Notò che entrambe le mani della cinese reggevano due bottiglie alcoliche diverse: una era di birra, l’altra di tequila. Le prese e le appoggiò sulla cassa vicina. “Non avrai bevuto tutti questi mischioni, spero… lo sai cosa succede quando si alternano alcolici di diversa graduazione?”
Xiaoyu lo guardò interrogativa e scocciata. Non aveva capito bene cosa intendesse, ma come al solito aveva usato un tono perentorio. Stava solo ballando, pensò tra sé e sé, e ovviamente il blouson noir cercava come sempre di rovinarle il divertimento.
“No, certo che non lo sai… Be’, te ne accorgerai domattina,” ironizzò il rosso guardandola con un’occhiata derisoria. All’ennesima frecciatina, la bambina si divincolò bruscamente dalla sua presa e gli lanciò uno sguardo stizzito.
“Perché non mi lasci in pace invece di tormentarmi in continuazione?!” urlò con rabbia, lasciando che l’alcol la facesse agire di pancia, facendole sfogare tutta la frustrazione provata quella sera a causa del modo in cui quello stupido capobanda della periferia est l’aveva trattata. Non si preoccupò neppure di farsi sentire dal gruppetto che ballava vicino loro, che per fortuna non si accorse di nulla a causa della musica assordante che aveva attutito il tono della voce.
“Tormentarti? Mi sto preoccupando per te!” tuonò a sua volta il rosso. “Sei così bevuta che non capisci neppure quello che succede. Guardati! Ti reggi a malapena in piedi, vestita come una sgualdrina di strada. Lo sai che qualcuno potrebbe approfittarne?”
“Ah sì? Eppure mi dici sempre che sono una mocciosa che nessuno guarderebbe di striscio!” ribatté Xiaoyu sempre più inviperita.
Hwoarang l’avvicinò a sé prendendola per la spalla, con uno sguardo alienato e irruento che riuscì persino a intimorirla. “Sai bene di non essere una mocciosa. O davvero non te ne sei accorta? Non hai visto come ti guardano tutti e ti fanno ubriacare?”
La cinese fissò le iridi del blouson noir sbigottita per quel suo strano discorso, per la rabbia con la quale sembrava volerla accusare di un torto che non capiva. “Io mi fido dei ragazzi del covo!” esplicò soltanto la bambina con determinazione.
“Anche io, e non ti toccherebbero con un dito alla luce del sole. Ma adesso non sanno che sei tu, vedono solo una ragazza ubriaca che possono facilmente portarsi a letto.”
“Non è vero!” insistette Xiaoyu, e in parte la rabbia in parte l’alcol le fecero avere un prepotente capogiro. Sentì le gambe cederle e scivolò in avanti, ma fu presa in tempo dal rosso.
“Devi sederti. Andiamo in un posto più tranquillo,” disse il coreano col solito tono da comando che fece solamente innervosire ancor di più la bambina, ma non trovò le forze di ribattere a causa dell’improvvisa debolezza che le irruppe in tutto il corpo.
Soltanto in quel momento Mukuro si interpose tra i due e la calca, bloccando loro la strada. “Ci penso io,” disse in tono severo.
Hwoarang lo fulminò con lo sguardo. “Posso tranquillamente farlo da me,” replicò soltanto.
“Insisto. Devo badare a lei, è un ordine di-”
“Questo è il mio clan e ho io l’ultima parola sui miei uomini,” dichiarò deciso il rosso sorpassandolo e tirandogli una spallata. Trascinò con sé la bambina e si girò per guardarlo storto.
Anche lui era uno di quelli, uno schifoso che voleva approfittare di Xiaoyu. Non l’avrebbe fatta toccare a nessuno, non in quelle condizioni.
Appena arrivati ad un vicolo cieco e buio nel quale la musica arrivava ovattata e non c’era nessuno oltre loro, si fermò realizzando con orrore che quella della sbronza della compagna altro non era che una scusa. Si disprezzava per questa sua debolezza. Si sentiva patetico.
La verità è che non voleva che nessuno toccasse la sua bambina in qualsiasi contesto. Né il gorilla di prima, né i suoi uomini, né il figliastro di Mishima, né Jin. Il solo pensiero che potesse succedere anche solo per ipotesi lo accecava di gelosia, lo faceva agire nella maniera più impulsiva e morbosa, scaturendo quelle stupide guerre verbali che lui stesso ammetteva essere crudeli e ingiuste. La bambina non lo meritava.
Si girò dispiaciuto a guardarla, trovandola con le gambe che cedevano leggermente e una mano sul muro con cui avere un appoggio più stabile.
“Stai bene?” le chiese preoccupato a causa delle sue palpebre appesantite e lo sguardo spento. Xiaoyu annuì soltanto.
“Prima, le cose che ti ho detto…” mormorò lui con difficoltà, “non volevano essere delle critiche. Se sono sembrato duro era perché… mi sono preoccupato.”
La cinese rimase zitta e lo guardò assorta.
“Ora non mi sembri nelle condizioni di capire,” ritenne Hwoarang prendendola e adagiandola con la schiena sulla parete. “Siediti qui e aspetta che ti passi la sbronza, poi ne parliamo.”
“No!” urlò d’improvviso la bambina, e il blouson noir aggrottò la fronte sconcertato per quell’impeto inaspettato. “Dici sempre così, ma non lo fai mai!”
“Eh?” fu la sola affermazione monosillabe che riuscì a formulare il rosso.
“Anche prima avevi detto che avremmo parlato di quello che era successo, ma non l’hai ancora fatto! E anche quando eravamo alla festa della Mishima Zaibatsu. E alla fine ti ritrovo che ce l’hai con me e non ne capisco mai il motivo! Se mi vedi con un gatto in braccio dici che sono troppo infantile e che non mi prendono seriamente, se mi trucco e indosso un vestito dici che sono eccessivamente donna e che mi prendono troppo seriamente!”
Hwoarang rimase sorpreso per quella confessione così diretta della bambina, provocata dall’alcol che ancora girava nel corpo.
“Tu mi odi persino quando non faccio niente!” continuò Xiaoyu con gli occhi che cominciarono a pizzicarle. “Una volta non eri così! Mi trattavi male, certo, però usavi sempre un tono scherzoso. Ma da un mese a questa parte hai cominciato ad evitarmi, a umiliarmi. Mi hai persino detto che il mio maestro si rivolterebbe nella tomba per il fallimento che sono diventata!”
Il coreano aggrottò la fronte dispiaciuto. Ricordava ancora perfettamente quell’episodio: si trovavano nella pista da ballo della Mishima Zaibatsu e danzavano un lento insieme. La bambina indossava l’abito cucito da Forest che la faceva risplendere in tutta la sua bellezza. Era talmente splendida che non mancò di ricevere le attenzioni del miglior partito della serata. Il figliastro di Heihachi era un uomo attraente, ricco, che sapeva giocare con le parole. E la paura di Hwoarang di perderla per sempre si era concretizzata quando la vide poco prima ballare un tango con lui. Lei era così sensuale mentre si muoveva; era inevitabile che Lee ne rimanesse ammaliato.
Ogni volta che Hwoarang trattava male la sua bambina c’era un comune denominatore: un altro uomo che, oltre lui, voleva averla tutta per sé.
Sarebbe bastato semplicemente dirle la verità per poter risolvere quell’estenuante stallo che si era creato tra loro.
Il coreano la guardò impercettibilmente intimorito e si schiarì la gola.
“Tu non sei un fallimento, bambina. E hai ragione, non hai mai fatto niente di male. È che io… reagisco così ogni volta che qualcuno si interessa a te.”
Xiaoyu schiuse la bocca sorpresa. “Che… vuoi dire?”
Il rosso di morse il labbro.
Che voglio essere io l’unico a farlo. Che vedere qualcuno che prova anche solo a parlarti mi fa diventare geloso e possessivo, si disse tra sé e sé, le parole che gli vorticavano nella testa, in procinto di uscire da un momento all’altro.
Ma la paura, di nuovo, lo bloccò. Aveva passato l’infanzia travagliata tra i vicoli di Seoul, si era unito a criminali noti e pericolosi per farsi strada nell’unico mondo che conosceva, aveva partecipato a rischiose gare di moto, era stato inseguito dalle forze dell’ordine, messo in gattabuia, picchiato, eppure nulla di questo lo spaventava quanto l’idea di aprirsi e legarsi ad un altro essere umano.
“Avere dei ragazzi che ti ronzano attorno potrebbe distrarti ed è un problema, visto che mi servi concentrata per le missioni nella Mishima Zaibatsu,” mentì Hwoarang.
Xiaoyu lo guardò dapprima basita, poi offesa. “Però tu puoi farlo. Tu puoi avere attorno tutte le distrazioni che vuoi.”
“Cosa?”
“Tutte quelle ragazze che prima ti mangiavano con gli occhi. A te questo sta bene!” disse la cinese nuovamente arrabbiata.
“Quelle non sono… distrazioni. Sono vecchie conoscenze,” si difese il blouson noir.
“Le quali mi hanno fatto capire che ti sei divertito con loro più di una volta!” esclamò la cinese, recuperando tutta la forza fisica che prima se n’era andata.
Hwoarang la guardò accigliato. “È successo tanto tempo fa.”
Una strana fitta attraversò il petto di Xiaoyu, che serrò le labbra e strinse i pugni. Lo aveva capito già da prima, ma sentirlo dire dalle labbra del blouson noir faceva persino più male. Come poteva sperare che la guardasse anche solo per una volta come una donna? Con tutta l’esperienza che già aveva avuto, con tutte quelle ragazze spregiudicate e bellissime che ancora adesso gli si offrivano, mentre lei era una ragazzina inesperta, una bambina che sapeva soltanto sognare a occhi aperti credendo per un momento che il blouson noir fosse interessato a lei.
“Bambina,” la chiamò il rosso avvicinandosi di un passo, “le ragazze di Madeleine sono state solo un passatempo, una vecchia storia del passato…”
“Non devi spiegarmi niente,” ribadì Xiaoyu con voce austera. “E neppure io devo spiegarti niente, perciò lasciami in pace...”
La cinese si allontanò e, accorgendosene, Hwoarang la prese per il polso. “Dove stai andando?”
“Torno a ballare.”
“Ti reggi a malapena in piedi,” constatò soltanto lui.
“Ho voglia di compagnia,” spiegò soltanto Xiaoyu con un tono che al blouson noir parve volutamente di sfida.
“Compagnia?” chiese esterrefatto e geloso. “Che tipo di compagnia?”
“Una che non sia la tua!”
“Quindi vai ad adescare qualcuno dei ragazzi del covo?”
“Cosa? No!” esclamò Xiaoyu oltraggiata. “Vado da Mukuro.”
“Mukuro?” ripeté il coreano, stavolta più sconvolto che arrabbiato. “Stai parlando di… quel Mukuro?”
“Quanti altri ce ne sono?” scherzò la bambina ricevendo un’occhiata risentita del coreano. Lo stava volutamente… provocando?
“Ti stai prendendo gioco di me?”
“Cosa?”
“Non fare finta di niente, lo hai nominato apposta, con una certa passione oltretutto…”
“Perché è un bellissimo nome.”
“Non credo che tutto quel trasporto sia dovuto unicamente dal suo nome.”
Xiaoyu gli lanciò un’occhiata scocciata e prese il vicolo per dirigersi allo spiazzo centrale del covo, ma Hwoarang la bloccò, accerchiandola prepotentemente con le mani appoggiate alla parete.
“Non puoi fare sul serio!” tuonò lui al limite della gelosia.
“Perché no?” chiese Xiaoyu. “Perché non lo vuoi nel covo? Perché non è uno dei nostri? Forse non è tanto di compagnia e l’ho incontrato solo stasera, ma è dolce e non mi tratta male, al contrario di te!”
Il rosso si sentì come inondato da una secchiata di acqua gelida. “Ti… piace Mukuro?” chiese soltanto con un filo di voce.
“E io piaccio a lui, me l’ha fatto capire bene,” rispose la cinese con determinazione. “Può darsi che anche questa per te sia una distrazione, ma non mi interessa.”
Xiaoyu si divincolò dal coreano con un gesto secco del braccio e si avviò verso la pista da ballo, mentre Hwoarang non seppe fare altro che seguirla con lo sguardo senza riuscire a muovere un muscolo, reso completamente inerme da quel dolore nuovo e sconosciuto mai provato prima.

Il rosso era seduto a terra da più di mezzora, con le ginocchia alzate, i gomiti appoggiati su di esse e la testa abbandonata in avanti. Era così meditabondo da non essersi accorto della sigaretta tra le labbra finita già da diversi minuti. La prese veloce tra le dita e la gettò in mezzo alle altre sei ammucchiate ai suoi piedi.
Si grattò la testa come a scacciare un brutto pensiero, senza riuscirci, e inevitabilmente ripensò alla bambina.
Più e più volte aveva avuto l’impulso di alzarsi, correre alla pista da ballo e fermarla, di dirle quello che provava, ma ogni volta la paura e l’orgoglio prendevano il sopravvento, lasciando che continuasse a torturarsi all’immagine della sua bambina ballare con quel ragazzo incompatibilmente troppo serio per lei – probabilmente era sempre stato questo il suo tipo, visto che in ciò era simile a quel musone di Jin.
Hwoarang si alzò di scatto e serrò le labbra accompagnato da una determinazione più consona al suo carattere. Non era mai stata una persona che si arrendeva, che lasciava accadere le cose in maniera passiva.
Prese il vicolo e si arrivò al piazzale, trovando una musica più bassa risuonare nella periferia est. Erano rimaste poche persone in pista da ballo, individuando tre coppie che si muovevano avvinghiate al ritmo di una musica leggera. Diverse sedie e divanetti erano occupati da uomini e donne che dormivano vicini o abbracciati, e tanti altri erano spariti chissà dove, forse a continuare la festa in altri locali, o forse imboscati a finire nel migliore dei modi la nottata.
Il rosso sentì urlare qualcuno e notò il suo vecchio compagno Geon discutere animatamente al cellulare.
“È da quasi un’ora che va avanti,” disse una voce scherzosa alle sue spalle. Si girò e trovò Hideo seduto al tavolo con in mano un cacciavite sopra un marchingegno smontato. “Dov’eri finito? Diverse ragazze hanno chiesto di te.”
“Sai dov’è Mukuro?” chiese Hwoarang ignorandolo completamente.
“L’ho visto allontanarsi con una ragazza,” rispose Hideo ridendo sotto i baffi. “Non è da lui fare una cosa del genere.”
Il rosso aggrottò la fronte e abbassò lo sguardo, sentendosi completamente svuotato.
“Va tutto bene?” chiese il tipo giapponese preoccupato. Se persino uno sconosciuto si era reso conto del suo malessere, voleva dire che la sua tipica maschera di bronzo da duro della periferia si era distrutta del tutto.
“Ho dei postumi pesanti, vado a fare un giro a prendere aria,” disse il blouson noir incamminandosi verso una strada vicino ai cassetti in disuso e imbrattati della spazzatura.

Camminava senza meta da più di un’ora, come un fantasma tormentato da una questione in sospeso che non trovava pace, preferendo soffrire da solo e in silenzio piuttosto che mostrare anche solo per sbaglio un minimo barlume di malinconia ai suoi uomini.
Aveva cercato di distrarsi pensando a un piano da usare per la sua missione alla Mishima Zaibatsu, ricordandosi i bei momenti col suo maestro Baek, rimembrando le notti focose con donne sconosciute e meno, ripetendosi quegli inutili schemi e indagini che tempo fa studiava a pappardella mentre leggeva i libri di economia, ma nulla serviva a svagarlo, a rimuovere il chiodo fisso della sua bambina che, chissà, forse proprio in quel momento si stava divertendo con la sua nuova cotta.
Il pensiero che quel tale la stesse baciando, accarezzando, toccando in posti che per mesi aveva immaginato di esplorare con una smania mai avuta per nessun’altra mandava in tilt il suo cervello, gli chiudeva lo stomaco e gli faceva venire voglia di piangere.
Ridacchiò sommessamente portandosi una mano sopra gli occhi umidi. Che cosa patetica, pensò. L’ultima volta che aveva pianto era accaduto anni prima, alla morte del suo maestro, ed ora bastava lo stupido amore non corrisposto di una studentessa liceale.
Aveva già amato, a modo suo; un amore che era durato qualche ora o al massimo una notte, un amore che non era per nulla possessivo, tutt’altro. Aveva trovato la piacevole compagnia delle ragazze di Madeleine, una compagnia che, per via del loro mestiere, sapeva bene condividessero con altri, persino coi suoi uomini. Sentir parlare questi ultimi di quel che avevano fatto con loro la sera prima nel più scrupoloso dei dettagli non lo infastidiva, anzi, gli arrecava una sorta di solidale cameratismo nei loro riguardi, uniti da un’amicizia che andava al di là degli schemi borghesi sull’amore o la monogamia. Ma con Xiaoyu non era così. Ogni volta che qualcuno del covo mostrava interesse o anche solo uno sguardo più malizioso del normale, Hwoarang lo scoraggiava lanciando un’occhiata omicida.
Quando, perso nelle sue riflessioni, la vide seduta a terra con la schiena appoggiata ad una palazzina abbandonata, pensò in principio che fosse solo un’allucinazione dovuta al pensiero costante della bambina che affollava la sua mente. Ma quando guardò meglio ne fu sicuro: era proprio lei, vestita ancora con l’abito succinto in rosso e coi tacchi abbandonati a qualche metro e una bottiglia di vodka al suo fianco. Aveva un’espressione pensierosa, la testa china in avanti mentre guardava la parrucca tra le mani con la quale giocava, spettinandone i ciuffi con le dita.
Quando anche lei notò lui, quasi casualmente, si fece seria e distolse subito lo sguardo.
“Ehi,” disse a bassa voce, con tono assorto.
Il coreano non sapeva cosa fare. Da una parte voleva scappare da lei, da quel maledetto incantesimo che gli aveva lanciato e liberarsi una volta per tutte dal suo sortilegio. Dall’altra avrebbe voluto raggiungerla, chiederle se andava tutto bene e assicurarsi che l’ultima litigata tra loro non avesse immancabilmente intaccato il loro rapporto. La vedeva più mogia del solito, taciturna; eppure, secondo i calcoli, avrebbe dovuto sentirsi all’opposto, fresca di una notte d’amore.
Hwoarang si spaventò. E se le fosse successo qualcosa?
Si avvicinò a lei con passo svelto e si inginocchiò sulla strada.
“Non sono in vena di litigare,” disse solo la bambina con voce strascicata e incerta. Il rosso conosceva benissimo quell’atteggiamento, dovuto a uno degli ultimi stadi alcolici, quello nel quale formuli a malapena un pensiero finito e di cui al mattino seguente non ricorderai niente.
“Non sono qui per litigare,” ammise il coreano guardandola negli occhi spenti. “Ti senti bene?”
“Sì. Mi gira solo un po’ la testa,” rispose Xiaoyu abbassando le palpebre per trovare un po’ di pace, visto che tenendole alzate vedeva tutto turbinarle attorno.
“Ti ricordi di quello che è successo nelle ultime ore?” le chiese il blouson noir.
“Aiutami ad alzarmi,” disse solo la bambina sollevando le braccia. Hwoarang la prese per le mani e l’aiutò ad issarsi, senza smettere per un attimo di guardarla preoccupato.
“Sono serio, bambina. Ti ricordi cos’hai fatto dopo che te ne sei andata dalla festa?”
“Certo che mi ricordo, mi sono messa a giocare con Mukuro,” rispose la cinese annoiata. “Ma perché questo terzo grado?”
Giocare era un eufemismo, rifletté il blouson noir, ed i segni sul suo vestito stropicciato erano evidenti. Un dubbio bloccò il suo respiro: erano andati fino in fondo? Fece una smorfia contrariata e cacciò via quel pensiero. Non era il momento di torturarsi. Doveva pensare a lei.
“Volevo assicurarmi che tu fossi certa di quel che hai fatto,” spiegò il rosso veloce. Ma allora perché sembrava così persa e spenta? Guardò la bottiglia a terra di vodka, notando solo in quel momento essere vuota. “È stato Mukuro a farti bere così tanto?”
La bambina fece un’inaspettata risata, lasciando di stucco il blouson noir.
“Come sarebbe a dire?”
“Che vuol dire come sarebbe a dire?” disse Hwoarang cominciando di nuovo a innervosirsi. “Può averlo fatto apposta per approfittarsi di te. Diamine, vai ancora a scuola, mentre lui avrà sì e no una trentina d’anni!”
“Mukuro non ha trent’anni! Ne avrà al massimo cinque!” obiettò Xiaoyu con determinazione.
Il blouson noir la guardò con la stessa espressione di chi ascolta i vaneggiamenti di un pazzo. Era forse l’alcol a causarle tutta questa confusione in testa?
“Cinque anni in quale scala numerica?” chiese soltanto lui, dopo un po’, arcuando un sopracciglio.
“Esiste una scala numerica a parte per i gatti?” domandò a sua volta confusa Xiaoyu.
I gatti?, rifletté il boss della periferia est. Continuò a ripetersi quella parola in testa, arrivando finalmente a una strana e folle rivelazione.
“Tu… quando parlavi di Mukuro ti riferivi al gatto nero che hai portato al covo?”
“È il nuovo nome che gli ho dato. Visto che dicevi che quelli che invento sono anonimi e infantili, ne ho trovato uno spettrale e molto adulto,” spiegò la bambina compiaciuta.
Hwoarang stava cominciando ad unire tutti i puntini. La guardò ancora stralunato e le chiese:
“Ti sei sempre riferita al gatto quando parlavi di Mukuro?”
“Certo che sì. A chi sennò?” fece la cinese perplessa.
“Al socio di Geon…” rispose incerto il blouson noir.
“Chi?” domandò la bambina cadendo completamente dalle nuvole.
Il ragazzo si mise una mano alla bocca per nascondere una risata, che non riuscì a trattenere. Si girò e si lasciò andare, sghignazzando come un pazzo. Xiaoyu lo guardò tra l’offeso e il turbato.
“Che hai da ridere? Ho detto qualcosa di stupido? Possibile che ogni volta che parlo mi devi prendere in giro così?!” tuonò la bambina cercando con passo incerto e ubriaco di metterglisi davanti per guardarlo in faccia.
Il coreano aveva le lacrime agli occhi. Di nuovo, in così poco tempo. Ma al contrario di prima, una sensazione liberatoria e tonificante lo stava attraversando in tutto il corpo, e più si sentiva meglio più rideva.
Si appoggiò con la schiena al muro e buttò all’indietro la testa riuscendo finalmente a smettere di ridere, sorridendo divertito. Era stato tutto un enorme, strano, incomprensibile fraintendimento. La bambina non aveva avuto un flirt con un estraneo, non si era innamorata, non aveva deciso di avere un avventura con qualcuno e non era stata ubriacata per essere resa accondiscendente. Aveva parlato dal principio alla fine del suo stupido gatto.
Ringraziò il creatore, l’universo, la vita e qualsiasi altra realtà sovrannaturale che avesse influito a rendere il carattere della bambina quello che era, dolce, ingenuo e infantile al punto da portarsi un randagio nel covo e da non accorgersi di quanti uomini l’avevano desiderata quella sera, di quanto aveva sofferto il blouson noir nel pensare che fosse tra le braccia di un altro.
Xiaoyu continuò imperterrita a offendere il rosso, ma smise quando cominciò a vederlo rilassato, in un sorriso più unico che raro.
“Bambina…” riuscì finalmente a dire lui guardandola, “forse ancora non l’hai capito, ma anche il nome della guardia del corpo di Geon è Mukuro.”
La cinese sgranò gli occhi. “Certo che è… una strana coincidenza,” ritenne, riflettendo per un po’ in silenzio e rendendosi conto solo in quel momento di una cosa: “un attimo, dopo tutti i discorsi che ho fatto non avrai pensato che io e lui avessimo…?! Ma figurati! Con tutte le ragazze che avevano cominciato a ballargli attorno, di certo non si sarebbe filato una come me!”
Hwoarang la guardò serio.
“Peggio per lui che non si è accorto di quanto sei carina,” le disse senza pensare, a cuore aperto, sorprendendosi per la spensieratezza appena acquisita che non gli faceva provare più alcun timore.
“Se stai usando del sarcasmo-” cominciò Xiaoyu già arrabbiata.
“Sono serio,” la interruppe subito lui guardandola intensamente. A quell’occhiata la cinese si fece pensierosa, rimanendo per una manciata di secondo in silenzio.
“Sei… così diverso dal solito,” riuscì solo a dire con un leggero, strano timore, che cominciò a farle battere il cuore.
“Ho paura che tanto, domani, non ti ricorderai più niente di quello che ti ho detto,” ritenne il blouson noir con un mezzo sorriso amaro. “E poi, sono stanco di dire bugie, di far finta di niente e di reprimere tutto… Almeno per una volta, vorrei solo… non essere così.”
Hwoarang si avvicinò piano a lei, addossata al muro. Le fissò gli occhi grandi e le iridi scure che lo sondavano con timidezza. Era una situazione pericolosa, lo sapeva, che poteva far cambiare tutto in un attimo. Si chiese però quanto lei fosse cosciente di quello che stava per succedere, se tutto quel suo essere docile e partecipe fosse provocato dall’alcol piuttosto che da un desiderio sincero. Si domandò se la bambina avesse ancora una cotta per il suo nemico, il ragazzo che non aveva ancora sconfitto nonostante le tre rivincite, nonché nipote dell’assassino a capo della Zaibatsu.
Quei dubbi che ancora gli ronzavano nella testa lo fecero frenare dal baciarla e indietreggiare di un passo.
“È meglio che io vada,” disse soltanto sorridendo fievolmente.
Venne preso delicatamente per il polso dalla bambina prima che riuscisse a farlo.
“Davvero pensi che io sia carina?” gli chiese timidamente e con voce flebile.
Il rosso la guardò completamente perso per lei. “Tu sei bellissima, lo sei ogni giorno, senza bisogno di chissà quale trucco o vestito succinto.”
Hwoarang fece scivolare la propria mano sul palmo di lei e intrecciò le dita attorno alle sue. Xiaoyu gli scorse lo sguardo intenso che stava cercando da tempo, lo stesso che aveva visto quando aveva guardato le altre prima di lei.
Il rosso la baciò a fior di labbra, delicatamente, e la cinese sentì il cuore batterle forte nel petto. Strizzò gli occhi d’istinto, poi rilassò le palpebre e le socchiuse quando si staccò da lei.
Il blouson noir la vide elargire un sorriso timido, incantevole, che gli fece perdere l’ultimo barlume di autocontrollo rimasto.
Le mise la mano libera dietro la nuca e la baciò con passione.























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UN MIRACOLO. Qualcuno non ci credeva più, neppure io ci credevo più! Eppure eccomi qui ad AGGIORNARE LA FANFICTION DOPO NONOSONEPPUREIODIRLODAQUANTOMIVERGOGNO ANNI DI NULLA COSMICO.
La verità è che per una serie di cose accadute in questo ultimo mese mi è tornata la nostalgia di questa storia, che quando ero al liceo adoravo tantissimo scrivere. Mi divertiva, mi emozionava, e per qualche ora mi faceva sognare.
Per spiegare come mai sono tornata così inaspettatamente: ho avuto il covid. Chiusa in casa, mi sono messa a giocare con mio fratello a Tekken Tag 1 e qui è scattato il primo sintomo di nostalgia. Poco dopo, ho saputo che Netflix aveva annunciato un cartone ambientato proprio nello stesso periodo temporale de Il blouson noir e la bambina, e così, avendo diversi giorni liberi, mi sono rimessa a leggere tutta la fanfiction. Mi sono commossa nel ritrovare i commenti così carini e sentiti degli utenti, e mi è venuta una voglia matta di continuarla. Ho ritrovato la trama completa in un mio vecchio hard disk esterno, ci ho rimesso mano e ho ripreso a scrivere la storia da dove ero rimasta. Non so se avete notato, ma ero così presa che questo capitolo ne vale almeno 4 di lunghezza. XD Un modo come un altro, per quanto involontario, di farmi perdonare di tutta quest’assenza.
Non ho idea se, dopo tutto questo tempo, i vecchi utenti si ricorderanno di questa storia e saranno interessati a leggerla, né se ci saranno dei nuovi lettori che la scopriranno per la prima volta quest’anno, ma comunque ringrazio in anticipo tutti dal profondo del cuore se siete arrivati fin qui a leggere queste note.
Ora che il sito ne dà la possibilità, potrò rispondere direttamente nell’area commenti alle vostre recensioni, cominciando da adesso con quelle del capitolo precedente.
A presto col prossimo capitolo!


Valy
  
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