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Autore: Nymeria90    13/07/2022    1 recensioni
Questa storia prosegue il filone narrattvo di "La fine è il mio inizio".
"Sono il prodotto del mio passato, Vega, il risultato di scelte giuste e di scelte sbagliate. Senza di esse non sarei la donna che sono ora: il comandante in grado di portare sulle spalle il sacco dei dolori del mondo. Senza quegli errori non sarei Shepard e, forse, la galassia sarebbe spacciata. Se tornassi indietro cento volte, Vega, per novantanove volte rifarei le stesse scelte.
-E la centesima?-
Sasha gli rivolse uno strano sorriso, a metà tra malizia e tristezza - La centesima sceglierei di essere felice.-"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Quando gli occhi ricominciarono a vedere, era in piedi in una piazza affollata. Moderni grattacieli luccicavano sotto un cielo di vetro e le astroauto sfrecciavano sopra la sua testa come bizzarre stelle cadenti.
Attorno a lei impazzava la festa. 
Era una moltitudine colorata e rumorosa quella che la circondava. Centinaia di persone che ballavano, ridevano e bevevano come se si trattasse del giorno più bello della loro vita. Era una massa senza volto e confusa, che l’attraeva e la spaventava: lì in mezzo sarebbe stato molto semplice perdersi.
Scorse una tenda ergersi come una montagna tra quei corpi ammassati, si fece largo a spintoni e si fermò sulla soglia, per nulla stupita da chi vi trovò dentro.
C’era stato un tempo, prima della Normandy e del suo equipaggio, prima di Cerberus e dei Razziatori, in cui si era illusa di poter vivere una vita normale. Era un’orfana terrestre divenuta soldato dell’Alleanza e lì aveva trovato quella famiglia tanto desiderata: la sua prima squadra, il suo più grande fallimento.
Ed ora erano proprio davanti a lei, i ragazzi della “33”, i soldati della cui morte si era sempre ritenuta colpevole.
Ballavano e ridevano in quella sera di festa, senza preoccupazioni, senza paura. Era quello il ricordo che avrebbe voluto conservare di loro, invece sognava ogni notte i corpi mutilati riversi nella sabbia nera di Akuze.
Lì guardò da lontano, senza osare unirsi a loro. Sorrise quando Abigale e Dario inscenarono un romantico walzer, tanto sgraziato quanto divertente. Si intenerì alla vista di Habib, Jake e Jin che chiacchieravano pacifici in un angolo della tenda. Le effusioni tra Nadine e Tiger, di solito così imbarazzanti, la commossero. Una lacrima sfuggì al suo controllo quando vide C.J. appoggiato al bancone, intento a sorseggiare l’immancabile Gin Tonic con la sua migliore aria da sbruffone.
Voleva correre in mezzo a loro e abbracciarli, voleva stringerli per mai più abbandonarli … ma non ne aveva diritto. 
Come poteva guardare negli occhi i fantasmi di quei coraggiosi ragazzi morti a causa sua?
Fece un passo indietro e poi un altro, non più Shepard, solo Sasha. Si sentiva codarda e sbagliata, ma non riusciva a vincere quella paura. La paura di guardare un amico negli occhi e vederne il disprezzo.
La sua schiena impattò contro una massa imponente.
-Cerchi ancora di scappare, non è così Cenerentola?-
Sasha si impietrì, come un bambino sorpreso con le mani nella marmellata. 
Lasciò andare un respiro tremulo che sapeva già di pianto – Comandante Cross …- 
-Trovo che i gradi e le formalità dell’Alleanza siano un po’ ridicoli in questo luogo, non credi, comandante Shepard?-
Sasha alzò gli occhi al cielo: era tipico di Cross farsi beffe di lei anche in un momento come quello.
-Non saprei come altro chiamarti … comandante.-
Cross ridacchiò e le passò un braccio dietro le spalle. Istintivamente, Sasha si rilassò contro il suo petto. Era vulnerabile e sola e lui, lui era quel padre di cui aveva sempre avuto bisogno.
-Ne abbiamo passate tante insieme, tu ed io. Avrei dovuto proteggerti. Avrei dovuto fare di più per risparmiarti un po’ di questo dolore.- 
Sasha scosse il capo – Se c’è una cosa che ho imparato in tutti questi anni è di accettare l’inevitabile. A volte il nostro meglio non è sufficiente. A volte si fallisce e basta. La vita è anche questo.- 
-E allora perché ti nascondi in mezzo alla folla invece di correre ad abbracciare i tuoi amici più cari?-
Aveva la bocca arida – Come comandante Shepard ho subito diverse sconfitte. Ho sacrificato il consiglio della Cittadella per salvare vite umane. Ho lasciato che i Collettori distruggessero la mia prima nave e poi che rapissero il mio equipaggio. Ho sacrificato membri della mia squadra e ne ho guardati morire altri. Ho distrutto un intero sistema. Ho perso Thessia. Eppure l’ho sopportato. La corazza del comandante era spessa abbastanza. Durante una guerra galattica, durante una mietitura, non c’è posto per la colpa e i piagnistei. Le vittorie sono effimere e le sconfitte atroci. Lo sapevamo tutti. Lo sapevo io. - si morse le labbra – La strage di Akuze non fu il tragico risultato di una guerra galattica, non fu la vittoria di un nemico invincibile … fu un capriccio e un gioco. Fu superficialità e sciatta negligenza. Fu il mio peggio. Come posso andare da loro e guardarli negli occhi, Cross? Provo una tale vergogna.-
Cross la strinse – Non riguarda soltanto te. Se gli volti le spalle, se ti rifiuti di guardarli negli occhi e di accettare il loro destino, che razza di amica sei? Non credi che meritino di vedere la tua vergogna, di sentire il tuo dolore? Questo posto, questo incontro, non riguarda soltanto te. È anche per loro. Devi affrontare ciò che è successo. Devi affrontare loro, solo così potrai lasciarli andare. Altrimenti rimarranno qui per sempre e tu con essi.-
-Non è un brutto posto dove rimanere.- sussurrò.
-C’è bellezza nei momenti di festa, te lo concedo. È bella l’eccitazione che la precede. È bella la frenesia del momento. Ed è bella vederla finire e tornare alla vita di sempre sognando un’altra festa. Ma un’eternità in festa è … grottesca. I tuoi amici sono intrappolati in questo eterno momento, circondati dal rumore e dal caos, dove tutto è lecito e nulla è reale. Ti puoi perdere e dimenticare chi sei.- 
Sasha rammentò la sua giovinezza, passata nei locali più malfamati di Atene. Giornate intere strabordanti di alcol, droghe, musica a tutto volume e squallido sesso. C’erano giorni in cui nemmeno vedeva la luce del sole.
Voleva questo per i suoi amici? Un’eternità senza alcun riposo?
Ida, Thane, Mordin, Ash, persino i suoi genitori, avevano trovato luoghi di pace in cui attenderla. Ma non c’era pace per la “33”. Doveva essere lei a portargliela, nello stesso modo in cui, tanti anni prima, aveva portato loro la guerra.
Raccolse tutto il suo coraggio e si buttò nella mischia. 
E la festa si trasformò in qualcos’altro.
Si ritrovò catapultata su un pianeta alieno, con un orizzonte rosso come la terra su cui poggiava i piedi.
Un vento caldo sollevava la sabbia che le faceva lacrimare gli occhi e strida acutissime riecheggiavano nel cielo.
Le aveva già sentite … così tante volte da perderci il sonno, eppure non riusciva a ricordare a quale mostro appartenessero: mietitori? Banshee? Divoratori?
Si acquattò sul terreno con consumata esperienza. Tra le mani stringeva un fucile e il suo corpo era di nuovo rivestito da un’armatura completa. Ma non era l’armatura in cui era morta, quella nera e rossa del comandante Shepard. Era l’armatura leggera della specialista Red, la donna che era stata prima di diventare leggenda.
Davanti ai suoi piedi il terreno iniziò a frantumarsi, squassato da un violento terremoto.
L’istinto prese il sopravvento su ogni altro pensiero e cominciò a correre, nel disperato tentativo di sfuggire ad un impietoso destino.
Un rombo cupo accompagnò l’affanno del suo respiro e sotto i suoi piedi sentì la terra cedere e sprofondare. 
Tentò di rassicurare se stessa dicendosi di essere già morta, eppure non riusciva ad arrendersi, nel profondo del suo cuore sapeva che la sua paura era giustificata. 
Un rumore meccanico la sorprese alle spalle e, per poco, non cadde in terra, destabilizzata da un vento improvviso.
Alzò lo sguardo e vide una navetta sospesa sopra di lei, col portellone aperto. Non esitò. Con un balzo si aggrappò al pianale, proprio mentre la terra si apriva sopra di lei. 
Il veicolo prese rapidamente quota. Dall’abisso a cui era appena sfuggita emerse una creatura rivoltante e vermiforme, che schizzò verso l’alto come un proiettile sparato fuori dalla canna. La navetta s’inclinò sfuggendo alle fauci tentacolose del mostro, ma Shepard perse la presa. Si sentì cadere nel vuoto. Era la fine.
Una mano in armatura si strinse attorno al suo polso, il contraccolpo fu così forte da spezzarlo e strapparle un grido di sorpreso dolore.
Lei era morta! Come poteva rimanere ferita?
Il suo salvatore la sollevò senza apparente sforzo e, finalmente, si ritrovò al sicuro nell’abitacolo.
Mentre il portellone si chiudeva, il soldato che l’aveva salvata, un tipo tarchiato in armatura da incursore, si tolse il casco.
Shepard rimase a bocca aperta: non era un uomo, era una donna.
 Conosceva quel viso, l’ aveva guardata morire.
-Abigale …- bisbigliò, incredula.
La sua vecchia compagna ammiccò – Chi non muore si rivede … si dice così, vero Jin?-
Dalla cabina di pilotaggio giunse una breve risatina – Hai la memoria corta, Gunny, noi siamo morti.-
Abigale si accasciò su un sedile con un sospiro di sollievo – Dettagli insignificanti. Cos’è quella faccia, Cenerentola? Sembra che tu abbia visto un fantasma …- ammiccò di nuovo -O forse due …-
Sasha aveva la bocca arida – Vi ho visti … c’era una festa e voi eravate … e poi io … e questo posto, le armi, l’armatura …- Abigale la guardava impietosita. Scosse il capo per schiarirsi le idee -Cosa diavolo succede?-
La biotica allargò le braccia – Ne sappiamo quanto te, tesoro. Siamo in una specie di loop, sempre uguale. Battaglia e poi festa e poi di nuovo battaglia e poi festa e così via, all’infinito. – Abigale sbadigliò – Tiger dice che gli ricorda un’antica leggenda della sua gente, ma a che serve capire? Questa è la nostra vita, adesso, tocca farcene una ragione. Poteva andarci peggio.- 
- Già.- la voce di Jin era forzatamente allegra – Fiumi di sangue di giorno e fiumi di vino la notte. Il colore è sempre lo stesso. Cosa potremmo volere di più?-
Abigale sforzò le labbra in un doloroso sorriso.
-Il Valhalla … - mormorò Sasha, parlando più a se stessa che agli altri – Questo è il nostro Valhalla.-    
Jin si voltò a guardarla, un’espressione imperscrutabile sul volto. Distratto, non si accorse del Divoratore che sferrava il suo secondo, più letale, attacco. Erano sfuggiti alle sue fauci, ma il fiotto di veleno colpì uno dei motori della navetta, facendolo esplodere.
Sasha si trovò catapultata contro il portellone mentre Jin tentava, inutilmente, di riprendere il controllo della navetta che precipitava ruotando su se stessa.
Abigale era immobile al centro della navetta, indifferente, la fissava, inspiegabilmente divertita - Ci vediamo alla festa, comandante.-
Sasha aprì la bocca per dire qualcosa, ma lo schianto l’anticipò. La navetta impattò sul terreno, scaraventandola con violenza contro il soffitto. Ci fu un istante di sospensione, poi tutto esplose.

Quando gli occhi ricominciarono a vedere, era in piedi in una piazza affollata. Moderni grattacieli luccicavano sotto un cielo di vetro e le astroauto sfrecciavano sopra la sua testa come bizzarre stelle cadenti.
Attorno a lei impazzava la festa. 
Ebbe un sussulto: conosceva quel posto, ci era già stata.
Ricordava una festa e una battaglia. Ricordava di essere morta.
Oltre la moltitudine di corpi che si muovevano intorno a lei, scorse un tendone e vi si diresse senza esitare. Sapeva chi vi avrebbe trovato.
I ragazzi della “33” erano esattamente come li ricordava: spensierati e felici, ignari, forse, di essere intrappolati in un inferno mascherato da paradiso, un luogo di eterna festa ed eterna battaglia, il Valhalla delle antiche leggende.
Una grossa mano le si posò sulla spalla – Stai facendo tardi alla festa, Cenerentola. Perché non li raggiungi?-
Il comandante Cross era di nuovo lì, dove era sempre stato: ai margini della festa a vegliare su quei ragazzi che amava come figli.
-Li ho già raggiunti, comandante, e li ho persi. Come è successo in passato, come succederà in futuro.-
-Questo è il luogo dalle infinite possibilità, Cenerentola. Qui non c’è sconfitta che possa farti perdere la guerra.-
Lei scosse mestamente il capo – Ma non c’è nemmeno vittoria, Cross. Le possibilità di cui parli sono due solamente: festa e poi guerra, e poi guerra e poi festa, in un ciclo infinito e sempre uguale a se stesso. Preferisco la sconfitta a questo.-
-E quando mai tu sei stata sconfitta, comandante Shepard?-
– Lo sai bene, Cross.- si accigliò. Cross era diverso. Durante il loro primo incontro era stato dolce e comprensivo, adesso sembrava arrabbiato – Ne abbiamo già parlato.-
-Davvero?- scrollò le spalle – Sembra che non sia servito a molto. Continui a piangerti addosso, a fare la vittima. Cerchi compassione e quando la trovi ti crogioli in essa. Non ho più intenzione di compatirti.- le rivolse uno sguardo furioso, come non l’aveva ai visto. Per la prima volta, Cross mostrava il suo lato cattivo – Adesso io ti accuso: su Akuze furono tutti sconfitti, tranne te. – indicò i ragazzi che ridevano e ballavano – Loro furono sconfitti. Alexander fu sconfitto. Ma tu, la donna che li portò su quel sasso, tu sei sopravvissuta.- 
Era un’accusa ben precisa, meditata negli anni, un’accusa che non aveva mai avuto il coraggio di farle in vita, frutto di pensieri che non aveva mai confessato neppure a se stesso, e che adesso avevano finalmente trovato le parole che potessero esprimerli. Non c’era nulla che lei potesse ribattere.
-Non posso cambiare il passato, Cross. Non posso cancellare Akuze.-
Cross non la guardava nemmeno in faccia – Eppure lo hai fatto. Sei morta e risorta e quando è accaduto Akuze è diventato il passato di un’altra donna. Hai guardato l’Uomo Misterioso negli occhi e lo hai chiamato alleato. Dannazione, Sasha: hai combattuto fianco a fianco con le stesse persone responsabili di quel massacro!-
-E poi li ho distrutti!- gridò stringendo i pugni – Non ho chiesto io a Cerberus di ricostruirmi! Non ho chiesto io l’onere di dover salvare la galassia a qualunque costo, ma è su di me che è ricaduto. –
-Davvero? Non sei stata tu a chiederlo? Io ricordo, Sasha, una ragazza disposta a tutto pur di dimostrare il suo valore. Una ragazza che ha posto l’ambizione davanti all’amore e all’amicizia.-
Tremava di fronte a quelle accuse lanciate da quell’uomo che aveva amato come un padre – E se non lo avessi fatto che ne sarebbe ora della galassia? Non chiederò scusa per aver fatto il mio dovere.-
-Ti prego, risparmiami l’ipocrisia. Non rivestire di nobiltà una scelta che fu solamente egoistica. Tu volevi la gloria e l’hai avuta ma questo …- indicò nuovamente i soldati della “33” che, ignari o forse indifferenti, proseguivano la loro eterna festa
 - … questo è il prezzo da pagare. Sono intrappolati qui, in questo luogo destinato a chi non ha pace, a chi è vissuto e morto solo per la guerra, perché questo è stato l’unico ruolo che tu hai saputo dargli. Ma loro erano molto più di questo …- sospirò e le mise una mano sulla spalla, stringendo forte - … tu eri molto più di questo.-
Sasha fece un respiro tremulo. Si sentiva impotente – Come ce ne andiamo, Cross?-
-Voi ve ne andrete. Io rimarrò qui. Questo non è il vostro posto, ma è il mio. Qui io sono vivo. – le accarezzò la guancia - Riguardo a te, Cenerentola, confido nel fatto che, quando verrà il momento, saprai fare la scelta giusta.-
Fece per allontanarsi, ma lei lo trattenne, prendendogli la mano – Aspetta! Cosa succede se fallisco?-
-Allora passerai un’eternità di festa e di lotta, lontana dalla tua nave, lontana dall’amore della tua vita, per sempre in guerra, per sempre Shepard. Ci sono destini peggiori, ma non per te. Tu meriti di meglio. Loro meritano di meglio.- le diede un bacio in fronte 
– La galassia aveva bisogno di un soldato perfetto, ma qui basti tu, Sasha. Sii la donna che avresti potuto essere.-
Cercò di trattenerlo ancora, ma la mano di Cross le scivolò via dalle dita e l’uomo che era stato padre e mentore si perse nella folla, tra migliaia di volti sfocati.
Era sola, costretta ad affrontare i fantasmi degli amici traditi. Si disse che aveva affrontato di peggio, era una bugia, ma crederci le diede un po’ di coraggio.
Prese un respiro profondo e si fece largo, sgomitando, tra la folla. Il mondo attorno a lei parve fermarsi, poi esplose in mille, inafferrabili, frammenti. Quando si ricomposero la città era sparita: attorno a lei solo sabbia e deserto.
Era di nuovo su un campo di battaglia, in un luogo che non conosceva, ma che era uguale a tutti quelli che aveva visitato.
Era il sole di Tuchanka quella sfera, rossa e rovente, che brillava sopra la sua testa? E quel cielo dalle sfumature rosa non era forse identico a quello che aveva guardato, impotente, oscurato dalle navi dei Razziatori, su Thessia?
E là in fondo, quella costruzione solitaria e antica, non era forse il Big Ben?
Il vento caldo le soffiò la sabbia in faccia, facendola tossire. Ai suoi piedi giaceva un casco ammaccato e bruciato, sui lati spiccavano due caratteri: N7.
Sasha si piegò sulle ginocchia e raccolse il pezzo ammaccato, soffocò un urlo quando si accorse che non era vuoto: dentro c’era una testa. Lo lanciò lontano: non aveva certezze riguardo all’appartenenza di quella testa mozzata, ma nemmeno dubbi.
Ovunque erano sparsi i rottami di una navetta distrutta.
Un movimento appena impercettibile sulla cresta dell’avvallamento attirò la sua attenzione. Sasha sollevò il fucile, pronta a far fuoco, ma lo abbassò subito, quasi gli cadde dalle mani, quando riconobbe la donna comparsa sul crinale.
I capelli biondi di Nadine sventolavano nel vento come una bandiera, prepotenti quanto la sua bellezza.
Sasha strizzò le palpebre: l’ultima volta che l’aveva vista non era altro che un corpo spezzato nella sabbia nera di Akuze.
La statuaria francese le fece cenno di seguirla e Sasha obbedì, con una solerzia che mai aveva avuto in vita.
Trotterellò dietro la sua vecchia amica come un cane fedele, senza osare aprir bocca.
La seguì lungo i sentieri sabbiosi di quel pianeta sconosciuto simile a milioni di altri. Attraversò crateri e si arrampicò su rocce rosse, s’inerpicò lungo pendii scoscesi sotto un sole bruciante. Nell’aria risuonavano le grida di mostri senza nome.
-Dove siamo?- osò chiedere dopo ore di silenzio, a quella compagna che non era mai stata così silenziosa.
La sua domanda parve infastidire Nadine ma, quando notò la sua espressione si addolcì – Ovunque e in nessun posto. Qui è dove noi attendiamo.-
-Aspettate cosa?-
L’altra scrollò le spalle – Non lo so. Forse stavamo aspettando te. Attenta!- la tirò per un braccio, gettandola a terra. Il rumore di uno sparo riecheggiò nella valle e le rocce dietro di lei esplosero.
Nadine si sdraiò al suo fianco, sollevando il fucile di precisione. Appoggiò l’occhio al mirino e si sollevò su un gomito, trattenendo il respiro. Un secondo proiettile scalfì la sabbia appena davanti a loro, ma Nadine non batté ciglio, spostò leggermente il fucile e premette il grilletto. Il rumore dello sparo non si era ancora quietato che già era in piedi.
-Muoviamoci. Dove ce n’è uno ce ne sono altri.-
Sasha imbracciò il fucile mentre si alzava in piedi – Chi sono?-
Di nuovo Nadine scrollò le spalle, sembrava indifferente a tutto ciò che la circondava – Noi li chiamiamo razziatori. Sono altri intrappolati qui come noi, in un’eterna battaglia.-
Razziatori … quel nome le suonava familiare, eppure non riusciva a ricordare dove l’avesse già sentito. La sua mente era come annebbiata. Più tempo passava in quel luogo più i suoi ricordi diventavano sfumati. Rammentava nitidamente solo la tragedia di Akuze. Sapeva di essere sopravvissuta a tutta la sua squadra, eppure ciò che era accaduto dopo quei terribili eventi lentamente sfumava, quasi fosse stata la vita di un’altra.
-Li avete mai visti?- si sentì domandare – Sono umani?-
-Cosa importa? Ci sparano addosso, non serve sapere altro.-
Sasha si accigliò – Forse se provassimo a parlargli, a capire chi sono e cosa vogliono, si potrebbe trovare un accordo e convivere in pace.-
Nadine fece un verso strozzato, a metà tra una risata e un singhiozzo – Guardati intorno, Sasha, ti sembra forse un luogo dove possa esistere pace? Che cos’altro si può fare, se non la guerra, in posto come questo? Qui si muore e basta.-
Era vero. Non c’era speranza di vita in quel deserto devastato dalle bombe e infestato dai mostri.
Eppure … quella parte di lei che ricordava un’altra vita le stava dicendo che, per salvare un luogo come quello, aveva sacrificato un amico. Persino in un posto del genere aveva trovato il modo di sopravvivere.
-Già …- mormorò, rivolta a se stessa – Qui si muore.-
Nadine le lanciò un’occhiata indagatrice ma preferì non chiedere nulla. Si rimisero in marcia, attente al minimo segnale che indicasse la presenza dei compagni del cecchino che le aveva attaccate.
Apparentemente il cecchino era solo perché arrivarono al campo senza ulteriori scontri. Sasha si avvicinò al campo con il cuore in gola. 
Era stata lei a causare la morte di quelle persone rintanate dietro barricate di latta, a strenua difesa di un pozzo. 
Era orrendamente colpevole e non sapeva come affrontare quegli amici terribilmente traditi.
Nadine le lanciò un’occhiata veloce da sopra la spalla, e negli occhi azzurri della bella francese le parve di scorgere un lampo di compassione.
Sasha mise da parte il fucile e si fece coraggio, seguendo la francese oltre le barricate. Sul campo scese un gelido silenzio.
Gli occhi di tutti erano su di lei, che teneva la testa bassa e i pugni serrati.
-Ve l’avevo detto.- mormorò Abigale – Ve l’avevo detto che sarebbe arrivata.-
Sentì uno di loro alzarsi e avvicinarsi. Anche senza vederlo o sentire la sua voce sapeva chi era: conosceva bene i suoi defunti compagni.
-Alza la testa, Sasha Red. Guarda gli amici che hai ucciso.-
-Finisicla, Tiger!- intervenne  C.J., sempre pronto a difenderla – Non fu colpa sua.-
-Se non è colpevole perché non riesce a guardarci?-
Il fucile era pesante nelle sue mani. Lo lasciò cadere con un tonfo sordo.
Aveva lo stomaco stretto in una gelida morsa.
Non riusciva ad alzare la testa.
Tiger si infuriò – Abbi la decenza di guardarci, Sasha. È stata la tua ambizione ad ucciderci, ci meritiamo almeno uno sguardo!-
Sasha strinse i denti, ma non poté impedire alle lacrime di scendere a rigarle le guance – Ricordo i vostri volti. E ricordo ciascuna delle vostre morti.- si asciugò il viso e, finalmente, alzò gli occhi – Voi siete il mio dolore più grande.-
Erano lì, davanti a lei, sospesi oltre lo spazio ed il tempo, i compagni d’arme di una vita quasi dimenticata, quei fratelli sacrificati perché lei potesse diventare l’eroe di cui la galassia aveva disperato bisogno.
Jake la fissava con occhi sgranati sotto quella frangia da nerd che non aveva mai voluto tagliarsi, nonostante le ripetute prese in giro. Habib se ne stava seduto in disparte, come al solito, silenzioso osservatore esente da ogni giudizio. Abigale mostrava un’aria preoccupata, come una madre che vede bisticciare i suoi figli, con Dario sempre affianco, pronto a intervenire se gli animi si fossero scaldati un po’ troppo. Jin si torceva le mani, a disagio, gli occhi a mandorla che non sapevano su chi posarsi.
Sasha non era stupita dalla reazione di Tiger, anzi, si era preparata per un attacco molto più violento. Ma persino lui, sempre pronto alla lite, sembrava stanco di tutte quelle battaglie. Alle sue spalle avvertiva la presenza di Nadine, stranamente silenziosa, e infine c’era C.J. pronto a difenderla anche in quella circostanza. 
Mancava una sola persona all’appello, quel comandante Shepard a cui aveva rubato il nome e la vita.
In quel silenzio irreale trovò il coraggio di porre la domanda che la tormentava, ben sapendo che li avrebbe fatti infuriare – Lui dov’è?-
Tiger sbuffò e le voltò le spalle, mentre un lampo di delusione passava negli occhi di C.J., subito mascherato dalla sua solita aria strafottente – Non lo sappiamo. Lo abbiamo cercato, senza mai trovarlo. Mi dispiace deluderti, ma qui ci siamo solo noi.- si allontanò a sua volta, nel vano tentativo di mascherare un’amarezza evidente.
Sasha si lasciò cadere su un masso, prendendosi la testa tra le mani. Era confusa e spaesata, ma non aveva dubbi che, in ogni parola dei suoi compagni, ci fosse la chiave della loro, e della sua, liberazione.
Ebbe un sussulto, mentre una fitta di lancinante dolore le attraversava la testa e, da qualche parte, sentì il tonfo sordo di qualcosa di pesante che si schiantava al suolo.
Si guardò intorno, in allerta, ma tutto era, all’apparenza, tranquillo.
-Avete sentito anche voi?- mormorò.
Ricevette solo occhiate corrucciate e un secco no di Tiger. Si toccò la nuca, convinta di sentire i capelli impiastricciati di sangue, ma quando ritirò la mano era perfettamente pulita.
Deglutì a vuoto: c’era qualcosa che le sfuggiva.
-Avete mai tentato di andarvene da qui?- 
Tiger sollevò gli occhi al cielo e Habib scosse piano la testa con un sorrisino di scherno.
-Certo.- borbottò Dario, evitando il suo sguardo – Ci proviamo ogni santo giorno.-
-Come?-
Dario guardò gli altri, forse per trovare qualcuno che gli desse il cambio in quella conversazione che non aveva nessuna voglia di sostenere. Tutti evitarono attentamente il suo sguardo.
Si alzò, sbuffando, e fece cenno a Sasha di seguirlo. Lei lo seguì, sentendosi a disagio come una recluta qualunque. Per anni quei soldati erano stati suoi amici, ma adesso faceva persino fatica a parlarci. Era tutti sbagliato.
Si arrampicarono lungo la cresta della montagna, fino a una sporgenza che dava sulla valle – Laggiù.- indicò Dario – Quella nave è sempre lì. Ci aspetta. Se riuscissimo a raggiungerla saremmo liberi, lo sappiamo tutti. Ma non ci riusciamo quasi  mai. Solo una volta un paio noi sono riusciti a farla partire, ma non sono andati lontano. Questo pianeta non vuole lasciarci andare. Ogni volta moriamo tutti e ritorniamo al punto di partenza a prepararci per una nuova battaglia e una nuova sconfitta. Tu sei la prima cosa diversa che accade da … da quando ho memoria.-
Sasha lo sentiva a malapena. Era annichilita. Conosceva quella nave. Eccome se la conosceva. 
Non ricordava come fosse morta, né quali peripezie l’avessero condotta su quel pianeta. Aveva vaghi ricordi della sua via dopo Akuze, aveva dimenticato molto, forse tutto, ma non aveva dimenticato quella nave.
Mosse un passo verso di lei, come in trans, e d’improvviso si sentì mancare il fiato. Rivide il bagliore di un’esplosione e la sgradevole sensazione di essere risucchiata nel vuoto. Provò la disperazione di essere perduta tra le stelle e la rabbia per una morte che arrivava troppo presto.
Dario l’afferrò per il polso, trattenendola dal cadere nel precipizio.
-Che succede?-
Lei scosse il capo, aveva la bocca arida e il fiato corto – Conosco quella nave.- si sentì rispondere – Fu distrutta in un’imboscata. Era la mia nave. Si chiamava Normandy, Normandy SR1.-
Dario non sembrò sorpreso da quella rivelazione. In effetti era difficile immaginare qualcosa che potesse sorprendere un uomo nella sua situazione.
-Distrutta, eh? Sembra che tu riesca sempre a sopravvivere.-
Sasha si accigliò – Non sono sopravvissuta. Quel giorno io sono morta.- sapeva che da quella conversazione doveva trarre un insegnamento importante, eppure non riusciva coglierlo, le sfuggiva come un sogno che si dissolve al risveglio.
Dario la guardò corrucciato, ma qualunque cosa volesse dirle si perse nel rumore di uno sparo e nel grido di dolore che seguì.
Corsero giù dal pendio, scivolando e inciampando, e trovarono il campo in subbuglio, con Abigale e Jin raccolti attorno a Jake che si contorceva dal dolore e gli altri accucciati dietro le barricate, intenti a rispondere al fuoco di chi li aveva assaliti.
Mentre Dario si precipitava al fianco dei combattenti, Sasha si chinò per esaminare la ferita di Jake. Lo avevano colpito all’addome. Era una ferita che non poteva essere curata con un po’ di medigel e qualche bendaggio.
-Abigale, premi sulla ferita. Jin prendi del medigel, dobbiamo stabilizzarlo.-
-Ma …-
-Fa come ho detto!- ringhiò. Jin non osò più protestare.
Spostò i capelli fradici di sudore dalla fronte pallida di Jake: soffriva terribilmente.
Lui la fissò con occhi sgranati -Te ne andrai anche questa volta?- sussurrò – Dovrò morire di nuovo perché tu possa vivere?- non era un’accusa, ma un’agghiacciante realtà. Nessuno dei due aveva dimenticato com’era stata la sua prima morte: Alex lo aveva lasciato cadere per poter salvare lei. Jake era morto perché Sasha potesse sopravvivere. Non era stata una sua scelta, ma ne era ugualmente responsabile.
E, d’improvviso, capì perché Alexander Shepard non si trovava lì, con il resto della sua squadra: persino in quel mondo fittizio, lui avrebbe sacrificato ogni cosa pur di farla sopravvivere, ancora e ancora e ancora. Ma lì dove l’esistenza stessa era solo un pallido sogno, lei doveva cavarsela da sola.
-No.- accarezzò il viso di quel ragazzo che amava la musica elettronica e i videogiochi – Questa volta non lascerò indietro nessuno. Questa volta io rimango.-
-È una promessa, Sasha?-
Sussultò. Non si era accorta di C.J. che si era accovacciato accanto a loro ed ora la guardava con quei suoi occhi limpidi da bambino. A lui non avrebbe mai potuto mentire.
-Lo prometto.-
Jin arrivò con il medigel e Abigale iniziò a medicarlo strappandogli un grido di dolore.
La grossa biotica le rivolse un’occhiata accigliata – Sta soffrendo molto.-
Lo sapeva. Anche lei era stata colpita in quel punto; il dolore era atroce, ma la morte arrivava lenta. Jake poteva essere salvato.
Gli spari cessarono e Tiger li raggiunse per informarli che gli assalitori erano stati sconfitti. Quando si accorse delle condizioni di Jake gli puntò contro la pistola – Non ha senso tenerlo qui in questo stato. Ci vediamo alla festa, ragazzo.-
-No!- Sasha si frappose tra l’arma e il ferito.
-Sei ubriaca? Sta soffrendo inutilmente! Tanto non cambia niente, siamo morti. Domani saremo di nuovo qui.-
Sasha non si mosse.
-Tiger ha ragione.- tentò di convincerla Abigale – Succede sempre così: moriamo in battaglia e poi ci ritroviamo alla festa e dopo si torna in battaglia e moriamo ancora … così all’infinito.-
-Non questa volta.- mormorò Sasha e, mentre pronunciava quelle parole, seppe che erano vere. 
Vacillò mentre udiva voci che la chiamavano e rumori metallici. Si schermò gli occhi quando una luce abbagliante le ferì le palpebre.
-Sasha?- qualcuno la stava scrollando – Sasha stai bene?-
Scoprì di essere caduta in terra e C.J. era chino su di lei, un’espressione preoccupata in viso.
Si rialzò faticosamente – Sto bene … era solo un capogiro.-
-Sei sicura? Sei caduta a peso morto, come se avessi abbandonato il tuo corpo.- Jake emise un altro gemito di dolore e il viso di C.J. si adombrò -So che può sembrarti crudele, Sasha, ma dobbiamo occuparci di lui. Tu non sai come funziona qui…-
-Nemmeno voi. – si raddrizzò, cercando di mostrare una sicurezza che non aveva – Ascoltate, io non so se questo sia solo il delirio di una donna agonizzante oppure sia qualcosa di reale. Quale che sia la risposta non cambia quello che dobbiamo fare. E noi dobbiamo raggiungere quella nave. Non ci saranno seconde occasioni, non ci saranno altri tentativi. Se vi perdo oggi, sarà per sempre.- 
Tiger sbuffò – Per tutto questo tempo abbiamo fatto a meno di te. Non presumere di essere la nostra salvatrice. Siamo in grado di salvarci da soli.-
Sasha cominciava a innervosirsi. Indicò Jake, finalmente tranquillo ora che il medigel stava facendo effetto – Se questa è la tua idea di salvezza, Tiger, non credo che tu stia facendo un buon lavoro. Ascolta …- lo prese per un braccio - … la mia non è presunzione. Io non credo che voi non siate fuggiti per incompetenza, ma per il semplice fatto che non vi era permesso farlo. Quella nave laggiù è la Normandy. La nave che è andata in frantumi nello spazio con me dentro. È la mia nave.  La Normandy non è qui per caso, io non sono qui per caso. Questa è la mia occasione, la mia sola occasione, di riparare al torto che vi ho fatto. E se fallisco anche questa volta, se lascio indietro anche solo uno di voi …- scosse mestamente il capo, lasciando che il resto della frase si perdesse nel vento torrido. 
-Ascoltala, Tiger.- biascicò Jake - Io credo che … credo che abbia ragione. Questa volta è diverso. Sembra reale.-
Tiger prese un respiro profondo. Darle ragione gli costava molto, eppure non poteva fare diversamente – Spero tu abbia un piano.- sibilò.
Sasha tirò un sospiro di sollievo – Può darsi.- sollevò il viso verso il sole rovente – Però prima dovete raccontarmi di tutte le volte che siete morti.-

Avevano un piano. Non era infallibile, ma era migliore di molti di quelli che avevano elaborato in vita.
Il loro grande vantaggio consisteva nel sapere esattamente chi e dove fossero i loro nemici. 
Appena usciti dal campo li attendeva un’imboscata ai lati della gola: due cecchini su ogni lato e poi, all’imboccatura del canyon, un mezzo corazzato con una mitragliatrice sul tetto. 
Superata l’imboscata avrebbero dovuto fare i conti con un branco di varren, sette in tutto. Dopo i varren dovevano proseguire lungo una morena e calcolare bene i tempi, perché se fossero stati troppo lenti rischiavano di essere trascinati a valle da una frana.
E poi c’era il divoratore: la mostruosa creatura era piazzata a guardia della Normandy.
-E non è finita qui.- Jin indicò un punto a nord – Siamo riusciti a decollare, una volta, ma c’è un cannone planetario. Siamo stati abbattuti appena siamo entrati nella stratosfera.-
-I sistemi di occultamento della Normandy erano attivi?-
Jin si strinse nelle spalle – Avevamo un Divoratore attaccato al culo, ho acceso i motori e fatto partire la nave.-
Sasha si passò una mano tra i capelli fradici di sudore – Vorrà dire che questa volta li attiveremo. Siete pronti?-
C.J. fece un sorrisetto sarcastico – Non può andare peggio delle altre volte: siamo sempre morti.-
Era una battuta fatta per alleggerire l’atmosfera, eppure non ci fu nessun sorriso, nemmeno forzato. Ognuno di loro stava pensando alla propria morte, non una delle tante avvenute in quel limbo, ma quella che li aveva portati lì, a combattere per l’eternità. Sasha ricordava bene come, uno dopo l’altro, ciascuno di loro era stato lasciato indietro.
Non questa volta, si ripromise. 
-Ce ne andremo tutti da qui.- assicurò, ricoprendo nuovamente le vesti del comandante Shepard.
Nadine le appoggiò una mano sulla spalla – Ci affidiamo a te, Sasha. Non c’è più solo la nostra vita in gioco, questa volta sul piatto ci sono le nostre anime.-
Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, mentre le memorie del comandante Shepard tornavano in lei assieme a tutti i suoi dolori. Era stata creata per momenti come quello.
-Dario tu occupati di Jake. Voialtri …- li guardò uno ad uno, anime inquiete alla ricerca di pace - … sapete cosa dovete fare. Qualunque cosa accada rimanete uniti. Siamo una squadra, lo siamo sempre stati.-
Dopodiché non ci fu bisogno di dire altro.
Sventarono l’imboscata e fu sufficiente un occultamento tattico e un paio di granate adesive per togliere di torno il mezzo corazzato.
Scacciarono i varren coi lanciafiamme e passarono oltre il punto della frana con un buon margine di vantaggio.
Poi arrivò il momento del Divoratore.
In tante battaglie i suoi compagni non erano mai riusciti ad abbatterlo, ma Sasha possedeva qualcosa che loro, purtroppo, non avevano avuto modo di ottenere: la conoscenza. Questa volta Sasha sapeva esattamente contro chi combatteva e come sconfiggerlo.
I Krogan glielo avevano insegnato bene.

"Non farti impressionare dalla stazza o dalla ferocia. Non credere che siano invincibili." la voce di Wrex le risuonava nelle orecchie, calma.La prima volta, dopo Akuze, che si era trovata di nuovo a tu per tu con uno di quei mostri, il possente Krogan era rimasto al suo fianco e le aveva svelato il segreto meglio custodito della sua gente: distruggere i Divoratori. "Nulla in questa galassia è invincibile. C’è sempre un punto debole. I Divoratori sono ciechi, ma hanno un udito straordinario.  Vedi quei tagli, ai lati della bocca? Quelle membrane, che li rendono capaci di captare anche il battito frenetico del tuo cuore, sono  la loro forza più grande e la loro più profonda debolezza. Bastano delle munizioni disgregatrici, un fucile di precisione ed una buona mira per abbatterne uno."
Sasha gli aveva rivolto un’occhiata scettica "Se così fosse non ne rimarrebbe nemmeno uno sul tuo pianeta."
"Hai mai visto un Krogan con un fucile di precisione? Per i Krogan combattere i Divoratori è uno spettacolo, un’iniziazione. Se tutti sapessero quanto fosse facile abbatterli che gloria ci sarebbe nel farlo? I fucili di precisione sono per i codardi o per chi ha cose più importanti da fare che cercare la gloria." Wrex le aveva rivolto il suo sorriso tutto denti "Fai fuori quel coso in fretta e andiamo a mangiare, Shepard. Lasciamo la gloria ai giovani e agli sciocchi."

Mettetevi in cerchio!- urlò ai suoi soldati. – Abigale, attiva lo scudo biotico!-
La cupola blu li avvolse nell’esatto istante in cui il getto di veleno del Divoratore partiva dalle sue fauci. S’infranse contro lo scudo biotico che resse con un tremolio sinistro.
-Non resisterò ancora a lungo!-
Sasha sganciò il fucile di precisione e lo caricò con una munizione disgregatrice – Non sarà necessario. Quando te lo dico disattiva lo scudo.- prese attentamente la mira mentre il mostro si preparava a schiantarsi su di loro -ORA!-
Lo scudo si dissolse e Sasha premette il grilletto.
Per un terribile istante pensò di aver sbagliato la mira.
Il corpo del mostro oscillò e il verme lanciò un grido furibondo, nel contorcersi la coda colpì il fianco della Normandy con un tonfo che le fece gelare il sangue nelle vene. Poi, di colpo, il mostro si schiantò al suolo.
La terra tremò sotto i loro piedi e Nadine perse l’equilibrio cadendole addosso. Sasha la sostenne mentre la polvere si diradava mostrando le spoglie del mostro.
-Ce l’hai fatta.- sussurrò la donna, incredula – Finalmente è morto.-
Abigale mosse alcuni passi verso il corpo abbandonato nella sabbia, un’espressione attonita sul viso rotondo -Dunque è vero: possono morire.-
Sasha ricordò che lei era stata tra le prime vittime di Akuze. Non aveva mai visto i mostri cadere.
Osservandola avvicinarsi alla bestia ebbe un sussulto: un altro soldato prima di lei, dando per morto il mostro, aveva abbassato la guardia.
-Non ti avvicinare!- esclamò – Spostati dalla sua traiettoria!-
Il corpo vermiforme ebbe un sussulto e un getto di veleno si abbatté laddove ci sarebbe stata Abigale se lei non l’avesse avvisata.
Un razzo esplose sul fianco del Divoratore e, finalmente, le sue spire cessarono di muoversi.
Sasha rivolse un cenno di assenso ad Habib che gettò il lanciarazzi ormai scarico al suolo e andò ad accertarsi che Abigale non fosse ferita.
La biotica era spaventata, ma illesa, e si rialzò guardandola con occhi sgranati – Come facevi a sapere?-
Sasha strinse i denti, ricacciando le lacrime in gola – Lui è morto così.-
Non ci fu bisogno di dire altro o di fare nomi.
Abigale l’abbracciò – Per quello che vale, Cenerentola, io non ho mai pensato fosse colpa tua, o sua. Nessuno di noi lo ha mai pensato. – le stampò un bacio sulla guancia arruffandole i capelli – Siamo una squadra: si vince e si perde insieme.-
Sasha abbassò lo sguardo – Ma io non ho perso. Io sono sopravvissuta.-
Abigale le asciugò le guance – Il comandante Shepard è sopravvissuto. Tu sei rimasta laggiù, insieme a noi.- le diede una pacca sulla spalla – Ora basta rimuginare sul passato, lo abbiamo sconfitto. È tempo di lasciarcelo alle spalle.-
Sasha annuì con aria pensosa – Non cantiamo vittoria, c’è ancora un cannone planetario con cui fare i conti.-
C.J. le affiancò con aria sorniona – Ci hai detto che questa nave è capace di compiere meraviglie: che ne dici di mostrarcele?-
Se ne era quasi dimenticata. Sasha trattenne il respiro e sollevò lo sguardo: la Normandy SR1 era davanti a lei, in tutta la sua imponente bellezza. 
La punta delle ali appoggiava per terra, simile alle zampe di una cavalletta. Al suolo appariva goffa e sgraziata, sembrava impossibile pensare che potesse prendere il volo. Ma Sasha sapeva di che cosa quella nave era capace.
Si portò davanti al portellone di babordo, convinta di vedervi apparire Joker, poi si ricordò che quella nave non aveva più pilota né equipaggio. Vagava sola e alla deriva tra il tempo e lo spazio alla ricerca del suo posto nel mondo, proprio come il suo comandante.
-Come siete saliti l’ultima vo…?-
S’interruppe quando il portellone si aprì e il cuore le balzò in gola.
Sulla soglia comparve una figura in armatura completa, il volto coperto da un casco. Sasha strinse i pugni, indignata all’idea di un estraneo a bordo della sua nave, ma riuscì a tenere a freno la lingua. Non era nella posizione di fare la difficile. 
Il soldato rimase immobile per qualche istante, forse stupito alla vista del Divoratore morto, poi si ritirò all’interno mentre la scaletta scendeva a terra. Lo interpretarono come un invito.
A bordo della Normandy SR1 Sasha si ritrovò catapultata indietro nel tempo. Era tutto come l’aveva visto l’ultima volta eppure … non sentiva sua quella nave. Forse perché non era mai stata sua, non quanto la SR2. 
Senza Ida a darle una voce quella Normandy era stranamente silenziosa, il ponte di comando era troppo stretto e la mappa galattica aveva un’illuminazione mediocre.
In un istante capì che quello non era più il suo posto. 
-È una nave straordinaria.- Tiger si era fermato al suo fianco – Immagino sia stata questa la tua ricompensa per averci lasciato indietro.-
Sasha s’irrigidì e indicò un punto tra la cabina di pilotaggio e il portellone esterno – Là è dove sono stata catapultata nello spazio, mentre la Normandy esplodeva in mille pezzi. Siamo morte insieme io e lei. È molto più di una ricompensa, la Normandy è destino.-
Tiger fece un verso scettico – Eppure lei è qui, in questo limbo, da molto più tempo di te. Sembra che tu sia sopravvissuta anche al destino.- 
Appoggiò una mano sulla paratia della nave - La Normandy è stata ricostruita e così il suo comandante. Siamo state riportate in vita, migliorate e potenziate, per un unico scopo: vincere la guerra madre di tutte le guerre. E così è stato. Il soldato perfetto ha salvato la galassia a bordo della sua nave perfetta, mentre gli amici morivano, i pianeti bruciavano e gli ideali svanivano. – alzò lo sguardo per incrociare gli occhi castani di Tiger - Mi è stata data una seconda opportunità, è vero, ma tu baratteresti la tua morte per la mia vita?-
Fino a quel momento non le era mai successo di scorgere compassione nello sguardo di Tiger.
L’uomo sospirò, probabilmente pentito di aver dato inizio a quella conversazione – No, non la baratterei, ma non lo faresti nemmeno tu. È sempre stato questo il tuo destino. Tu sei il comandante Shepard.-
Sasha notò che il misterioso soldato che li aveva accolti, era comparso sulla soglia della cabina di pilotaggio e non nascondeva di star origliando la conversazione. Sotto il casco poteva sentire i suoi occhi fissi su di lei.
Sostenne quello sguardo che non poteva vedere – Mi domando se sarei potuta essere qualcosa di diverso.- sussurrò.
Tiger le diede una pacca sulla schiena. Era la massima espressione d’affetto che riusciva a dimostrare, ma fu più che sufficiente. Il perdono di Tiger era più di quanto avesse mai sognato di avere.
-Andiamo a vedere cosa stanno combinando. Prima ce ne andiamo da qui, meglio è.-
Raggiunsero la prua della nave; la sala comandi era molto più affollata di quanto non l’avesse mai vista, eppure, senza Joker seduto sulla sua poltrona consumata, le parve desolata.
Jin armeggiava con i comandi volo, mentre Habib tentava di capire il funzionamento del sistema di occultamento, il tutto sotto l’occhio vigile del silenzioso soldato.
Sasha gli lanciò un’occhiata diffidente prima di chinarsi sul computer di bordo.
-Sala macchine a rapporto.-
La voce di Diego sfrigolò nella radio – Qui sotto è uno spettacolo comandante. Il motore brilla come una piccola stella e trabocchiamo di combustibile. Questa nave ci porterà verso l’infinito e oltre.-
Sasha ridacchiò – Sembra che tu abbia visto troppi vecchi olofilm, Diego. Rimani concentrato, non siamo ancora al sicuro. Plancia chiudo.- si rivolse ai tre nella cabina con lei – Cosa succede dopo il decollo?-
Tiger allargò le braccia – Non lo so. Io non sono mai arrivato fino a questo punto.- 
Gli altri due avvamparono.
-Abbiamo ventitré minuti per decollare prima dell’arrivo di un altro Divoratore. Dopo otto minuti di volo, quando siamo tra i 30 e 35 km di altezza, veniamo abbattuti da un cannone interplanetario. – spiegò Habib con voce incolore.
-Attiva il sistema di occultamento.-
Habib scosse il capo – Ci sto provando. Il sistema non risponde, temo sia in avaria.-
Sasha sentì il cuore mancare un colpo – No.- mormorò – Questa nave non ha avarie.- fu sul punto di chiamare IDA, poi rammentò che sulla SR1 non c’era alcuna IA. Era sola.
-Davvero credevi sarebbe stato così facile, comandante Shepard?- la voce del soldato misterioso era distorta elettronicamente e tutti sobbalzarono a quel suono innaturale. Si erano dimenticati della sua presenza.
 – Questo posto è il parco divertimenti di qualcuno e tutti noi balliamo la sua danza, persino tu. Quando capirai che non puoi evitare l’inevitabile vieni da me. Mi trovi nella stiva.- si picchiettò il polso – Ma fai in fretta: il tempo scorre.-
Tutti sul ponte erano ammutoliti. Sasha lo guardò allontanarsi col cuore in gola. Stava sudando e le mani le tremavano.
-Spostati.- ordinò ad Habib con un filo di voce – Avvierò questo maledetto sistema!-
Ma per quanto si sforzasse non ci riuscì. Mancavano quindici minuti allo scadere del loro tempo sul pianeta quando si decise a scendere nella stiva.
-Avvia i motori e tieniti pronto al decollo.- ordinò a Jin -Tieni d’occhio il tempo, se tra dieci minuti non sono tornata fai decollare la nave.- 
-Sissignora.-

La stiva era proprio come la ricordava. Buia, stretta e ingombra. Garrus, Wrex ed Ash però non c’erano. 
Il misterioso passeggero della Normandy la stava aspettando, con la schiena appoggiata contro il Mako, le braccia conserte. 
-Tutto bene, comandante? – domandò Abigale, avvicinandosi -  Perché non siamo ancora partiti?-
-Il sistema di occultamento non funziona. Servirebbe Jake ma …-allargò le braccia.
-Come sta?-
-Stabile. Nadine si sta occupando di lui in infermeria. Credo che se la caverà.- 
-Almeno una buona notizia.-
Sasha notò C.J. e Diego che si affannavano davanti ad una paratia sigillata -Che succede?-
Abigale scrollò le spalle -Una parte della stiva è sigillata. È strano, le altre volte non era così.- 
Inevitabilmente si ritrovò a fissare la misteriosa figura che, indifferente, osservava i loro inutili sforzi.
-Chiama C.J. e Diego, andate a controllare i motori. Qui ci penso io.- 
-Ma …-
-Fai come ho detto.- le posò una mano sulla spalla -Fidati di me.-
Abigale esitò mentre il suo sguardo si spostava dal comandante al soldato sconosciuto, ma alla fine le obbedì.
Chiamò gli altri e se ne andarono.
Senza dire una parola, il soldato si avvicinò alla paratia sigillata, trafficò con il factotum e, lentamente, quella iniziò a sollevarsi svelando il contenuto della stiva di carico.
Sasha non fu sorpresa, anzi, si sentì quasi sollevata perché, come era già accaduto in passato, sapeva di trovarsi di fronte all’unica soluzione possibile.
Davanti ai suoi occhi c’era la bomba di Virmire. La bomba che aveva ucciso Ashley Williams.
Sentì la sua voce, ferma e decisa, come se fosse lì, al suo fianco: “ Non c’è onore nell’essere dei sopravvissuti, solo colpa. Azionare quella bomba, su Virmire, era la mia espiazione.”
E Sasha capì di trovarsi davanti, finalmente, alla sua redenzione. 
Lentamente si avvicinò a quella bomba rudimentale che, in un altro mondo, aveva reso Ash una martire. La accarezzò, come avrebbe fatto con la pelle di un amante.
-Sai quello che devi fare, comandante Shepard. Solo tu puoi salvarli. È la tua unica occasione. Questa volta loro sopravvivranno e tu morirai.-
La voce del soldato era chiara e limpida, non più distorta dal filtro del casco. Sasha rabbrividì: conosceva molto bene il suono di quella voce femminile. Aveva un accento diverso da quello che era abituata ad udire e suonava leggermente più roca, ma era inconfondibile.
In altre circostanze si sarebbe spaventata e avrebbe reagito con violenza: dopotutto quella donna era stata sua rivale. 
Ma adesso capiva che quella nave e quell’equipaggio erano destinati a quel soldato.
Erano la vita che non aveva mai potuto vivere.
Si voltò per guardarla negli occhi e darle un nome, ma una luce abbagliante l’accecò. Le ginocchia le cedettero e, mentre suo corpo a bordo della SR1 si accasciava in terra, come un droide che andava in cortocircuito, da un’altra parte, su un pianeta devastato dalla madre di tutte le guerre, qualcuno sollevava i resti straziati del comandante Shepard.
"È ancora viva!" urlò qualcuno da molto, molto, lontano " Serve un dottore!"
"No!" Tentò di urlare "No! Lasciatemi andare è questo il mio posto!"
Un violento colpo sul viso la strappò da quella visione straziante. Un altro ceffone le infiammò la guancia e Sasha aprì gli occhi.
Davanti a lei c’era se stessa.
Era invecchiata, constatò con una punta di sorpresa. Quelle rughe intorno agli occhi quando erano spuntate? E perché c’erano dei fili grigi tra i capelli rossi? E i suoi brillanti occhi verdi quando erano diventati così opachi?
-Non ci provare, comandante.- la ammonì il suo clone, infuriata -Non osare abbandonarli ancora.-
Shepard si mise seduta e fissò la bomba -Non vado da nessuna parte: io rimango qui, con questa vecchia amica.-
L’altra la sovrastava, era imponente, eppure appariva incredibilmente vulnerabile -Potrei … potrei farlo io. Dopotutto non è per questo che sono stata creata? Per sacrificarmi al posto tuo.-
-No.- il comandante sorrise ricordando una vecchia conversazione avuta con James Vega, prima della terribile battaglia finale  -No, tu sarai la mia centesima vita. – le tese una mano e, con occhi spalancati e di nuovo brillanti, l’altra l’afferrò.
- Loro non devono sapere che io sono rimasta con la bomba. Ho promesso che non li avrei più abbandonati e manterrò quella promessa perché tu sei me. Sei sempre stata me.-
Il clone distolse lo sguardo -Ma io non voglio essere il tuo fantasma, comandante.-
-E non lo sarai, sorella. Tu sei quello che vorrai essere. –
-Non se dovrò convincerli che sono te.-
-Non sono più la donna che conoscevano. Io sono Shepard e per loro sono un’estranea tanto quanto te. Ma tu non sei solo la mia pelle e le mie ossa. Non hai solamente la mia voce e la mia intelligenza. - l’attirò a sé e in quegli occhi verdi vide il riflesso di se stessa -Tu sei l’orfana cresciuta per le strade, senza casa né famiglia. Sei la reietta che cerca il suo posto nel mondo. Tu sei Sasha, questa è la tua nave e quei ragazzi sono il tuo equipaggio.- 
Finalmente ogni reticenza svanì dagli occhi dell’altra. La tirò in piedi e, di slancio, si abbracciarono, come sorelle.
-Forza.- mormorò il comandante quando si separarono -Non rimane molto tempo.-
Il portellone si aprì con un clangore sinistro e fecero scivolare la bomba lungo la rampa.
 Il caldo torrido del pianeta le fece boccheggiare e Sasha si accorse con un sussulto di terrore che il paesaggio era diverso da come lo ricordava. Quello non era il luogo indefinito in cui i suoi compagni erano rimasti intrappolati per infiniti cicli.  Quello era Akuze.
Nonostante il caldo che mozzava il respiro, il comandante si sentì gelare, come se una morsa ghiacciata le avesse afferrato il cuore.
Sentì la mano del suo clone, no, la sua gemella, posarsi sulla spalla – Nessuno ha detto che sarebbe stato facile.- 
Sotto i loro piedi la sabbia nera di quel pianeta maledetto tremò. Non rimaneva molto tempo.
-Non è mai facile.- ribatté a denti stretti, le dita che stringevano convulsamente il detonatore – Forza, dovete decollare. Se faccio esplodere la bomba troppo presto l’onda d’urto spazzerà via la Normandy.-
-Addio, comandante.-
Con il casco sottobraccio la donna s’inerpicò lungo la rampa.
-Aspetta!- Shepard si staccò la medaglietta dal collo e gliela lanciò, compiendo lo stesso gesto che Anderson aveva compiuto in un tempo orai svanito.
Ora, finalmente, capiva: era tempo di farsi da parte. Doveva lasciarli andare. La “33” e la Normandy SR1 erano perduti e mai più poteva ritrovarli. Non erano mai stati il suo destino.
-Porta loro la pace, comandante. Sono la tua squadra adesso. –
-No.- la corresse l’altra, alzando il viso con una fierezza che, finalmente, era solamente sua – Sono la mia famiglia. Tra le stelle troveremo il nostro posto nell’universo, te lo prometto.-
Sasha le sorrise, grata.
Una figura comparve in cima alla rampa. Il volto sbarbato di C.J. era confuso e le fissò come se credesse di essere ammattito. 
Una violenta scossa fece vacillare la Normandy rischiando di farlo cadere. Funzionò come uno schiaffo e, quando si riebbe, il giovane soldato decise che le due donne identiche che lo guardavano erano un quesito che poteva dirimere in un altro momento. 
In quel momento contava solo la bomba e la donna in piedi accanto ad essa. 
Non appena la guardò seppe che era la donna per cui era morto.
-Avevi promesso!- urlò con la voce rotta – Avevi promesso che non ci avresti abbandonato.-
-No.- replicò calma lei – Ho promesso che sarei rimasta.-
L’altra sé afferrò il ragazzo per un braccio e lo tirò dentro mentre il portellone pian piano si richiudeva.
Solo quando, con un tonfo sordo, il portellone si chiuse, Sasha osò abbassare lo sguardo.
C.J. l’aveva amata e, anche se per lei non era mai stato più che un fratello, si augurò che, in quella nuova vita riuscisse ad amarla nuovamente e ad essere ricambiato.
Con le lacrime agli occhi, osservò la Normandy sollevarsi in volo, elegante e fragile come una farfalla e non distolse lo sguardo finché non fu un puntino indistinguibile nel cielo grigio.
A quel punto la terra sotto di lei si aprì. Mentre precipitava tra le fauci spalancate del Divoratore, premette il pulsante e, finalmente, non fu più una sopravvissuta.

 

  
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