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Autore: bambolinarossa98    15/07/2022    0 recensioni
[Seconda storia della serie The Chronicle's of Mafia Family.]
🌟
[Katekyo Hitman Reborn!Crossover]
Gli Anelli Vongola, gli Anelli Mare e i Ciucciotti degli Arcobaleno.
Insieme formano il Trinisette: tre gruppi di sette pietre ciascuno che, si dice, abbiano creato il mondo...

*
[...]Il suo volto era illuminato dalle fiamme che guizzavano nel recipiente di pietra a cui era appoggiato, creando ombre danzanti sul suo viso che lei riusciva a scorgere benissimo... eppure, se doveva soffermarsi sui dettagli, questi le sfuggivano. Come un sogno che si cerca di ricordare mentre quello continua a scivolare via dalla tua mente.
*
[...]Un giorno, in un futuro lontano, potresti guardarti indietro e pensare: ma io ero davvero così? E sarà strano, nostalgico, ma anche buffo e ti scapperà un sorriso perché ti renderai conto di quanto tu sia cresciuta. -
***
Un misterioso bambino venuto dall'Italia.
Uno strano ragazzo venuto dal Giappone.
Un segreto che nasce dagli albori della famiglia mafiosa più potente del mondo.
Il destino di Marinette, ereditato col sangue.
*
[Sequel di The Third Family]
Genere: Azione, Mistero, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Chronicle's of Mafia Family'
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Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 20. Rimostranze
Fandom: Katekyo Hitman Reborn - Miraculous
Numero Parole: 7.867

 
 
 
 
Marinette non poté fare a meno di pensare che la fortuna girasse bizzarramente dalla sua parte in quelle ultime ore quando, quella mattina, scese in salotto e trovò Squalo a sonnecchiare sul divano, completamente solo. Non si sentiva alcun rumore molesto provenire da nessuna parte della casa segno che non ci fosse un'anima lì dentro eccetto loro due, con un tempismo a dir poco sublime.
Sperando che restasse così per tutto il tempo necessario, si avvicinò rapidamente al divano piazzandosi proprio accanto al bracciolo, piegandosi leggermente sulla testa di lui; decisa più che mai a non indugiare ma fare le cose nel modo più veloce e naturale possibile (onde evitare di cambiare idea) alzò le pagine del libro che gli ricoprivano il volto e rimase a fissarlo: sapeva di non dover dire nulla per svegliarlo, Squalo aveva il sonno incredibilmente leggero e riusciva a destarsi anche solo sentendo la presenza di qualcuno accanto a sé, una peculiarità sviluppata grazie al suo lavoro. Essere uno dei migliori assassini/spadaccini del mondo gli aveva causato un bel po' di nemici e dormire serenamente era un lusso a cui aveva dovuto rinunciare da tempo, come da lui stesso affermato, sebbene ogni tanto gli sarebbe piaciuto poter riposare senza essere constantemente in allerta.
Ma Marinette non aveva ancora ben chiaro se trovasse questa sua "capacità" affascinante o terribilmente inquietante; forse entrambe.
Infatti, come volevasi dimostrare, il ragazzo aprì gli occhi quasi subito con estrema pigrizia e la fissò senza battere ciglio. - Che vuoi? - chiese con una malcelata nota di rassegnazione, come se avesse già capito di dover rinunciare al suo meritato riposo mattutino: dopotutto, Squalo amava rimettersi a dormire dopo essersi svegliato.
- Mi accompagni in centro? -
Marinette lo domandò con tono piatto, naturale, leggermente allegro e con un pizzico di aspettativa che imitava quasi perfettamente quello che aveva di solito. Il fatto che in quel momento stesse scoppiando di nervosismo e facesse di tutto per non darlo a vedere era tutt'altra storia.
Il ragazzo tolse il libro dalla sua mano e se lo rimise in faccia con un secco - No. -
La ragazza trattenne a stento un sospiro e abbandonò la maschera allegra, rimettendosi dritta: stando a quanto detto da Bianchi, Reborn non voleva che andasse in giro da sola poiché temeva per la sua incolumità dopo che era stata quasi assassinata dagli uomini di Verde; non poteva uscire da sola e non voleva essere accompagnata né da Bianchi e né da Dino che, ne era certa, avrebbero fatto domande invadenti a cui lei non aveva intenzione di rispondere. L'unico che se ne fotteva abbastanza da poterle fare compagnia senza romperle le scatole era Squalo ma dal momento che aveva rifiutato non poteva insistere, men che meno costringerlo.
Però non voleva neanche restare in casa a far nulla e a quel punto non le importava neanche più dell'ira di Lal: doveva lasciare quelle mura, almeno per qualche ora, e doveva evitare che Squalo lo sapesse. Anche se non lo avevano detto esplicitamente, aveva capito che almeno una persona dovesse restare in casa con lei per sorvegliarla quando tutti gli altri erano impegnati, e l'ingrato compito toccava quasi sempre a Squalo visto che era quello con più tempo libero a disposizione.
Insomma, lui era lì praticamente in vacanza: Bianchi doveva proteggerla, Lal era la sua insegnante e Dino doveva guidarla al meglio in tutta quella storia della mafia. La loro permanenza a Parigi era puramente lavorativa, tranne per Squalo che non aveva un vero e proprio motivo e quindi ne approfittava per prendersi una meritata pausa dai Varia.
Tornò silenziosamente in camera sua e prese la borsetta, salendo in balcone: non poteva semplicemente uscire dalla porta senza sfuggire al finissimo udito di Squalo, quindi non le restava che il suo asso nella manica.
- Credevo che non avessi il permesso di uscire da sola - notò Tikki, svolazzandole dietro.
- Infatti - rispose Marinette, più tranquilla di quanto fosse in realtà - Ora, trasformami! - ordinò prima che il Kwami potesse anche solo pensare di avanzare qualche obiezione. Srotolò lo yo-yo e si lanciò nel vuoto, superando di gran carriera i palazzi del vicinato. Non aveva un vera e propria meta e, dal momento che era sola, doveva evitare i luoghi affollati non sapendo dov'erano andati gli altri. Gironzolò un po' per il quartiere, infine puntò verso la Torre Eiffel.
Si sedette proprio in cima e inspirò a fondo l'aria fresca che arrivava fin lassù. L'unico che avrebbe potuto disturbarla in quel posto era Chat Noir e sperava vivamente che se ne stesse alla larga, quel giorno. Decisa a non correre alcun rischio, si ritrasformò.
Tikki volò fuori dall'orecchino e si parò davanti a lei con le zampette incrociate: - Se Lal viene a sapere che sei uscita di nascosto ti getterà dal balcone! - la rimproverò. Marinette scrollò le spalle.
- Pazienza, almeno sarò stata un po' fuori. -
- Avresti potuto uscire con Alya se proprio volevi - continuò lei. La ragazza fece una smorfia e si pentì di essersi ritrasformata: era andata fin lì proprio per non avere nessuno intorno che le facesse domande scomode e ci si metteva proprio Tikki, che aveva deciso di diventare improvvisamente loquace nel momento meno opportuno.
- Beh, non avevo voglia di uscire con lei - tagliò corto - Non mi sembra di doverne fare un dramma: sono al sicuro quassù, nessuna persona normale può scalare la Torre Eiffel - sbuffò.
- Ma… - il Kwami provò a protestare e Marinette si lasciò andare ad un sospiro seccato.
- Tikki, basta! - la riprese, facendola ammutolire di colpo. Vide i suoi grandi occhioni blu sgranarsi per poi abbassarsi subito dopo e una fitta di senso di colpa la colpì allo stomaco. - Scusa - mormorò chinando il capo - Ma non ho voglia di parlare, ora. -
Stavolta fu Tikki a sospirare e sciolse le zampe per abbandonarle lungo i fianchi: - Credo che dovremmo parlare, invece - rispose volando fino al suo ginocchio per potersi sedere. Alzò la testolina e fissò gli occhi nei suoi: - Lo so che tutta questa storia dei Vongola non dipende da te e che non vuoi farlo, ma è chiaro che non puoi tirarti indietro - cominciò e Marinette gelò sul posto quando capì che, finalmente, Tikki si stava confidando su ciò che l'aveva preoccupata nelle ultime settimane. - Prima o poi dovrai lasciare Parigi e cosa ne farai del Miraculous? -
- Io… - le parole le morirono in gola e richiuse la bocca, non sapendo cosa dire: non aveva idea di cosa fare con gli orecchini, non sapeva a chi restituirli o a chi affidarli. Non sapeva neanche quando se ne sarebbe andata o se fosse stato davvero necessario: insomma, aveva ancora le prove dei Guardiani da affrontare e non aveva la certezza di superarle tutte; forse si stavano fasciando la testa inutilmente prima ancora di rompersela (come sperava). Scosse il capo. - Non lo so, Tikki. Non ho idea di cosa accadrà d'ora in poi e non so neanche quando incontrerò il Decimo e i suoi Guardiani - ammise, alzando lo sguardo verso la città che si stendeva quasi minuscola sotto di loro - Se mi dicessi almeno chi è stato a darmi il Miraculous saprei a chi resituirlo - aggiunse. Il Kwami si fece piccola piccola sui suoi jeans.
- Mi dispiace ma non posso dirti niente finché non saranno loro a farlo - mormorò.
- Allora dovrò trovare una sostituta - concluse Marinette, appoggiandosi alla grata di ferro dietro di lei. Era l'unica soluzione plausibile se "loro" non si fossero fatti avanti prima della sua possibile partenza. L'unico problema, ovviamente, era che non sapeva chi potesse essere il suo successore: non conosceva ancora nessuno che sembrava abbastanza responsabile da poter diventare il "nuovo" Ladybug e non era sicura di avere un vero e proprio criterio di scelta.
In sintesi: non sapeva dove sbattere la testa e Tikki non sembrava molto propensa a collaborare su una possibile ricerca. Non che le dispiacesse abbandonare il Miraculous, sia chiaro: certo, si era affezionata al Kwami e, tutto sommato, anche a Chat Noir e aveva preso sul serio il suo ruolo… ma non poteva negare che la sua vita sarebbe stata molto meno stressante e complicata senza di esso. Ora che erano subentrati anche i Vongola, oltretutto, essere Ladybug era solo un peso in più da sopportare.
Se fosse dipeso da lei avrebbe rinunciato volentieri ad entrambi ma, disgraziatamente, le era impossibile. Eppure desiderava così tanto essere una persona normale, con una vita normale e nessuna preoccupazione che non fossero i compiti in classe, le uscite con le amiche e il ragazzo che le piaceva… La sua mente andò automaticamente ad Adrien e una smorfia le si dipinse sul viso: aveva trascurato tutto in quelle ultime settimane, compreso lui, eppure pensarci le dava solo un senso di fastidio come se la presenza del ragazzo nella sua vita fosse qualcosa di sbagliato.
Sospirò e si coprì gli occhi con i palmi delle mani: forse era solo la stanchezza per quella situazione, dopotutto aveva rifiutato persino la compagnia di Alya, non doveva stupirsi troppo.
- Marinette… - Tikki provò a ricominciare un discorso ma lei scosse il capo.
- Non ora - mormorò - Ho bisogno di un po' di silenzio. -
 
 
 
Dino non sembrava affatto convinto e Lal ancora di meno, ma nessuno dei due poteva avanzare proteste: non solo perché sarebbe stato inutile, ma discutere con Reborn su una decisione che aveva già preso era una sfida persa in partenza. L'unica che non la pensava allo stesso modo, però, era Bianchi.
- Non è troppo presto? Marinette non è ancora pronta a tutto questo - notò. Ricordava molto bene la sfuriata che la ragazza aveva fatto il giorno prima e non poteva assolutamente biasimarla: aveva passato troppe cose in quegli ultimi mesi ed era emotivamente fragile in quel momento, quello sarebbe stato il colpo di grazia.
L'obiezione della donna aveva infuso un po' di coraggio in Dino che si schiarì la gola: - Sono d'accordo, le serve ancora un po' di tempo. -
Il bambino si accigliò e restò in silenzio per qualche istante, infine sospirò: - Il problema è che non abbiamo tempo - ricordò - Se lunedì andrà tutto bene inizierò i preparativi per il trasferimento, non possiamo permetterci di aspettare oltre - decretò. Dino e Bianchi si scambiarono un'occhiata preoccupata ma Lal rimase impassibile.
- Verrà solo lui? - domandò invece. Reborn annuì.
- Per ora sì, poi mi occuperò degli altri - rispose - Farò in modo di essere pronto entro la fine del mese ma non ditele nulla finché non avrò una data precisa. -
Bianchi picchiettò nervosamente con le unghie sui propri jeans e Dino annuì con rassegnazione: non era previsto tutto quello, non con così poco preavviso, ma il tempo stringeva e non avevano più alternative. Reborn chiuse la chiamata, lasciandoli davanti ad uno schermo nero, e tutto ciò che poterono fu sperare che la reazione di Marinette non sarebbe stata così negativa come temevano.
 
 
 
Era quasi ora di pranzo e Marinette non si era mossa da lì. Aveva passato tutta la mattina seduta sulla cima della Torre Eiffel a rimuginare su quello che era successo da quando aveva ricevuto il Miraculous fino ad ora sperando di trovare un appiglio a cui aggrapparsi per continuare a sopportare tutta la situazione, ma l'unica cosa che ne aveva ricavato era stato solo un gran mal di testa e tanta frustrazione. Non voleva accettare passivamente la sua sorte ma più ci pensava più si rendeva conto di non avere scelta.
E forse non ne aveva mai avuta una visto che, a quanto pare, era stato tutto deciso dal giorno in cui era nata: aveva ereditato quel destino insieme al sangue che le scorreva nelle vene e solo perché, qualche decennio prima, un suo parente aveva avuto la brillante idea di fare comunella con un gruppo di scappati di casa. Ma chi ne stava pagando le conseguenza, in quel momento, era soltanto lei.
Guardò l'anello che le pendeva dal collo e si rese conto di non riuscire a provare astio nei confronti di Radi: dopotutto non era colpa sua, quando era entrato nei Vongola non poteva immaginare quello che sarebbe successo ai suoi discendenti né che Riccardo si sarebbe invischiato nella mafia. Era stato uno spettatore impotente, esattamente come Giotto, e ora toccava a lei e a Tsunayoshi portarne il fardello.
Non aveva neanche finito quel pensiero quando qualcosa le afferrò la collottola della felpa, tirandola su: il ferro le mancò da sotto i piedi per qualche istante e per poco non soffocò, trattenendo a stento un urlo, prima di essere rimessa per terra. In quel breve lasso di tempo di puro panico riuscì a pensare a moltissime cose, una più orribile dell'altra, e si ritrovò a sgranare gli occhi sorpresa e inorridita quando alzò la testa e, invece di un killer assetato di sangue, le si parò davanti la faccia inferocita di Squalo. Che era un po' la stessa cosa in effetti.
- Ma che cazzo ti dice la testa?! - sbraitò a pochi centimetri dal suo volto. Marinette lo aveva già visto incazzato prima d'ora, e anche parecchie volte, ma mai così incazzato. Vedeva i suoi occhi grigi pieni di rabbia, frustrazione e istinto omicida e si fece piccola piccola sotto la sua presa ferrea: sapeva di averla combinata grossa sgattaiolando via di nascosto ma non immaginava che Squalo avrebbe reagito così male.
- I-io… - balbettò, rendendosi conto di non avere una scusa plausibile da fornire. Era completamente paralizzata, inchiodata sulle assi di ferro dal suo sguardo truce, e si rese conto di essere anche molto spaventata. Eppure non aveva mai avuto paura di Squalo, neanche nella sua forma peggiore, e quasi trasalì quando si rese conto che lei, in effetti, non l'aveva mai vista la sua forma peggiore.
- Non me ne frega un cazzo delle tue spiegazioni! - urlò lui ed era davvero fuori di sé - Ho passato tutta la mattina a cercarti in questa città di merda, ti rendi conto di quello che sarebbe potuto succedere?! Se proprio vuoi farti ammazzare pensaci quando non rischi di far saltare il culo anche a me! -
Il ragazzo ansimava, sia per aver gridato a pieni polmoni che per aver corso su e giù nei quartieri tutto quel tempo, ma la sua rabbia non sembrava volersi placare. Marinette non riusciva a fare niente, neanche distogliere lo sguardo per non dover più vedere il suo, e in quel miscuglio di ansia, panico e paura riuscì ad inserirsi anche il senso di colpa: perché lei era stata affidata a Squalo, era una sua responsabilità, e Lal se la sarebbe presa con lui se le fosse successo qualcosa. Deglutì a vuoto, non sapendo cosa dire, e lui mollò finalmente la presa sulla sua felpa; si passò le mani nei capelli e inspirò a fondo, tentando di calmarsi.
Marinette non osò dire neanche una parola, nemmeno per scusarsi, temendo di farlo arrabbiare ancora di più; quindi rimase in silenzio mentre Tikki, che si era sporta dalla borsa per vedere cosa stava accadendo, vi riaffondava rapidamente dentro lasciando solo una parte degli occhi e la fronte in bella vista.
Restarono in silenzio per quella che parve un'eternità, infine Squalo l'afferrò per il braccio e la trascinò giù dalle travi, marciando verso l'ascensore: - Azzardati ad uscire di nuovo senza permesso e giuro che ti prendo a calci in culo - ringhiò - Non ti coprirò un'altra volta! -
Marinette trasalì e lo fissò sconvolta, quasi non credendo a ciò che aveva udito: pensava che avesse già informato gli altri della sua "fuga" e di doversi subire anche una strigliata da Lal, una volta rientrata a casa, e invece lui non aveva detto niente a nessuno.
Aveva passato ore a cercarla, si era incazzato, l'aveva sgridata ma, nonostante tutto, l'aveva coperta. Non l'aveva tradita anche se aveva tutto il diritto di farlo e quello non fece altro che confermare che, sì, Squalo era in assoluto l'unica persona di cui potesse fidarsi ciecamente tra le sue attuali conoscenze. E non sapeva proprio come doveva sentirsi a riguardo: era sollevata e dispiaciuta al tempo stesso poiché non era nei guai (almeno ufficialmente) ma lo aveva chiaramente mandato nel panico sparendo senza dire niente; erano tutti preoccupati per la sua incolumità e lei se n'era fregata deliberatamente, facendo di testa sua.
Era sicura che Dino avesse ben altri impegni di cui occuparsi in Italia, che Bianchi avesse una vita personale in Giappone e che Lal avesse il suo lavoro nel CEDEF a cui avrebbero preferito tornare, invece di restare lì a farle da babysitter. Il minimo che Marinette avrebbe potuto fare era non rendere vani tutti i loro sforzi facendosi ammazzare solo per potersi prendere qualche ora d'aria. La sua psiche era importante, certo, ma stavano facendo tutti dei grandi sacrifici per restarle accanto e non poteva essere così egoista da ignorarli.
Il senso di colpa tornò prepotentemente a farsi largo dentro di lei e quello fu il colpo di grazia decisivo: prima che potesse rendersene conto, era scoppiata a piangere.
Tutta l'ansia, lo stress e la stanchezza che aveva accumulato in quelle ultime settimane si riversò fuori come un fiume in piena e la consapevolezza di star avendo un crollo emotivo in piena regola peggiorò soltanto la situazione. Sapeva che sarebbe accaduto, prima o poi, i presupposti c'erano tutti e non capiva grazie a chi era riuscita a trattenersi fino a quel momento, ma la cosa la spaventava terribilmente: un esaurimento nervoso non era qualcosa da trattare alla leggera, non sapeva come gestirlo ed essere in compagnia della persona più insensibile sulla faccia della terra non aiutava neanche un po'.
Squalo, difatti, aveva avuto un sobbalzo sentendola singhiozzare ed era gelato davanti l'ascensore quando si era voltato e l'aveva vista piangere a dirotto davanti ai suoi occhi. Lui detestava le persone che frignavano, non gli importava il motivo, lo infastidivano terribilmente e risvegliavano la parte meno simpatica di lui… ma in quel frangente andò totalmente nel pallone: insomma, era Marinette che stava piangendo, non una persona qualunque, e lui non aveva idea del perché. Forse non avrebbe dovuto urlarle contro in quel modo ma aveva perso la calma quando si era alzato dal divano e aveva scoperto che lei non era più in casa; gli erano passati davanti agli occhi gli scenari peggiori che la sua esperienza di assassino gli avesse dato modo di vedere e aveva passato tutto il tempo in cui l'aveva cercata a immaginare il modo in cui l'avrebbe trovata morta. Vederla appollaiata a 300 metri da terra, perfettamente incolume, lo aveva sollevato, certo, ma anche fatto incazzare come una bestia.
Marinette era avventata e poco incline a badare alla propria sicurezza quando c'era da fare l'eroe, vero, ma non immaginava che avrebbe potuto addirittura scappare di casa di punto in bianco senza pensare alle conseguenze. E nonostante sapesse quanto fosse emotivamente fragile in quel momento, non si era aspettato tutto quello e si sentiva anche in colpa perché se avesse accettato di portarla fuori non sarebbero arrivati a quel punto. Ma avrebbe dovuto pensarci, specialmente dopo aver origliato la sua conversazione con Bianchi la sera prima; non che lo avesse fatto di proposito, sia chiaro, ma quello sarebbe dovuto bastare a fargli risuonare un campanello d'allarme nella testa.
Ma forse si era adagiato troppo sugli allori dimenticandosi che Marinette aveva pur sempre quattordici anni e a quell'età, lo sapeva bene, gli adolescenti erano molto propensi a fare cazzate quando spinti dall'emotività (e lui ne era un esempio vivente). Sapere tutto quello, però, non rendeva le cose più facili e Squalo ci mise assai poco a farsi travolgere dal panico.
- E-ehi, no, aspetta! - esclamò lasciandola andare di colpo, resistendo all'impulso di mettersi le mani nei capelli per la disperazione - Non dicevo sul serio, smettila di piangere. -
Pessima scelta delle parole. Davvero, davvero pessima. Però lui non le sapeva consolare le persone, che diamine!
Terribilmente a disagio e senza sapere dove sbattere la testa, implorò l'aiuto di Tikki con gli occhi che, di rimando, gli rivolse uno sguardo truce: fantastico, adesso anche la bestiolina lo giudicava!
Ma doveva uscire da quella situazione orribile in un modo o nell'altro. - Mi dispiace, non volevo urlarti contro. Adesso calmati - riprovò cercando di suonare tranquillo, ma neanche quello funzionò e il dubbio che la sua sfuriata non c'entrasse niente con l'improvvisa crisi della ragazza iniziò a farsi spazio dentro di lui a velocità supersonica: insensibile sì, scemo no.
- M-mi dispiace… - singhiozzò lei, cercando di asciugarsi le lacrime con scarso successo, e Squalo cedette rovinosamente come mai pensava di fare nella vita: non sapeva neanche per cosa si stesse scusando e non gli importava affatto, voleva solo che chiudesse i rubinetti. Oltre al disagio, sentiva anche una fastidiosa sensazione alla bocca della stomaco che doveva assolutamente mettere a tacere.
Respirò a fondo e fece girare gli ingranaggi del cervello più velocemente che poté cercando una soluzione: Marinette era scappata di casa per un motivo, questo era ovvio, ed era sicuramente collegato a ciò che aveva detto la sera prima a Bianchi. Era la prima volta che veniva a conoscenza della sua visione della situazione e chissà da quanto tempo se l'era tenuta per sé, negli ultimi mesi, se non addirittura da quando aveva ricevuto quegli orecchini. Prima che arrivassero loro non aveva mai potuto parlare con nessuno dei Miraculous e, ora, non poteva parlare con nessuno di tutta quell'assurda storia della mafia.
I suoi neuroni finalmente si connetterono e in un lampo di genio la risposta gli si palesò dinnanzi agli occhi, con un misto di orrore e frustrazione: non aveva mai potuto sfogarsi con nessuno e si era tenuta tutto dentro così a lungo che era bastato pochissimo per farla esplodere. E se Squalo faceva schifo a consolare una persona quando era triste, figuriamoci se era nel bel mezzo di un esaurimento nervoso. Questo lo fece sprofondare ancora di più nel panico.
Scavò nei meandri della propria memoria e cercò di ricordare cosa faceva Lussuria quelle poche volte che Bel aveva pianto, quando era ancora un bambino; certo, erano state tutte volte in cui si era fatto male seriamente e non coincideva molto con il caso attuale, ma non aveva altri esempi da cui prendere spunto.
Non poteva prenderla di certo in braccio (anche perché sarebbe stato strano) ma avrebbe potuto a provare a… abbracciarla? Lo avevano già fatto prima ma era stata lei a prendere l'iniziativa e lui non era bravo con i gesti d'affetto, rischiava solo di peggiorare la situazione. Ma non aveva nessuna altra idea, in mente, quindi raccolse tutto il coraggio di cui era munito in quel momento e le circondò le spalle con le braccia, stringendola impacciatamente a sé, dandole qualche leggero buffetto sulla testa. Era strano e lo metteva terribilmente a disagio ma non si spostò neanche quando lei si aggrappò alla sua camicia, continuando a piangere; Tikki svolazzò fuori dalla borsa e si sedette sulla spalla di lei, appoggiando la testolina al suo collo, e rimasero fermi in quel modo per lunghi minuti.
E se fino a quel momento Marinette aveva cercato di trattenersi, quando si ritrovò fra le braccia del ragazzo si lasciò definitivamente andare sfogando tutto ciò che aveva accumulato in quelle ultime settimane; non ricordava di aver mai pianto così tanto e così a lungo in tutta la sua vita, ma quando si fu finalmente calmata si rese conto di sentirsi molto meglio. Certo, aveva ancora tutti i suoi problemi ad aspettarla a casa, però almeno si era liberata di quel pesante macigno che le gravava sullo stomaco da non sapeva neanche lei quanto. Era un buon inizio.
Si prese un paio di minuti di raccoglimento, infine si staccò lentamente da lui. Squalo, dal canto suo, esitò guardandola con sospetto, non del tutto convinto che si fosse calmata sul serio, poi la lasciò andare, senza preoccuparsi di nascondere il proprio turbamento per tutta la faccenda.
- Va meglio? - domandò e il tono gli uscì più duro di quanto avesse voluto ma aveva completamente perso il controllo della situazione, quindi non importava più di tanto. Marinette annuì, asciugandosi gli ultimi residui di lacrime con la manica della felpa, e tirò su con il naso.
- Più che di un istruttrice credo che tu abbia bisogno di uno psicologo, sai? - ammise schiettamente Tikki, con evidente preoccupazione, e nessuno dei due riuscì a trovare un argomento valido che le desse torto. Squalo, però, la freddò con un'occhiata seccata.
- Non fare tanto la spiritosa che è anche colpa tua - le ricordò.
- Beh, non aveva di questi problemi prima che arrivaste voi! - ribatté lei, indispettita, e Marinette fece una smorfia.
- Beh - sospirò, facendo ben intendere che non fosse esattamente così. Tikki alzò la testa verso di lei con uno scatto, sgranando gli occhi, e la ragazza scrollò le spalle - Oh, non guardarmi in quel modo: essere Ladybug è stressante adesso quanto lo era prima. E sai benissimo che non volevo neanche farlo - rispose e, sebbene avesse la voce un po' roca, si riuscì comunque a distinguere l'amarezza che la impregnava. Dopotutto, non aveva mai nascosto la propria insofferenza verso il compito che le era stato affidato: lo svolgeva diligentemente e aveva preso seriamente quell'impegno, ma ci avrebbe rinunciato volentieri in qualsiasi momento pur di tornare ad una parvenza di vita normale. L'unica cosa di avrebbe sentito la mancanza sarebbe stata la compagnia di Tikki.
- Potresti semplicemente darlo via e risolvere la metà dei tuoi problemi - ricordò Squalo e Marinette sospirò, troppo sfinita dal lungo pianto per potersi avventurare di nuovo in quella conversazione.
- E a chi dovrei darlo? - chiese stancamente. Per quanto le sarebbe piaciuto passare il testimone, era consapevole di non poter gettare il Miraculous nelle mani della prima persona che le passava davanti e non conosceva nessuno che fosse realmente in grado di sopportare quel peso nei migliori dei modi; come se non bastasse, non poteva neanche restituirlo a chiunque lo aveva dato a lei non sapendo chi fosse e Tikki non era molto collaborativa su quel lato.
Aveva le mani legate, in tutti i sensi, quindi non le restava altro da fare che sopportare quel peso ancora per un po'.
Squalo agitò la mano con impazienza: - Come se importasse qualcosa. Basta che te lo togli dai piedi. -
Indubbiamente, lui era un tipo molto pratico, ma lei non aveva voglia di discutere in quel momento. Il Kwami, a quanta pareva, sì.
- Si potrebbe dire la stessa cosa dell'Anello, se è per questo! - fece notare con stizza e Marinette si sentì a disagio a vederli discutere in quel modo dato che erano sempre andati d'accordo fino ad quel momento.
- Invece no dato che per usarlo deve essere imparentata con Radi! - ricordò Squalo ed era palese che si stesse innervosendo molto, ma la ragazza non ci diede peso quando si ricordò all'improvviso che Sabine aveva una sorella più piccola che, a sua volta, aveva una figlia poco più grande di lei. Sgranò gli occhi e si chiese come avesse fatto a dimenticare una cosa del genere. - Ma io ho una cugina! - interruppe il loro battibecco, in preda ad un illuminazione, sentendo l'euforia crescere lentamente dentro di lei. Certo, non l'aveva mai vista dal momento che viveva in Cina ma Sabine era ancora in contatto con la sorella, non si capacitava proprio di averle accantonate totalmente. Squalo inarcò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto: - Lo sappiamo - rispose - Ma Dino ha detto che non è adatta al ruolo, per questo hanno ripiegato su di te. -
Marinette si sgonfiò come un palloncino vedendo la sua appena trovata ultima speranza disintegrarsi senza pietà e non le importò neanche il fatto che fosse stata letteralmente una seconda scelta in quella faccenda, avrebbe preferito non essere considerata affatto.
- Oh - mormorò e, se possibile, si sentì anche peggio di prima.
Squalo e Tikki si scambiarono un'occhiata e sembrarono decidere di accantonare il discorso almeno per il momento, perché lui si schiarì la voce. - A proposito, si è fatto tardi è meglio scendere da qui - ricordò. La ragazza annuì stancamente e si avviò dietro di lui verso l'ascensore. Non aveva molta voglia di tornare a casa e neanche di mangiare, però era stata fuori anche troppo e non aveva una spiegazione da fornire se avessero chiesto dove fosse stata.
Alla fine non aveva concluso nulla se non accettare il fatto di dover continuare a stringere i denti e sopportare la situazione ancora per un po'. Non era un pensiero confortante ma la consapevolezza che non sarebbe durato per sempre alleviava lo sconforto, anche se di poco: forse avrebbe fallito le prove dei guardiani e avrebbe detto addio all'Anello o forse sarebbe partita per il Giappone e avrebbe rinunciato al Miraculous.
Non sapeva ciò che sarebbe accaduto da lì in poi ma una cosa era certa: qualunque sarebbe stato l'esito, la sua vita sarebbe cambiata per sempre.
 
 
 
Nessuno l'aveva infastidita per tutto il fine settimana. Dino e Bianchi erano stati insolitamente tranquilli e discreti, lasciandole i suoi spazi e tutto il tempo per riposarsi a dovere.
Marinette era convinta che ci fosse qualcosa sotto ma Squalo aveva negato di aver detto loro cosa era successo sulla Torre Eiffel, sapevano solo che avevano passato il sabato mattina a girare per negozi. Eppure quel dubbio non smetteva di tormentarla: se non era per la sua crisi (e si fidava della parola di Squalo) allora perché si comportavano in modo così strano? Persino Lal era più schiva e nervosa del solito e il dubbio raggiunse conferma quando la pizzicò a confabulare sottovoce con Colonnello, seminascosti sul balcone, di una decisione che era stata presa con poco preavviso di cui non erano affatto contenti. Non era riuscita ad origliare di più perché Bianchi era entrata in camera ma la curiosità la stava divorando lentamente: qualunque cosa fosse, era certa che vi fosse implicata anche lei. Disgraziatamente, era sempre in mezzo quando accadeva qualcosa ed era tristemente sicura che quella volta non avrebbe fatto eccezione.
Però era contenta di quella tregua improvvisa, poiché aveva avuto tutto il tempo di calmarsi, riordinare le idee e riposare corpo e mente: aveva dormito, letto, disegnato e persino cucito… tutte cose che rientravano nella sua quotidiana normalità prima che i Vongola piombassero nella sua vita. Era stato rilassante e incredibilmente terapeutico, in qualche modo sentiva di essere tornata a respirare e aveva intenzione di godersi quei momenti finché poteva prima che le gettassero addosso l'ennesima batosta (che, era sicura, non avrebbe tardato ad arrivare).
E, infatti, quando scese nel seminterrato con Roberto quel lunedì mattina l'ultima cosa che si aspettava era di trovarci, oltre a Colonnello, anche il resto della banda. Nessuno di loro aveva mai assitito ai suoi allenamenti e la loro presenza lì non le piaceva per niente: era chiaro che ci fosse sotto qualcosa.
- C'è una festa per caso? - domandò, sconcertata, non riuscendo tuttavia a trattenere un po' di sarcasmo. Lal sospirò e saltò giù dalla spalla di Dino, avvicinandosi al tavolo sul quale Colonnello era già seduto accanto ad una pistola completamente bianca e dalla canna corta, del tutto nuova agli occhi di Marinette.
- Hanno insistito per vedere l'ultima fase di questo allenamento - rispose, seccata.
La ragazza inarcò un sopracciglio: - Ultima fase? -
Colonnello annuì, alzandosi in piedi: - Oggi finirai il tuo allenamento con me - decretò, facendole sgranare gli occhi: quel dettaglio le giungeva totalmente nuovo.
- Perché sono sempre l'ultima a sapere le cose? - sbottò infastidita: era assurdo che ne fossero tutti a conoscenza tranne lei che era la diretta interessata. Lal fece per aprire bocca ma una voce squillante arrivò dal computer aperto sul grembo di Bianchi, facendola sobbalzare.
- Non volevamo metterti ansia - rispose la vocina, decisamente infantile, e un brivido le corse lungo la schiena quando la riconobbe. La donna voltò l'apparecchio mostrandole l'immagine di Reborn seduto a gambe incrociate su una scrivania, davanti ad alcuni libri e un paio di portapenne; dalla finestra aperta alle sue spalle si poteva scorgere il sole tramontare e i rasi tetti di alcuni edifici, mentre al suo fianco vi era un altro bambino che Marinette non riconobbe: aveva corti capelli neri e una tunica rossa di fattura cinese che si abbinava al ciucciotto poggiato sul suo petto, di uno sgargiante rosso acceso.
Un altro Arcobaleno.
- Ciaossu! - salutò Reborn, fin troppo allegramente per i suoi gusti, e il bambino al suo fianco congiunse le mani dinnanzi a sé chinando brevemente il capo.
- Piacere di conoscerti - esalò. Aveva un voce delicata, un po' troppo matura per un bambino della sua età, e un leggero quanto cordiale sorriso che gli incurvava perennemente le labbra. A Marinette inspirò subito simpatia e tenerezza, anche attraverso l'immagine riusciva a sentire l'aura di forza e sicurezza che emanava eppure c'era qualcosa di estremamente gentile in lui che non riusciva ad identificare. Indubbiamente, era il primo Arcobaleno che incontrava ad averle fatto una buona impressione a primo impatto.
Reborn lo indicò con un gesto della mano.
- Lui è Fong, l'Arcobaleno della Tempesta - presentò. Nonostante tutto, Marinette si sentì un po' a disagio mentre pigolava un "Ciao" impacciato, non sapendo per qualche motivo dovesse assistere anche lui. Già temeva di combinare un disastro e farlo davanti a tutte quelle persone non migliorava per niente la situazione. - Voleva assistere anche lui. -
Fong scrollò le spalle e si poggiò le manine in grembo: - Ero solo curioso. -
La ragazza notò con un certo stupore come ogni suo gesto fosse elegante e disinvolto, come se fosse studiato alla perfezione ma, allo stesso tempo, messo in atto con spensieratezza. Era un po' strano da vedere ma incredibilmente affascinante. Fu Colonnello a riportarla alla realtà, alzandosi in piedi e afferrando la pistola.
- Bene, allora. Cominciamo, korà! - esclamò facendola voltare. Marinette posò lo sguardo sull'arma e una piccola smorfia le increspò le labbra: non sapeva ancora cosa doveva fare ma l'istinto le diceva che non era nulla di divertente. - Dovrai indossare l'Anello per questa fase quindi spero che tu l'abbia portato con te - aggiunse.
La ragazza sbatté le palpebre un paio di volte, confusa dalla richiesta, ma si affrettò a tirarlo fuori dalla tasca: - E che cosa devo farci? - domandò, tenendolo nel palmo della popria mano con diffidenza.
- Usarlo per incanalare le tue Fiamme in questo proiettile - rispose il bambino, mostrandole un lungo proiettile bianco molto simile a quello dell'Ultimo Desiderio. Se prima Marinette era confusa, dopo quell'affermazione rimase sconcertata.
- Puoi spiegarti meglio? - chiese e si affrettò ad indossare l'Anello sperando che almeno Radi potesse aiutarla a capirci qualcosa. Lal sospirò.
- Hai già usato le tue fiamme per potenziare lo yo-yo, ora devi fare la stessa cosa ma con quello - spiegò, indicandolo con un gesto nella mano - Così facendo, la pistola non sparerà solo il proiettile ma usandolo come guida rilascerà le tue fiamme in un singolo colpo. -
- Un po' come un raggio laser - scrollò le spalle Colonnello. Marinette inarcò le sopracciglia, non sapendo se essere stupita o terrificata nell'immaginare quanti danni potesse fare una cosa del genere; da qualche parte nella sua mente, però, Radi ridacchiò.
Interessante, disse, Sapevo che uno dei discendenti di Giotto usava una tecnica simile per rendere più forte i suoi attacchi ma non ho mai avuto il piacere di assistervi personalmente.
La ragazza, però, non era eccitata quanto lui all'idea di farlo. - Non sono sicura di riuscire a farlo e poi perché dovrei? - disse, cercando di appellarsi a qualunque cosa pur di evitare quella "prova".
- Puoi farti aiutare da Radi ma le Fiamme dovranno essere esclusivamente tue - ribadì Colonnello - Ci servirà a farci un'idea della loro potenza effettiva e di quanto controllo hai su di esse. -
Il ragionamento non faceva una piega e Radi sembrava più che felice di dare una mano, quindi Marinette non poteva sottrarsi in alcun modo. Come qualunque cosa le era capitata fino a quel momento, d'altronde.
A malincuore indossò le cuffie mentre Colonnello caricava la pistola e gliela porgeva. - Mira dove vuoi ma fai attenzione, il contraccolpo sarà molto più forte di quello di un normale proiettile - raccomandò, prima di scendere dal tavolo e radunarsi insieme agli altri vicino alla porte. Sembravano intenzionati a starle il più lontano possibile e questo non le piacque neanche un po'.
Inspirando a fondo, si posizionò dietro il tavolo e mirò ad una delle sagome in fondo alla stanza cercando di concentrarsi: aveva avuto ben due mesi per imparare ad usare le Fiamme dell'Ultimo Desiderio e avvolgerle intorno allo yo-yo quando era necessario, quindi rilasciarle nella pistola avrebbe dovuto riuscirle naturale come respirare. Tuttavia, il nervosismo per la situazione e il pubblico accanto a lei era un ostacolo davvero enorme.
Cerca di rilassati, la confortò Radi, Se sbagli qualcosa potrebbe esploderti in mano.
Ora sì che poteva stare tranquilla.
E fai attenzione a quante Fiamme immetti nel proiettile, aggiunse, Non voglio vantarmi, ma le mie erano le più distruttive dell'epoca e se ne hai ereditate anche solo un briciolo una quantità esagerata sarebbe davvero molto pericolosa.
E se prima Marinette era nervosa, dopo quell'informazione andò letteralmente nel pallone: una parte di lei era contenta che l'avesse avvisata per farle evitare una catastrofe, ma l'altra avrebbe preferito non saperlo.
Respirò a fondo e strinse saldamente la pistola tra le mani: dopo un lungo istante di silenzio, una piccola fiammella apparve sul piatto dell'anello e l'arma vibrò tra le sue mani, iniziando ad illuminarsi di una lieve luce aranciata. Non sapeva quante fiamme stava riversando nel proiettile, se fossero troppe o troppo poche, e per quanto cercasse di restare concentrata non poteva impedire all'ansia di prendere il sopravvento. La fiamma sull'Anello divampò e la pistola tremò con violenza, mandandola definitivamente nel panico: erano decisamente troppe.
Non riusciva ad interrompere il flusso e aveva come l'impressione che l'arma avrebbe potuto esplodere da un momento all'altro fra le sue dita, non riuscendo a reggere tutto quell'accumulo.
Marinette!
In un momento di puro panico il suo primo pensiero fu quello di mollare la presa e lasciarla cadere, ma l'istinto ebbe il sopravvento e premette il grilletto.
Ci fu uno scoppio assordante, il suono fu così orribile che le orecchie le fischiarono sonoramente nonostante indossasse le cuffie; un lampo di luce l'accecò e venne sbalzata indietro con forza, alzandosi letteralmente da terra e ricadendo qualche metro più in là sul duro pavimento. Sentì la stanza tremare e un forte odore di plastica bruciata ma il dolore alla testa e alla schiena ebbero il sopravvento e offuscarono tutto il resto.
Si girò su un fianco con un gemito, reggendosi il braccio destro che sentiva dolere, e aprì piano gli occhi riuscendo però a scorgere solo un'ombra della stanza costellata da tanti puntini luminosi; qualunque cosa avesse fatto era sicuramente stata una tragedia. La cosa peggiore di tutte, però, era il silenzio assordante che udiva e non solo perché aveva le orecchie tappate.
Si alzò a sedere con una smorfia, temendo di aver coinvolto i ragazzi, ma quando riuscì a mettere a fuoco il resto del seminterrato li vide tutti quanti esattamente dov'erano prima, pietrificati davanti alle porte che fissavano il fondo della stanza ad occhi sbarrati. E Marinette non poté dare loro torto quando si rese conto che il fastidioso ronzio in sottofondo che sentiva altro non era che le lastre di metallo poggiate al muro che sfrigolavano: quelle centrali erano state completamente sciolte lasciando al loro posto un buco di metallo dai contorni accartocciati, la parete dietro era danneggiata e scavata mentre pezzi di muro, intonaco e polvere continuavano a cadere raggruppandosi sul pavimento. Il tavolo davanti il quale si era messa per prendere la mira era sparito e il plexiglass bruciato emanava nell'aria un odore pungente e stomachevole.
Quasi non riusciva a credere di essere stata proprio lei a fare una cosa del genere.
Nessuno fiatava, persino Radi sembrava troppo scioccato per proferire parola, e Marinette iniziava a sentirsi davvero a disagio: non sapeva se fosse una cosa positiva o negativa e se era quello il risultato che volevano, ma a giudicare dalle loro espressione decisamente non era quello che si aspettavano.
Non ho mai visto niente del genere… mormorò infine Radi, dopo un lunghissimo istante di silenzio, e sembrava davvero sconvolto. Se avessi immesso solo un altro po' di fiamme l'avresti disintegrata quella parete.
Non credeva che le sue Fiamme potessero essere così potenti ma, in fin dei conti, fino a quel momento le aveva sempre rilasciate in piccole quantità sul proprio yo-yo, non aveva mai provato ad accumularne così tante per poi rilasciarle: era stata la quantità a renderle così forti, ovviamente, di certo non perché avessero chissà quale potenza. O almeno così sperava.
- Avevano un grado di purezza molto basso - esalò una voce sconosciuta proveniente dal computer, facendoli sussultare tutti e risvegliandoli dalla trance in cui erano caduti. Marinette si voltò verso lo schermo e vide un terzo bambino in piedi sul davanzale della finestra con indosso un camice bianco, i suoi capelli e il suo ciucciotto erano di un verde intenso e, nonostante l'età, indossava un paio di occhiali. Era serio e la ragazza si chiese quando fosse arrivato. - Nonostante ciò hanno fatto un danno considerevole - continuò lui continuando a fissare il buco nella parete. Solo a quel punto un piccolo sorriso gli increspò le labbra - Fiamme così potenti sono rare da trovare. -
Reborn fece una piccola smorfia e non sembrava contento nel vedere il nuovo arrivato: - Che ci fai qui, Verde? - domandò e Marinette trasalì ben conoscendo quel nome: era l'Arcobaleno del Fulmine, lo stesso che aveva cercato di uccidere lei e Tsuna un paio di mesi prima.
- E che intendi con "grado di purezza"? - rincarò Fong, sincermanete curioso; solo dopo che si fu voltato Marinette riuscì a intravedere una lunga treccia poggiata sulla sua schiena ma in quel momento non era molto importante. Verde scrollò le spalle senza smettere di sorridere.
- Ero curioso anche io - ammise - Per il resto, niente che vi interessi. -
C'era un'aura di mistero intorno a lui che lo faceva apparire poco affidabile ai suoi occhi e non solo perché aveva attentato alla sua vita senza nessun motivo apparente: aveva un'aria losca che la mise in allerta, anche se era a centinaia di chilometri da lei in quel momento.
- Non puoi venire quì e parlare per enigmi - lo riprese Reborn e Fong gli gettò un'occhiata che sapeva molto di "Da che pulpito". Marinette si alzò in piedi, decisamente acciaccata, massaggiandosi l'avambraccio nel tentativo di far sparire il dolore e in quel frangente le interessava molto poco della faccenda: voleva solo stendersi su un letto e magari bere qualcosa di caldo.
Stai bene?, domandò Radi preoccupato.
« Sono stata peggio » rispose stancamente.
- Beh… - disse d'un tratto Dino, ancora un po' scosso - Non è esattamente quello che ci aspettavamo ma direi che è andata bene. -
Tutti gli sguardi si posarono su Colonnello, che a sua volta si voltò verso il computer per incontrare lo sguardo di Reborn. Il bambino incrociò i suoi occhi e rimase in silenzio per qualche lungo istante carico di tensione.
Infine un leggero sorriso gli incurvò le labbra: - Promossa a pieni voti - decretò.
Marinette non sapeva come sentirsi a quella notizia: non era né felice né sollevata, solo incredibilmente stanca. Non sapeva neanche cosa significasse di preciso quel verdetto e cosa sarebbe accaduto di lì in poi, ma non voleva pensarci in quel momento.
Colonnello annuì ma Lal fece una piccola smorfia, senza però dire una parola. Anche Bianchi e Dino si scambiarono un'occhiata tesa e quello non faceva presagire assolutamente niente di buono.
- Allora io ho finito qui - decretò Colonnello, scrollando le spalle - Del resto occupati tu. -
Marinette lo vide distintamente il cenno che si scambiò con Reborn ma non riuscì a dargli un significato, aveva solo il sentore che ci fosse qualcosa sotto che tutti in quella stanza le stavano nascondendo. Di nuovo.
Iniziava davvero ad essere irritata da quel loro comportamento ma sapeva che protestare o pretendere spiegazioni sarebbe stato inutile, quindi lasciò perdere. Verde, però, non sembrava dello stesso avviso e ridacchiò leggermente.
- Sei davvero subdolo - mormorò guardandolo di sottecchi con un certo divertimento e Reborn divvenne serio - Ma d'altronde agire alle spalle degli altri è sempre stato il tuo forte. -
Ci fu qualcosa di oscuro negli occhi di Reborn, quando li alzò verso di lui, che fece gelare il sangue nelle vene di Marinette e per un folle attimo credette che gli avrebbe tirato qualcosa di molto contundente contro. Ma il bambino rimase sorprendentemente calmo.
- Lo prendo come un complimento, detto da te. -
La tensione tra i due era palpabile anche attraverso lo schermo e il nervosismo dilagò tra i presenti, ma prima che qualcuno potesse dire qualcosa fu Fong a intervenire, con la stessa calma e compostezza che aveva mantenuto fino a quel momento.
- Possiamo stare certi, Verde, sul fatto che le intenzioni di Reborn siano le migliori - disse con una tale risolutezza e gentilezza che Marinette ne rimase stupita: non sapeva come facesse ma la sua aura coinvolgeva e tranquillizzava chiunque ascoltasse le sue parole. - E in ogni caso, questo non né è il luogo nè il momento adatto per discutere. -
Verde si esibì in un Mph di scherno e Reborn tornò a guardare la telecamera, riacquistando la calma.
- Colonnello ha finito il suo allenamento con te, Marinette, quindi sei libera di rilassarti fino a nuovo ordine - la informò allegramente - E' meglio che ti riposi, abbiamo ancora tanto da fare e potresti non avere più molte occasioni. -
Quelle premesse non erano molto incoraggianti ma lei annuì lo stesso.
- Io e Lal, invece, dobbiamo discutere di alcune cose se non vi dispiace lasciarci soli - continuò rivolto agli altri. Bianchi poggiò il computer sul tavolo ancora intatto e si avviarono tutti fuori dalla stanza.
Marinette si fiondò immediatamente sul divano del salotto, sprofonandoci senza troppi complimenti: era stato l'allenamento più breve che avesse mai fatto fino a quel momento ma anche il più stancante. Si sentiva prosciugata di ogni briciolo di energia, come se avesse corso per ore, e aveva le palpebre terribilmente pesanti; chiuse gli occhi, appoggiandosi pigramente al cuscino: non voleva dormire, solo stendersi qualche minuto prima di tornare a casa, e non si premurò neanche di togliere l'anello.
Rilasciare tutte quelle fiamme ti ha sfinito, dovresti riposare come si deve, mormorò Radi cullandola dolcemente. La ragazza non ebbe neanche la forza di ribattere e si lasciò avvolgere dalle sue coccole, troppo stanca anche solo per aprire gli occhi; un paio di minuti più tardi era già crollata in un sonno profondo.
   
 
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