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Autore: Krgul00    16/07/2022    0 recensioni
Quando Astra, un pastore tedesco di cinque anni, entra a far parte della sua vita, Maddie Foster non aveva pensato che questo avrebbe potuto portarla ad incontrare un uomo bellissimo e misterioso.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO TRE
 
“Mi sembra davvero assurdo che tua madre – tua madre! – debba venirlo a sapere dalla signora Young.” Si lamentò indignata Emily Foster al telefono con sua figlia. “Perché non me l’hai detto? L’ho incontrata al market prima e mi ha fatto un sacco di domande sul tuo nuovo fidanzato. Non sapevo nemmeno di cosa diavolo stesse parlando!”
Maddie, il cordless incastrato tra testa e spalla, prese in mano la cartellina dell’inventario e la scorse velocemente, fino ad arrivare alla riga giusta, che evidenziò in giallo. A quel punto, mentre sua madre ancora parlava al telefono, prese un’altra scatola piena di libri e iniziò a suddividerli in due pile.
Aveva ricevuto tantissime donazioni ultimamente, perlopiù da parte di gente che, durante le pulizie di primavera, si era accorta di quanta polvere facessero i libri in casa e che, quindi, aveva deciso di disfarsene senza, però, buttarli nella spazzatura. Tuttavia, alcuni non potevano che fare quella fine, erano ridotti troppo male per poter essere utilizzati; perciò, le toccava l’ingrato compito di scegliere quali tenere e quali no. Non era una delle sue mansioni preferite, quella; eppure, preferiva di gran lunga dedicarsi a quel noioso compito piuttosto che stare ad ascoltare i deliri di sua madre.
Adorava sua madre, sul serio; però, erano tre giorni che si sforzava di non pensare all’episodio di venerdì e quella era la prima mattina in cui fosse stata in grado di riuscire in quel faticoso intento, finché sua madre non aveva chiamato.
D’accordo, tralasciando il piccolo monologo privato e decisamente tardivo che aveva avuto sotto la doccia con un Max incorporeo e frutto dei suoi ricordi – che, per la cronaca, aveva impressionato con un discorso degno di Winston Churchill -, non aveva pensato affatto a quell’uomo. Non aveva continuato a borbottare, risentita, mentre si preparava la colazione, dopo la doccia; così come non aveva espresso la sua indignazione ad Astra, in una conversazione a senso unico lungo la strada per la biblioteca, come, d’altronde, faceva da tre giorni a quella parte.
No, le piaceva credere di non averlo fatto.
Ma adesso, con sua madre che continuava a parlarne, non poteva negare nemmeno a sé stessa di sentire il doloroso imbarazzo con cui quel ricordo le pungolava il cuore e la mente.
“Mamma, la signora Young si sbaglia. Non c’è nessun fidanzato.” Ammise tranquillamente, facendo finta che quella verità non le facesse alcun effetto. Non perché volesse che Max fosse effettivamente il suo fidanzato, ma perché aveva creduto che quell’uomo, se non altro, fosse suo amico.
Il rumore metallico in sottofondo, di attrezzi che venivano maneggiati, le disse che sua madre era nel suo laboratorio artistico e si stava preparando per uno dei suoi lavori. “Sappiamo entrambe che c’è sempre una base di verità nei suoi pettegolezzi.”
“Già, come quando credeva che Charlie e Luke uscissero insieme.” Sbuffò Maddie, mentre prendeva un libro dalla scatola, lo sfogliava velocemente e lo posava nella pila di quelli che avrebbe tenuto.
“Può capitare a tutti una svista ogni tanto. E non cercare di cambiare discorso, lo so che mi stai nascondendo qualcosa, domenica non hai nemmeno voluto un pezzetto della mia crostata. L’ho notato, non credere che non l’abbia notato. Anche tuo padre se n’è accorto, e ho detto tutto.” Maddie riuscì a immaginare perfettamente la mano svolazzante di sua madre che liquidava la faccenda dandola per assodata. “Dunque, vuoi raccontarmi di questo nuovo fidanzato oppure devo chiamare Charlie e farmelo dire da lei?”
Quello era un altro tasto dolente: non aveva raccontato nulla di ciò che era successo alle sue amiche; un po’ a causa dell’imbarazzo e un po’ per paura della reazione che avrebbe avuto Charlie. Quella donna aveva una pistola e, non sapeva come funzionavano le cose nei servizi segreti, ma aveva visto abbastanza televisione da essersi convinta che avesse anche la licenza d’uccidere, e Maddie non voleva una vita sulla coscienza. Quindi, le stava lasciando credere che sabato avrebbe portato Max a cena a casa sua. Naturalmente, avrebbe inventato una scusa all’ultimo secondo per giustificare la sua assenza. Qualcosa di innocente, che non avrebbe messo Max in cattiva luce, comunque.
Dunque, alzando gli occhi al cielo, Maddie aprì un nuovo volume che aveva distrattamente preso dalla scatola e si ritrovò a fissare pagine scolorite e macchiate di muffa nel mezzo della nuvola di polvere che si innalzò dalla carta.
Iniziò a tossire e si affrettò a richiudere il libro e a buttarlo nella pila degli scarti. “Per la milionesima volta, mamma, Max non è il mio fidanzato!” Riuscì a dire tra uno starnuto e l’altro, e solo il silenzio inquietante che accolse quelle parole dall’altra parte della linea la fece render conto del suo madornale passo falso.
Chiuse gli occhi e pregò che sua madre non avesse prestato troppa attenzione alle sue parole, il ché equivaleva a sperare che qualcuno, da un giorno all’altro, si presentasse e le regalasse un milione di dollari: sarebbe stato davvero bello ma, dicerto, non ci avrebbe fatto molto affidamento.
“Quindi qualcuno c’è.” La soddisfazione di sua madre non avrebbe potuto esser più evidente nemmeno se fosse passata attraverso la cornetta e le avesse stretto la mano.
“No, non è così.” Sospirò Maddie, afferrando il telefono e appoggiandosi con un braccio alla scatola di cartone che ancora ingombrava la sua postazione.
“Dovresti invitare Max a cena, io e tuo padre vogliamo conoscerlo.”
Già, proprio una brillante idea, pensò amaramente lei. Solo al ricordo di come aveva deriso la sua proposta precedente, le veniva da piangere.
“Mamma…”
“Chiedigli se è allergico alle noci, voglio preparargli la mia torta salata. Sono sicura che l’adorerà.”
Era l’unica a trovare assurdo come, d’improvviso, tutti morissero dalla voglia di cucinare qualcosa ad un uomo che neanche conoscevano?
Fu così che tutta la frustrazione che aveva provato negli ultimi giorni le offuscò la mente e non si accorse affatto del campanello del bancone dell’accoglienza – identico a quello di un hotel, trovato per caso in un negozio delle pulci anni prima - che l’avvisò di un nuovo arrivato; anzi, sentì nascere dentro di lei il boccio dell’irritazione: “Non gli chiedo proprio niente, perché non verrà a cena, né da nessun’altra parte! Max non è il mio fidanzato e non è nemmeno un mio amico. È solo un tizio che ho conosciuto al parco. Un tizio davvero molto figo, certo, ma comunque un tizio che non rivedrò mai più, quindi smettila di insistere.”
Iniziò a muoversi nel piccolo spazio del magazzino per l’inventario, già pentendosi d’aver alzato la voce.
A sua madre, però, non parve importare più di tanto e, come nulla fosse, commentò: “Ho capito.” E a quell’insperata comprensione, Maddie prese un sospiro di sollievo. Ma l’altra non aveva finito: “Avete litigato. Non è un problema: a tutte le coppie capita di bisticciare di tanto in tanto, è normale. L’unica cosa, fammi un favore, quando voi ragazzi vi sarete riappacificati, portalo a cena a casa, d’accordo?”
Maddie posò la cornetta del telefono sul tavolo e si coprì il viso con le mani, di modo che sua madre non poté sentire il grido di frustrazione soffocato dai suoi palmi.
Riafferrò il telefono e se lo portò nuovamente all’orecchio: la donna stava ancora blaterando. Aprì la bocca, sul punto di ribadirle ancora una volta come stessero davvero le cose, quando fu raggiunta dal secondo tintinnio del campanello.
Si girò di scatto verso la porta della stanza dell’inventario che, essendo socchiusa, non le consentiva di vedere chi ci fosse dall’altra parte, in attesa dietro il bancone. La sua fronte, altrimenti liscia, si aggrottò nel tentativo di ricordare se Astra avesse abbaiato. Il cane lo faceva sempre, quando entrava qualcuno in biblioteca. Emetteva un unico latrato per avvisarla della presenza di un nuovo ospite.
Guardò l’orologio: quasi le undici e mezza. Il signor Myers doveva essere in anticipo. Strano, di solito era puntuale al secondo e non avrebbe dovuto arrivare prima di dieci minuti.
In ogni caso, a Maddie non importò. “Arrivo subito, signor Myers. Il tempo di sistemare qui e sono da lei!” Gridò in direzione della porta e, poi, a voce più bassa, si rivolse di nuovo a sua madre: “Devo andare, mamma. Ci sentiamo dopo, okay?”
“D’accordo, tesoro. Ti voglio bene.” Cinguettò di rimando.
Posò il telefono e cercò di pulirsi le mani dalla polvere dei libri, sfregandole fra loro. Mentre usciva dall’inventario si sistemò distrattamente la leggera camicetta verde, con piccoli fiorellini bianchi, che aveva indosso, ma le sue dita si congelarono sul tessuto non appena i suoi occhi si posarono sulla figura che attendeva al di là del bancone.
Si fermò sulla porta.
Sicuramente quello non era il signor Myers.
Decisamente no.
“Max.” Esalò in un sospiro sorpreso e senza fiato, costringendo i suoi piedi a muoversi, per trovare rifugio dall’altra parte del banco.
Di fianco a lui, seduta ai suoi piedi, scodinzolante di gioia, c’era Astra. Per questo non l’aveva sentita abbaiare: evidentemente non reputava che quell’uomo fosse una minaccia di cui doveva esser avvertita.
L’unico cambiamento sul viso, altrimenti impassibile, di lui fu l’ammorbidirsi dei suoi occhi che, subito, la studiarono da capo a piedi. Non fu come la prima volta che si erano visti, perché i suoi occhi parvero animati da una certa scintilla che Maddie non riuscì a identificare. In ogni caso, la reazione del suo corpo fu sempre la stessa, nonostante avesse tentato di convincersi più volte che non aveva affatto un debole per lui: cuore impazzito, palmi sudaticci e stomaco in subbuglio.
“Ciao, Maddie.” La salutò, con quella voce profonda che, si rese conto con disappunto, un po’ le era mancata. “Come stai?”
Deglutì e si costrinse a riprendere il controllo di sé. Ignorò la sua domanda e, sfoggiando il suo miglior tono indifferente – decisamente poco convincente -, chiese: “Cosa ci fai qui?”
Si fissarono per un lungo istante e Maddie vide da vicino il calore abbandonare le iridi scure di lui. Sentì subito affiorarle nel petto il senso di colpa e dovette trattenersi dal riempire il silenzio che s’era formato con le sue solite chiacchiere inutili; non fu difficile, dato il ricordo di come l’avesse zittita la volta precedente.
Per fortuna, fu Max a parlare: “Vorrei prendere in prestito un libro.”
Si mise le mani nelle tasche del giubbotto di pelle che indossava, uno da motociclista ad occhi e croce. Non aveva idea che possedesse una moto, l’aveva sempre visto a piedi; in ogni caso, non le importava.
Non erano amici, come le aveva lasciato intendere la volta scorsa, quindi non avrebbe nemmeno dovuto notarlo.
Lo guardò in viso e batté le palpebre, perplessa. “C’è una biblioteca anche a Twin Lake City.” Gli fece notare e subito arrossì alla sua sfacciataggine, ma non aveva potuto fare a meno di esprimere ad alta voce quella osservazione sorta tanto spontaneamente. In fin dei conti, non era altro che la verità: a quale scopo farsi tutti quei chilometri per prendere in prestito un libro, quando aveva un servizio identico ben più vicino?
Comunque sia, l’uomo non ne parve affatto turbato. “Preferisco questa.” Si limitò a ribattere tranquillamente.
“Va bene.” Maddie raddrizzò le spalle e si avvicinò al computer sul bancone, decisamente più a suo agio nel ruolo che rivestiva da anni: la bibliotecaria. Lui si mosse con lei, seguendola, e fermandosi proprio difronte. “Mi servirebbe un documento, devo registrarti.”
Non poteva negare che non vedesse l’ora di metter le mani sulla sua carta di identità, moriva dalla curiosità di sapere quale fosse il suo nome completo; tuttavia, l’uomo non accennò a muoversi e prendere il suo portafogli; invece, cambiò completamente argomento.
“Non sei più venuta al parco.” Osservò, senza tradire alcun biasimo.
Maddie afferrò il mouse e fissò lo sguardo sul monitor del computer, tenendosi occupata nel creare la nuova scheda di registrazione di Max. “Uhm, no.” Bofonchiò imbarazzata. “Astra non aveva molta voglia…” Come scusa era pessima anche alle sue orecchie ma, in fin dei conti, cosa diavolo si aspettava quell’uomo da lei?
Ancora una volta, Max non fece una piega. “Capisco.” Sospirò, distogliendo lo sguardo e voltandosi verso gli scaffali della sezione Gialli, alla sua sinistra. Sembrò prendere in considerazione tutte le alternative – a lei sconosciute - che gli erano rimaste e quando arrivò ad una conclusione, l’unica emozione a figurare sul volto di lui fu la determinazione. “Sei arrabbiata per quello che è successo venerdì.”
Maddie si bloccò e alzò lo sguardo dal monitor. “C-cosa?”
“Non avrei dovuto reagire in quel modo, mi dispiace. È solo che…” Se glielo avessero detto, non ci avrebbe mai creduto, eppure Max, l’impenetrabile Max, sembrò improvvisamente insicuro. “Io…” Si schiarì la gola, sempre meno determinato di prima. “Ho perso un caro amico, mesi fa e…” Poggiò una mano sul bancone e lentamente la fece scivolare verso quella di lei, che ancora teneva il mouse del computer. “Quando hai iniziato a parlare di…” Esitò e deglutì “Del padrone di Astra io…”
Paralizzata dall’intensità del dolore nel tono di lui e ipnotizzata da quella mano che, ormai, era arrivata ad un soffio dallo sfiorare la sua, Maddie non si accorse che non erano più soli.
“Giovanotto, siamo in una biblioteca, non in una discoteca. Prendi il libro per cui sei venuto e levati dai piedi, alcuni di noi non hanno tutto il giorno da perdere aspettando che tu abbia finito di importunare la signorina Foster.” Esordì il signor Myers, facendola sobbalzare dallo spavento.
L’uomo, un minuto vecchietto pelle e ossa che si sosteneva ad un bastone nodoso, fulminò Max con uno sguardo di biasimo e disapprovazione – che non parve sortire molto effetto - quando questi si raddrizzò e si voltò a guardarlo.
Era ovvio avesse travisato la scena cui si era ritrovato ad assistere: Max, leggermente proteso in avanti, sportosi per toccarla, che le parlava con voce bassa e intensa.
Maddie si affrettò ad allontanare la mano da quella pericolosamente vicina di lui e rivolse al nuovo arrivato un caloroso sorriso di benvenuto, cercando di distrarlo dal suo intento di cercare d’incenerire Max sul posto. “Buongiorno signor Myers! Come sta oggi? Venga, posi pure qui.” Disse riferendosi al libro che l’uomo aveva sottobraccio. “Sono sicura che a Max non dispiacerà cederle il suo turno.”
“Naturalmente.” Acconsentì subito l’altro, facendosi da parte. A guardarlo adesso, lo sguardo sereno e i lineamenti rilassati in un’espressione d’attesa, non si sarebbe mai potuto dire che un attimo prima fosse stato sul punto di confessarle d’un lutto ancora fresco e, senza dubbio, profondamente doloroso.
Maddie lo sbirciò fugacemente, sorpresa da quella scoperta. Non aveva idea di come comportarsi con lui, a quel punto, e, in ogni caso, non ebbe nemmeno modo di pensarci, poiché il signor Myers s’avvicinò, lanciando un’occhiataccia a Max mentre gli passava accanto.
“Ti sta dando fastidio?” Le chiese sempre con quell’aria arcigna che non l’abbandonava mai e Maddie sentì il suo cuore scaldarsi per l’affetto che provava verso l’uomo più anziano.
Sicuramente, non si poteva dire che il signor Myers fosse un gran simpaticone, era decisamente scorbutico; eppure, quando voleva, sapeva essere davvero attento e persino dolce. Era come uno di quei biscotti natalizi: un po’ bruttini e duri all’apparenza, ma sorprendentemente gustosi nella realtà.
Maddie scosse la testa. “Lo conosco.” Lo rassicurò.
Si andò a creare un silenzio teso mentre lei batteva sulla tastiera del computer per registrare la restituzione del libro del signor Myers e, poi, il nuovo prestito di quella settimana. Maddie sapeva già quale libro volesse l’uomo più anziano; stava leggendo una serie investigativa composta di cinque volumi che pareva l’avesse preso molto, pertanto, quella mattina, la prima cosa che aveva fatto era stata preparare il terzo capitolo della saga.
Mentre finiva di compilare la scheda per il prestito e si accingeva a scrivere la data di riconsegna sul foglietto apposito, interno al libro, la voce di Max ruppe il silenzio e, con quello, anche le speranze di lei di rimandare la loro conversazione a dopo che il signor Myers fosse uscito.
“Verrei volentieri a cena con te, Maddie.” Esordì, e a quelle parole, che non avrebbe mai pensato Max potesse proferire ad alta voce e difronte a testimoni, lei alzò di scatto la testa verso di lui, ad incontrare la sua espressione seria illuminata unicamente da due iridi brucianti di ritrovata determinazione.
Le labbra di Maddie si schiusero, mosse da vita propria, forse per riprender fiato o, forse, per trovare la forza di lasciarsi scappare l’assenso che, improvvisamente, agognava disperatamente di dargli.
Il momento, però, fu irrimediabilmente rovinato dall’intervento del loro pubblico e non poté far altro che voltarsi con orrore verso il signor Myers ed assistere alla catastrofe che, era sicura, si sarebbe consumata sotto i suoi occhi.
“Beh, giovanotto, questo sì che vuol dire arrivare dritti al punto.” Commentò l’uomo più anziano, catturando l’attenzione di Max. “Ho sentito dire che le nuove generazioni bruciano le tappe, ma non pensavo che il discorso valesse anche per il corteggiare una donna. Ai miei tempi non era così.” E sottolineò il concetto schioccando la lingua. “Ma sono sicuro che le donne di Sunlake sappiano ancora apprezzare il giusto impegno per conquistare il loro cuore, e la signorina Foster non fa eccezione.”
“Veramente Max non sta cercando di fare niente del genere, lui-” Si intromise subito Maddie, ma lo scetticismo con cui la guardò il signor Myers le fece chiudere di scatto la bocca.
“Sarò anche vecchio, ragazza, ma non sono stupido e, posso assicurarti, che ci vedo ancora benissimo.” E poi, tornando a guardare Max, continuò: “Allora, lo vuoi un consiglio?”
“Si, signore.” Non c’era da stupirsi che Max acconsentisse; era un uomo gentile, in fin dei conti.
Il signor Myers lo squadrò da capo a piedi e, chissà come, arrivò ad una conclusione sorprendente: “Eri nell’esercito, figliolo?”
La sorpresa dell’altro, a quella costatazione, fu espressa unicamente dal sollevarsi interrogativo d’un sopracciglio: “Si.”
E quell’unica sillaba consentì a Maddie d’aggiungere un nuovo tassello al gigantesco puzzle che era Max e finalmente, si rese conto chi le ricordasse la sua andatura e, più in generale, il suo modo di muoversi: il Maggiore Stephen Royce, il padre di Charlie.
Tuttavia, non ebbe il tempo di rimanerne troppo sorpresa, perché assistette al radicale cambiamento nell’atteggiamento dell’uomo più anziano. “Lo immaginavo. È fantastico!” Esultò come se quello fosse uno spettacolare colpo di scena. Forse, a ben pensarci, era molto probabile che per lui lo fosse, visto che, a suo dire, solo la vita militare poteva tirar su degli uomini degni d’esser chiamati tali: disciplinati e con spirito di sacrificio.
Bah, va’ a capire…
Maddie aveva smesso di provarci già da tempo.
In ogni caso, se poco prima non era stato entusiasta all’idea che Max potesse effettivamente provare un interesse romantico per lei, adesso, sotto ai suoi occhi, si trasformò nel suo più accanito sostenitore. Non aveva mai assistito a nulla del genere. Per fortuna, Maddie sapeva per certo che il signor Myers non aveva mai nemmeno cucinato un uovo sodo, in vita sua, quindi, sicuramente, non si sarebbe proposto di preparare qualcosa per lui.
“Ti dirò come ho fatto a conquistare la mia adorata Giorgi.” Disse, con un’aria severa di chi non ammette d’esser deriso. Sollevò il bastone e lo picchiettò sul braccio dell’altro, anche se già aveva tutta la sua attenzione. “Ebbene, il segreto sta tutto nel saper farla ridere.”
Chissà perché, ma Maddie non ce lo vedeva affatto il signor Myers a cercar di far ridere qualcuno, anche adesso, con quell’espressione imbronciata e leggermente arcigna non sembrava certo capace di fomentare l’ilarità nelle masse; tuttavia, lo assecondò e annuì – cosa che non sfuggì affatto a Max-, mostrandosi d’accordo, cercando di non tradire il suo scetticismo. Magari, prima della morte della moglie, il signor Myers era stato un uomo super divertente e lei era stata troppo piccola per rendersene conto.
In ogni caso, l’uomo prese il suo libro dal bancone e s’incamminò verso l’uscita, non prima, però, di fare l’occhiolino – fece l’occhiolino! – all’altro e augurargli buona fortuna – per cosa, poi, va’ a sapere.
Il mondo stava impazzendo, non c’era altra spiegazione.
Seguì stupefatta la schiena leggermente ingobbita del signor Myers, finché, con camminata claudicante, non raggiunse l’uscita e, a quel punto, fu estremamente consapevole d’esser rimasta di nuovo sola con Max.
“Ehm, allora…” Iniziò, non sapendo cosa dire.
“Vieni al parco, oggi pomeriggio.” La interruppe lui, riavvicinandosi al bancone.
Quelle esatte parole, in effetti, potevano dirsi la realizzazione di un sogno, per Maddie. In quei tre giorni che non l’aveva visto, infatti, suo malgrado, si era più volte immaginata in quella stessa situazione e, a mente fredda, con l’orgoglio ferito, si era detta che mai e poi mai avrebbe accettato di tornare in quel parco con lui.
Le sue scuse le avrebbe accettate, certo. Ma non di ricominciare tutto da capo.
A ben pensarci, era una decisione piuttosto severa; tuttavia, era una scelta obbligata per lei. Non aveva alcuna intenzione di rivivere l’esperienza che aveva avuto con Christofer. Non voleva sentirsi di nuovo in quel modo: usata e abbandonata. Come un oggetto di nessun valore.
Eppure, quelli erano i pensieri di una donna ferita e risentita, che era arrivata a quella conclusione nel silenzio della sua camera da letto, mentre cercava di addormentarsi. Adesso, invece, con il rimbombare sordo del suo cuore nelle orecchie e con quegli occhi scuri, dolci e amari al tempo stesso - come il miglior cioccolato fondente - difronte a lei, esitò.
“Io… non so se è una buona idea.”
Quello che Maddie non si sarebbe mai aspettata, però, fu quello che successe dopo. Senza che la sua espressione mutasse in alcun modo, Max disse: “Due candele hanno un incidente, una dice all’altra: “ma non l’hai visto lo stoppino?””
Presa in contropiede, Maddie si ritrovò a battere le palpebre, sorpresa, e in uno sbuffo che mascherò una risata interdetta, riuscì solo a chiedere: “Come?”
“Ha detto che avrebbe funzionato...” Spiegò, accennando alla porta da dove era uscito il signor Myers e subito continuò: “Sai perché se sali sull’autobus con il mal di testa, devi pagare due biglietti?”
Quando sentì le sue labbra piegarsi verso l’alto e iniziare a schiudersi in un sorriso, Maddie si mordicchiò il labbro inferiore e scosse la testa. “No, perché?” Domandò divertita, guardandolo da sotto le ciglia.
“Perché il mal di testa è passeggero.”
Non resistette e, portandosi una mano al viso, come per nascondersi al suo sguardo, iniziò a ridacchiare. Non tanto per la freddura in sé, quanto piuttosto per il contrasto con l’espressione mortalmente seria di Max. “Smettila, ti prego. Sono terribili.”
E fu allora che accadde. La linea dritta e severa della bocca di lui si schiuse e le rivolse un sorriso. Uno vero, che rivelò una dentatura semi perfetta e non fece altro che accentuare le deliziose fossette che gli comparvero sulle guance. Fu come una pioggia estiva, benefica e necessaria alla terra, rinfrescante e piena di vita, dopo la quale rimane il dolce odore di erba bagnata. E, inevitabilmente, quell’uomo parve diventare ancora più attraente. Un certo sollievo, misto a sorpresa, sembrò pervadere la sua espressione, come se, ormai, si fosse convinto di non esser più in grado di sorridere in quel modo: con autentico trasporto.
Per tutto il tempo di quel sorriso, parve non esserci più dolore in quelle iridi. Come se, per un momento, ogni ricordo amaro fosse stato accantonato e Max potesse finalmente tornare a respirare.
“Dimmi che verrai.” I suoi occhi sembrarono cercare l’assenso che tanto desiderava in quelli di lei e, per cancellare la piccola traccia di dubbio che vi trovò, in un sussurro aggiunse: “Por favor.”
Il suo corpo decise per lei, prima della sua mente, e Maddie si ritrovò ad annuire. “Va bene.” Riuscì ad articolare; tuttavia, la sua parte razionale parve riprendersi ed aggiunse: “Ad una condizione.”
Il sorriso di Max si approfondì. “Lo que quieras.”
Nonostante non avesse idea di cosa le avesse appena detto, Maddie immaginò che fosse il suo modo di acconsentire. “Vorrei che mi parlassi di te.”
Immaginava che, in quel modo, avrebbe potuto risolvere quel piccolo debole – ormai era evidente, inutile girarci intorno – che aveva nei confronti di Max. In fin dei conti, non lo conosceva davvero così bene. Sapeva che era un uomo silenzioso, riflessivo e gentile che, in un momento di difficoltà era stato un po’ brusco, d’accordo, ma poteva capitare, giusto? Magari, se ne avesse saputo di più, avrebbe scoperto che non sopportava affatto il modo in cui parlava di sua madre o le sue idee in fatto di musica, oppure che fumava come una ciminiera, tanto per fare un esempio. Non che questo avrebbe pregiudicato la loro amicizia ma, forse, avrebbe placato – sperava fino a spegnerla del tutto – quella sua tiepida, inopportuna e totalmente assurda infatuazione.
Anche perché era chiaro che Max avesse bisogno di un amico, di sentirsi parte di qualcosa, e Maddie – forse presa da un’acuta sindrome della crocerossina – voleva aiutarlo.
Dunque, con un semplice cenno della testa, Max acconsentì alle sue condizioni e Maddie sperò di non aver appena sancito una condanna per il suo povero cuore.
In ogni caso, l’uomo se ne andò senza prender il libro per cui aveva detto esser venuto.
   
 
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