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Autore: DrkRaven    25/07/2022    2 recensioni
RENGA | (dal testo) L’espressione dietro la maschera di ossa è di puro stupore dopo l’oblio in cui anche lui si stava perdendo. La Zone lo aveva risucchiato, ingannevole paradiso riecheggiante di luce, dove il silenzio e la solitudine ti stordiscono fino a farti dimenticare chi sei. | Questo racconto partecipa al concorso Wattpad “Empathy – Writing Contest” di @-zooff - Prompt: Felicità | ⚠ BOY X BOY ⚠ | Parole: 2.431
⚠Questa storia è frutto della mia fantasia⚠
⚠Qualunque riferimento a trama, personaggi o eventi narrati in altre fan fiction di altri autori è assolutamente e del tutto casuale, ma vi prego di segnalarmelo se doveste riscontrare tale similitudine⚠
⚠E' assolutamente vietato copiare e riprodurre quanto riportato in questa storia⚠
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ainosuke Shindo, Langa Hasegawa, Reki Kyan
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Langa allontana il foglio e socchiude gli occhi per guardarlo meglio, la punta della lingua stretta tra le labbra come fa sempre quando è molto concentrato.

Papà sarà contento, pensa. Mamma è bellissima, gli ha disegnato il vestito rosso, quello che aveva messo alla festa di Natale dai nonni, e sorride. Anche papà è bellissimo - Langa si complimenta ancora con sé stesso - nella sua giacca a vento azzurra con il marchio del gallo, ed è fiero di essere riuscito a riprodurre le due punte, una blu e l’altra rossa, solo a memoria.

Pensa però che manchi ancora qualcosa.

Scende piano dalla sedia e si avvicina al camino. Sa che non deve avvicinarsi troppo, è pericoloso, ma mamma è di là a fare il bucato, e lui ci metterà solo un attimo. Avvicina con cautela il pastello giallo e quello arancione al calore delle fiamme, basta davvero solo un istante, e poi la cera sarà più morbida e pastosa.

Si arrampica di nuovo sulla sedia, deciso a completare la sua opera d’arte. La punta del pastello scivola morbida sul foglio, il cerchio gli è venuto proprio bene, e l’odore della cera si spande nelle sue narici sovrastando quello della legna che brucia.

Ecco. Ci voleva proprio il sole a rendere perfetto il biglietto. Mamma gli ha promesso che lo aiuterà a scrivere “Auguri papà” così da poterglielo dare a cena insieme al regalo.

Il rumore di una portiera che sbatte gli fa sgranare gli occhi e il sorriso gli si increspa sulle labbra. Fa appena in tempo a nascondere il disegno nell’album che la porta di spalanca.

“Langa, tesoro! Ma che ci fai in casa? Sta nevicando. Pensavo che ti avrei trovato fuori, a fare un pupazzo di neve…”

Langa gli salta in braccio e infila il naso nel suo collo; papà ha sempre un profumo buonissimo quando arriva da fuori, sa di neve e di aghi di pino e di... papà! Mentre strofina il naso sbircia sopra la sua spalla e finalmente vede i grossi fiocchi pigri che cadono dal cielo. Troppo assorto nel suo disegno, non si era accorto che aveva iniziato a nevicare.

In un istante prende la sciarpa e la giacca a vento e trascina papà per una mano portandolo nello spiazzo davanti a casa. Ci sono già diverse dita di neve fresca, i fiocchi grossi e panciuti attaccano bene e questo è il tipo di nevicata che preferisce.

Alza gli occhi al cielo, è bellissimo vedere la neve che scende, piccole ombre grigie che fluttuano lentamente diventando sempre più grandi. Diversi fiocchi si impigliano sulle ciglia, Langa le sbatte per liberarle e tira fuori la lingua. Ride felice per ogni cristallo che riesce a catturare, un piccolo brivido gelido che scompare veloce nel calore che esce in sbuffi morbidi dalla sua bocca spalancata.

“Papà facciamo l’angelo?”

Lo strato di neve fresca si piega docile al movimento delle braccia corte e paffute nella spessa giacca a vento; la risata vibra nel suo petto e rotola ovattata sul manto candido e soffice che ricopre ogni cosa.

Poi si rialza, e infila la piccola mano gelata in quella grande e calda, mentre osserva orgoglioso le due sagome svolazzanti, una piccola e l’altra maestosa, così vicine da sembrare quasi una sola.


Strizzo gli occhi e torno in me. Sfrego via le lacrime che colano sulle mie guance, devo restare concentrato, non devo permettere ad Adam di riportarmi nella Zone.

“Saremo solo io e te, Snow. Sarai la mia Eva. Potrai dimenticarti di tutto.”

Ma io non voglio dimenticare!

Il ricordo di papà è l’unica cosa che mi ha permesso di restare aggrappato alla realtà, altrimenti il bianco della Zone mi avrebbe inghiottito. So come ci si sente quando si perde tutto quello che conta, quando il dolore è come una immensa distesa candida in cui vuoi solo scomparire.

È innegabile, il fascino dell’oblio. L’ho subito anch’io e forse, in un altro momento della mia vita, mi sarei lasciato inglobare fino a scomparire. Avrei lasciato che il freddo mi avvolgesse fino a farmi diventare insensibile, immerso in un cortocircuito sensoriale così stordente da non lasciare spazio a nessun pensiero.

Ma ora no.

Adesso so come reagire. Ho un motivo per farlo. Ho mille motivi per farlo. E voglio portare Adam con me!

Lo afferro per un polso e gli do uno strattone.

L’espressione dietro la maschera di ossa è di puro stupore dopo l’oblio in cui anche lui si stava perdendo. La Zone lo aveva risucchiato, ingannevole paradiso riecheggiante di luce, dove il silenzio e la solitudine ti stordiscono fino a farti dimenticare chi sei.

Adam si riscuote, e si ribella al mio tocco, cercando ancora una volta di farmi cadere nel dirupo della vecchia S; ha fatto in modo che la sfida si tenesse sul percorso originale, ormai in disuso da anni perché troppo pericoloso. È evidente la sua intenzione per quest’ultima gara, la scelta che vuole che io compia: unirmi a lui o scomparire per sempre.

Mi aggrappo al suo polso, con un colpo di reni resto ben saldo sullo skate, e lo trascino con me lungo la pista, sfrecciando a tutta velocità sulla tavola nuova che Reki ha costruito per me a tempo di record.


Langa osserva Reki che muove le mani con precisione e rapidità. È davvero bravissimo con l’aerografo, la scritta “FUN” di un arancio brillante che spicca tra il bianco e l’azzurro.

Il suo volto è concentrato, si mordicchia il labbro inferiore mentre dà gli ultimi spruzzi.

“Fatto!”

Il suo sorriso è luminoso; Reki è luminoso, con la sua chioma rovente e gli occhi caldi e brillanti.

Il cuore di Langa ha un sussulto, sta facendo piccole capriole già da qualche minuto, mentre percepiva la sua spalla sfiorare quella di Reki, entrambi ammaliati dalla tavola nuova che prendeva vita tra le sue abili mani.

Langa lo sbircia di sottecchi mentre riordina; aveva temuto di perderlo, ed ora che si sono ritrovati ha raggiunto una nuova consapevolezza, più matura e salda, e sa che il sentimento che prova per lui non è solo amicizia. I suoi contorni non sono ancora definiti, si espande lentamente, ogni giorno un po’ più ampio e nitido, come le macchie di colore del suo aerografo.

Langa è ancora frastornato e confuso su quel sentimento, ma c’è una cosa che ha capito con chiarezza.

Reki lo rende felice.

“Ragazzi, è pronto in tavola. Reki, chiama la nonna e le tue sorelle, per favore.”

Ci spostiamo in giardino, le due sorelline di Reki stanno giocando nell’erba, le loro risate riecheggiano allegre tra le fronde dell’albero sotto cui sono accucciate.

La nonna è seduta accanto alla porta di ingresso. Ogni tanto socchiude gli occhi e alza il viso verso il sole di Okinawa, caldo e avvolgente sulle sue ossa stanche. La sua espressione è serena, la bocca distesa in un placido sorriso che si allarga a tratti quando le risate delle nipoti la riscuotono dai suoi ricordi.

“Nonna è pronto”.

Reki la chiama e Langa le offre il braccio per accompagnarla a tavola.

Langa sembra quasi una creatura aliena in mezzo alla famiglia di Reki, la sua carnagione pallida non si è ancora arresa al clima tropicale dell’isola, e le tonalità algide dei suoi occhi e dei suoi capelli spiccano come stalattiti di ghiaccio in mezzo al caos caldo e variopinto della famiglia Kyan.

Ma il sorriso sulle sue labbra è quanto di più bruciante ci possa essere, la sua felicità è palpabile, e Langa si augura che durerà all’infinito, proprio come l’ultimo gesto con le mani che lui e Reki hanno aggiunto al loro saluto.


Adam non demorde, ancora respinge il mio tocco così come le mie parole, i miei tentativi di farlo ragionare risultano inutili e vani.

Lotta con rabbia e arroganza, l’intento di questa sua elaborata coreografia è ancora oscuro, se voglia uccidermi o farmi suo per sempre.

Ma una piccola incrinatura si mostra piano, non riesce più a nasconderla; la mia reazione di poco fa, la mia ribellione alla Zone, lo ha sorpreso, il panico è visibile nei suoi occhi anche dietro la maschera.

Adam ha paura.

Non è la velocità che lo spaventa, non è il rischio di cadere e morire.

Adam ha paura di sé stesso, ha paura del suo desiderio di amore, del suo bisogno di essere felice.

Adam ha paura della felicità stessa.

Non so cosa possa aver subìto in passato per arrivare a questo punto, ma è chiaro che Adam ha bisogno di essere salvato.

E ne ho la certezza quando, finalmente, la sua maschera cade, e mi regala uno sguardo confuso e smarrito.

Lui non sa nemmeno da che parte cominciare per essere felice. Non sa nemmeno di volerlo.

Eppure è logico che sia così, è nella natura umana cercare la felicità, ma posso capire che questo lo spaventi.

Perché la felicità è mutevole, come le nuvole nel cielo di Okinawa quando soffia il vento dal mare. In un attimo cambiano forma, si plasmano in immagini cangianti e poi rotolano su loro stesse, sfilacciandosi in lunghe strisce impalpabili fino a disperdersi nell’azzurro del cielo.

La felicità è ingannevole, si nasconde nelle piccole cose di ogni giorno, si mimetizza nelle abitudini e si adagia in piccole pozze di quotidianità. Non ti accorgi che è lì, non la noti, non la degni di uno sguardo, fino a che non scompare. Solo allora lo percepisci che non c’è più, ti accorgi che i colori sono spenti, i sapori insipidi, i suoni cupi.

La felicità è subdola, crea dipendenza, regala momenti di inebriante esaltazione a cui è facile abituarsi.

E tutto questo, a Adam, fa paura.

Fa paura a tanti, immagino, a ciascuno in modo differente. Proprio perché la felicità è estremamente personale, come un completo di alta sartoria perfettamente concepito e studiato dal destino, che ti viene cucito addosso, tessuto su pelle, e per ciascuno è così diverso che talvolta non si riesce nemmeno a riconoscere.

E proprio come un vestito, cambia col passare degli anni, e a seconda dei momenti e delle occasioni della vita. L’ho riconosciuta, la felicità allo stato elementare, nelle risate argentine delle sorelle di Reki, così come nel suo stato più saggio e maturo, nel languore dei sorrisi della nonna. E ho capito finalmente la luce negli occhi di mamma, che per tanto tempo erano rimasti spenti e vuoti dopo la morte di papà, quando ha visto che mi stavo ambientando qui a Okinawa, che mi ero fatto degli amici, che avevo ripreso a sorridere; la sua felicità era uno specchio della mia, e forse per le mamme è proprio così che funziona.

Io non so cosa possa far felice Adam, ma l’adrenalina del pericolo e della velocità estrema che stiamo toccando mi obbliga a fidarmi del mio istinto. E io credo semplicemente che Adam sia infelice perché è solo.

Ha bisogno di uscire dal suo guscio, ha bisogno di amici, ha bisogno di divertirsi. Adam ha bisogno di essere amato e compreso per quello che è, capito nella sua solitudine e incoraggiato ad aprirsi. E spero che ci sia qualcuno che possa fare questo per lui.

Io, per il momento, posso solo tenerlo fuori dalla Zone e fagli vedere che ci possiamo divertire in una competizione sana e onesta.

Sfreccio nelle ultime curve sfidando la gravità, la forza centrifuga che mi fa restare attaccato alla tavola come se fosse incollata ai miei piedi, le braccia aperte che tagliano l’aria.

Scorgo davanti a me la croce, il monumento al grigiore e alla disperazione che Adam ha voluto mettere alla linea del traguardo. Superarlo, lasciarselo alle spalle, è la vera vittoria.

È un testa a testa, ormai, pochi millimetri avanti o indietro decreteranno il vincitore tra me e Adam, ma io ho già vinto, e credo che anche Adam lo sappia. Sono riuscito a resistere alla Zone e a tirarlo fuori con me, e credo di essere stato capace, in questi pochi minuti di gara, a instillargli almeno il dubbio, la curiosità, la voglia di capire cosa possa renderlo felice.

Mi piego ancora di più sulle gambe, i muscoli strillano per la tensione, il cuore che batte furioso nel mio petto.

Poi alzo la testa e lo vedo.

Reki è là, la sua persona si staglia abbagliante tra la folla, la sua chioma ardente che spicca e che rende inconsistente e sfuocato tutto ciò che lo circonda.

Fa qualche passo verso di me, distanzia il gruppo e apre le braccia gridando il mio nome. E io mi lancio dallo skateboard che ancora si muove, direttamente su di lui.

Atterriamo bruscamente, l’impatto col suolo è duro e rimbalza tra le sue costole mentre sostiene il mio corpo. Le sue braccia ricadono a terra, le mie attorno al suo collo e i nostri visi vicinissimi, i respiri che si fondono.

I nostri occhi sono imbrigliati, il sorriso sul suo viso è anche il mio.

Ho la tentazione di avvicinare le labbra alle sue, l’istinto è quasi irresistibile e sento i suoi occhi nei miei con la stessa muta preghiera, il bisogno di completarci in un gesto palpabile a coronamento di questa felicità che sento nel mio petto, e che trabocca, invadente e frizzante come la spuma del mare di questa isola meravigliosa.

Ma poi l’incanto si spezza, Cherry, Joe, Miya e Shadow ci raggiungono e ci tiriamo in piedi. Ma anche il loro calore, la loro amicizia mi rende felice. È un tipo diverso di felicità, con la sua propria gamma di colori e suoni e sapori, altrettanto meravigliosa e inebriante.

Non riesco a fare a meno di pensare a quando Reki una volta mi ha detto che c’era un eroe in TV che lo spaventava, perchè chiedeva: “Cos’è la felicità per te?”.

All’inizio non capivo cosa ci fosse di così spaventoso a riguardo. Ma ora credo di capirlo, almeno in parte.

È davvero spaventoso non sapere cos’è la felicità.

Guardo Adam che si allontana dalla folla a testa bassa, e si ferma a parlare con Snake ancora una volta. Non sento cosa si dicono, ma il loro linguaggio del corpo mi suggerisce che si conoscano bene, e forse il loro rapporto è più complesso e articolato di quanto non vogliano lasciare intendere. Una scintilla di speranza si accende in me, forse Snake potrà portare avanti il processo che ho la presunzione di aver avviato io, oggi, e condurre Adam verso la strada della sua felicità, quella giusta per lui, in qualsiasi modo sia fatta.

Perchè io finalmente l’ho capito cos’è la felicità, per me.

La felicità è amore, è amicizia, è andare sullo skateboard.

E Reki è tutto questo.

La felicità è Reki.


❄ ♥ ❄


Ti ringrazio di cuore per aver letto la mia storia. Spero che ti sia piaciuta e che vorrai lasciarmi le tue impressioni.

   
 
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