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Autore: Melisanna    29/07/2022    2 recensioni
– Mister Luthor, quando farà giocare Clark Kent? È stato il miglior realizzatore della scorsa stagione, tutti i tifosi del Metropolis aspettano questo momento.
Un fessura verticale si scavò tra le sopracciglia di Luthor, ma questo non gli impedì di sorridere e rispondere con voce calma e controllata – Kent resterà in panchina finché non avrà imparato a fare squadra. Quel ragazzo è convinto di poter giocare da solo, ma il football non è questo. Possiamo fare a meno di un giocatore così egocentrico e pieno di sé, per quanto sia forte e veloce.
Clark sporse il labbro inferiore in avanti e affondò le mani nelle tasche dei calzoncini, ripiegando la sua poderosa statura in una posa imbronciata. Non si era esattamente aspettato che Lex gli facesse le feste quando l’aveva rincontrato in veste di nuovo allenatore del Metropolis, non dopo quello che era successo, ma non pensava che lo avrebbe tenuto in panchina per settimane. Dopotutto era veramente il miglior realizzatore della stagione precedente. E Lex era stato il primo ad aver apprezzato il suo talento, quando era ancora al college e troppo timido e goffo per riuscire a sfruttare le sue capacità.
Genere: Commedia, Hurt/Comfort, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Lex Luthor, Superman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Storia scritta per la challenge Take Your Business Elewhere della pagina Facebook Hurt/Comfort Italia - Fanart and Fanfiction - GRUPPO NUOVO con i seguenti prompt:
 
  • 25 Ordinare del cibo
  • 13 Dipendenza da una sostanza
  • 3 Y ha dei vuoti di memoria
  • 17 Un nuovo inizio
  • 47 Sport
Clark Kent, Lois Lane e Lex Luthor sono tra i miei personaggi preferiti da sempre ed era moltissimo che volevo una scusa per scrivere di loro.

Secondo Tempo
 
Sull’enorme schermo dello stadio capeggiava il mezzo busto di un uomo dai lineamenti aquilini e il cranio rasato. Lois sgomitava tra i suoi colleghi per piazzargli il microfono sotto al naso.

– Mister Luthor, quando farà giocare Clark Kent? È stato il miglior realizzatore della scorsa stagione, tutti i tifosi del Metropolis aspettano questo momento.

Un fessura verticale si scavò tra le sopracciglia di Luthor, ma questo non gli impedì di sorridere e rispondere con voce calma e controllata – Kent resterà in panchina finché non avrà imparato a fare squadra. Quel ragazzo è convinto di poter giocare da solo, ma il football non è questo. Possiamo fare a meno di un giocatore così egocentrico e pieno di sé, per quanto sia forte e veloce.

Clark sporse il labbro inferiore in avanti e affondò le mani nelle tasche dei calzoncini, ripiegando la sua poderosa statura in una posa imbronciata. Non si era esattamente aspettato che Lex gli facesse le feste quando l’aveva rincontrato in veste di nuovo allenatore del Metropolis, non dopo quello che era successo, ma non pensava che lo avrebbe tenuto in panchina per settimane. Dopotutto era veramente il miglior realizzatore della stagione precedente. E Lex era stato il primo ad aver apprezzato il suo talento, quando era ancora al college e troppo timido e goffo per riuscire a sfruttare le sue capacità.

Se Clark era indispettito, però, la sua irritazione non era assolutamente paragonabile a quella di Lois. Rientrò nell’appartamento che dividevano dopo di lui, portando con sé due cartoni di pizza che sbatté sul tavolo in un impeto di furia, facendo schizzare olio e pomodoro.

– Quel Luthor! Lo detesto! È il personaggio più viscido e supponente con cui abbia mai avuto a che fare. Che verme!

– Da quando è l’allenatore del Metropolis non perdiamo una partita…

– Capace è capace, lo ammetto. Ed era una bel giocatore, prima dell’incidente, ma resta un verme. – Afferrò un coltello e si accanì sulla povera pizza  –  Si ostina a non farti giocare solo perché teme che attireresti troppo l’attenzione, te lo dico io. Vuole che tutti i fari siano puntati su di lui. Scommetto che spera di arrivare in nazionale entro cinque anni.

– Fai pure due. E mi stupirei se non ci riuscisse.

Lois mise il muso  – Anche io, con questi risultati. Gli stanno già facendo tutti la corte. Dovrebbe saltar fuori qualcosa di veramente scandaloso… – prese quello che avrebbe potuto assomigliare a una fetta di pizza se fosse stata fatta passare sotto le ruote di un autoarticolato e iniziò a masticarla meditabonda – Però… però… chissà che non ci sia qualcosa da far saltare fuori. Non sono riuscita a sapere quasi niente dell’incidente che gli ha stroncato la carriera, ma sparì dalle scene per quasi cinque anni. Non è normale.

Clark guardò la pizza. La mozzarella era scivolata tutta da una parte portandosi dietro buona parte del pomodoro. Lois aveva provato a ritrascinarla nel mezzo, con scarsi risultati, ma nel tentativo aveva sparpagliato a giro tutto il salame piccante. Il prosciutto giaceva in una lato del cartone, affogato in una pozza di olio e latticello e il pomodoro era un’acquosa poltiglia rossa. Lois aveva preso a sciabolate la base, tagliandola in pezzi irregolari, che gli restituivano miseramente lo sguardo. Clark la giudicò una metafora azzeccata del suo stato d’animo.

– Era all’apice della carriera e ha perso tutto, credo sia normale ritirarsi dal mondo in una situazione del genere.

Lois inghiottì il boccone che stava masticando  – Oh, andiamo! Dov’è finito il tuo spirito giornalistico Kent? Capisco che tutte quelle botte in testa debbano averti un po’ rintronato, ma allontanarsi dal campus prima di una partita importante? Di notte? È chiaro che c’era sotto qualcosa di losco.

Clark deglutì  – Dev’essere stato qualcosa di importante, Lois. Forse ci tiene a non farlo sapere a giro.

– Ah, ci scommetto che ci tiene! Potrebbe essere il vaso di Pandora che scoperchiato gli impedirà di essere scelto per la nazionale! E chi meglio di Lois Lane, giornalista d’assalto, per scoperchiarlo?

– Ma tu non sei una giornalista d’assalto! Sei una cronista sportiva!

– Sportiva d’assalto! – Lois diede un enorme morso alla pizza, con lo stesso ardore con cui azzannava le notizie.

Clark iniziò a sudare freddo. Se Lois scopriva qualcosa, Lex l’avrebbe scuoiato vivo  – Non penso che dovresti impicciarti. È piuttosto geloso della sua privacy.

– Ma questo è un servizio di pubblica utilità! Sfrecciava in piena notte a 180 miglia all’ora e pare fosse al telefono! Non mi stupirei se fosse stato sotto l’effetto di qualche sostanza…

Clark quasi saltò in piedi dall’indignazione  – Dai Lois! Non ci credi nemmeno tu! Aveva una partita il giorno dopo, lo avrebbero rivoltato come un calzino!

Lois gli agitò la pizza davanti alla faccia  – È questo il tuo difetto Clark! Sei troppo ingenuo. Spera di avere una lunga carriera come giocatore, perché come giornalista non vali un accidente.

Clark afferrò una fetta di pizza e cominciò a mangiare a sua volta, ritirandosi in un silenzio offeso. Lois si esibì in un sorrisetto di superiorità e si stappò una birra.

Quella notte il sonno di Clark fu agitato. Non era certo che Lex sarebbe stato una buona cosa per la nazionale, era il terrore dei suoi giocatori e la parola “sportività” non era nel suo vocabolario, almeno non da quando era tornato e, ovviamente, ovviamente, lui voleva giocare. Però… Lois che sbandierava i segreti di Lex davanti a tutti? Non era un prezzo che era disposto a pagare. Soprattutto perché erano anche i suoi.

Aveva conosciuto Lex quattro anni prima dell’incidente. O meglio, si era quasi scontrato con Lex che, obbiettivamente, aveva un problema con le macchine potenti e i limiti di velocità.  Si stava allenando da solo, in un campo  – ricordate? Troppo timido e goffo, ecc. ecc. – e il pallone era finito sulla strada, Clark aveva fatto per raccoglierlo, quando la macchina era apparsa rombando oltre le curva. Gli era stata addosso in un secondo e, se il guidatore non avesse sterzato finendo contro il guardrail, Clark non sarebbe stato lì a raccontarlo. Fortunatamente Clark aveva avuto la presenza di spirito di correre alla macchina ed estrarne il guidatore svenuto, perché l’auto aveva preso fuoco appena si erano allontanati.

Il giovane alla guida aveva una massa di riccioli ramati e, gli occhi, che fortunatamente aveva aperto pochi secondi dopo, mentre Clark, inginocchiato accanto a lui, ancora stava armeggiando con il cellulare per chiamare i soccorsi, erano del verde più penetrante che Clark avesse mai visto.

Il ragazzo aveva allungato una mano e aveva afferrato il cellulare  – Sto bene… Sto bene. Non chiamare nessuno.

– Hai avuto un incidente! Probabilmente hai una commozione cerebrale! Eri svenuto fino a un secondo fa.

– Ma ora sono sveglio e ti assicuro che sto bene. Non ho bisogno di altra cattiva pubblicità, me ne fanno già abbastanza – gli aveva porto la mano.  – Lex Luthor.

Clark aveva spalancato gli occhi, realizzando improvvisamente dove aveva già visto quella massa di riccioli rossi ­ – Oh mio Dio, Oh mio Dio, tu sei quel ragazzo! Il nuovo quarterback dello Smallville! Oh mio Dio! Scusami, scusami, io non sono bravo con le facce, non riconoscerei nemmeno mia madre… Prosopagnosia, mai sentito parlarne? Ti ho visto giocare domenica, sei pazzesco! Pazzesco!  – un espressione di terrore gli si era dipinta sul viso  – E io stavo per ucciderti!

Lex aveva riso e poi aveva fatto una smorfia di dolore e si era toccato il torace  – Ahi… costole.

– Oddio ti sei rotto qualcosa? Ti prego dimmi che non ti sei rotto qualcosa!

– Probabilmente ho una costola incrinata… Farà un po' male per un po’, ma non è niente di grave.

– Lasciami chiamare un’ambulanza, per favore, ti prego, non me lo perdonerei mai se perdessi la stagione per colpa mia.

Lex aveva riso di nuovo e di nuovo aveva contratto il viso per una fitta al petto  – Non perderò la stagione per una costola incrinata. E non è stata colpa tua. Ero io che andavo troppo veloce. Considerato come è ridotta la mia macchina è più probabile che tu mi abbia salvato la vita.

Clark aveva portato Lex a casa e suo padre l’aveva riaccompagnato al campus. Non gli aveva detto di quanto desiderasse diventare un giocatore professionista anche lui, anzi non avevano proprio parlato di football, eppure due giorni dopo Lex era lì, che assisteva ai suoi allenamenti solitari seduto sul cofano di un’altra macchina da corsa, le lunghe gambe incrociate e gli occhi intenti.

Quando Clark si era avvicinato, Lex lo aveva guardato con lo stupore affascinato di chi scopra di star fissando il Sacro Graal – Io sono pazzesco? Ragazzino, non ho mai visto un giocatore con il tuo talento!

Clark era diventato rosso come un peperone  – Io… io non sono tanto bravo in campo… Sono tutti più svegli di me.

– L’unica cosa di cui hai bisogno è una bella iniezione di autostima. Devi essere più deciso in campo, non farti mettere i piedi in testa.

Per i quattro anni successivi, avevano passato ogni momento libero insieme, nonostante i genitori di Clark non fossero entusiasti a saperlo sempre in compagnia di un ragazzo tanto più grande, il cui carattere volubile e le cui intemperanze riempivano già all’epoca le pagine dei giornali. Ma Lex era affascinante, aveva una cultura enciclopedica e un umorismo pungente ed era devoto a Clark e Clark lo adorava. Erano entrambi due solitari, che amavano il football sopra ogni altra cosa, ma avevano difficoltà con il gioco di squadra. Lex era un regista geniale, ma i suoi compagni un po’ lo temevano, un po’ lo disprezzavano, lo rispettavano solo sul terreno di gioco. Clark aveva un talento naturale, era forte, veloce, resistente, con un ottimo istinto, ma era così impacciato nelle relazioni sociali, che, invece di venire ammirato, veniva isolato per le sue qualità e sbeffeggiato per la sua introversione e la sua prosopagnosia.

Lex aveva fatto brillare le qualità di Clark, già allora manifestava un’attitudine naturale all’allenamento. Sapeva trovare i punti forti di un giocatore e affilarli fino a renderli un’arma perfetta. Smallville aveva scoperto Clark, grazie a Lex.

Erano diventati più che fratelli.

Fino al secondo incidente. Quello che aveva troncato la carriera di Lex.

Al mattino aveva gli occhi cerchiati ed era arrabbiato con Lois, con Lex e col mondo. Perché si ostinavano sempre tutti a non essere ragionevoli?

Deciso a cercare di risolvere almeno uno dei suoi problemi, prima degli allenamenti si diresse a passo di marcia verso l’ufficio di Lex e spalancò la porta senza bussare.

Lex era seduto alla scrivania e si reggeva la testa con una mano. Quando sollevò il capo e fissò gli occhi in quelli di Clark, Clark fu sicuro che non lo avesse riconosciuto. Lo guardava con occhi vacui e opachi e assolutamente non da Lex. Poi corrucciò le sopracciglia ed ecco di nuovo quegli occhi verdi acuti e penetranti che Clark ricordava.

– Cosa vuoi?

– Io… Stai bene?

–  Perché non dovrei?

– Ecco…

– Cosa ci fai qui?

Clark scrollò le spalle. Se anche avesse avuto un problema, Lex non l’avrebbe mai ammesso. – Lex, quanto hai intenzione di farmi stare in panchina?

– Non mi sembra che nessuno ti abbia dato il permesso di chiamarmi per nome, sono Mister Luthor per te.

– Scusi Mister. Ma davvero Lex… Mister… Non può tenermi in panchina solo per le nostre personali animosità. Sa che la squadra ha bisogno di me.

– Mi sembra che la squadra se la stia cavando perfettamente anche senza di te. E in ogni caso, cosa ti fa pensare che ti tenga in panchina per motivi non strettamente professionali?

– Oh, andiamo Lex!

– Mister!

– Mister. Che altre ragioni ci dovrebbero essere, se non che ce l’ha ancora con me?

– Vedi? Ho ragione quando dico che sei egocentrico. Non gira tutto intorno a te. La squadra ha bisogno di non fare affidamento su un solo giocatore. Soprattutto uno che non ha intenzione di adattarsi al gioco della squadra.

– Accidenti Mister, no! Se vuol dire chiuderci a catenaccio in difesa, no! Vogliamo fare un po’ di spettacolo per gli spettatori o no?

– Vogliamo vincerle queste partite o no?

Clark incrociò le braccia sul petto, offeso. Lex gli restituì uno sguardo irritato. Si fissarono in un silenzio teso per alcuni secondi, finché un’altra ombra non passò sugli occhi di Lex e l’uomo non alzò una mano a sfiorarsi la tempia. Clark non poté fare a meno di notare il tremore delle dita affusolate.

– Cosa… cosa stavamo dicendo?

La voce di Lex avrebbe potuto sembrare fredda e impassibile, ma a Clark non sfuggì una nota di confusa preoccupazione. Non era veramente in astinenza da qualcosa, no? Lois non poteva avere ragione su questo. Lex era troppo furbo, troppo in gamba per rischiare di rovinarsi così. Quando si frequentavano avrebbe potuto giurare che non abusasse di nessuna sostanza. Certo, gli piaceva bere, quando ordinavano una pizza non si faceva mai mancare un paio di birre, a tavolo apriva sempre una bottiglia di vino e aveva una collezione di alcolici costosi. Ma alcolista? No di certo.

– Io… vorrei rientrare in squadra, Mister… ma sei sicuro di sentirti bene, Lex?

– Perfettamente. E ora esci di qui.

– Ma…

– Discorso chiuso.

Durante gli allenamenti Clark continuà a scoccare occhiate sospettose a Lex. Non era più capitato che perdesse il filo del discorso o avvertisse fitte alla testa, però… Si sbagliava o le mani continuavano a tremargli? E poi Lex era sempre stato così nervoso, così prono agli scatti d’ira? Non che si facesse illusioni sul fatto che il Lex affascinante e cordiale di cui aveva ricordo fosse una faccia dell’uomo che era stata riservata a lui solo, le sue scenate sui campi da gioco erano state memorabili, ma così paranoico e irritabile? Il Lex che ricordava quando voleva era in grado di incantare chiunque, spaventava le persone per la sua intelligenza, non per gli scoppi di rabbia.

O si stava facendo solo illusioni e tentava di convincersi che il suo amico d’infanzia fosse diverso da quello che si era rivelato?
Quando il mattino dopo passò a salutare Lois agli studi di Canale Planet, la trovo impegnata a studiare con cura maniacale l’intervista del giorno precedente a Lex, un tazzone di caffè in una mano e un cornetto della pasticceria italiana sotto casa nell’altra.

– C’è qualcosa di strano…  – bofonchiò a bocca piena, senza nemmeno salutarlo  – Ha sbagliato a riportare le percentuali di Jordan di vari decimi. Luthor non sbaglia mai.

– Ciao Lois, anche per me è un piacere vederti.

– Toh, ho un cornetto anche per te. – Lois gli allungò una busta di carta  – Marmellata di more, giusto? Gusti dozzinali.

Clark storse la bocca, ma prese il cornetto. Mai rifiutare il cibo gratis. Diede un’occhiata allo spezzone di video che Lois gli mostrava. Gli occhi di Lex si facevano opachi per la frazione di un secondo e l’uomo sbatteva le palpebre prima di rispondere alla domanda.

– Le ha calcolate a mente. Non se le ricordava.

Lois gli rivolse un’occhiata investigativa  – Vuoi dire che Luthor può calcolare in un paio di secondi le percentuali della stagione di una giocatore?

Clark si strinse nelle spalle  – È Luthor, di cosa ti stupisci?

Lois si morse il labbro inferiore, pensosa, tornando a fissare lo schermo con una luce diversa nello sguardo  – A volte penso che sia un bene che abbia scelto di dedicarsi allo sport invece che all’ingegneria, alla fisica o, Dio ce ne scampi, alla politica.

– Non escluderei del tutto quest’ultima dal reame delle possibilità.

– No, immagino di no. E se diventasse allenatore della Nazionale le sue quotazioni salirebbero alle stelle. Devo trovare il modo di fermarlo  – zoomò su un particolare – Non ti sembra che gli tremino le mani?

Clark morse il cornetto, prendendo tempo. – Io… non… forse… Immagino di sì?

Lois annuì  – Mmmh, mmmh. Sì, gli tremano le mani. Sono sempre più convinta di avere ragione. Potrebbe essere un alcolista? Che ne dici? Tu lo vedi più spesso di me.

– Non mi pare beva così tanto. Un po’ sì, ma non così tanto.

Lois lo guardò con disprezzo  – Scordavo che sei Clark Kent, l’aspirante giornalista più inetto a cui si possa pensare. Non berrà tanto in pubblico, devi concentrarti sugli indizi. –  Cominciò a contare sulla punta delle dita  – Primo, tiene alcolici nel suo ufficio?

L’immagine della bottiglia di cristallo nella vetrina dietro la scrivania di Lex gli apparve come se l’avesse avuta davanti agli occhi.

– Secondo, beve senza apparentemente risentirne?

Aveva visto Lex scolarsi una bottiglia di vino da solo senza battere ciglio.

– Terzo, ha comportamenti inusuali, antisociali? Oh vabbé, questo non vale, è Luthor, non ha bisogno dell’alcool per essere antisociale.

– N-no, non ne ha bisogno.

– Tienilo d’occhio e riferiscimi.

Clark se ne andò all’università con la lugubre convinzione che Lois avesse ragione. Lex aveva un problema. Un grosso problema. E se Lois l’avesse scoperto, ne avrebbe avuto uno ancora più grosso.

Passò le lezioni a chiedersi come salvare capra e cavoli. Lex non avrebbe mai accettato di farsi aiutare, nemmeno davanti alla minaccia di Lois. E comunque lui non voleva farsi tagliare le palle da Lois per aver rovinato la sua inchiesta. Doveva agire di soppiatto.

L’unica decisione a cui riuscì ad addivenire, fu di investigare per i fatti suoi. Avrebbe messo Lex davanti alla realtà dei fatti. E forse, a quel punto, avrebbe ammesso di avere un problema prima che Lois lo spiattellasse in diretta nazionale. In qualche modo avrebbe parato il colpo.

Siccome non aveva idea di dove cominciare ad investigare, decise che, tanto per iniziare, lo avrebbe pedinato. Non che fosse facile. Lex aveva occhi anche dietro la testa. Durante il giorno, quando non stava allenando, era sempre chiuso nel suo ufficio. Clark provò a spiarlo dalla finestra, ma, alla terza volta che veniva interrotto da qualcuno che passava e gli chiedeva cosa accidente facesse lì, decise di rinunciare. In ogni caso Lex non aveva fatto niente di sospetto. Quando era rientrato, non si era precipitato a versarsi un bicchiere. Aveva avuto alcune fitte alla testa, quello sì, che spiegavano perché a un certo punto avesse mandato giù due pasticche con un po’ d’acqua.

Fuori dallo stadio era ancora più difficile. Si muoveva sempre in macchina. La sua autista, la donna più spaventosa che Clark avesse mai visto, lo faceva scendere davanti all’ingresso e lo veniva a riprendere quando avevano finito. Clark decise di immolare i suoi risparmi sull’altare di Uber, dato che non era motorizzato a sua volta. E poi magari, cambiando auto ogni volta, lo avrebbero notato meno.

I suoi sforzi non diedero però maggior risultato di quelli del primo pomeriggio. Seguì Lex per una settimana senza scoprire niente. La mattina Lex usciva per andare a correre, sorprendentemente veloce per un uomo che ha dei chiodi lunghi un palmo nei femori, ma non si concedeva una bevuta mattutina, a meno che non tenesse l’alcool nella borraccia e, oggettivamente, sarebbe stata esattamente una cosa da Lex. La sera andava dritto a casa, tranne quando aveva delle cene di lavoro, in ristoranti troppo cari perché Clark potesse permettersi di entrare a sua volta. In ogni caso, non ne usciva mai devastato. In un’occasione si fermò a bere un bicchiere prima di rientrare, ma era stata una giornata talmente impegnativa, che Clark si sarebbe volentieri unito a lui e fu più che benevolo nel giudicare le pillole che Lex buttò giù, con il primo sorso. Aveva anche lui un mal di testa feroce.

Forse, in fondo, Lois si era sbagliata.

 Se non fosse stato che Clark era convinto che non si fosse sbagliata.

Ci doveva essere qualcosa che gli sfuggiva. In fondo, Lex era prudente al limite della paranoia, o forse oltre il limite. Probabilmente beveva solo in casa o in ufficio, dove era sicuro di non avere testimoni. Sarebbe stato un comportamento da Lex.

Stava per arrendersi, quando Lois lo venne a prelevare all’università.

– Sali in macchina. Datti malato agli allenamenti. Dato che tu non riesci a scoprire niente da solo, oggi andiamo direttamente sul campo.

– Cosa vuoi dire?

Lois estrasse una lastra radiografica dal cassetto dell’auto  – Entrerò in casa di Luthor mentre non c’è e troverò le prove che mi servono. E tu mi darai una mano.

– Lois è illegale!

– Non si chiama giornalismo d’assalto per niente.

– Sei una cronista sportiva!

– Sportiva d’assalto.

Clark rimase in silenzio per il resto del viaggio, tetri pensieri che gli affollavano la mente. Se c’era qualcosa da scoprire, Lois l’avrebbe scoperto. E lui era certo che qualcosa ci fosse.

Lex abitava all’ultimo piano di un grattacielo nel centro città, uno dei posti più esclusivi di Metropolis, ma apparentemente il sorriso di Lois, la sua parlantina sfacciata e i tacchi delle sue Manolo Blanik aprivano qualsiasi porta, perché le bastarono pochi minuti a convincere il portiere a lasciarli entrare e a non seguirli, così che poterono prendere l’ascensore per i condomini, invece che quello che portava solo al ristorante sul tetto.

– Fai il palo  – intimò Lois, una volta che furono davanti alla blindata dell’appartamento di Lex.

– Lois… sei propria sicura?

– Certo che sono sicura… Fammi solo capire come comportarmi con questa porta  – Lois la studiò a braccia incrociate, come davanti a un problema difficile, quindi allungò le braccia e scrocchiò le dita. – Ci sono!

Tirò fuori dalla tasca un arnese metallico, che assomigliava sospettosamente a un grimaldello, e si diede da fare intorno alla serratura. La porta cedette con la stessa rapidità del portiere, con uno schiocco metallico esattamente come quelli dei film che non migliorò l’umore di Clark. – Aaha! Fatto! – Lois prese la lastra e la passò rapidamente nella fessura sopra la serratura, spingendo il battente e poi tirandolo verso di sé. La porta si spalancò  – E voilà, prima tu.

– Sei consapevole che non potrai usare niente di quello che scopriremo qui?

– Oh, non ti preoccupare per me. Mi basta insinuare il dubbio. Poi qualcuno si preoccuperà di controllare.

Clark entrò, pieno di tristi presagi che si dimostrarono tragicamente azzeccati alla ventitreesima confezione tra Fentanil, Ossicodone e Nimesulide che Lois estraeva dai cassetti più disparati. Come accidenti aveva fatto a non pensarci prima?

Quando uscirono dal grattacielo Lois era euforica  – In fondo avevi ragione tu! Non è un alcolista, ma la dipendenza dagli oppiacei è anche meglio. Dici che ha cominciato ad assumerli dopo l’incidente o li prendeva anche prima? Un sacco di sportivi lo fanno. In ogni caso non importa, questo basta e avanza per farlo licenziare. Sarà un articolo da prima pagina. Lex Luthor, l’allenatore strafatto! O dici che sarebbe meglio qualcosa di più serio, tanto per settare il tono dell’articolo? Luthor, la verità sul demone del football…

– Lois, Lois, per favore…  – Clark dovette appoggiarle una mano sul braccio, prima che Lois si decidesse ad ascoltarlo. C’era una sola cosa che potesse fare. – Ti devo dire una cosa.

– E proprio ora me la devi dire?

– È importante, per favore. È stata colpa mia.

Lois si arrestò di botto, in mezzo alla strada. L’uomo che li seguiva quasi le finì addosso  – Che accidenti vuoi dire?

– L’incidente… L’incidente, è stata colpa mia. Lex stava… stava venendo da me.

– Da te? Cosa… cosa c’entri tu con Luthor, adesso? Eri un ragazzo, all’epoca!

– Possiamo andare da qualche parte a parlarne in privato?

Lois gli rivolse una lunga occhiata calcolatrice  – D’accordo, andiamo a casa.

Più tardi, si trovò seduto su una delle scomode sedie nella cucinetta che divideva con Lois. Lois si versò una delle sue enormi tazze di caffè  – Vuoi qualcosa? Caffè? Acqua? Una coca.

– Una coca va bene.

Lois appoggiò un bicchiere di coca sul tavolo, sotto il suo naso.

– E adesso, sputa il rospo

Sentendosi a un interrogatorio, Clark le raccontò tutta la storia della sua passata amicizia con Lex.

– Questo fino al secondo incidente. Quello che ha rovinato tutto. E sì, è stata colpa mia.

– Spiegami come.

– Ti ho detto che non ero molto popolare all’epoca?

– Non lo sei neanche adesso.

– Bè, non lo ero. Così quando mi hanno invitato a una festa, mi è sembrato un sogno che si avverava. E una volta lì, tutti bevevano e io volevo essere come tutti. Non avevo mai bevuto prima. Ero sbronzo prima ancora di rendermene conto. Ed è stato allora che Oliver ha proposto di entrare a scuola e rubare il trofeo di football dell’anno precedente – fermò Lois con un gesto prima che potesse interromperlo.  – E sì, lo so che era un’idea idiota, ma ero ubriaco e volevo disperatamente che mi accettassero. Così sono andato con loro. Entrare non è stato difficile, ma quando abbiamo preso il trofeo… Bè, nessuno aveva pensato a un allarme. Oliver mi ha lasciato la coppa tra le mani e si sono dissolti tutti. L’unico così sbronzo da non riuscire a scappare sono stato io.

Clark sospirò  – E devono aver pensato che era divertente, perché mi hanno chiuso dentro. Ero disperato, terrorizzato. Non sapevo se avevo più paura della polizia, del preside o dei miei. Volevo solo uscire di lì.

Si prese la testa fra le mani, fissando il bicchiere di coca davanti a sé – L’unica soluzione che mi è venuta in mente è stata chiamare Lex. E lui ha risposto subito e in un attimo era in macchina e intanto continuava a parlarmi e… e poi lo sai anche tu.
Lois appoggiò i polpastrelli delle dita gli uni contro gli altri, riflettendo – Se tutta questa storia è vera, perché adesso Luthor ti detesta tanto?

– I miei erano furibondi ed erano convinti che fosse stato per la sua influenza che avevo fatto quella cazzata. Non mi hanno mai neppure permesso di andare a trovarlo in ospedale e mio padre mi ha sequestrato il cellulare. Quando me l’ha ridato c’erano decine di messaggi e chiamate di Lex. Ho provato a richiamarlo, ma nel frattempo mi aveva bloccato. Non credo che me lo perdonerà mai.

Lois si accese una sigaretta e fece un lungo tiro – Me l’avresti mai detto, se non avessi scoperto dei farmaci?

– No, penso di no. Scusami, Lois. Lex ha una fama già abbastanza cattiva senza che inizino a diffondersi notizie sull’amicizia tra lui e un ragazzino di sette anni più giovane.

Lois scosse la cenere dalla punta della sigaretta – E adesso cosa ti aspetti che io faccia? Non ho intenzione di mollare questa inchiesta.

– Io… per favore, Lois, non lo fare. Parlerò con Lex... Lo convincerò ad andare in riabilitazione.

Lois diede un’altra profonda boccata e spense la sigaretta con eccessivo entusiasmo – D’accordo, d’accordo! Chi voglio prendere in giro? Lo sappiamo entrambi che avrei risposto così.

– Grazie Lois!

– Ma ti avverto, ti do una settimana, poi scriverò l’articolo, se Luthor non ti ascolterà.

E farsi ascoltare da Lex non era esattamente il più facile dei compiti. Clark non aveva la più pallida idea neanche di dove cominciare per parlarci. Non poteva certo dirgli che Lois e lui avevano scoperto della sua dipendenza facendogli irruzione in casa. Inoltre Lex non sembrava avere nessuna intenzione di rivolgergli la parola e tutte le volte che provava a entrare nel suo ufficio, gli sbatteva la porta in faccia.

Infine, sfinito, lo seguì dopo un allenamento e, prima che Lex lo lasciasse fuori, infilò una gamba a bloccare il battente.
Quando Lex, furibondo, gli chiuse la porta sul piede, Clark vide le stelle, ma, almeno, in qualche modo, era dentro.

– Se pensi di convincermi a farti giocare, in questo modo… – gli ringhiò in faccia.

– Lex, per favore, ascoltami… io…

– Ti ho detto di non chiamarmi così!

– Mister, mi scusi, per favore devo parlarle. So degli antidolorifici… L’ho vista prenderli, non sono stupido.

Lex si irrigidì – Non so di cosa tu stia parlando.

– È successo dopo l’incidente, vero?

Lex tremò per la rabbia repressa, strinse i pugni e Clark fu sicuro che lo avrebbe colpito, poi inspirò, si ricompose, si versò un bicchier d’acqua e rispose con un tono di voce normale – Tu non devi nemmeno azzardarti a parlarne.

– Lex…

– Mister!

– No, Lex, che io sia dannato! Voglio parlare con te! Non con il Mister. Ero praticamente impazzito dal terrore, ero al telefono quando ti sei schiantato…. E poi non ho sentito più niente. Se non avessi passato tutta la notte in guardina sarei corso da te.

– Ma non mi dire… molto comodo.

– Non… non mi parlare così! Volevo venire a trovarti, non sai quanto! E i miei mi hanno chiuso in casa, non volevano che avessi niente a che fare con te, cambiavano persino canale quando passavano notizie su di te. È stato un incubo.

Lex si lasciò sfuggire una risatina amara – Un incubo? Devi provare a ritrovarti con le costole che ti traforano gli organi interni, lo sterno spezzato come un grissino e entrambi i femori in frantumi. E il tuo migliore amico che non ti risponde neppure al telefono

– Lo so, lo so che non era niente paragonato a quello che hai passato tu! Credi davvero che non me ne importasse?

Le labbra di Lex si contorsero in una smorfia di derisione – Mi hai ampiamente dimostrato quanto te ne importava.

– Lex, ti giuro, ti giuro, avrei fatto qualsiasi cosa pur di vederti. Tu… Tu non hai idea di quanto fossi importante per me.

– No, infatti non lo so. E non ho neanche intenzione di ascoltarti, perciò vattene, se non vuoi che chiami la sicurezza e ti faccia sbattere fuori.

– Lex, per favore, ascoltami. Lois ti sta addosso, sa tutto del Fentanil e degli altri medicinali. Ti prego dammi retta.

– Voglio proprio vederla a dimostrare qualcosa. – Lex prese un altro sorso d’acqua e Clark vide la mano tremargli, mentre riappoggiava il bicchiere.

– Andiamo, Lex, credi veramente che Lois, Lois! Non sia in grado di trovare le prove, quando l’ho capito persino io? Se non andrai in riabilitazione, ti salterà al collo come un mastino.

– Non ho bisogno di nessuna riabilitazione.

Clark prese una decisione in una secondo. Scansò Lex e superò d’un balzo la scrivania. Spalancò uno dei cassetti e lo rovesciò sul piano.

Era pieno di antidolorifici.

Lex sbiancò sotto l’abbronzatura – Sono per la terapia del dolore. Il mio medico potrà confermarlo.

Clark sospirò – Quando sei arrivato al Metropolis non speravo certo che mi avresti perdonato, ma ero lo stesso contento di vederti. Lex, se avessi potuto rinunciare alla mia carriera per la tua, lo avrei fatto subito, credimi.

– Non hai mai fatto altro che mentirmi.

Clark girò intorno alla scrivania – Non l’ho mai fatto Lex, potessi morire.

– Ti odio, Clark. Vattene da qui o, ti giuro su Dio, ti faccio buttare fuori dalla squadra e non ti farò più giocare in nessuna…
Clark lo abbracciò premendogli il viso contro il cranio. Lex profumava di colonia.

– Odiami pure, ma ti prego, lasciati aiutare.

Lex gli tirò un pugno nello stomaco.

–  Ahia! Non ce n’era bisogno.

– Lasciami andare subito razza di bue troppo cresciuto.

– Scordatelo Lex, non finché non mi avrai ascoltato–  Clark allontanò il viso tanto quanto bastava per guardarlo in quei suoi occhi verdi e penetranti. – Ti adoravo, da ragazzino. E ti adoro ancora adesso. Buttami fuori dalla squadra, se vuoi, rovinami la carriera, ma non posso restare a guardare mentre ti distruggi.

Clark non si rese neanche conto di essersi chinato, prima di sentire le sue labbra contro le sue. Clark non chiuse gli occhi, aspettava quel momento da troppo tempo, per perderne anche solo un secondo.

La sorpresa ritrasformò il volto di Lex in quello di quel ragazzo di dieci anni prima, la sua maschera di impassibilità che si frantumava, lasciandolo nudo e spaventato, senza fiato per un istante. Lo afferrò per il collo della t-shirt con entrambe le mani, ringhiandogli in faccia – Se mi stai prendendo in giro, io ti giuro…

Clark rise – Andiamo, Lex, hai sempre detto che non sarei in grado di mentire neppure per salvarmi la vita.

Inclinò il viso per baciarlo di nuovo e questa volta Lex gli artigliò le spalle, schiacciandosi contro di lui.

La prima cosa che Clark disse quando si separarono fu – Andrai in rehab?

– Parlerò con il mio analista, se è quello che serve per scrollarmi di dosso Lois Lane.
– Lex!

– E andrò in rehab se il mio ufficio stampa riuscirà a ricavarne buona pubblicità – incrociò le braccia sul petto. – Non pensare neanche per un momento che lo faccia per te.

– Come ti pare, Lex, come ti pare… Credi che potrei giocare domenica?

– Scordatelo.


 
  
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