Questa OS partecipa all’iniziativa A summer of secrets del gruppo Hurt/Comfort Italia –
Fanart and Fanfiction – GRUPPO NUOVO
Fandom: RPF Kpop/gruppo BTS
Personaggi: Namjoon, Hoseok
Genere: H/C canon, hiatus
Destinatario: Gi Weasley
Prompt: Namjoon si ferisce in cucina, chiunque lo abbia lasciato in cucina
da solo adesso deve prendersi le sue responsabilità e aiutare il malato.
L’appartamento
Kim, non lontano dal centro città, rappresentava un angolo di goduta e
desiderata solitudine distanziata da anni trascorsi in una convivenza
obbligata, dettata da regimi di lavoro stretti e mai, mai un attimo di tregua
per ricrearsi uno spazio personale, unico, distante da tutti. La quiete per
Namjoon era un’utopia raggiunta e portata avanti con successo dopo molto tempo
passato a convivere con altre persone – tante persone, a volte troppe. Il
ragazzo era tornato più volte sull’argomento “pausa lavorativa dal gruppo”,
pensando che in fondo non fosse stata poi un’idea tanto malvagia nonostante le
prime conseguenze che a breve si sarebbero mostrare. Separare i Bangtan e
permettere a ogni membro del gruppo di seguire la sua linea, creando la propria
storia e dandosi nuovi obiettivi, era stata una scelta ponderata, costruita,
discussa e pure criticata, ma in fondo… avevano raggiunto obiettivi
inimmaginabili e si ritenevano soddisfatti di ciò che avevano creato e portato
avanti come un unico insieme fatto di tante teste e un solo, grande cuore.
Il primo periodo per lui era stato particolare, certo: abituarsi a ritmi
completamente diversi durante la fase di stanziamento non era stato facile, ma
tutto sommato pensava di esserci riuscito, e pure bene. Viaggi, mostre d’arte,
spettacoli di cultura avevano riempito le prime settimane, dove il capitolo
Namjoon in arte RM dei BTS, cantante e produttore, era stato accantonato per
lasciare spazio al sognatore, allo scrittore, all’osservatore attento e
innamorato del mondo e delle emozioni.
Sentirsi giornalmente coi propri ex colleghi, quando possibile, era un
toccasana, una spruzzata di colori vivaci, una nota musicale vibrante; tornare
però a quella sua casa, a quel suo piccolo mondo privato, gli permetteva di
respirare di nuovo, incamerare ossigeno buono.
Non avrebbe certo immaginato che uno stupido incidente l’avrebbe poi portato a
riavere la compagnia costante di uno dei suoi più cari amici, disposto ad
accantonare il suo tempo e i suoi impegni e bloccare i suoi programmi per stare
accanto a quello che fondamentalmente era e rimaneva un disastro perseguitato
dalla sfortuna.
Hoseok era sicuramente una delle persone più impegnate del periodo: subito dopo
la dichiarazione di fermo dalle attività in gruppo aveva già spalancato le
porte sulle esibizioni da solista, pubblicando un album di inediti che
rappresentava a pieno la sua nuova fase, una nuova vita, il suo lato più
profondo di autore. Testi, lezioni, lavoro e registrazione avevano prosciugato
ogni singolo momento della sua esistenza convivendo con la consapevolezza di
dover dare il massimo, sentendosi gli occhi dell’intero fandom addosso.
Una grande responsabilità la sua: fare da apripista non era cosa da poco,
soprattutto in un momento di tale instabilità. Anche perché, fondamentalmente,
si sentiva parecchio solo. Molto. Tanto da provare grande difficoltà a godere
dei pochi momenti liberi tra una lezione all’altra, fino ad arrivare alle
interviste, agli spettacoli, ai grandi palchi.
E tutto finì, finalmente. Dopo la festa dedicata alla nuova uscita e a una
esibizione straordinaria all’estero, poté tirare fiato, riprendere a contare
con calma i minuti della propria giornata e accorgersi di quanto fosse lunga.
Lunga e vuota. Lì Hoseok capì quanto i Bangtan per lui fossero una famiglia, ma
non soltanto: erano l’unica cosa che tamponava e riempiva la sua quotidianità.
Era un animale sociale come pochi altri, e come essi aveva bisogno di avere
qualcuno sempre intorno e respirare confusione, presenza, anime in caos.
Quando Namjoon un giorno gli propose di raggiungerlo per farsi un’abbuffata
assieme come ai vecchi tempi, promettendo tante cose buone, cibo a volontà e
risate, Hoseok non se lo fece neppure ripetere. Non era stato difficile per
quest’ultimo riuscire a trovare un momento adatto: con la scusa
dell’affaticamento dal troppo lavoro lasciò l’agenda a casa, disdisse le
lezioni della giornata successiva e raggiunse l’amico con rinnovato entusiasmo,
e perché no, il petto più leggero.
«Hobi? Potresti venire?» Namjoon pareva relativamente tranquillo nel
pronunciare quelle poche, semplici parole a volume sostenuto. Tanto da non
destare alcun sospetto in Hoseok che rispose a monosillabo dal piano di sopra,
scendendo le scale con la solita energia che lo contraddistingueva.
L’appartamento su due piani era spazioso, luminoso e minimalista, un po’ come
si sarebbe aspettato di vederlo, tranne per lo studio: quello era un completo
disastro, l’ordine si fermava esattamente davanti alla porta, rifiutandosi di
entrare. Perché in fondo, l’anima di un artista aveva anche bisogno di un posto
da vivere e dove creare. Hoseok ne rise divertito riconoscendo il caro vecchio
collega in tutte le sue sfumature, si sentiva a casa in un certo senso anche se
il gusto dell’arredo e la scelta dei colori non corrispondevano neanche
lontanamente a quelli che lui stesso aveva utilizzato per la propria abitazione.
«Joon, dimmi, cosa c’è? Hai fatto qualche danno come
al solito?» Lo diceva ridendo, senza darci peso davvero: un po’ come una
abitudine, una frase fatta.
Ed era lì che, forse per la prima volta, sbagliò a interpretare quella
improvvisa quiete: niente imprecazioni provenienti dalla cucina, urla o scenate.
Niente. Soltanto un tonfo udito un minuto prima. Tutto pareva perfettamente in
ordine tranne per Namjoon: aveva una strana espressione dipinta in volto, teneva
ancora stretta una pinza in metallo, l’altra mano sospesa a mezz’aria.
«Ehi, tutto ok?» Hoseok avvertì qualcosa, non sapeva bene cosa fosse ma la
sensazione gli si impastò in bocca per poi rimanergli incastrata in gola. Non
scendeva, anche a deglutire in più tentativi. Distolse l’attenzione dal volto
del collega, perdendosi per un attimo nella vastità della grande cucina
luminosa notando solo in un secondo, orribile momento un pentolino rovesciato
malamente sul pavimento. Un liquido denso si espandeva seguendo la direzione
delle fughe tra le piastrelle con una calma quasi snervante.
«Ma che hai combinato? Ti lascio qui da solo meno di dieci minuti e combini questo
disastro?»
Namjoon scompigliò i capelli biondi, le dita tremavano leggermente. «Hobi,
penso di avere un problema.»
«Certo che ce l’hai, ogni cosa che tocchi praticamente la distruggi! Fa niente
dai, ti aiuto a pulire e poi penseremo a che preparare per cena. Su, non stare
lì impalato, che aspetti? Prendi della carta e comincia a tamponare, dai.»
Il ragazzo non si mosse, non seguì le istruzioni ricevute e abbassò lo sguardo,
la gamba destra poco dopo cedette e si vide costretto a poggiarsi al lavello
prima di finire a terra. «C’è qualcosa che non va…»
«Sì, sì, vabbé, ho capito. Faccio io, però lo
straccio lo passi tu, ok? Joon… Joon?»
«Chiama… chiama qualcuno…»
«Signor Kim, la situazione ora è stazionaria, non si preoccupi. Abbiamo
disinfettato la zona interessata, trattata con crema all’argento per lenire
l’ustione evitando una eventuale infezione e fasciata con garza grassa e benda.
Naturalmente dovrà stare attento, non dovrà bagnare, lavare con sapone,
sfregare in alcun modo. Non può permettersi di sbagliare, ogni due giorni dovrà
presentarsi in ambulatorio qui, al primo piano, per ripetere la procedura e
cambiare la fasciatura. Ora le lascio la prescrizione per i farmaci, mi
raccomando li assuma con questo orario e stia a riposo fino a guarigione
avvenuta. Le chiedo di stare lontano dall’olio bollente per un po’, poteva
andare anche peggio.» La dottoressa sorrise comprensiva al paziente recuperando
i referti dalla stampante: la visita era finita con tempi decenti tutto
sommato, per una volta la fortuna nella sfortuna pareva sorridere a Namjoon. Il
ragazzo raccolse la documentazione sbilanciandosi sulla scrivania
dell’ambulatorio numero 2, non era per niente facile muoversi agilmente con una
coscia fasciata e l’orlo dei pantaloni di pigiama corti infilato all’interno
degli slip: si sentiva un idiota non tanto per l’aspetto fin troppo estivo a novembre,
ma per il motivo stupido per cui era finito in ospedale. Rovesciare il sale dal
ripiano sul piatto, e cercando di sistemare il danno far cadere la pinza di
metallo dal piatto al pavimento della cucina per poi risalire, urtare col
braccio il manico del pentolino dell’olio bollente e rovesciarselo addosso…
Uno scemo, si sentì uno scemo ed era pure arrossito nel raccontarlo
all’infermiera che l’aveva accolto: il tutto aveva veramente dell’assurdo.
Salutò cordiale la dottoressa per poi uscire con un grande sospiro. La gamba
tirava e bruciava, bruciava terribilmente. Anche stringendo i denti, come
faceva di solito per riuscire a distrarsi dal dolore, non era minimamente
sufficiente in quel momento: “basterà un antidolorifico, e ciao.”
Certo.
Non ne era convinto nemmeno lui. E neanche i documenti che teneva stretti in
mano.
Quando la porta della stanza si aprì mostrando la figura curva di un Namjoon
stanco e ancora frastornato per l’accaduto, Hoseok si avvicinò rapido con la
sedia a rotelle data in dotazione all’ingresso del Pronto Soccorso, lasciandone
la presa soltanto per abbracciare l’amico e insultarlo allo stesso tempo.
«Tu sei uno stupido, lo sai? Uno stupido! Ti rendi conto di cosa mi hai fatto
provare?!» Il ragazzo non si accorse nemmeno di stare per piangere, una
reazione forse eccessiva la sua ma la preoccupazione ormai aveva lasciato
spazio al senso di colpa, ed era proprio quello che aveva scatenato quella
risposta fisica. «Guardati, ma che hanno combinato per mandarti in giro con una
fasciatura così grande?»
Namjoon si aggrappò alla sua spalla allontanandolo quel tanto che serviva per
respirare a dovere per poi scoppiare a ridere.
Rideva, lui.
Un po’ meno gli altri pazienti del reparto, una decina di persone irritata per
lo slittamento degli orari degli appuntamenti, vista l’emergenza arrivata senza
preavviso. Rideva anche se la gamba bruciava, e continuava a farlo pure un po’
per sé, per esorcizzare tutto ciò che aveva vissuto su quella pelle bianca che era
ricoperta da bolle rigonfie di liquido giallognolo. E lì l’aveva sentito il
corpo ardere e l’olio mangiarsi gli strati fin dentro al muscolo. Lo sentiva
ancora adesso ma evitava di far preoccupare l’altro che pareva messo non molto
meglio. «Ho una fame nera, non abbiamo neanche pranzato… andiamo a mangiare al
bar qui vicino? Penso qualcuno qui voglia linciarmi, meglio spostarci prima che
la vecchietta mi lanci addosso la stampella…»
Hoseok era poco convinto anche se aveva goduto di quel sorriso sul volto
particolarmente pallido. Tentò di recuperare l’infortunato e farlo sedere così
da dargli modo di spostarsi con facilità ma Namjoon mostrò di non gradire
l’iniziativa – orgoglio maledetto, il suo. Anzi, partì poggiando il braccio al
muro color crema per scaricare parte del peso: idea pessima perché si sbilanciò
e cadde in ginocchio su quei piastrellati che stridevano sempre per un niente. L’amico
naturalmente era già su di lui a sostenerlo per l’avambraccio poggiandogli
sulle spalle la felpa, quella che aveva gettato all’interno del taxi
riscontrando una temperatura un filino troppo bassa per il vestiario di casa
con cui erano usciti: preso dal panico aveva chiamato il servizio di trasporto,
non aveva minimamente pensato a prendere la propria macchina e aveva caricato di
peso il ragazzo dopo aver raccattato a caso un felpone
appeso all’appendiabiti accanto alla porta d’ingresso. «Joon,
lascia fare per favore. Questa sedia è fatta apposta, siediti e ti porto io.»
Dura, era dura perché in fondo Namjoon si era prodigato spesso per gli altri ma
al contempo trovava fastidioso dover essere servito poiché incapace di muoversi
agevolmente; si dava mentalmente dell’imbranato ma non poté far altro che
seguire il consiglio e cedere, accasciandosi sulla seduta scomoda. Sbuffò, si
sentì ridicolo quando cercò di sollevare il poggia piedi rinunciando al terzo
tentativo perché rompere il perno di uno di quei cosi non
sarebbe stata certo una grande idea. Ecco, ora Hoseok gli si inginocchiava
accanto per risolvere anche una minuzia simile… che poteva farci se era
perseguitato da una sorta di cattiva sorte selettiva che colpiva qualsiasi cosa
lui toccasse? Sentì il sedere ballare e la coscia tremane su quella benedetta
sedia a gettoni, vibrava come uno di quei pupazzi a cui si tira la cordicella:
se l’era attirata di nuovo addosso la sfiga, stavolta però bruciava sul serio,
e non solo nell’orgoglio.
«Senti, facciamo che stanotte dormo qui sul divano, va bene?» Namjoon non ci
avrebbe nemmeno provato a fare le scale, assolutamente: il sottopelle pulsava e
bruciava in maniera infernale, la sola idea di piegare di nuovo la gamba per
fare un altro passo gli faceva venire la nausea. Hoseok l’aveva accompagnato
dal taxi a casa sobbarcandosi il suo peso sulle spalle – e sulla coscienza,
quella sì che adesso pesava – lasciandosi andare a uno sbuffo esasperato nel
momento in cui il ragazzo sedette sul comodo sofà in morbido tessuto. Un divano
letto, ecco cosa avrebbe potuto regalargli alla prima occasione speciale, ricordava
di averlo visto addormentarcisi sopra innumerevoli volte nei vecchi dormitori.
Quanto sarebbe servito veramente, stavolta.
I due si guardarono immersi nel silenzio di quel tardo pomeriggio nuvoloso, e
d’improvviso Hoseok avvertì una certa punta di disagio: non era casa sua, non
era più la sua vita condivisa, si ritrovava nello spazio privato di qualcun
altro e in una situazione di emergenza. Come avrebbe dovuto muoversi lì? Tutta
la tranquilla nonchalance con cui era entrato qualche ora prima sembrava
svanita nel nulla, evaporata nel momento in cui aveva realizzato di essere in
casa di altri, e che il proprietario aveva avuto un incidente non certo
indifferente. Si sarebbe caricato volentieri Namjoon sulle spalle per portarlo
a riposare in camera sua invece di lasciarlo lì in salotto. Era contrariato
all’idea ed espose il suo punto di vista con semplicità proprio: «Col cazzo.»
«Come, scusa?» Namjoon sputò una risata spontanea. «Posso dormire dove voglio,
non credi? Il riscaldamento è acceso, la coperta è qui sul divano e come
cuscino, beh… posso usare uno di quelli, no?» Mostrò fieramente i tre cuscini
impilati sulla poltrona di lato.
«Sì, come no. E la cervicale?» Ottima osservazione, bravo Hobi, si disse
mentalmente segnando un ipotetico punto.
«Guarda che non sono vecchio, anzi! Che vuoi che sia dormire qui, per me?»
Hoseok rise ricordando gli antinfiammatori che il collega ingoiava drogandocisi
pure per cercare di superare i dolori alla schiena dell’ultima volta che aveva
dormito su qualcosa di diverso dal proprio materasso. «Ma dai, non ci sono
problemi, sul serio. Posso portarti su io.»
E come? Domanda scomoda, visto che non avevano un montascale o un ascensore.
Nemmeno la capacità del super salto.
«Dai, vieni, ti ci porto in braccio.» Hoseok guardò Namjoon, Namjoon lo guardò
a sua volta: il principe salvato dal prode cavaliere? L’attacco di risa
scatenato dalla scena non riuscì a mascherarlo in alcun modo, stava diventando
contagioso.
«Sono serio, Joon. Posso tranquillamente caricarti in
spalla e portarti in camera. Quanto saranno? Toh, cinque o sei scalini?»
No.
Sedici, e le scale curvavano pure, con quel simpatico corrimano
ingombrantissimo.
L’infortunato sospirò, sapeva che non l’avrebbe avuta vinta così tanto
facilmente.
«Buonanotte, allora.» Namjoon si accoccolò sotto alla coperta di pile,
gongolando nella meritata conquista del proprio posto letto in salotto: non
sarebbe stato tanto comodo ma le cose fondamentali erano a portata di mano, dal
bagno al frigorifero, e poi avere a disposizione la televisione in caso non
fosse riuscito a prendere sonno… cosa avrebbe potuto sperare di più?
Un materasso, e la solitudine.
Sì, quello l’avrebbe voluto. Perché Hoseok si era proposto per tenergli
compagnia almeno quella notte, per aiutarlo in qualsiasi momento ne avesse
avuto bisogno. Sentire gli occhi di
Hoseok addosso quando faceva finta di dormire era a tratti inquietante: gli
avrebbe sussurrato volentieri di non ritenere necessaria tutta quella premura
ma non se l’era sentita. Ricordava in modo vivido le espressioni sul volto
dell’amico, lui era così cristallino nel mostrare quello che stava vivendo che
era impossibile non rendersi conto degli stati d’animo che lo stavano
massacrando. Ansia, senso di colpa, tensione, tutto scritto a chiare lettere
nelle iridi scure e sulle occhiaie violacee sfumate sotto agli occhi stanchi.
Le poche auto del traffico rendevano il silenzio meno assordante, anche se col
passare della prima parte della nottata i suoni si erano fatti più lontani.
«Joon, tutto bene?» Hoseok si era addormentato più
volte accoccolato sulla poltrona, una chiazza color crema che staccava dal
pigiama blu stropicciato, prestato per l’occasione, di chi si era rigirato
almeno una decina di volte nel tentativo di combattere con la solita insonnia e
un malessere lontano che gli stava mangiando ben bene le pareti dello stomaco.
Namjoon non poteva continuare a evitarlo così, in fondo era palese non
riuscisse a prendere sonno pure lui: a tradirlo i continui cambi di posizione e
il frusciare dei propri vestiti sul copridivano. Non sapeva fingere nemmeno
così bene e si detestava anche per questo – una delle cose da aggiungere alla
lista dei difetti che credeva di avere e di voler annotare. “Guarda, sto una
meraviglia. Mi sento rincoglionito dalla botta di farmaci, fa un male cane, sto scomodo da fare schifo e mi sento un cretino a stare con
la gamba sollevata fuori dalla coperta.”
«Tutto bene, Hobi, cerca di dormire.» Capacità attoriale pari a zero.
«Sicuro?»
“No, te lo dico solo perché non ho voglia di farmi rompere i coglioni e mi
sento pure in colpa perché devo andare al bagno. E non ci arrivo!”
«Sicuro. Ora dormiamo, altrimenti ti spedisco in camera degli ospiti. Anzi,
grazie… cioè, grazie non solo per la faccenda dell’ospedale.» Namjoon arrossì,
contò di fare affidamento alla poca luce presente nel salotto del suo
appartamento per evitare di farsi scoprire così fastidiosamente vulnerabile. Lo
era, punto.
«Hai finito?»
La risposta non tardò ad arrivare, lo sciacquone era stato più che eloquente.
«Joon, posso entrare?» Hoseok non attese risposta e
scostò la porta a scomparsa del bagno: era una abitudine datata entrare senza
avvertire, non ci aveva fatto nemmeno caso, un po’ come qualche tempo prima,
quando ancora condividevano molto delle loro vite. Si bloccò all’altezza della
vasca da bagno, poco più di un passo sulle piastrelle dall’effetto marmorizzato:
Namjoon era chino sul lavello, le nocche sbiancate dalla forza che stava
imprimendo alla stretta sulla ceramica.
Piangeva.
Stava singhiozzando, il volto bagnato era nascosto dai capelli chiari
disordinati ma era chiaro stesse piangendo. La schiena curva era scossa dagli
spasmi, la gamba ferita era rigida, innaturale, una piega contratta che non
avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. Non aveva il coraggio di
alzare la testa e guardarlo. Farsi vedere così era tanto imbarazzante da
cancellare la vicinanza complice che li aveva sempre contraddistinti.
L’amico non fiatò, tanto sarebbe stato completamente inutile. Raddrizzò Namjoon
e lo accompagnò fino alla vasca, facendolo accomodare; recuperò uno degli
asciugamani e lo inumidì a sufficienza per poi pulirgli il volto stanco,
tamponando con attenzione. Quest’ultimo continuava a tenere gli occhi serrati,
si vergognava, sentirsi debole lo faceva sentire a disagio tanto da maledire
quello stesso giorno; non protestò quando il pettine giocò con i nodi
insistenti, e non si scostò mentre Hoseok gli detergeva il viso con uno di quei
famosi prodotti da skin care che tanto andavano di
moda ultimamente, massaggiandogli la pelle con delicatezza. Mugolò soltanto
quando dovette rialzarsi scivolando coi piedi scalzi sul pavimento lucido,
trattenuto a fatica dall’altro.
Le palpebre si alzarono di scatto, erano vicini, tanto da superare a malapena
pochi centimetri di distanza.
Troppo vicini.
«Andiamo.» Disse Hoseok passandogli il braccio al di sotto della spalla,
caricandosi completamente il suo peso e assicurandosi di togliere l’onere alla
gamba ustionata. Piano raggiunsero la sala, adagiò un
Namjoon cereo e nauseato sul divano con la maggior delicatezza possibile, lo
ricoprì fino al petto assicurandosi di lasciare scoperta la gamba destra.
Pochi minuti e il respiro affannato lasciò spazio a un sonno pesante, agitato.
L’ospite si chinò sull’amico, concentrandosi sul volto teso e disturbato,
carezzandogli lo zigomo con le nocche. Un tocco rapido, si staccò come scottato
per poi dirigersi sulla poltrona e rimpicciolirsi nuovamente per occupare meno
spazio possibile; solo al risveglio avrebbe dato il giusto peso agli impegni,
all’accaduto e al proprio lavoro.