Philippe era al riparo già da un po’, non avrebbe saputo dire se da ore o minuti; persino la capacità di indovinare il trascorrere del tempo guardando il cielo, che aveva guadagnato verso la fine del periodo trascorso con Isabeau e Navarre prima dello scioglimento della maledizione, sembrava rifiutarsi di venirgli in soccorso. Panico era ciò che provava; panico e senso di colpa.
Certo, era riuscito a fuggire, ma Gérard, appena ritrovato, era già perduto fra le grinfie del nemico. Era quella che Imperius gli aveva insegnato venisse definita una “vittoria di porro”, o “di Pirro”, non ricordava, ma di fatto: una vittoria dal costo talmente alto da avere il sapore di una sconfitta.
Ma Gérard era poi davvero perduto?
Forse avrebbe dovuto aver fede: dopo tutto era riuscito a evadere dalle prigioni di Aguillon, traguardo che non aveva avuto precedenti, o almeno questo era quanto il Vescovo aveva sempre voluto far credere a tutti. Il suo povero cuore di topo, tuttavia, non voleva saperne di smettere di battere all’impazzata, e pur riconoscendo le proprie fortune, non riusciva in alcun modo a scovare traccia d’autentico ottimismo sotto alla paura che lo pervadeva, e che sembrava aumentare col passare del tempo invece d’attenuarsi. Era lieto di trovarsi in mezzo al bosco, non solo perché lo nascondeva allo sguardo del nemico, ma perché aveva l’impressione che le fronde e i cespugli potessero attutire il suono del suo battito cardiaco fuori controllo. Avrebbe voluto guardare il cielo, ma la fitta vegetazione glielo impediva; pur essendo pieno giorno – a causa delle fronde che tanto strettamente s’intrecciavano sopra la sua testa – fra gli alberi era quasi buio. Gli angoli della bocca gli si piegarono in giù e a stento riuscì a trattenere le lacrime mentre con un filo di voce mormorava: “Signore, non mi hai abbandonato; vero? Il tuo servitore, Philippe, non ha mai avuto tanto bisogno di te. Sono sicuro, Signore, che non mi avresti mai fatto incontrare il mio perduto fratello, di cui neppure avevo serbato memoria, solo per farmelo perdere subito dopo. Ma allora, Signore, qual è il tuo piano?”.
Terminò facendo fatica a non singhiozzare. Forse la cosa più sensata sarebbe stata tornare ad Aguillon e chiedere aiuto, ma nella mente già vedeva l’espressione severa di Navarre e quella preoccupata di Isabeau: lui e Gérard erano partiti per aiutarli, invece adesso si sarebbero trasformati in un nuovo grattacapo, un’altra vita da salvare, come se i civili di Aguillon non fossero già una responsabilità sufficientemente gravosa. C’era poi un altro problema, ben più grave: rischiava di non fare in tempo, di arrivare ad Aguillon con suo fratello già appeso alla forca. Considerando questa possibilità, la sola idea di allontanarsi ulteriormente da lui, seppur per andare a chiedere aiuto, lo faceva sentire come se una bestia gli avesse strappato il cuore e l’avesse inghiottito.
Da qui cominciò a pensare al profeta Giona: inghiottito per tre giorni e tre notti da una balena come risultato della tentata fuga da ciò che il Signore gli aveva ordinato di fare. Esattamente così sarebbe stato anche col suo cuore se fosse fuggito da quel che implicitamente Dio si aspettava che lui facesse.
Doveva trovare il modo di liberare Gérard, presto, e dunque da solo.