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Autore: chykopon    14/08/2022    3 recensioni
Ci sono giorni come questo in cui Eddie sembra più propenso a chiudere tutto il mondo fuori. Eddie parla di quello che accade della realtà, fingendo che non sia quella che è. Chiede e scherza e ride come se fossero ancora seduti sul divano di casa di Steve, l’uno tra le braccia dell’altro, e nient’altro che le loro voci a saturare le pareti.
Quando lo fa, Steve riesce ad illudersi almeno per il tempo della loro chiacchierata che tutto vada bene, che tutto sia a posto.
Ci sono altri giorni, invece, in cui Eddie non parla proprio e lo ascolta e basta. Altri ancora in cui nessuno dei due parla e semplicemente si guardano, e c’è un mondo intero da leggere l’uno negli occhi dell’altro.
[ Steddie | hurt no comfort | future fic, set in 1989 ]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Eddie Munson, Steve Harrington
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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È la mattina del 24 Gennaio del 1989, il corpo di Ted Bundy è ancora caldo, ma tutto il paese sta brindando alla sua condanna a morte.

È la mattina del 24 Gennaio e Steve non si è mai interessato troppo dei casi di cronaca, perché pensa di aver vissuto un numero sufficiente di traumi nella sua adolescenza, da non aver bisogno di ulteriori cattive notizie per cercare – infruttuosamente – di dormire sonni tranquilli; eppure, da quando ha letto sul giornale la data dell’esecuzione, non riesce a togliersi dalla testa questo pensiero.

“Harrington?”

Potrebbe, ad esempio, concentrarsi sul colore grigio ed asettico delle pareti, o sull’occhiata confusa che gli rivolge Eddie in questo momento, ma la sua mente torna sempre lì. È la mattina del 24 Gennaio del 1989 e Steve pensa che potrebbe vomitare da un momento all’altro, perché certi pensieri lo tormentano da giorni e gli danno la nausea.

“Tutto ok?” chiede Eddie.

“Sì—sì, tutto ok. Tu come stai?”

Eddie sembra invecchiato di almeno un paio di lustri in soli tre anni, eppure il suo sorriso stanco è sempre uguale.

“Le solite cose... sai com’è, non è che succeda nulla di particolarmente entusiasmante da queste parti.”

Steve sa che sta mentendo. Per questo, mette per un attimo da parte qualsiasi riflessione assolutamente irrazionale e fa piovere lo sguardo sul livido che Eddie sfoggia vicino allo zigomo. È viola e grande, gli prende una considerevole fetta del viso ed è difficile da ignorare.

“Harrington,” lo richiama, “sto bene.”

Eddie non sta bene. Steve questo lo sa, ma sa anche di non doverlo sottolineare.

La parola sbagliata e tutto potrebbe andare molto peggio di quello che – spera – essere solo la conseguenza di un pugno sulla faccia dell’altro.

Steve deglutisce e diverge lo sguardo. Tamburella le dita sul ripiano che ha di fronte, perché ci sono tante cose che vorrebbe fare con quelle mani e che non può fare.

Ad esempio, vorrebbe allungare la destra per prendere la guancia di Eddie nel palmo, lasciargli scivolare una carezza sul viso, disegnare immaginifici cerchi con il pollice e sussurrargli che andrà tutto bene.

“Come sta Henderson?”

Steve rialza lo sguardo davanti alla domanda di Eddie e per un attimo, la risposta gli scivola via dalle labbra.

Le prime volte, gli occhi di Eddie erano lucidi e pieni di paura, adesso hanno comunque quella patina liquida a coprire le iridi scure, ma sono solo spossati. Questo mette in allarme Steve per l’esatta durata di mezzo secondo, prima di farsi coraggio per entrambi e sospirare.

“Bene.”

Il silenzio, però, dà fastidio a Steve, soprattutto in queste occasioni, quindi si affretta a riprendere parola: “...è solo nervoso, perché da quando gli hanno detto che potrebbe essere ammesso alla Caltech, non fa altro che stressarsi su questo— te lo immagini sotto il sole di Pasadena?”

Steve sbuffa una risata e con sua grande sorpresa, per quanto spento, Eddie lo segue a ruota.

“Se c’è qualcuno di cui so di non dovermi preoccupare è proprio Henderson, se la caverà ovunque dovesse finire!”

Steve sa che Eddie ha ragione, e vuole rispondersi che è per questo che non riesce proprio a preoccuparsi per Dustin e gli altri gremlins. La verità, però, Steve la sa, ed è che nella sua testa non c’è lo spazio per peoccuparsi di nient’altro, se non di Eddie.

“E gli altri?” domanda Eddie dopo qualche istante.

Lo fa chinando la testa in avanti e volgendo lo sguardo in un punto imprecisato dell’ambiente che lo circonda. Steve gliel’ha già visto fare in altre occasioni, è una cosa, tra le tante, che conosce di Eddie. È il suo modo di organizzare i pensieri, di dissimulare quello che sta provando, perché non vuole che gli venga letto in faccia.

Il punto è che Steve certe cose le ha imparate in favore di tutto il tempo che hanno speso assieme. Ed una volta gli avrebbe semplicemente offerto una spalla su cui posare la nuca per permettergli di chiudere gli occhi e semplicemente smettere di pensare.

“Sinclair potrebbe ricevere una borsa di studio per il basket, Wheeler... non ho la più pallida idea di che cosa abbia deciso, ma ha ancora tutto il tempo del mondo per rifletterci su—”

“E a Chicago? Come sta andando?”

Questo Eddie glielo chiede ogni singola volta.

“Tutto bene,” è la risposta che Steve gli dà altrettanto spesso.

Ci sono giorni in cui elabora oltre, e giorni, come oggi, in cui non riesce a farlo e si sente in colpa per questo. Perché li vede quei due occhi che lo fissano curiosi, disperati per avere anche solo un briciolo di distrazione, un grammo di qualcosa di cui felicitarsi per tirare avanti.

“La settimana scorsa è passata Robin a trovarmi,” Steve ci prova, almeno, a dare a Eddie quello che chiede, “non saprei dirti se Los Angeles le stia facendo bene o male—”

Steve ci scherza su per evitare di dirgli che a lui Chicago non piace. Non ha ragioni di farsela piacere, perché fuori dal fatto che sia molto più vicina a Michigan City di quanto non lo sia Hawkins, è una città che non ha mai avuto davvero un grande appeal per lui.

L’Illinois, in fondo, Steve non se l’è mai immaginato prima di adesso, anche se si trova lì al confine. Avrebbe potuto se lui ed Eddie avessero avuto il tempo di mettersi al volante per quel road-trip di cui hanno parlato per settimane.

Forse Chicago piacerebbe a Steve se ci fosse anche Eddie. Ma a questo non vuole pensarci troppo adesso.

“Nel senso che continua a citare film di cui non conosci neanche il titolo?”

“Esattamente!”

“Oh, andiamo, Harrington, hai lavorato per due anni in un videonoleggio, non la biasimo per tormentarti per la tua assoluta mancanza di cultura cinematografica—”

“Ehi!”

Ci sono giorni come questo in cui Eddie sembra più propenso a chiudere tutto il mondo fuori. Eddie parla di quello che accade della realtà, fingendo che non sia quella che è. Chiede e scherza e ride come se fossero ancora seduti sul divano di casa di Steve, l’uno tra le braccia dell’altro, e nient’altro che le loro voci a saturare le pareti.

Quando lo fa, Steve riesce ad illudersi almeno per il tempo della loro chiacchierata che tutto vada bene, che tutto sia a posto.

Ci sono altri giorni, invece, in cui Eddie non parla proprio e lo ascolta e basta. Altri ancora in cui nessuno dei due parla e semplicemente si guardano, e c’è un mondo intero da leggere l’uno negli occhi dell’altro.

Il punto è che ci sono tante cose che Steve vorrebbe fare e dire e per le quali due giorni alla settimana – quando la fortuna gira dalla loro parte – non sono sufficiente e che, comunque, non potrebbe lo stesso permettersi di dire o fare.

Ad esempio, capita che qualche volta si distragga così tanto da lasciarsi blandire dal pensiero di volerlo baciare. Al punto in cui, se solo chiudesse gli occhi, riuscirebbe ad immaginare alla perfezione l’ultima volta in cui ha potuto farlo.

“Vorrebbe venirti a trovare...”

“Mh?”

“Robin.”

Steve si accorge solo adesso che Eddie deve essersi perso un attimo nei propri pensieri.

“Robin vorrebbe venirti a trovare. Tra due giovedì,” ripete, quindi e può sentire e vedere gli ingranaggi del cervello di Eddie che elucubrano una domanda che non gli ha davvero rivolto.

“Al tuo posto?”

“Al mio posto.”

Eddie ci riflette per un secondo intero, e la risposta arriva con un sorriso stirato: “...va bene.”

“Lunedì verrebbe Nancy.”

“Non c’è bisogno che venga fin dal Massachussets—”

“Eddie.”

Steve pensava che avesse smesso di comportarsi così, ma qualche volta Eddie ci ricasca. Ci sono volte in cui Eddie non vuole essere lasciato da solo, in cui ha fisicamente bisogno di vederli – di vederlo – altri, similmente alle prime volte, in cui il senso di colpa ed il rimorso lo divorano vivo e preferirebbe chiudere anche il proprio cuore al mondo esterno.

Questo Steve lo capisce e anche se fa male, cerca di non darlo a vedere, perché non è lui quello che sta peggio.

“Va bene.”

Ripete Eddie di nuovo e c’è tutta l’amarezza di cui è capace nell’espressione con cui si sforza di sorridergli.

Steve vorrebbe allungare una mano e cancellargli quel cruccio dalla fronte, ma c’è un vetro che li divide. E Steve sa che anche solo appoggiarvi una mano sopra, per illudersi di poter sentire il calore del palmo dell’altro potrebbe essere rischioso.

Quindi allunga solo l’indice della destra fino a sfiorare la superficie riflettente. Lo fa sembrare un gesto casuale, ma Eddie lo nota. E quando rialza lo sguardo, anche il suo indice, dall’altra parte della parete, sta sfiorando il vetro.

Steve vorrebbe dirgli che lo ama. Vorrebbe dirglielo come avrebbe voluto farlo in tutte le altre occasioni in cui ha macinato i metri che dividono l’ingresso dell’Indiana State Prison dalla sala visite, vorebbe ripeterglielo come glielo ha ripetuto in tutte le notti in cui Eddie si è addormentato nudo contro il suo petto.

Ma Steve non può.

Non può dirglielo a gesti, e non può dirglielo attraverso la cornetta da cui la voce di Eddie esce più bassa di due intere ottave, perché sono due uomini e questa è una prigione di massima sicurezza in cui dio solo sa come Eddie abbia fatto a cavarsela e rimanere vivo fino a questo momento.

Steve, però, spera che glielo possa leggere negli occhi, quando lo fissa con tutto l’amore che ha da dargli, mentre la guardia annuncia la fine dell’orario di visita.

Eddie lo fissa di rimando. Le sue labbra si piegano in un sorriso.

“Anch’io.”

Gli dice. Ma Steve riesce a leggere un disarmante senso di resa nello sguardo di Eddie.

“Jonathan e Hopper hanno trovato un nuovo avvocato—” Steve si affretta a dirlo, perché non è questa l’ultima immagine che vuole avere di Eddie, prima di alzarsi dalla sedia, “—ti chiamerà presto!”

Eddie non gli risponde, annuisce e basta con una lentezza che è estenuante.

E forse perché sa che Steve non vorrebbe mai andarsene, se solo potesse, è il primo a riattaccare la cornetta.

Anch’io.

Anch’io...

Steve prova a ripeterselo nella testa in un loop continuo, mentre cammina a ritroso fino all’uscita, perché se non lo facesse—

È la mattina del 24 Gennaio del 1989, Ted Bundy è appena stato giustiziato nel Florida State Prison perché è colpevole dei crimini che ha commesso. In Indiana, Eddie Munson si trova in carcere per degli omicidi a cui non ha preso parte.

E Steve ha paura.

Ha paura che per questa volta le cose non vadano nel verso giusto.

   
 
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