CANTO IV - L'autore, inseguendo Vergilio, scala il colle dei testi perduti.
A seguire, a seguirlo, seguitai
Com'ei scappò nel canto priori
Ma, di fermarsi, non cenna già mai,
Anzi, più il passo ei butta in fori
Dacché si volta e videnmi appresso
E schiaccia gli occhi, contrito ai dolori.
"Magno magistro" Chiamollo perplesso
"Indo tu vai e dov'andrò io
Sanza lo mio duca intercesso?"
"Duca nè son, men di te, rïo.
Anco m'appelli come'l ghibellino!
Nulla, proprio, lasciatti di mio?
Questo detto, augel spazzino
Sia l'estremo e dal mio cuore
Strappa il becco, vola alfino!
Seppur su rami spogli di spore
La razza tua nidifica sovente
M'illusi fruttar qualch'anno ancore."
E s'invola in sopra a una tangente
Ch'è ripido colle de carte scartate
Dal tempo, che mai, basta alla gente:
Che p'ogne libro voi leggiate
Due ne sono tosto scritti
Da chi anela essere vate
Sicché troviamci assai conflitti
Su qual'opra è degna nostra vita
Sì breve ogniuno ne ha diritti.
E se niuno posa la matita
Per spaziare a un simposiarca,
Credensi tal da piante a dita,
Acciò allori franco Petrarca
Per forza dieci altri n'oblierai
Ch'angusta è, de mente, l'arca
E in salvo, pochi, trar potrai
Da quel diluvio ch'è l'historia
Qual scorre più dei calamai.
Manco copi più una storia,
Cagnosciuta ben donde a molti
Ch'altra resta e prende boria
E irristampati giaccion folti,
Boschi della ragion passata,
Consumossi, eppur mai sfolti.
Ogn'opra, in terra, morta data
Qui avrai diletto a calpestare;
Se di pietà non hai una fiata.
La pria vittima è un vernacolare
Non fiorentino, bensì in reggiano;
Maria Boiardo n'è l'titolare.
Ess'è uno scritto de propria mano
Ch'ispirò lo ferraro Ariosto.
Cantovvi d'Orlando, baron soprano
E del suo amor, mai corresposto,
Che porta Angelica fissa'l costato
Ma il cugin, Rinaldo, gl'ha anteposto,
Seppur lui l'odia, per Merlino fato,
Fra mill'altre vicende in cui trastulla
Per ciò l'è nomato "Orlando Innamorato".
Ove "chi stimava tutto il mondo nulla"
(Dice Boiardo che dice Turpino)
"Senz'arme vinto l'é da una fanciulla".
Ma non é mica perso, dirà un tapino,
L'é perso sì, o non fossi tristano.
Fruga ogne stampa e io t'indovino
Che manco una la trovi in reggiano!
Riscritta fu postuma in lingua toscana,
(Di moda era in bocca al cortigiano)
E scovar l'originale è speme vana.
Resta, quantomeno, lo suo rinnovamento
D'un franco celebre sol pe Durlindana.
Il volume lasciai con gran risentimento
Di non portarlo meco in Emilia
Che correr dovetti, a guisa del vento.
Non ebbi il tempo d'una quisquilia
Che fui rapito, giunto al declivio,
Da chi tien storia de consorte d'Hersilia
E suoi pronipoti in immane archivio.
Scoloricci fa i sessantanove canti
L'"Ab Urbe Condita" del padovo Livio!
Per cento e più libri tratta dei vanti,
Meglio de scudo cald'i Vulcano,
Partendo da Troia e prosegue avanti
Sino ad Augusto, imperator romano.
Questa raccolta, persa in gran parte,
Petrarca fu l'ultimo ad averla in mano,
Si dice, attingendo alla sua arte,
Stilando l'"Africa" in Scipico onore.
S'io qui stessi, dissertando disparte
Ogne tomo ch'in quella cima more
Io andrei avanti per sì tante terzine
Che mai vedreste canto successore.
Dell'opre ridotte a inciampo, meschine,
Ignorar debbo, che mirando perderei
A beccar mangime tale alle galline.
Dirò, ultimente, che trovai dei Galilei
Il maggior nimico in politica e pensiere:
Restaurò, stoico, gli olimpici déi,
Pontefice primo, fu l'ultimo alfiere
Del culto medesimo a lo mio conte;
Domò l'alemanne e galliche fiere;
Lavò ai Costantini tutte le onte,
Insaguinati dallo zio e i primieri,
Bagnandosi poi in più chiara fonte
Quando, a Eleuse, iniziò ai misteri.
Lo nome di tal filosofo pagano
È venerato o meno a chi tu credi.
Lo nome del cesare, dirotti, è Giuliano
E ivi giace il suo saggio malvisto
Da Cirillo e Lattanzio che stracci ne fano,
Ch'intitola "Contro i seguaci de Cristo".
Dir vorrei che sia un'allegoria
Ma stracciato inver fu lo liber tristo
Appena stracciato fu lungo la via
Pure l'autore, per Sassanidae bella
Colto sanza la sua argenteria
Da giavellotto, ancor ch'era in sella,
Pria che potesse compier trent'anni,
e donasse ai giudei e lor cittadella
Un terzo tempio pei loro affanni.
Qual seminatte mai diè fruttosio
Ch'ogne riforma, progetto e su vanni
Schiacciati furno dal tron de Teodosio.