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Autore: adrienne riordan    17/08/2022    0 recensioni
[La calaca de azùcar]
La vita a Esqueleto sembra tranquilla ma non lo è affatto. A farne le spese saranno i suoi abitanti, quelli nuovi, quelli vecchi e... quelli antichi.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hola! È passato un sacco di tempo dall’ultimo capitolo pubblicato, purtroppo il mio neurone fanwriter è lento e pigro, come la sua padrona del resto! Però è stato proprio un anno pesante e vedo nubi ancora più scure all’orizzonte… da un lato, plottare sui prompt per Calaca mi rilassa i nervi, dall’altro l’ansia mi stanca enormemente, soprattutto quando potrei avere del tempo libero per scrivere.

 

Comunque!

Questo capitoletto è ambientato nel secondo volume.  Finalmente riesco a fare un po’ di POV su Moravich, era da tanto che volevo farlo, e nel capitolo successivo, che pubblicherò a breve, sarà più completo.

Piccola nota: che Quetzalcoatl rifiutasse i sacrifici “canonici” e ne richiedesse di meno cruenti non è una mia invenzione ma non riesco a ritrovare il riferimento che avevo visto in internet. Se questo aneddoto è corretto e non me lo sono sognato, mi chiedo se gli autori avessero pensato alla stessa cosa quando hanno reso Mordecai vegetariano oppure se si sia trattato di un caso. Inoltre, è piuttosto controverso il discorso del cannibalismo rituale dei sacerdoti, cui faccio cenno, non se ne ha una certezza storica, quindi va preso con le pinze.

 

Pasto alternativo (6 ottobre)

In seguito alla sfida impostagli da Emanuel, Mordecai non era uscito dalla sua stanza per i successivi tre giorni. Il terrore per l’esperienza passata lo aveva indotto ad un’autoreclusione forzata, e ben poco lo aveva rasserenato il fatto che Moravich e Jason, ormai liberi dalla maledizione, si fossero stabiliti a casa sua per vegliare su di lui. Di fatto, il biondo aveva evitato accuratamente qualsiasi contatto con le persone che, fin dal suo arrivo a Esqueleto, si erano mostrate ospitali e sinceramente interessate a instaurare un rapporto di amicizia con lui. I gemelli, d’altro canto, non forzarono mai la mano, anzi, assecondarono il suo bisogno di stare da solo, non foss’altro per il senso di colpa: mentre erano ancora legati alla maledizione di Emanuel, erano stati sul punto di uccidere Mordecai, e solo l’ostinazione di Moravich aveva cambiato l’esito della sfida all’ultimo tentativo di risposta all’indovinello. I due erano consapevoli di essere stati, in parte, loro stessi, nella loro forma divina, la causa della paura di Mordecai, ed erano disposti ad aspettare che il ragazzo riacquistasse il controllo delle proprie emozioni prima di fornirgli i necessari chiarimenti.

Si erano limitati pertanto a consegnare i piatti che Thomas e Franklin avevano fatto recapitare puntualmente a casa sua, assieme al messaggio implicito che loro ci sarebbero stati, in caso di bisogno, indipendentemente dal pericolo che poteva rappresentare Emanuel per tutti loro.

Fu solo dopo che Mordecai era andato incontro a Thomas e ad Ebenezer, fermi davanti alla porta d’ingresso, e dopo che aveva vuotato il sacco sulla sfida, sul sogno che aveva fatto e sulle emozioni provate, che i gemelli avevano potuto rivelare, almeno in parte, la parentela che li legava a Mordecai e a ricostruire pian piano quel legame affettivo allentato da secoli di lontananza e di oblio, ma mai distrutto.  Mordecai aveva accolto la rivelazione con una certa semplicità, seppur con titubanza nell’accettarla pienamente, come se non se ne fosse sentito davvero degno, o avesse temuto qualche errore da parte loro. Quello fu il primo giorno, dopo cinquecento anni, che i tre ragazzi si erano ritrovati sotto lo stesso tetto da fratelli, non da semplici conoscenti o amici.

Da quel momento, i tre si ritrovarono spesso a cenare insieme in un contesto più casalingo rispetto al Pavo de Corral, visto che Jason e Moravich, ormai liberi, erano in grado di mantenere la loro forma umana anche di sera, rendendo quindi possibile cucinare. In realtà, quello più entusiasta all’idea di mettersi ai fornelli era Jason (che già aveva dato prova della sua abilità in cucina preparando i biscotti e il tè per Mordecai, Thomas ed Ebenezer) mentre Moravich si limitava ad apparecchiare e a procacciare il dessert… comprandolo al Pavo.

“Jason, metteresti del peperoncino in più nei tamales di carne?” chiese Moravich al gemello, ottenendo da quest’ultimo un cenno affermativo.

“Tamales… di carne?” chiese Mordecai con una lieve nota di preoccupazione.

“È un tipico piatto messicano. Tranquillo, vedremo di lasciarne alcune con meno peperoncino, se ti dà noia il piccante” rispose Moravich, convinto che il problema fosse la spezia.

“Non è per quello…” malgrado fosse nella sua forma animale, l’espressione di Mordecai fu chiarissima nell’esprimere disagio. Fu solo in quel momento che a Moravich tornò in mente un dettaglio fino a quel momento ignorato: i piatti che giungevano dal Pavo per il fratello erano tutti vegetariani.

“Mordecai… tu non mangi carne?” chiese, anche se la cosa, a quel punto, poteva sembrare ovvia.

“Mi dispiace, non volevo rovinare i vostri piani per la cena! Mangerò solo il contorno, non è un problema!” si affrettò a rispondere Mordecai, confermando indirettamente il suo regime alimentare.

Jason, che in quel momento sembrava essersi perso l’ultimo scambio di battute, dopo aver visto qualcosa fuori dalla finestra che aveva catturato la sua attenzione, gli sorrise e fece un cenno con la mano.

“Jason dice che non sarà un problema preparare una variante vegetariana dei tamales, anche se non ne ha mai preparati prima” tradusse il fratello.

“Davvero, come riesci a comprendere quello che vuole dire?” Mordecai si sorprendeva ogni volta per l’abilità di Moravich di comprendere i pensieri di Jason, ma forse, ragionò, era così tra gemelli, soprattutto tra fratelli che avevano sempre vissuto insieme. Moravich aveva lasciato intendere di aver avuto una vita molto dura come esseri umani, eppure il biondo era convinto, non senza una punta di invidia, che molte prove della vita sarebbero risultate assai più ardue senza un fratello accanto su cui fare affidamento.

“Non è che la carne non mi piaccia o che mi faccia male ma… non ce la faccio. Non riesco proprio a mangiarla” cercò di giustificarsi il biondo, sebbene non ve ne fosse stata davvero la necessità.

“Non è che disprezzi queste offerte ma… non ce la faccio proprio ad accettarle” argomentò, apparentemente quieto, il Serpente Piumato, quando aveva scandalosamente rifiutato i sacrifici in suo onore da parte dei mortali.

“Fin da piccolo, anche quando gli educatori minacciavano di lasciarmi a digiuno se non avessi finito quanto avevo nel piatto… all’orfanotrofio non si poteva mangiare spesso la carne e rifiutarla era una cosa abbastanza grave…” proseguì, timoroso di essere malgiudicato dai suoi fratelli.

“Capisco che si tratta di offerte molto preziose, dalle quali dipende il funzionamento stesso del Quinto Sole, ma non voglio che quelle vite vengano offerte in sacrificio a me” si sentì in dovere di specificare ai suoi fratelli, che avevano protestato circa lo scandalo che il dio aveva sollevato tra gli altri dei, di cui avrebbe fatto meglio a non perdere il favore.

“Però non è che sono come quei vegetariani che vogliono imporre le proprie scelte agli altri, non mi dà alcun fastidio se gli altri la mangiano!” si affrettò ad aggiungere il biondo con una nota di voce un po’ più acuta.

“Comprendo bene che gli altri dei vogliano le loro offerte e non ho intenzione di impedir loro di riceverle. Ma se gli umani vogliono onorare me, mi basteranno fiori o frutta, su questo non ho intenzione di discutere!” tagliò corto il Serpente Piumato.

“Malgrado gli educatori giocassero la carta del senso di colpa, io proprio non riuscivo a mangiarla. L’idea che degli animali venissero uccisi mi faceva stare male!” concluse, abbassando il tono della voce e lo sguardo.

“Quegli umani avevano tutta la vita davanti..!” mentre pronunciava quelle parole, il volto di Quetzalcoatl quasi si accartocciò in una scandalosa smorfia di dolore. Xolotl e Xocotl erano avvezzi alle stramberie del fratello ma quella era stata la più assurda di tutte. Fino a quel momento, la peggior sciocchezza che aveva fatto era stata perdere la testa per una ragazzetta umana. I fratelli avevano pensato che, togliendola dai piedi, il loro Signore e fratello sarebbe rinsavito. Invece, persino da morta Malintzin aveva contribuito a far alzare l’asticella della stramberia di Quetzalcoatl. La frase “Quegli umani avevano tutta la vita davanti” era stata detta davanti al teschio della ragazzetta, esposto al tzompantli del tempio, mentre le sue ossa e la sua pelle erano state utilizzate dai sacerdoti in modo creativo e la sua carne era stata consumata in un rito di cannibalismo rituale. Se, fino al giorno prima, il Serpente Piumato aveva accettato il sacrificio tradizionale con fastidio, ma comunque con tolleranza e accondiscendenza, da quel giorno ne aveva avuto la repulsione suprema. Fiori e frutti in sacrificio a una divinità del suo calibro, quale emerita stupidaggine, aveva scosso il capo Xolotl al solo pensiero.

“Non ti devi giustificare, Mordecai” lo rassicurò Moravich, seguito da un sorriso di conferma di Jason. Mordecai, chiuso nel suo bozzolo di mortalità, sembrava la pallida imitazione della divinità che era stata. Sebbene il rifiuto dei sacrifici da parte del dio fosse stata fonte di preoccupazione per i fratelli, aver trovato un’ulteriore similitudine tra il ragazzo davanti a lui e il Serpente Piumato era stata una benedizione per loro. Era un’ulteriore conferma che quei cinquecento anni di oblio non avevano scalfito l’essenza di Quetzalcoatl e che, quando sarebbe ritornato, probabilmente non avrebbe avuto grandi conseguenze nel suo animo. Per questo motivo, la notizia del suo essere vegetariano non aveva infastidito minimamente i fratelli, anzi.

Se i cinquecento anni di vita umana non avevano apparentemente scalfito l’essenza di Quetzalcoatl, lo stesso si poteva dire per Xolotl e Xocotl, ma non come il fratello avrebbe probabilmente pensato. I gemelli non approvavano i modi di Emanuel ma, almeno in parte, avevano un desiderio comune: il ritorno di Quetzalcoatl. Ciò su cui non si trovavano per nulla d’accordo era la sorte di quel mondo: per Moravich e Jason, poteva pure perire con la loro benedizione! Da umani, erano stati costretti a vivere in un loop continuo in cui niente era mai andato nel verso giusto. Schiavitù, guerre, deprivazioni, violenza… avevano subito di tutto e di più. L’essere stati sempre insieme avrebbe potuto essere una buona cosa (la solitudine avrebbe sicuramente esacerbato le loro pene) se non fosse stato che i due erano stati sempre l’uno testimone della sofferenza dell’altro, senza possibilità di riuscire ad alleviarla.

I due fratelli non potevano avere la certezza che Dorian avesse rinunciato a giocare qualche tiro mancino al loro fratello, né che il loro prostrarsi al suo servizio anche in quella vita mortale avrebbe garantito loro il perdono, ma non avevano altra scelta.  Almeno, ora avevano la speranza di poter uscire al più presto da quel limbo chiamato vita mortale, se tutto fosse andato secondo i piani di Dorian che, almeno da quello che sapevano, consistevano nel riprendersi quella disgraziata di sua moglie e le ossa degli umani e nel restituire alle divinità azteche il loro predominio nelle loro rispettive dimore, dopo la distruzione del Quinto Sole.

Xolotl sapeva che, se si trovavano tutti in panni mortali, era a causa del patto stretto tra Itztlacoliuhqui-Ixquimilli e Mictlantechutli, e questo aveva inasprito la sua già non troppo rosea opinione sul dio del gelo e del giudizio (una cosa gli era stato chiesto di fare, una! E invece aveva incasinato tutto con suo fratello!), ma il suo istinto gli aveva sussurrato da tempo che la sua sorte e quella del fratello non potevano essere solo il frutto del caso o della sfortuna ma che fossero, piuttosto, legate in qualche modo alle ultime parole che  Mictlancihuatl gli aveva rivolto.

Quella sera, tuttavia, i gemelli avrebbero tenuto fuori di casa, letteralmente, Dorian e tutte le altre divinità, e avrebbero tenuto stretto quel piccolo momento di felicità, nella semplicità di un pasto caldo condiviso con la propria famiglia finalmente riunita sotto lo stesso tetto.

  
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