Hola! È passato un sacco di tempo dall’ultimo capitolo pubblicato, purtroppo il mio neurone fanwriter è lento e pigro, come la sua padrona del resto! Però è stato proprio un anno pesante e vedo nubi ancora più scure all’orizzonte… da un lato, plottare sui prompt per Calaca mi rilassa i nervi, dall’altro l’ansia mi stanca enormemente, soprattutto quando potrei avere del tempo libero per scrivere.
Comunque!
Questo
capitoletto è ambientato
nel secondo volume. Finalmente
riesco a
fare un po’ di POV su Moravich, era da tanto che volevo
farlo, e nel capitolo
successivo, che pubblicherò a breve, sarà
più completo.
Piccola
nota: che Quetzalcoatl
rifiutasse i sacrifici “canonici” e ne richiedesse
di meno cruenti non è una
mia invenzione ma non riesco a ritrovare il riferimento che avevo visto
in
internet. Se questo aneddoto è corretto e non me lo sono
sognato, mi chiedo se
gli autori avessero pensato alla stessa cosa quando hanno reso Mordecai
vegetariano
oppure se si sia trattato di un caso. Inoltre, è piuttosto
controverso il
discorso del cannibalismo rituale dei sacerdoti, cui faccio cenno, non
se ne ha
una certezza storica, quindi va preso con le pinze.
Pasto
alternativo (6 ottobre)
In
seguito alla sfida impostagli
da Emanuel, Mordecai non era uscito dalla sua stanza per i successivi
tre
giorni. Il terrore per l’esperienza passata lo aveva indotto
ad un’autoreclusione
forzata, e ben poco lo aveva rasserenato il fatto che Moravich e Jason,
ormai
liberi dalla maledizione, si fossero stabiliti a casa sua per vegliare
su di
lui. Di fatto, il biondo aveva evitato accuratamente qualsiasi contatto
con le
persone che, fin dal suo arrivo a Esqueleto, si erano mostrate ospitali
e
sinceramente interessate a instaurare un rapporto di amicizia con lui.
I
gemelli, d’altro canto, non forzarono mai la mano, anzi,
assecondarono il suo bisogno
di stare da solo, non foss’altro per il senso di colpa:
mentre erano ancora
legati alla maledizione di Emanuel, erano stati sul punto di uccidere
Mordecai,
e solo l’ostinazione di Moravich aveva cambiato
l’esito della sfida all’ultimo
tentativo di risposta all’indovinello. I due erano
consapevoli di essere stati,
in parte, loro stessi, nella loro forma divina, la causa della paura di
Mordecai, ed erano disposti ad aspettare che il ragazzo riacquistasse
il
controllo delle proprie emozioni prima di fornirgli i necessari
chiarimenti.
Si
erano limitati pertanto a
consegnare i piatti che Thomas e Franklin avevano fatto recapitare
puntualmente
a casa sua, assieme al messaggio implicito che loro ci sarebbero stati,
in caso
di bisogno, indipendentemente dal pericolo che poteva rappresentare
Emanuel per
tutti loro.
Fu
solo dopo che Mordecai era
andato incontro a Thomas e ad Ebenezer, fermi davanti alla porta
d’ingresso, e
dopo che aveva vuotato il sacco sulla sfida, sul sogno che aveva fatto
e sulle
emozioni provate, che i gemelli avevano potuto rivelare, almeno in
parte, la parentela
che li legava a Mordecai e a ricostruire pian piano quel legame
affettivo allentato
da secoli di lontananza e di oblio, ma mai distrutto. Mordecai
aveva accolto la rivelazione con una
certa semplicità, seppur con titubanza
nell’accettarla pienamente, come se non
se ne fosse sentito davvero degno, o avesse temuto qualche errore da
parte loro.
Quello fu il primo giorno, dopo cinquecento anni, che i tre ragazzi si
erano
ritrovati sotto lo stesso tetto da fratelli, non da semplici conoscenti
o
amici.
Da
quel momento, i tre si ritrovarono
spesso a cenare insieme in un contesto più casalingo
rispetto al Pavo de Corral,
visto che Jason e Moravich, ormai liberi, erano in grado di mantenere
la loro
forma umana anche di sera, rendendo quindi possibile cucinare. In
realtà,
quello più entusiasta all’idea di mettersi ai
fornelli era Jason (che già aveva
dato prova della sua abilità in cucina preparando i biscotti
e il tè per
Mordecai, Thomas ed Ebenezer) mentre Moravich si limitava ad
apparecchiare e a
procacciare il dessert… comprandolo al Pavo.
“Jason,
metteresti del
peperoncino in più nei tamales di carne?” chiese
Moravich al gemello, ottenendo
da quest’ultimo un cenno affermativo.
“Tamales…
di carne?” chiese
Mordecai con una lieve nota di preoccupazione.
“È
un tipico piatto messicano.
Tranquillo, vedremo di lasciarne alcune con meno peperoncino, se ti
dà noia il
piccante” rispose Moravich, convinto che il problema fosse la
spezia.
“Non
è per quello…” malgrado
fosse nella sua forma animale, l’espressione di Mordecai fu
chiarissima nell’esprimere
disagio. Fu solo in quel momento che a Moravich tornò in
mente un dettaglio
fino a quel momento ignorato: i piatti che giungevano dal Pavo per il
fratello
erano tutti vegetariani.
“Mordecai…
tu non mangi carne?”
chiese, anche se la cosa, a quel punto, poteva sembrare ovvia.
“Mi
dispiace, non volevo rovinare
i vostri piani per la cena! Mangerò solo il contorno, non
è un problema!” si
affrettò a rispondere Mordecai, confermando indirettamente
il suo regime
alimentare.
Jason,
che in quel momento
sembrava essersi perso l’ultimo scambio di battute, dopo aver
visto qualcosa
fuori dalla finestra che aveva catturato la sua attenzione, gli sorrise
e fece
un cenno con la mano.
“Jason
dice che non sarà un
problema preparare una variante vegetariana dei tamales, anche se non
ne ha mai
preparati prima” tradusse il fratello.
“Davvero,
come riesci a
comprendere quello che vuole dire?” Mordecai si sorprendeva
ogni volta per
l’abilità di Moravich di comprendere i pensieri di
Jason, ma forse, ragionò, era
così tra gemelli, soprattutto tra fratelli che avevano
sempre vissuto insieme.
Moravich aveva lasciato intendere di aver avuto una vita molto dura
come esseri
umani, eppure il biondo era convinto, non senza una punta di invidia,
che molte
prove della vita sarebbero risultate assai più ardue senza
un fratello accanto
su cui fare affidamento.
“Non
è che la carne non mi
piaccia o che mi faccia male ma… non ce la faccio. Non
riesco proprio a mangiarla”
cercò di giustificarsi il biondo, sebbene non ve ne fosse
stata davvero la
necessità.
“Non
è che disprezzi queste
offerte ma… non ce la faccio proprio ad
accettarle” argomentò, apparentemente
quieto, il Serpente Piumato, quando aveva scandalosamente rifiutato i
sacrifici
in suo onore da parte dei mortali.
“Fin
da piccolo, anche quando gli
educatori minacciavano di lasciarmi a digiuno se non avessi finito
quanto avevo
nel piatto… all’orfanotrofio non si poteva
mangiare spesso la carne e
rifiutarla era una cosa abbastanza grave…”
proseguì, timoroso di essere
malgiudicato dai suoi fratelli.
“Capisco
che si tratta di
offerte molto preziose, dalle quali dipende il funzionamento stesso del
Quinto
Sole, ma non voglio che quelle vite vengano offerte in sacrificio a
me”
si sentì in dovere di specificare ai suoi fratelli, che
avevano protestato
circa lo scandalo che il dio aveva sollevato tra gli altri dei, di cui
avrebbe
fatto meglio a non perdere il favore.
“Però
non è che sono come quei
vegetariani che vogliono imporre le proprie scelte agli altri, non mi
dà alcun
fastidio se gli altri la mangiano!” si affrettò ad
aggiungere il biondo con una
nota di voce un po’ più acuta.
“Comprendo
bene che gli altri
dei vogliano le loro offerte e non ho intenzione di impedir loro di
riceverle. Ma
se gli umani vogliono onorare me, mi basteranno fiori o frutta, su
questo non
ho intenzione di discutere!” tagliò corto il
Serpente Piumato.
“Malgrado
gli educatori
giocassero la carta del senso di colpa, io proprio non riuscivo a
mangiarla.
L’idea che degli animali venissero uccisi mi faceva stare
male!” concluse,
abbassando il tono della voce e lo sguardo.
“Quegli
umani avevano tutta la
vita davanti..!” mentre pronunciava quelle parole, il volto
di Quetzalcoatl quasi
si accartocciò in una scandalosa smorfia di dolore. Xolotl e
Xocotl erano
avvezzi alle stramberie del fratello ma quella era stata la
più assurda di
tutte. Fino a quel momento, la peggior sciocchezza che aveva fatto era
stata
perdere la testa per una ragazzetta umana. I fratelli avevano pensato
che,
togliendola dai piedi, il loro Signore e fratello sarebbe
rinsavito. Invece,
persino da morta Malintzin aveva contribuito a far alzare
l’asticella della
stramberia di Quetzalcoatl. La frase “Quegli umani
avevano tutta la vita
davanti” era stata detta davanti al teschio della
ragazzetta, esposto al tzompantli
del tempio, mentre le sue ossa e la sua pelle erano state utilizzate
dai
sacerdoti in modo creativo e la sua carne era stata consumata in un
rito di
cannibalismo rituale. Se, fino al giorno prima, il Serpente Piumato
aveva
accettato il sacrificio tradizionale con fastidio, ma comunque con
tolleranza e
accondiscendenza, da quel giorno ne aveva avuto la repulsione suprema.
Fiori e
frutti in sacrificio a una divinità del suo calibro, quale
emerita stupidaggine,
aveva scosso il capo Xolotl al solo pensiero.
“Non
ti devi giustificare,
Mordecai” lo rassicurò Moravich, seguito da un
sorriso di conferma di Jason. Mordecai,
chiuso nel suo bozzolo di mortalità, sembrava la pallida
imitazione della
divinità che era stata. Sebbene il rifiuto dei sacrifici da
parte del dio fosse
stata fonte di preoccupazione per i fratelli, aver trovato
un’ulteriore
similitudine tra il ragazzo davanti a lui e il Serpente Piumato era
stata una
benedizione per loro. Era un’ulteriore conferma che quei
cinquecento anni di
oblio non avevano scalfito l’essenza di Quetzalcoatl e che,
quando sarebbe ritornato,
probabilmente non avrebbe avuto grandi conseguenze nel suo animo. Per
questo
motivo, la notizia del suo essere vegetariano non aveva infastidito
minimamente
i fratelli, anzi.
Se
i cinquecento anni di vita
umana non avevano apparentemente scalfito l’essenza di
Quetzalcoatl, lo stesso
si poteva dire per Xolotl e Xocotl, ma non come il fratello avrebbe
probabilmente pensato. I gemelli non approvavano i modi di Emanuel ma,
almeno
in parte, avevano un desiderio comune: il ritorno di Quetzalcoatl.
Ciò su cui
non si trovavano per nulla d’accordo era la sorte di quel
mondo: per Moravich e
Jason, poteva pure perire con la loro benedizione! Da umani, erano
stati costretti
a vivere in un loop continuo in cui niente era mai andato nel verso
giusto.
Schiavitù, guerre, deprivazioni, violenza…
avevano subito di tutto e di più.
L’essere stati sempre insieme avrebbe potuto essere una buona
cosa (la
solitudine avrebbe sicuramente esacerbato le loro pene) se non fosse
stato che i
due erano stati sempre l’uno testimone della sofferenza
dell’altro, senza
possibilità di riuscire ad alleviarla.
I
due fratelli non potevano avere
la certezza che Dorian avesse rinunciato a giocare qualche tiro mancino
al loro
fratello, né che il loro prostrarsi al suo servizio anche in
quella vita
mortale avrebbe garantito loro il perdono, ma non
avevano altra scelta. Almeno,
ora avevano la speranza di poter
uscire al più presto da quel limbo chiamato vita mortale, se
tutto fosse andato
secondo i piani di Dorian che, almeno da quello che sapevano,
consistevano nel
riprendersi quella disgraziata di sua moglie e le ossa degli umani e
nel
restituire alle divinità azteche il loro predominio nelle
loro rispettive
dimore, dopo la distruzione del Quinto Sole.
Xolotl
sapeva che, se si
trovavano tutti in panni mortali, era a causa del patto stretto tra Itztlacoliuhqui-Ixquimilli e
Mictlantechutli, e questo
aveva inasprito la sua già non troppo rosea opinione sul dio
del gelo e del
giudizio (una cosa gli era stato chiesto di fare, una! E invece aveva
incasinato tutto con suo fratello!), ma il suo istinto gli aveva
sussurrato da
tempo che la sua sorte e quella del fratello non potevano essere solo
il frutto
del caso o della sfortuna ma che fossero, piuttosto, legate in qualche
modo
alle ultime parole che Mictlancihuatl
gli aveva rivolto.
Quella
sera, tuttavia, i gemelli
avrebbero tenuto fuori di casa, letteralmente, Dorian e tutte le altre
divinità, e avrebbero tenuto stretto quel piccolo momento di
felicità, nella
semplicità di un pasto caldo condiviso con la propria
famiglia finalmente
riunita sotto lo stesso tetto.