Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Melisanna    24/08/2022    0 recensioni
Una raccolta di racconti su Steel Ball Run, precedenti e contemporanei alla storia raccontata sul manga incentrati su Diego Brando e Johnny Joestar. Tra corse di cavalli, drammi di bambini e adolescenti e sentimenti confusi.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Diego Brando, Johnny Joestar
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Nulla poteva salvarlo

 
Il fantino davanti a lui montava in modo improbabile, con entrambe le gambe raccolte e legate in un modo così scomodo e inefficace da dover essere stato una scelta obbligata. Non faceva leva sulle ginocchia e non utilizzava neppure i quadricipiti per sollevarsi dalla sella, se riusciva a non gravare sul dorso del cavallo era solo grazie a tecnica ed esperienza, ma non poteva, in quelle condizioni, gareggiare alla pari contro Diego; non in un ippodromo, dove Silver Bullet avrebbe staccato fin dalla partenza il suo robusto pony indiano, ma anche su un percorso lungo e accidentato come la Steel Ball Run, dove la resistenza delle cavalcature e la tattica dei cavalieri avevano tanto più valore.

Non stando in sella così. E l’uomo in sella all’appaloosa aveva troppa tecnica ed esperienza per non esserne consapevole, ma aveva ugualmente raccolto e piegato le gambe in quel modo scomodo ed inefficace, perciò non doveva aver avuto altra scelta. Non poteva usare le gambe, dovevano essere paralizzate, dalla nascita o per un incidente, le gambe tanto fondamentali per un fantino erano per lui un fardello inutile.

Senza poter usare le gambe, non era un avversario all’altezza di Diego. Senza difficoltà, riuscì a guadagnare terreno sul galoppo affaticato dell’appaloosa e a inserirsi nella sua scia che gli avrebbe permesso di raggiungere i due cavalli in testa, senza stancare inutilmente Silver Bullet.

Il fantino si chinò improvvisamente e l’appaloosa scalciò, accelerando. Una pioggia di ghiaino colpì Silver Bullet e Diego fu costretto a farlo scartare di lato per evitare che venisse colpito agli occhi. Il fantino non poteva usare le gambe, ma conosceva trucchi che Diego era convinto fossero limitati al ristretto mondo delle corse britanniche e li sapeva mettere in atto nonostante quelle gambe tanto fondamentali fossero per lui un fardello inutile.

Così Diego, non potendo restare nella sua scia, aveva dato di sprone per superarlo, prima di quando avesse previsto. Quando Silver Bullet lo aveva affiancato il fantino si era voltato verso di lui e lo sguardo di Diego aveva incontrato un lampo di blu ombreggiato da lunghe ciglia scure.

Era stato in quel momento che Diego aveva riconosciuto Johnny in quel fantino dalle gambe raccolte e legate in modo così inefficace.
L’aveva fissato senza riuscire a distogliere gli occhi, come ipnotizzato da quella figura uscita dai suoi sogni e dai suoi incubi. Johnny, era Johnny, che aveva creduto di non rivedere mai più, perduto per sempre, peggio che morto. Johnny che non era più asciutto e atletico come ai tempi delle competizioni e degli ippodromi, ma aveva sviluppato una muscolatura massiccia, così poco da fantino, nel torso e nelle braccia, mentre le gambe erano inutili accessori sottili e sgraziati. Johnny che aveva sempre un volto dorato da fanciullo cosparso di lentiggini aranciate, col naso delicato un po’ all’insù e gli zigomi che premevano contro la pelle e occhi di un blu profondo pieni di quella rabbia e quella fame e quell’autocompatimento che Diego aveva imparato a conoscere.

L’aveva fissato senza riuscire a distogliere gli occhi, quella figura uscita dai suoi sogni e dai suoi incubi, come acqua per un assetato. Aveva perso il tempo, strattonato le redini  e Silver Bullet si era appoggiato sul morso con sconcertata ribellione, aveva pesato sulla sella – che errore da principiante! – facendolo inciampare. Non era riuscito a distogliere gli occhi, troppo sconvolto di essersi trovato di nuovo di fronte Johnny, come sapeva che sarebbe successo fin da quando si era reso conto di essere così vanamente, così disperatamente innamorato di lui.

Si era cullato nell’idea che non l’avrebbe mai rivisto, che non avrebbe mai dovuto venire a patto con quei sentimenti che lo rendevano così stupidamente vulnerabile, che gli avrebbero fatto fare un passo falso, gli avrebbero sfilato la vittoria dalle mani. Non avrebbe mai più rivisto Johnny, separati com’erano dal suo infortunio che l’aveva strappato alle competizioni degli ippodromi, avrebbe continuato a sentirsi vuoto e disilluso e annoiato, ma avrebbe continuato a conquistare il potere e la ricchezza che gli permettevano di sopravvivere, di non finire schiacciato da un mondo malevolo e crudele. Ne era stato sicuro.

E invece aveva riconosciuto Johnny in quel fantino dalle gambe raccolte e legate in modo così inefficace e già la vittoria gli sfuggiva dalle mani, il gruppo di testa lo lasciava indietro, Johnny, così menomato, lo lasciava indietro. Lo lasciava indietro dopo avergli concesso solo uno sguardo di disprezzo e irrisione, perché gli era bastata un’occhiata per capire che Diego era così vanamente, così disperatamente innamorato di lui e ancora meno per rifiutare quei sentimenti. Lo lasciava indietro a portare il peso del suo disprezzo e della sua irrisione e del suo rifiuto.

E poi Silver Bullet aveva superato l’appaloosa e Diego non aveva guardato Johnny che per una frazione di secondo, non più di quanto avrebbe guardato qualsiasi altro fantino al momento di affiancarlo. Il suo corpo allenato non aveva perso il tempo, né strattonato le redini, né pesato sulla sella e le falcate di Silver Bullet si erano fatte sempre più ampie e rapide sotto la sua guida sicura. La vittoria non gli sfuggiva dalle dita, né il gruppo di testa lo lasciava indietro e Johnny faticosamente cercava di mantenere la sua andatura.
Allora Diego l’aveva capito. Se neppure quell’amore così vano, così disperato, poteva strappargli quel destino che si era da sé stesso intessuto, allora niente ci sarebbe riuscito.

Niente poteva salvarlo.
 
  
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