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Autore: Julsss_    25/08/2022    1 recensioni
[BYLER] [POST SEASON 4]
Mentre si recano alla vecchia casa Byers per rifugiarsi, Will è pronto a mettersi in gioco per sconfiggere Vecna anche a costo della sua vita. La la sua famiglia però non è per niente d'accordo, così come Mike che cercherà un modo per farglielo capire aprendosi con lui.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Jonathan Byers, Joyce Byers, Mike Wheeler, Will Byers
Note: Kidfic, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Title: Remedy
Rating: Verdissimo >-<
Words: 7668
Pairing: Mikele e Gugliemo, miei figli <3
Beta: Momoko89 (qui su efp) aka Valeria, che mi sopporta da quando mi ha conosciuta nel lontano 2016.
Prompt: Vi dico la verità, ho scritto sta storia solo per Mikele Volante perché non mi piace come ha trattato il piccolo Gu durante l'arco della prima parte della nuova stagione e volevo porvi rimedio, e da qui il titolo della fanfic.
Tags: nun c'ho voglia.
Warnings: mi hanno detto che si piange.
Notes: Allora, momento serietà: come dicevo nel prompt, l'ho fatto per quel motivo principalmente creando attorno varie situazioni che potrebbero esserci durante la s5 (ma dubito fortemente, non ne ho mai azzeccata una xD). Dunque è una mia personale versione delle cose, così come un possibile sacrificio di Will, che ha ancora questo legame col Sottosopra. Il POV è incentrato su di lui, su pensieri, sensazioni e sentimenti, e mano mano si sposta su Mike, il quale è stato veramente difficile da trattare e giustificare le sue azioni. Perciò vi auguro una buona lettura, sperando vivamente in riscontri positivi! Se vi va lasciatemi un vostro pensiero <3

Alla prossima,
Julss <3
 




 









Remedy






Le auto scorrevano una ad una, in fila, davanti ai suoi occhi. Il cuore batteva all’impazzata, frenetico, in un misto di emozioni ingarbugliate. Non sapeva come sentirsi Will, seduto sui sedili posteriori del minivan.
Era confuso, irritato, triste, ma allo stesso tempo l’idea di avere di nuovo tutti i suoi amici attorno e sua madre felice insieme a Hopper, lo rallegrava un po’. Quella, però, era una sensazione passeggera, quasi spicciola perché le nubi scure che sostavano sulle loro teste ormai da qualche giorno gli facevano quasi perdere il respiro.
Lui era tornato ancora una volta, e per Will fu come un costante tuffo nel passato. Il suo corpo raggelò al solo pensiero sotto gli occhi attenti di Mike, accanto a lui. Sussultò al ricordo del mostro ombra dentro di sé. A quello che aveva fatto. A come aveva ucciso delle persone sotto il suo controllo. E a Bob, soprattutto; a come quella perdita lo aveva in qualche modo devastato.
Tutti i suoi ricordi più brutti erano racchiusi in quel singolo frammento di città e lì ci aveva lasciato inevitabilmente una parte dì sé quasi del tutto sbiadita: quella del ragazzino fragile e ancora troppo bambino e quello divorato dai sensi di colpa perché non aveva mai fatto niente per rimediare.
Tutto ad un tratto qualcosa dentro di lui si accese e capì che era di quello che si trattava, la principale causa del suo malessere interiore: il non aver rimediato. Ma come? In che modo poteva farlo? Non aveva i poteri come El, non aveva niente di veramente speciale che potesse contribuire a porre fine a quella storia. Poteva percepirlo, sì, avvertire la sua presenza, ma qual era il vero significato dietro quella connessione particolare che si era creata tra lui e il Sottosopra? Che cosa voleva dire? Che una parte di lui sarebbe sempre stata sua? Che la ragione per cui continuava a tornare nel mondo di Sopra era perché lui gli permetteva di aggrapparsici come una sorta di garanzia? Se la sua intuizione fosse stata esatta questo avrebbe voluto dire una sola cosa… e l’avrebbe fatto, senza esitazione. Aveva paura, una fottuta paura, ma doveva rimediare a tutto quello che aveva causato solo perché aveva avuto la sfortuna di essere ancora la porta d’ingresso di un mostro che non conosceva limiti nel suo mondo contorto.
All’improvviso la mano di Mike toccò dolcemente la sua spalla, un gesto che gli aveva riservato davvero poche volte.
“Ti senti bene?” chiese.
Will scosse la testa dimenticando per un attimo tutti quei pensieri.
“S-sì…”
“Siamo quasi arrivati. È così strano tornare nella tua vecchia casa.”
Il sorriso di Mike era genuino, sincero, calmo, ed era così strano per lui esserlo in un momento come quello. La sua ragazza era là fuori a potenziare ancora di più i suoi poteri con chi e chissà dove, ma come ci riusciva?
“Sì, è strano” gli rispose, ma forse lui non si riferiva alla stessa cosa.
“Ogni tanto, quando tornavo a casa da scuola, sbagliavo strada e dovevo tornare indietro. Sai… l’abitudine.”
Will avrebbe voluto sorridergli ma non ci riuscì. Che senso aveva dirgli queste cose adesso dopo che per un anno intero aveva fatto finta che non esistesse?
“Ti conviene prendere l’autobus quando tutto sarà finito allora.”
Leggermente irritato, William prese a guardare di nuovo le auto davanti a sé, mentre Michael abbassò lo sguardo, sorpreso di quella risposta, ma ciò non bastò a fargli chiudere la conversazione.
“Dai per scontato che vinceremo.”
Will riprese a guardarlo, incatenando gli occhi verdi coi suoi, “Sarà così” rispose, “Dev’essere così.”
Mike annuì rimanendo in silenzio nonostante avesse percepito qualcosa di rotto nella voce dell’amico. Forse non aveva voglia di parlare, o forse, più probabilmente, era agitato per via di questa storia del ritorno nella vecchia casa, ora abbandonata a causa del terremoto. La famiglia Byers si sarebbe accampata lì per il tempo che serviva e questo poteva aver sconvolto l’amico mangiato dai ricordi. D’altro canto Mike li aveva accompagnati come supporto morale mentre la famiglia Wheeler continuava a dare una mano al centro sfollati di Hawkins. Lui preferiva essere qui, con Will; Lucas con Max in ospedale, e Dustin con Steve e Robin a fare volontariato, ma lui non sapeva esattamente per cosa lo faceva. Senso di colpa? Forse. Anche lui come Will aveva dei conti in sospeso, qualcosa su cui rimediare e ciò comprendeva il loro rapporto d'amicizia. Era stato freddo nei suoi confronti una volta atterrato a Lenora, proprio perché non sapeva come comportarsi. L’aveva trascurato durante l’ultimo anno come amico, come spesso succede quando la relazione sentimentale con una ragazza va a gonfie vele. Gli era bastato sapere che stesse bene dalle lettere di El e tutto filava liscio, perché lei era il suo chiodo fisso a quel punto della sua vita. Si preoccupava per lei come sempre, la sua diversità era la cosa che lo premeva di più in quell’ambiente pieno di pazzi che era la scuola superiore. E appigliandosi a quella scusa aveva completamente tralasciato quei segnali che il suo migliore amico gli stava inconsapevolmente inviando già da qualche tempo.
Anche Will era diverso, ma non come El. Non era nemmeno come Lucas o Dustin, e non c’entrava niente il fatto che fosse il bambino sopravvissuto al mostro ombra. William Byers era diverso nel modo in cui lo guardava, gli parlava; sapeva sempre cosa dire e come rassicurarlo quando le cose si facevano complicate. E di questo aveva paura, lo spaventava il fatto che forse quegli sguardi volessero dire completamente altro. Perciò a causa di questo si era allontanato, ma quanto poteva essere orribile quello che aveva fatto? Gli occhi lucidi di Will glielo avevano fatto capire molto bene al Rinko Mania, però El era sempre più importante, aveva la precedenza in qualsiasi occasione. Tuttavia ciò non voleva dire che non si malediceva per quello che gli stava facendo. L’amico aveva sofferto abbastanza nella sua vita e lui non voleva essere una delle cause. Non almeno senza sapere quale fosse la verità. Per questo motivo avrebbe cambiato atteggiamento, sarebbe stato più attento e presente per lui, se ne avesse avuto ancora bisogno.


L’auto si fermò. Jonathan era stato silenzioso per tutto il viaggio dalla baita di Hopper a casa Byers. Will l’aveva notato, ma le circostanze non erano di certo le migliori per intavolare una conversazione, non con Mike al suo fianco, almeno. Argyle invece aveva dormito per tutto il tempo strafatto dell'ennesima canna della giornata (e forse era meglio così).
Quando scesero tutti dal minivan (non Argyle che continuò a dormire beatamente), sentì un certo vuoto allo stomaco: eccola lì, la vecchia casa. Non era quasi cambiata di una virgola. La voragine nel muro era sparita per via del fatto che doveva essere idonea alla vendita, perciò tanto meglio. Ma non c’era tempo per tuffarsi nei ricordi che Joyce aprì la porta d’ingresso con un grande sorriso stampato in volto.
“Venite ragazzi, è meglio di quanto sperassi” disse, invitandoli ad entrare con una mano.
Jonathan andò avanti per primo seguito dai due ragazzini. La casa era veramente come se la ricordava anche all’interno, ma con un mobilio più nuovo e costoso.
“Fortunatamente non ci sono stati danni, ho dato giusto una pulita generale. C’è di tutto, i nuovi proprietari non hanno portato via quasi niente. Però il frigo è vuoto, quindi mi toccherà andare da qualche parte con Murray e vedere cosa si può recuperare non appena torna da quella cosa non ho capito cosa.”
Jonathan sbuffò silenziosamente, anche se riuscì comunque ad attirare l’attenzione della madre che continuò a parlare riguardo la sistemazione.
“Tu puoi stare nella tua vecchia camera, Jonathan. Tu, Will, invece vorrei che non stessi qui con noi…”
William si accigliò volendo ribattere, lo si leggeva negli occhi. Era piuttosto contrariato, però prima aveva intenzione di capire dove volesse andare a parare quella presentazione di (non) benvenuto.
“...Mike, volevo chiedere a tua madre se fosse possibile per Will rimanere un po’ da voi.”
Michael rimase sorpreso da quella domanda, glielo si leggeva chiaramente in volto, ma per via del suo strano senso di colpa nei confronti dell’amico accettò, anche se con un accenno di esitazione.
“A-ah, sì, ma certo. Nessun problema, signora Byers”.
Will guardò Mike e lui gli ricambiò lo sguardo. Non era uno sguardo felice, anzi, era piuttosto preoccupato in effetti e il ragazzo non poteva certamente biasimare l’amico per il comportamento della madre sempre un po’ fuori le righe. Era quasi in imbarazzo.
“Mi sembra perfetto allora, dopo chiamo tua madre per una conferma” disse Joyce, girandosi di spalle ai ragazzi e continuando il tour della casa.
Will non lo diceva, ma l’atteggiamento euforico della madre era tutta una messinscena per nascondere l’agitazione e la preoccupazione riguardo tutta quella faccenda. Con Hopper e Eleven chissà dove insieme agli uomini di Owens, era lei a dover mantenere le redini della situazione e non la stava gestendo proprio al massimo secondo lui, era chiaro che aveva bisogno di aiuto. Cosa che non sarebbe tardata ad arrivare poiché nel pomeriggio sarebbero arrivati altri agenti per la loro sorveglianza, anche se non avevano ancora ricevuto aggiornamenti concreti. Ciò la rendeva più instabile e insicura, ormai la conosceva bene. Però il desiderio di Will era un altro (sebbene stare con Mike ventiquattr’ore su ventiquattro non gli sarebbe affatto dispiaciuto) quindi si fece avanti proprio nel momento in cui suo fratello decise di farlo al posto suo, interrompendo i suoi passi.
“Mamma.”
“Sì, Jonathan?” rispose la madre voltandosi di scatto, “Non mi sembra messa male la tua stanza. Certo forse c’è troppo tocco femminile, ma devi solo dormirci.”
“Mamma, basta.”
Joyce si accigliò, rimanendo ora in silenzio.
“Mamma, scusami, ma è una pessima idea rimanere qui ad Hawkins”.
La madre poggiò una mano sullo stipite della porta dell’ex camera del primogenito e fece un sospiro, come se da lì a poco sarebbe esplosa una bomba.
“Lo so come la pensi, Jonathan, ne abbiamo già parlato, ma non possiamo fare altrimenti, qualcuno deve occuparsi di questa… cosa, questo Vecna.”
“Ma non dobbiamo essere per forza noi a doverlo fare! Will non può stare qui, è troppo esposto.”
Jonathan si rese conto di aver alzato leggermente la voce quando la madre spalancò gli occhi, e allora, pentito, indietreggiò scusandosi e assumendo una posizione più rilassata e calma.
“Non possiamo tornare a Lenora” continuò Joyce riprendendo il discorso con calma, “...o andare in nessun altro posto, siamo ricercati dal governo! Tanto vale restare qui, in questa casa, e stare in panchina o aiutarli da lontano, non lo so!”
“Ma a cosa serve? Stiamo solo mettendo a rischio la vita di tutti continuando a stare qui, mamma. Hawkins sta cadendo e noi lo faremo con lei.”
“Lo so, Jonathan, cosa credi? Che io voglia rimanere qui? Owens è disperso, i suoi uomini lo stanno cercando ancora, non sanno nemmeno loro cosa stanno facendo.”
“Ma cosa vuol dire? Non ti sei mai posta nemmeno uno scrupolo quando Will è scomparso, non vedo perché adesso ti fai tenere a bada da questi idioti!”
“Non è questo, io-”
“Ora smettetela!”
La voce di Will tuonò all’interno del corridoio. Era stanco di tutti quei discorsi che non avevano senso, nulla aveva senso. Nessuno poteva essere davvero al sicuro, nemmeno andare lontano era la soluzione ora come ora col Sottosopra che invadeva il suo veleno per le strade e le foreste della città. A quel punto restare nell'occhio del ciclone e combattere era l’unica cosa da fare; era ciò che lui voleva e l'avrebbe fatto con o senza il consenso di sua madre, o di suo fratello.
“Will…?” richiamò Joyce, avvicinandosi al figlio.
“Io voglio rimanere” rispose il ragazzo, “Voglio dare una mano.”
“Che cosa intendi, Will?”
“Quello che ho detto. Qualunque cosa farete contro di lui, Uno o come diavolo si chiama, io voglio esserci, voglio fare la mia parte.”
Sia la madre che Jonathan spalancarono gli occhi allibiti. Mike, d’altro canto, non era sorpreso di sentirglielo dire. Forse era proprio quello che stava rimuginando in auto così intensamente da rispondergli male.
“Lo sai che non succederà mai, Will?”
Il fratello maggiore si fece avanti imponendo la sua opinione.
“Mi hai tolto le parole di bocca Jonathan.”
Joyce fece altrettanto, preoccupata dalle parole del figlio minore, “Non esiste, Will. Io sono tua madre, devo proteggerti come ho sempre fatto, con tutto quello che ho!”
William scosse il capo, irritato. Come poteva immaginare, ogni singola parola uscita dalla bocca della madre era come un disco rotto. Ormai la conosceva, no? Per questo si vide costretto a farla finita spiegando le cose come stavano una volta per tutte.
“E tu credi che chiudendomi a casa di Mike, lui non potrebbe arrivare a me se solo volesse? Se le mie teorie sono esatte, io sono l'unica cosa che lo tiene ancora in vita qui, in questo mondo. Sono la sua ancora, il suo unico modo per tornare. Una parte del Sottosopra vive dentro di me.”
Will sputò tutto d’un fiato, non badando alle espressioni che erano comparse sui volti dei presenti. Joyce non riusciva più a parlare: era così scossa da quelle parole, da quella consapevolezza, che la lasciarono impietrita sul posto, fissando un punto sconosciuto del corridoio. Mike rimase in silenzio allibito, non avendo mai pensato a quella possibile realtà, mentre Jonathan invece dopo un momento di titubanza prese il posto di sua madre nella discussione.
“E-E questo cosa vorrebbe dire?”
“Non ci arrivi da solo, Jonathan?!”
“Devo sedermi” si intromise Joyce prendendo posto sul letto a una piazza e mezza dietro di lei.
“Non puoi dire sul serio!” gridò di nuovo il fratello, alzando di più la voce, ma questa volta senza scusarsi.
Will sbuffò, seccato. Sembrava che solo lui potesse capire cosa stesse davvero succedendo, ma d’altronde non poteva essere che così. Cosa ne potevano sapere loro? Nessuno era stato al suo posto, non potevano sapere come ci si sentiva ad essere prigionieri nel proprio corpo e perdere ogni volontà. Non potevano sapere cosa volesse dire avere quella sensazione costante addosso, come se strisciasse dentro di te e bruciasse gli organi dall’interno, di rivivere quel terrore nei suoi incubi e provare quel dolore giorno dopo giorno. Non potevano saperlo e lui non poteva farci niente.
“Apri gli occhi, Jonathan, è così! Come credi che sia tornato ogni volta?”
Il maggiore dei fratelli abbassò il capo raggelato dalla consapevolezza che forse tutto quello che gli stava dicendo Will potesse essere la verità, non una verità assoluta certo, ma fortemente plausibile. Interruppe i suoi pensieri solo con l’intervento di Michael, che avvalorò quella tesi.
“Con la tua assenza da Hawkins infatti ha persino dovuto aprire dei portali per arrivare qui e tutto questo gli ha richiesto una quantità di energia maggiore…”
“Credo di sì” rispose Will e il suo cuore perse un battito.
Per un attimo, aveva risentito quella connessione che lo legava a Mike sin da quando erano bambini.
“...per questo motivo i suoi scontri erano mentali e non fisici, ed è stato possibile ferirlo!” continuò entusiasta della scoperta.
Will annuì però non era certo, nulla lo era in quella situazione. Era vero che conosceva i suoi pensieri e il suo modo di agire, ma i punti deboli non erano facili da scovare, soprattutto se poi non era più alla sua mercé. Ricordava le espressioni di sua madre e di suo fratello quel giorno in cui tornò sano e salvo da loro e Jonathan aveva la stessa espressione che aveva ora in volto. Il maggiore era confuso dopo tutte quelle spiegazioni da film horror. Guardò la madre pensierosa sul letto e poi portò lo sguardo sui ragazzi. Era una situazione assurda quella, come avrebbe dovuto digerirla stavolta? Perdere suo fratello dopo tutto quello che avevano passato due anni prima? No, si rifiutava categoricamente di crederci.
“E se ti sbagliassi e non servisse a niente?”
Il minore non aveva una risposta a questa domanda, si limitò a guardarlo negli occhi mentre i suoi divennero leggermente lucidi. Era palese quello che voleva dire e Jonathan si sentì scoppiare.
“No, Will, è un suicidio!”
“No, no, no, no, ho sentito abbastanza!” tuonò Joyce Byers dall'interno della camera dopo un silenzio assordante da parte sua, “Non permetterò a mio figlio di andare là fuori e perdere la vita! Non dopo tutto quello che hai passato, Will, non dopo quello che tutti noi qui dentro abbiamo passato. Non intendo perderti di nuovo, perciò non te lo permetto, William Byers.”
Erano rare le volte in cui la madre lo chiamava col suo nome intero; più che altro erano rare le volte in cui Will la faceva arrabbiare. Era sempre stato un ragazzino modello, calmo e responsabile, dunque questa era una delle eccezioni. Il ragazzo, tuttavia, comprendeva appieno le ragioni per cui Joyce si stava battendo ma non voleva saperne. Aveva preso la sua decisione e l'avrebbe portata avanti fino in fondo.
“Invece sì che lo farai, mamma, non abbiamo altra scelta stavolta se vogliamo che finisca!”
“Non voglio più sentire una parola da te, fila in camera tua!”
Le grida di Joyce rimbombarono nella testa di Will che, preso dallo sconforto e dalla rabbia scaturitasi dalla conversazione, raggiunse la sua vecchia stanza senza alcuna esitazione, sbattendo la porta.



 

***



Will entrò come una furia all’interno della sua vecchia camera. Non badò al nuovo arredamento e si accasciò a terra, accovacciandosi tra il comodino e il letto, come a volersi nascondere, come faceva quando era piccolo nel fortino Byers. Quello era uno dei suoi angoli di comfort nei momenti più brutti e questo era certamente uno di quelli.
Durante gli ultimi anni, il fortino Byers era stato il suo rifugio perfetto, era stato spesso il suo punto di appiglio. Lì si sentiva protetto, anche se sapeva benissimo che niente avrebbe potuto salvarlo da un demogorgone o dal suo destino segnato. Ma adesso che il fortino era stato distrutto, gli rimaneva solo questo angolo di una camera che non sentiva più sua.
Le lacrime scesero lentamente dai suoi occhi: era ingiusto. Perché era sempre quello diverso? Perché non poteva fare mai quello che desiderava? Perché gli andavano sempre tutti contro? Perché doveva sentirsi sempre l’anello debole del gruppo? Perché doveva essere costantemente protetto dalla sua famiglia? Quella era la sua volontà, dannazione, sacrificarsi per un bene superiore. Era tutto ciò di cui aveva bisogno per rimediare, per sentirsi più leggero, per far sì che quell’incubo finisse per sempre. Non gli sembrava di chiedere tanto, però poi qualcuno bussò alla porta, mettendo fine a tutte quelle sue domande.
“Posso?” chiese Mike dall’altra parte, facendo sbucare solo la testa dalla fessura.
Will doveva ammettere che un po’ ci aveva sperato nel suo arrivo, ma non voleva farsi vedere così, in lacrime, indifeso come sempre.
“Se proprio devi…”
Wheeler non se lo fece ripetere due volte. Anzi, diede quasi l’impressione di non aver minimamente ascoltato la sua risposta.
“Certo che ti è andata bene” affermò appena varcata la soglia, “È la camera di un nerd. Guarda questo poster! È fighissimo, non trovi?”
“Mh…”
Non era proprio il momento per scherzare per Will, e a dirla tutta neanche aveva notato il poster degli X-Men, i suoi supereroi preferiti, appeso al muro davanti a lui. E da quella risposta, Michael capì che doveva tornare serio e che sdrammatizzare non era la cosa migliore da fare in questi casi. Forse in altri ma non in questi.
“Okay, scusa, volevo solo sdrammatizzare.”
“Che c’è, Mike? Cosa sei venuto a fare?”
Forse aveva esagerato con quell’approccio vista la reazione brusca dell’amico. Era come se non lo conoscesse più, come se non sapesse più come comportarsi nei suoi confronti. Non che l’avesse sempre saputo. Aveva sbagliato nei suoi confronti già molte volte e questa non faceva eccezione. Will, d’altro canto, sicuramente non era un ragazzo facile da capire e di semplice lettura. Forse solo il fratello riusciva nell'intento, perché bisognava saperlo prendere e Mike non ci riusciva più come un tempo, o almeno non al primo tentativo. Da bambini era più semplice. Era tutto più semplice, cavolo, anche i sentimenti. Soprattutto quelli.
“Ero venuto a vedere come stavi. La discussione è stata piuttosto accesa” rispose sedendosi a terra accanto a lui.
William ebbe un fremito lungo tutta la schiena al contatto col braccio di Michael ma fece finta di niente, come se nulla fosse, “Da quando ti interessa?”
La risposta risultò più sprezzante del previsto, e se ne pentì subito dopo, nascondendo ancora di più la testa fra le gambe.
“Da sempre” rispose l'altro senza esitazione.
“Da sempre?” gli fece eco Will, “Cavolo, Michael, potevi inventarne una migliore”.
Mike sbuffò, roteando gli occhi. Odiava quando lo chiamavano Michael, aveva tanto il sapore di rimprovero e questo lo si mascherava bene detto dall’amico. Non doveva fare altro che mantenere la calma per non sfociare nei vecchi atteggiamenti passivo-aggressivi. Perciò fece un respiro profondo e rispose sporgendosi un po' di più verso William.
“Will, ti ho chiesto già scusa per come mi sono comportato.”
E sì, l’aveva fatto. Will si rese conto che stava esagerando con Mike, se la stava prendendo con lui dopo la discussione con la sua famiglia e questo non era giusto. Lui era lì per aiutarlo e Byers non stava facendo altro che respingerlo.
“Sì, mi dispiace, non è un buon momento”.
“Lo so, Will, se vuoi dico a mia madre che non se ne fa più niente…”
Ma Will non rispose. Non sapeva onestamente cosa dire e cosa pensare riguardo quella faccenda. Fatto stava che tanto le cose non sarebbero comunque cambiate. Dove dormiva ormai non aveva neanche più importanza.
“Ti giri verso di me?”
Michael interruppe il silenzio che si era creato, quasi seccato dal comportamento dell’amico. Provò a fargli perdere la sua posizione accovacciata spingendolo con entrambe le mani, ma William tenne duro. Era diventato più forte, più robusto. Era cresciuto anche lui. Di sicuro, pensò Mike, aveva una fila lunga di ragazze che gli andavano dietro… quegli occhi verdi, le lentiggini chiarissime, i nei… era bello.
“No!” esclamò poi Will all’improvviso ancora accovacciato su se stesso, “Lasciami stare.”
A quel punto Wheeler scosse la testa e la smise, accontentando in parte le volontà dell’amico, perché di certo non avrebbe mollato proprio ora, ‘Dai, Will!”
A quest'ultima supplica, Will finalmente cambiò idea, stanco delle richieste del ragazzino accanto a lui, e abbandonò la presa dalle sue gambe girandosi verso di lui con gli occhi arrossati e le guance umide. Mike si imbarazzò a tal punto che per dissimulare il suo stato disse la prima cosa che gli venne in mente, “Oh, ti serve un fazzoletto! Dovrei averne uno.”
Controllò freneticamente nelle tasche della giacca azzurra, ma non trovò niente. Poi si ricordò che gli ultimi li aveva prestati ad Argyle per soffiarcisi il naso e aveva finito le scorte. Si buttò una mano in fronte per poi esclamare un “Merda, non li ho più!” e si passò la stessa mano tra i capelli lunghi. Pensò di non essere utile neanche in questi di casi, era un vero e proprio disastro. E mentre cercava qualche altro aggettivo per autodefinirsi come persona, tornò con lo sguardo su Will. Gli venne in automatico allungare la mano verso di lui e con l’indice asciugare le ultime lacrime che erano in procinto di cadere dalle lunghe ciglia del ragazzo di fronte a lui. Non pensò a quello che aveva fatto, perché gli era sembrato giusto. William invece rimase immobile, solo il suo cuore aveva deciso di farsi sentire più del solito. Come doveva reagire a quel gesto così intimo nei suoi confronti? Cosa stava a significare esattamente? Niente, assolutamente niente di romantico, non doveva farsi strane idee. Il suo migliore amico non aveva i fazzolettini di carta e quindi usare le dita era stata la cosa più logica da fare. Chiaro. Limpido.
“Posso fare da solo” disse poi Will, afferrando la mano di Mike, imbarazzato.
Erano così maledettamente vicini che non si era mai sentito così a disagio, neanche con El i primi tempi. A quel punto un “O-Okay, imbarazzante” uscì così velocemente dalla sua bocca che Will ne rimase confuso.
Michael, allora, tornò alla sua postazione con una certa distanza di sicurezza in caso avesse avuto qualche altra brillante idea per mettersi in ridicolo, “Quindi… riguardo il tuo piano…”
“Sei venuto anche tu a dirmi che è una stronzata?” ribatté William ora leggermente infastidito.
“Ammetto che non mi piace… per niente” gli rispose l’altro abbandonando totalmente l’imbarazzo di poco prima, come se non fosse successo niente.
Anche Will tornò presto normale girandosi dall’altro lato e alzando nuovamente le difese. Sbuffò e iniziò a dondolarsi con tutto il corpo, un gesto ansioso che Mike non gli aveva mai visto fare. Il migliore amico colse il segnale, e cercò di tranquillizzarlo come meglio poteva, ma allo stesso tempo sentiva di dover dire la sua.
“Will, voglio che tu capisca che comprendo come ti senti adesso, so cosa vuol dire sentirsi inermi e inutili. Mi sento costantemente così nei confronti di El, lo sai, ma mi rendo anche conto che questa è una situazione diversa. Però capisco anche l'altro lato della medaglia. Capisco tua madre e tuo fratello. Quello che tu stai cercando di fare è un suicidio, Will. A meno che tu…” Mike sembrò rifletterci per un attimo interrompendo il suo discorso, “...a-a meno che tu non voglia proprio quello.”
Il ragazzo rivolse il suo sguardo preoccupato verso l'amico che stava guardando altrove. Con una mano, gli accarezzò il mento e indirizzò il suo volto verso il suo. I suoi occhi verdi ora erano dentro i suoi e glielo leggeva dentro. Era assurdo. Possibile che dietro quel gesto così estremo non c’era solo la voglia di rimediare, ma anche la voglia di sparire?
“Will…?”
Ma Will non rispose. Si limitò a guardare a terra e quel silenzio valeva più di mille parole.
“Tu non lo fai solo per questo!” insistette Mike avvicinandosi di più a lui.
“Mike, lascia perdere!”
La voce del migliore amico era rotta, le lacrime avevano cominciato a cadere lungo il suo viso e lui non sapeva come gestire la cosa. Non era mai stato bravo a consolare le persone, lo lasciava fare sempre a qualcun’altro. Era la scelta più ovvia, ma ora erano solo lui e Will e inevitabilmente toccava a lui. Tutto ciò che fece fu mettersi in ginocchio davanti a lui e prendergli delicatamente le sue mani. Non necessitava che lo guardasse, in quel momento gli bastava solo che ascoltasse.
“Ti ricordi quando in terza elementare la sera di Halloween cadesti per strada, sull’asfalto, e ti sbucciasti entrambe le ginocchia?”
William scosse la testa.
“Non lo ricordi? Io sì, Lucas quella sera non c’era, aveva la febbre e Dustin ancora non si era unito al gruppo. Eravamo per strada quando non ti accorgesti del marciapiede dissestato e facesti un capitombolo incredibile. Tutti i dolci finirono a terra e alcuni anche nel tombino. Fu un disastro. Poi ti chiesi se stavi bene, se ti eri fatto male, ma tu mi dicesti che non ti eri fatto niente e che stavi bene e che volevi proseguire il giro per recuperare tutti i dolci che avevi perso. Io mi accorsi che zoppicavi, però non dissi nulla. Rimasi zitto, ti lasciai fare e finimmo la nostra ronda alle otto di sera come stabilito. Quando Jonathan ci venne a prendere, si accorse del sangue sui pantaloni e quando tornasti a casa, mi chiamasti dicendo che avevi fatto un casino e tuo fratello finì nei guai perché non ti aveva sorvegliato come si deve.”
A quel ricordo sbiadito, Will abbozzò il primo sorriso della giornata; perché onestamente non gli capitava di sorridere spesso nell’ultimo periodo. E Mike era una delle poche persone che magari poteva riuscire a strapparglielo. Difatti ci era riuscito e lo ricambiò subito, continuando poi a parlare.
“Vedi, Will, non è perché tu sia stato rapito da un mostro che la tua famiglia è super protettiva con te. La tua famiglia ci tiene a te, tantissimo, e ti proteggerà sempre, qualunque essa sia la ragione. E non credere che se tu soffri io non me ne accorga. È vero, quest’anno sono stato uno stronzo con te, ma io…io avevo capito che non parlavi di El nel minivan…”
Il sorriso di Will sparì dal suo volto non appena udì quelle parole, complice anche il ricordo di se stesso che aveva parlato di sé attraverso i sentimenti di Eleven. Probabilmente era stato stupido da parte sua visti i risultati, ma non voleva far preoccupare nessuno dei presenti, tantomeno suo fratello, con cui aveva già chiarito la sua situazione. E adesso era Mike a dirgli che lo aveva capito, la persona che più di tutte forse non ne sarebbe dovuto venire a conoscenza per un milione di motivi. Ma non poteva fuggire, non quando i suoi occhi verdi continuavano a guardare nei suoi.
“...e mi sono sentito uno schifo quando ti ho sentito piangere e ho fatto finta di niente. Ancora una volta. Non volevo che ti sentissi esposto e questo valeva anche per me… Mi spaventava quello che avresti potuto dirmi se te l’avessi fatto capire, ma ora vorrei che tu mi raccontassi come ti senti, qualsiasi cosa.”
Will abbassò lo sguardo e si lasciò andare contro lo schienale del letto. Sembrava quasi che le sue difese si fossero appianate con un solo gesto, come se fosse pronto ad aprirsi col suo migliore amico una volta per tutte.
“Che cosa vuoi sapere?” chiese allora William, distendendo ora una delle gambe accanto all’altro ragazzo.
Mike invece sorrise pienamente, contento dell’enorme passo che l’amico stava compiendo e si mise più comodo anche lui, sedendosi ora a gambe conserte. Ma dal suo sguardo basso sembrò aver perso un po’ del coraggio che aveva avuto per fare quell’enorme discorso. Cominciò a giocare con uno dei lacci delle sue scarpe, catturando l’attenzione anche di Will che non capiva cosa stesse succedendo adesso. Gli venne spontaneo quindi prendergli la mano e farlo tornare sui suoi passi.
“Quindi?”
“Ah, scusa… mh… la scuola! La scuola quest’anno… è andata veramente così male?”
William fece un respiro profondo. Non poteva credere che fosse veramente questo quello a cui era interessato l’amico, almeno non era ciò che aveva capito dal discorso che gli aveva fatto poco prima, sul sentirsi esposti, eccetera. Per cui si accigliò, “È davvero questo che vuoi sapere?”
Michael annuì, ma non sembrava molto convinto di quello che stava facendo. Forse stava sbagliando tutto, di nuovo.
“La scuola…” si prese una pausa prima di proseguire a seguito dei ricordi non proprio piacevoli, “...sì, insomma, sia io che El ci sentivamo due pesci fuor d’acqua. Non c’è stato un momento in cui sono stato bene. Jonathan era sempre strafatto, mia madre sempre al lavoro, El costantemente a parlare con te o con Max o a scriverti lettere per impiegare il suo tempo. Io non avevo più nessuno. Lucas e Dustin spariti. A scuola non riesco ad adattarmi. El è stata presa di mira dai bulli e io non faccio altro che starle accanto, a darle supporto, mentre io…”
Interruppe di botto quel fiume di parole per guardarsi intorno e darsi coraggio perché quello che stava per dire non era affatto facile. Tuttavia le lacrime si lasciarono andare di nuovo prima che potesse dire qualcosa. Le asciugò violentemente, non voleva sembrare un bambino agli occhi di Wheeler, ma forse, dopotutto, lo era ancora. Quella parte fragile era ancora dentro di lui e non poteva farci niente.
“L'unica cosa che mi dava un po’ di conforto erano le tue telefonate…” disse finalmente con la voce rotta, per poi portare lo sguardo in quello preoccupato dell’altro, “E poi non hai più chiamato…”
Il cuore di Mike perse un battito. Era chiaro come il sole adesso: tutti i suoi dubbi erano fondati, lui era una delle cause del malessere di Will. Proprio quello che non voleva accadesse  eccolo lì, servito davanti ai suoi occhi. E ora? Cosa avrebbe dovuto fare per rimediare?
“Mi dispiace, Will” disse infine, prendendogli una mano per fargli sentire la sua vicinanza e il suo dispiacere sincero. “Dico sul serio, non me ne sono reso conto, sono un migliore amico di merda.”
“In effetti lo sei stato.”
La risposta di Will fu rapida e sprezzante. Non vi poteva leggere nessuna vena scherzosa all’interno come si sarebbe aspettato di solito, quindi pensò di esserselo oltremodo meritato.
“Me lo merito” asserì, “Ma tu non meriti di sacrificarti…” confessò subito dopo, stringendogli di più la mano.
Will vacillò davanti a quel gesto, iniziando a percepire un certo calore lungo tutto il corpo. Non si era mai sentito così vulnerabile nei suoi confronti, tanto che dimenticò per un attimo cosa gli stesse dicendo. Poi Michael rincarò la dose con un “Non lo sopporterei” e il suo cervello andò completamente in tilt. L’imbarazzo era palese, riempiva chiaramente l’atmosfera. Il respiro di Mike si fece più veloce, non credendo nemmeno lui a ciò che aveva appena detto. Si sentì esposto, forse troppo, perché era una verità che non aveva mai rivelato neanche a sé stesso. E il fatto che Will non gli rispondesse dinanzi una cosa simile, lo faceva stare peggio, come se avesse sbagliato qualcosa, per l’ennesima volta. La sua confusione si tramutò ben presto in agitazione, e decise di continuare il discorso con qualcosa che fosse meno imbarazzante per entrambi.
“La t-tua t-teoria…” riprese alzando piano lo sguardo su di lui e arrancando un po’, “...credi davvero in quello che dici?”
A quel punto Mike vide gli occhi di Will tornare a guardare i suoi, risollevandosi completamente da quella strana angoscia che aveva preso possesso del suo corpo. Dall’altro lato Byers aveva apprezzato il tentativo di distogliere l’attenzione su quell’ultima frase e rinsavì del tutto.
“Non sono sicuro al cento per cento” gli rispose, poggiando la testa sul cuscino che aveva accanto a lui nell’angolo tra il comodino e la spalliera del letto.
“Hai paura?” gli chiese l’altro inclinando il capo nella posizione che aveva assunto l’amico l’istante prima.
“Tanta…” replicò subito William guardandolo fisso e stranamente calmo.
“Allora non farlo, troveremo un’altra soluzione, Dustin ha sempre un asso nella manica.”
“Non credo che questa volta basti basarci sulle analogie di D&D.”
Michael serrò le labbra travolto da una verità che aveva un sapore troppo amaro e a quel punto non seppe più cosa dire, si limitò a passarsi una mano fra i capelli, guardando con sguardo perso altrove, mentre Will prese il suo posto colmando quel silenzio.
“È questo il mio destino, Mike, che ti piaccia o no.”
Il ragazzo alzò di scatto il capo di fronte all’amico e si lasciò andare a un grido strozzato passandosi entrambe le mani sulla faccia come un disperato, perché non riusciva a pensare a niente di sensato per tirarlo fuori da quella situazione. Poi all’improvviso gli venne in mente il gesto che El aveva compiuto nei confronti di Max e forse c’era la possibilità di una vaga speranza.
“E se El riuscisse a farti tornare indietro?” sputò Mike tutto d’un fiato.
Will spalancò gli occhi, sorpreso. Che fosse un possibile spiraglio di luce?
“Come ha fatto con Max?!”
Wheeler annuì, mostrando il suo sorriso. Byers lo ricambiò ma poi si spense così com’era arrivato pensando ad un inevitabile e probabile sconfitta.
“Non è detto che ci riuscirà, Mike. Ci saranno mille variabili e tu lo sai, vedi com’è andata con Max. Potrei non tornare indietro comunq-”
“Non voglio che tu muoia!”
Lo ringhiò con tutta la forza che aveva e gli si avvicinò accorciando drasticamente le distanze. Doveva fare in modo che non solo lo ascoltasse ma che capisse davvero il significato dietro quelle parole.
Will a quel punto tremò, allargando un po’ gli occhi e raddrizzandosi, proprio di fronte a Mike. Il cuore ormai aveva preso una strada tutta sua, e la voglia di piangergli tra le braccia era devastante ma fece di tutto pur di non crollare in quel modo.
“Non ho molta scelta…” disse poi con la voce più rotta di prima.
“Ci dev’essere un modo,  Will, non può essere veramente l’unica soluzione” gli rispose nervosamente, mettendogli una mano gentile sulla spalla.
Lo sguardo di Will si posò sulla mano dell’amico perdendo totalmente il focus del discorso e questo fu il campanello d'allarme per Mike di accorgersi di tutte quelle particolari attenzioni che gli stava riservando. Non era un tipo molto fisico, o almeno non lo era coi suoi amici. Strette di mano e cazzate varie. Tuttavia, adesso, si stava dimostrando una persona totalmente diversa da quella che pensava di conoscere. Era una strana sensazione, le mani sudate, il cuore leggermente in gola. Gli occhi perennemente sulle sue labbra. Si allontanò di poco e tirò via la mano.
“Scusa” buttò fuori un istante dopo, guardandolo per poi distogliere nuovamente lo sguardo.  
La conversazione era in una sorta di stallo, non stava portando da nessuna parte se non ad una morte prematura di Will, perché questo nuovo modo di fare del suo migliore amico era decisamente fuori dalla sua portata. O quantomeno non la poteva reggere senza un minimo di preavviso. Fatto stava che la situazione era quella, drammatica, angosciante e il tempo scarseggiava. Se proprio doveva sacrificarsi per un bene superiore, quello era il momento per fare un’ultima confessione.
“Mike…” lo richiamò, portando l’attenzione su di sé.
“S-sì?” arrancò l’altro in tono grave come spaventato da ciò che stava per arrivare.
“Nel caso lo fosse… questa è l’unica occasione per parlarti di una cosa.”
Mike inspirò profondamente. A quel punto non aveva scampo: ciò che stava cercando di evitare inconsciamente da un anno ora sarebbe stato finalmente portato a galla.  Ma non sapendo come gestire la sua ansia, il resto venne da sé.
“Non c’è bisogno che tu lo dica, lo so già…”
Will si accigliò, interdetto.
“Come sai quello che voglio dirti?”
“Il dipinto…” rispose, ora posando lo sguardo nuovamente su di lui, “…me l’ha fatto capire. A-avevo capito che non era un’idea di El…”
William non disse niente, non una variazione d’espressione. Annuì solamente lasciandolo parlare.
“…nell’ultima lettera mi parlava di te che non volevi mostrarle quello a cui stavi lavorando, e che ti comportavi in modo strano perché pensava ti piacesse qualcuno… poi l’hai dato a me e quindi ho capito, e lo so, so cosa vuoi dirmi.”
Will rimase senza parole. Aveva praticamente anticipato quasi tutto quello che aveva da dirgli e gli venne spontaneo pensare che se Mike quell’anno si era allontanato era proprio perché quegli strani sentimenti lo spaventavano, ma soprattutto, forse, non voleva rischiare di perderlo rifiutandoli. Quello,  però, era ciò che raccontò a sé stesso per mantenere la calma dopo tutto il dolore che gli aveva causato mentendogli.
“Quindi… hai capito.”
Mike gli rispose con un accenno di palpebre mentre l’altro continuò a parlare, “Io ero… molto confuso. Ero lì che mi domandavo che cosa volesse dire, non capivo perché me la prendevo così tanto quando sparivi con El l’estate scorsa. Quando tu e Lucas pensavate solo alle ragazze… e quando abbiamo litigato e mi hai detto che non era colpa tua se non mi piacevano le ragazze. E lì pensai è vero, a me non piacciono, ma perché? Perché non mi piacevano? Poi ho trovato la risposta una volta andato via da Hawkins. È stato un processo lento e doloroso, però alla fine ho capito che effettivamente la colpa era proprio la tua. Sei stato tu a farmelo capire… in modo brusco, ma è comunque servito. Credo tu mi abbia dato una spinta.”
“Sono proprio un idiota” asserì l’altro mettendosi una mano sulla fronte.
“Non te ne faccio una colpa, Mike. Eri arrabbiato.”
Michael strabuzzò gli occhi, incredulo. Com’era possibile che dopo tutto quello che gli aveva fatto passare, cercava ancora di giustificare le sue azioni?
“No, Will, non vuol dire niente. Ti ho fatto stare male e ho continuato a fartene.”
“È passato, Mike, ci ho messo una pietra sopra.”
Pietra sopra o no, pensando a quello che gli aveva fatto, gli provocò una fitta lungo tutto il corpo. Respirò profondamente prima di dire qualcosa, aveva la mente in subbuglio, non riusciva a ragionare.
“Non so cosa dire” gli rispose portando lo sguardo sul volto perplesso di Will.
“Non devi dire niente” replicò l'altro in modo gentile e prendendogli una mano. “Ma, Mike, io non voglio che a te questa cosa spaventi. Capisco perché eri strano con me e non voglio che le cose tra noi cambino solo perché…”
William fece una pausa che a Mike sembrò lunga un secolo, “…provo qualcosa per te.”
La consapevolezza di quelle parole colpirono Michael in pieno stomaco. Una sensazione che incredibilmente non aveva mai provato. Non sapeva nemmeno che nome dargli perché non trovava una classificazione. Era come qualcosa di bello misto alla paura.
“E so che non cambierà perché hai avuto un anno intero per farmelo capire. Non hai più bisogno di evitarmi, non farò niente che tu non voglia. Non mi immischierò tra te e El, non l’ho mai fatto e non comincerò a farlo adesso. Ci tengo a lei e non voglio che soffra. Ha già troppe cose a cui pensare e io andrò per la mia strada. So che questa è la cosa più strana che tu abbia mai sentito e so che là fuori il mondo è terrificante, ma non voglio già pensare al mio futuro perché non so cosa mi aspetta d’ora in poi.”
Mike non riusciva più a guardarlo, non perché avesse vergogna dei suoi sentimenti o perché li definisse anche lui strani e non li capisse anzi, ne era in qualche modo lusingato, ma la verità era che scoprire di essere la causa del malessere del suo migliore amico gli aveva fatto un sacco male, male sul serio. Soprattutto quando si era incolpato della sua scomparsa tre anni prima con l'apertura del Sottosopra. In quel momento non riusciva a pensare ad altro; il legame più duraturo di tutta la sua vita forse sarebbe giunto al termine e no, non voleva che accadesse.
“Non voglio!” Esclamò infine, buttandosi finalmente fra le sue braccia.
Un gesto così disperato che Will aveva visto solamente sui volti della madre e del fratello quando il MindFlayer si era impossessato di lui. Il ragazzo rimase immobile, incerto se accoglierlo in quell’abbraccio, perché era sicuro che non si sarebbe più staccato. Mike allora lo strinse inconsciamente più forte e fu in quel preciso istante che si abbandonò contro la sua volontà. Will volle che quel momento durasse per sempre, che quella bolla magica che si era creata fra loro non si frantumasse. Che quell’incantesimo li tenesse legati per l’eternità. Che il mondo tornasse a  com’era prima dell’apocalisse, quando la preoccupazione più grande per un bambino di dieci anni era concludere una campagna di D&D coi suoi amici. Ma quelli non erano altro che gli stupidi sogni di un quattordicenne che amava troppo la vita per andarsene come aveva programmato.
D’un tratto, Michael interruppe il contatto e ritornò alla realtà. Il ragazzo di fronte a lui lo guardava nei suoi lucidi occhi verdi così intensamente che il suo corpo cominciò di nuovo a tremare.
“M-Mike…” trovò il coraggio di dire poi, “Che c’è?”
“Non voglio perderti di nuovo” rispose l’altro con voce bassa, serio.
“E io non voglio morire” sputò fuori crollando di nuovo in un pianto silenzioso.
Mike sorrise malinconico sentendogli pronunciare quelle parole. Poi con entrambi i pollici gli asciugò le lacrime che erano in procinto di uscire e Will si ritrovò le mani del suo migliore amico sul suo viso. Era una delle cose più belle che potesse provare, ma allo stesso tempo una delle più sbagliate. E il senso di colpa che provava nei confronti della sorella prese allora il sopravvento e gli afferrò saldamente i polsi.
“Mike…” canzonò poi, “...penso possa bastare.”
Michael lasciò andare la presa, ma in qualche modo sembrava non aver minimamente ascoltato, perché i suoi occhi erano ancora fissi in quelli di William che, imbarazzato, cominciò a guardarsi intorno. Non sapeva cosa stesse succedendo, capì solo che se fosse successo quello che aveva tanto sperato nei suoi sogni più nascosti non sarebbe mai più potuto tornare indietro. E lo aveva desiderato così tanto che non riuscì più ad opporsi, rimanendo ipnotizzato sotto il suo tocco. Wheeler aveva cominciato ad accorciare dannatamente le distanze e a posare le sue mani grandi lungo il suo mento ed avvicinarlo a sé. I nasi si sfiorarono sotto lo sguardo stupito di Will che ormai era sotto la sua mercé.
Le loro labbra infine si toccarono a malapena proprio nel momento in cui Jonathan bussò alla porta, “Will?”
William sobbalzò, svegliandosi da quella sorta di trance in cui Michael Wheeler l’aveva incastrato. Lo guardò negli occhi come a volergli dire qualcosa ma l’altro non lo percepì. Tutto ciò che fece fu abbassare la testa con visibile timidezza, come se si fosse reso conto che stavano commettendo l’irreparabile. Tuttavia, nella mente di Mike, era già tutto in pezzi. Le sue certezze e i suoi sentimenti erano tutti sfumati e per un attimo si sentì perso nelle sue sensazioni. Solo quando Will si mise in piedi l’attimo dopo e raggiunse la porta, rinsavì.
“Che c’è?” sentì domandare dal suo migliore amico con tono scocciato.
“Sono arrivati gli uomini di Owens. Vieni, ci serve il tuo aiuto” rispose l’altro da dietro la porta.
William si voltò verso di lui con aria incredula. Forse volevano davvero renderlo partecipe di qualcosa che non necessariamente includesse un possibile sacrificio. Però la sua espressione entusiasta lo infastidì.
“Sul serio?!” esclamò Will ora aprendo la porta davanti a sé.
“Sì, vogliono chiederti alcune cose. Andiamo.”
Jonathan gli mise una mano sulla spalla e lo condusse nel corridoio quando si girò verso di lui ancora seduto a terra.
“Mike, vieni?”
Non avrebbe voluto assistere ad un ennesimo coinvolgimento di Will col Sottosopra ma annuì per poi alzarsi.
“Sì, arrivo.”
A quel punto, si incamminò verso l’uscita completamente in silenzio, l’unico ronzio udibile era quello nella sua testa. Confuso e sconfitto, afferrò la maniglia della porta chiudendola dietro di sé e lasciando racchiuso al suo interno tutto quello che aveva sempre voluto.

 
   
 
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