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Autore: Soe Mame    25/08/2022    0 recensioni
C'era una volta un tritone che pensava che gli umani fossero stupidi. L'incontro con un pirata spagnolo lo convincerà di avere ragione.
[La millemilionesima rivisitazione de La Sirenetta feat. un sacco di robe pesciose e non.]
Genere: Generale, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo VII
Xxxxxxx ~ Tu non ti sei accorto di niente, quindi non bado a te, non bado a te per niente


«So che potrebbe sembrarti strano.» Erano quelle parole ad essere strane. Lovino si mise in allerta. «Ma sono qui per conto di tuo fratello Feliciano.»
Pochi minuti prima, Gilbert gli aveva chiesto se potesse parlargli in privato. Lovino aveva accettato: se davvero quell'uomo aveva capito la sua identità, sarebbe stata un'ottima occasione per scoprirlo. Non si preoccupava troppo della possibilità che lo minacciasse di dirlo al cretino - Gli umani sapevano essere ridicolmente superstiziosi, dubitava ci avrebbe messo troppo a convincerlo di possedere chissà quali poteri in grado di ricoprirlo di sfortuna.
Pronunciata la prima frase, la curiosità era stata sostituita dal sospetto. Pronunciata la seconda frase, il sospetto era stato sostituito da un principio di collasso.
«"Tu cosa?"» La scritta riempiva quasi tutta la lavagna.
Gilbert annuì. Era serio. «L'ho incontrato oggi pomeriggio. Era con Ludwig e-»
Lovino gli piantò un dito nel petto, e riuscì anche a spingerlo. L'albino ammutolì.
«"Per prima cosa, mi dici chi cazzo sei."»
«È una storia un po' lunga.» E certo, la storia era lunga, ma ovviamente aveva senz'altro avuto tutto il tempo di raccontarla al suo fratellino carino e tenerino. «Però sono dalla vostra parte. Di Ludwig e di Feliciano. E dalla tua.» Ma che carini, Feliciano e Ludwig. Gli avevano mandato un baby-sitter. «Feliciano vuole incontrarti e-»
«"Io no."» Aggiunse un istante dopo: «"Se ne restino a palazzo. Lui e il crostaceo."» Mai come in quel momento avrebbe voluto avere la sua voce. Avrebbe anche voluto avere il suo pugnale, perché minacciare qualcuno era molto più efficace se si aveva un'arma in mano. Gli sarebbe andato bene anche avere entrambe le mani libere per poter impugnare la spazzola, ma così non era, quindi sperò che il suo sguardo bastasse. «"Vi voglio fuori dai coglioni, a voi tre. Tu vedi di non metterti in mezzo alle palle e, soprattutto, vedi di non far sapere nulla al bastardo."»
Era surreale. Gilbert l'aveva scoperto e, per qualche assurdo giro di eventi, era finito per incrociare la coppia peggiore dell'universo. Avrebbe voluto saperne di più, ma avrebbe implicato dare confidenza all'albino - Che, per la cronaca, si era appena bruciato qualsiasi accenno di simpatia da parte sua.
«Ma perché non vuoi aiuto?»
Lovino gli fece cenno di abbassare la voce - Gli sventolò la tavola davanti, così vicina da poterlo colpire in modo assolutamente accidentale.
Gilbert non era arrabbiato. Era più una strana stizza di fondo. «Senti, ci sono passato anch'io con lo Stregone del Mare, so che non-» La voce si spense in un gemito. Lovino gli aveva conficcato un tallone nel piede.
Gli sbattè la tavola quasi sul naso. «"Taci e lasciami in pace."» Si voltò e si allontanò. Feliciano doveva star combinando qualche cazzata, e doveva bloccarla sul nascere. Aveva altro a cui pensare, un fratellino scemo, una guardia imbecille e un ficcanaso erano le ultime cose che gli servivano. E poi cos'era quella frase? Un reduce da un incontro fallito di auto-aiuto?
Si fermò. Sospirò. Lasciò andare la testa contro la parete. Avrebbe ascoltato Gilbert, un giorno. Però non voleva incontrare Feliciano. Era stato lui a fare tutto quello, non avrebbe permesso a suo fratello di aiutarlo - di tirarlo fuori da quel patto assurdo. Lui avrebbe potuto tirarsi indietro in qualsiasi momento. Aveva lasciato la sua voce proprio per quel motivo. Non che ne avesse bisogno. Avrebbe vinto lui. Avrebbe vinto lui e sarebbe tornato da Feliciano da vincitore. Avrebbe vinto lui e il Regno del Mare avrebbe potuto continuare a pregare di essere regnato da suo fratello. Non voleva incontrare Feliciano. Non in quel momento. E Feliciano avrebbe dovuto smetterla di intromettersi nei suoi affari, avrebbe dovuto smetterla di pensare a lui così tanto. Prima o poi l'avrebbe reincontrato, e l'avrebbe rassicurato. Feliciano aveva sempre bisogno di essere rassicurato. Non era mica lui.

Gilbert non aveva ben capito come quella conversazione fosse andata a rotoli, né come si fosse ritrovato con un piede e un naso doloranti. Era stato abbastanza certo che Romano l'avrebbe guardato male, magari non gli avrebbe creduto, ma non si era aspettato una reazione così violenta. Non gli sembrava di aver detto parole strane, quindi l'unica risposta era che il principe Lovino fosse un mezzo squilibrato - Non l'avrebbe mai detto ma, in effetti, in certi aspetti somigliava un po' allo Stregone del Mare.
Scosse la testa. Una mano andò in tasca, l'altra tornò ad assicurarsi che il naso fosse ancora al centro della faccia. Ci aveva provato. Avrebbe dovuto riferire l'assurdo risultato a Ludwig e Feliciano. Sarebbe voluto tornare con una buona notizia - Almeno una cosa buona! -, ma-
«Cos'è successo, Gil?»
Gilbert si voltò. Antonio era appoggiato alla parete, le braccia conserte e l'espressione seria. "Porca troia." «Il Magnifico Me e Romano abbiamo avuto una discussione più accesa di quanto potessi prevedere.» La cosa migliore era dire la verità, soprattutto se si ometteva una corposa dose di dettagli.
«L'avevo notato.» Lo sguardo si spostò appena nella direzione in cui era andato Romano, per poi tornare da lui. «Cosa gli hai detto, che l'ha fatto arrabbiare così tanto?»
Ora poteva buttare ai porci tutta la verità. Interrogare i prigionieri era una delle parti che adorava, ma odiava essere lui l'interrogato. «In verità,» E la verità non era. «gli ho chiesto quello che avresti dovuto chiedergli tu con un po' più di insistenza, fin dal primo giorno.»
L'espressione di Antonio si spezzò, per lasciare il posto ad una stupita. «Ossia?»
«Chi è.» Portò in tasca anche l'altra mano. «Da dove viene. Cosa vuole.» Non era sicurissimo che sbattergli quelle domande in faccia fosse un ottimo modo per depistarlo, ma era certo che tacerle le avrebbe rese fin troppo sospette.
«Non credo che Romano sia una minaccia.» Ovvio che non lo credesse. Era ancora vivo e vegeto, del resto. «Ha avuto un sacco di occasioni per uccidermi!»
«Avrà in mente qualcos'altro.» In effetti, nessuno gli aveva spiegato che tipo di vendetta volesse mettere in atto il principe. Ebbe l'orrido sospetto che, in realtà, non lo sapesse neppure il diretto interessato. «Non ti viene in mente niente? È ovvio che ce l'abbia con te, devi avergli fatto qualcosa. Non ti ricorda nessuno?»
Antonio scosse la testa. «No.» Le braccia tornarono lungo i fianchi. «Niente che possa essere reale, almeno.» Un sorriso dei suoi, serafici come se non esistesse alcun problema nel mondo tutto. «Nessun pesce può sopravvivere per troppo tempo fuori dall'acqua, no?»
Gilbert aveva fallito nel parlare con Romano e avrebbe portato una brutta notizia a suo fratello e al fratello di lui. Evitare la catastrofe che incombeva come un albero maestro in picchiata dopo una cannonata era un dovere. «Eh, no.» S'indicò il collo. «Temo soffocherebbe.»
Antonio annuì. L'albero maestro era caduto, ma non aveva colpito nessuno, né sfondato il ponte. Gilbert, tuttavia, rimpianse più che mai il non aver preso subito la prima nave in partenza per la Spagna.

*



Altri sette giorni si erano sommati ai sette che aveva trascorso in quel castello dall'estetica discutibile. Da un lato si erano rivelati molto produttivi, dall'altro si stavano rivelando un disastro totale.
Lovino trascorreva almeno due ore a notte a pianificare attacchi per il giorno successivo. Aveva anche iniziato a fare delle prove, usando spazzole e parrucche come pedine - E spazzole con parrucche, e parrucche con spazzole incastrate forse per sempre. Occuparsi di crine finto in superficie non faceva per lui, era evidente. Soprattutto perché lo distraeva dalla pianificazione. La pianificazione, si diceva. Tra le sue pedine di prova, c'erano anche le scarpe. Le scarpe non le capiva - O meglio, capiva che nessuno volesse camminare sulle strade puntute degli umani, ma andare in giro con le non-pinne infilate in due bozzoli rocciosi aveva un che di sinistro. Ma la pianificazione, si diceva.
Il primo, ossia ottavo, giorno si era dovuto svegliare un'ora prima dell'alba per racimolare gli strumenti necessari. Quando era arrivato il momento giusto - Ossia, quando era giunto il momento di sistemare la camera del bastardo -, aveva recuperato i sacchi di sabbia e aveva sparso il loro contenuto per tutta - tutta! - la stanza. Sul pavimento, sui davanzali delle finestre, nell'armadio, sul letto, sotto le coperte e anche sotto il letto, non aveva tralasciato neppure un centimetro di superficie disponibile, si era anche premurato di spalmarla con le mani! Una volta tornato, il bastardo non avrebbe saputo cosa fare, sarebbe stato costretto a dormire in mezzo alla sabbia, e il dolore fisico che avrebbe subito non sarebbe stato altro che la concretizzazione del dolore che lui aveva causato-
«Piuttosto pintoresco, Romano.» Il cretino osservava la camera insabbiata con quella che sembrava spaventosamente curiosità. «Non avevo mai riflettuto su quanto fosse bello da vedere un mobile color sabbia.»
Lovino gli aveva lanciato un'occhiata incredula. Lo stava prendendo per il culo?
«Però» Aveva messo le braccia conserte. «dovresti ripulire entro domattina. Non vorrei che il caldo di questi giorni trasformasse tutto in vetro. Sarebbe molto scenico, ma farebbe male.»
Lo stava prendendo per il culo o era proprio scemo? Oltre alla profondità, gli umani non erano capaci di misurare la temperatura? Di fronte a quelle affermazioni, Lovino prese la tavoletta e fece notare: «"Oppure ogni singolo granello si ricoprirà di madreperla e avrai tonnellate di perle."»
Il bastardo si era voltato di scatto verso di lui. Non era sconvolto, né indispettito. Era qualcosa di molto peggiore. Era commosso. «Romano...» Si era portato una mano al petto. «Stai forse cercando di aiutare le nostre finanze?»
«"No."»
«È un pensiero così buono, da parte tua, arrivato qui da così poco...»
«"STO SCHERZANDO COGLIONE"»
«Ma purtroppo servono delle ostriche per far sì che ciò succeda.» Lo aveva platealmente ignorato, non leggeva sulla tavoletta e, cosa ancora più imperdonabile, gli aveva messo una mano sulla spalla. Chi gli dava tutte quelle confidenze? Imbecille e anche invadente!
«Mi si spezza il cuore, sapendo le tue reali intenzioni-»
«"VAFFANCULO"»
«-ma devo chiederti di ripulire. È il tuo compito, qui, no?»
Come osava fargli fare ciò per cui continuavano ad offrirgli vitto e alloggio? Imbecille, invadente e anche pigro! Lui puliva solo al mattino, la sera era un ospite qualunque, e quel capitano da quattro acciughe voleva imporgli dei lavori domestici!
«Nel mentre, temo dovrò dormire altrove.»
Lovino non si era ancora liberato del suo sordido tocco, sconvolto com'era da quelle parole tanto arroganti. Quando lui gli sorrise, però, si sentì in dovere non solo di divincolarsi ma di farlo con una certa veemenza.
«Mi ospiti nella tua camera?»
«"No."»
«Ma è l'unica già pronta, e ha anche un letto matrimoniale!»
«"Va' da Gilbert."»
«Gilbert ha un letto singolo.» Parve pensarci un attimo. «Anche se Gil dorme sotto il letto, in effetti...»
«"Ecco, puoi andare da lui."»
«Potrei.» Il bastardo annuì. Poi fece un gran sorriso. «Ma sono sicuro che da te si stia meglio!»
Lovino si fermò prima di scrivere. Era tentato dal dire: «"La camera è di Manon, quindi devi chiedere a lei."», ma non era proprio del tutto completamente certissimo che la cameriera gli avrebbe risposto di no. Si ricompose. Il suo avversario era un idiota. Non serviva troppa astuzia per batterlo.
«"Va bene."» acconsentì.
Il cretino sgranò gli occhi. «Davvero?»
«"Certo. Questo castello è tuo, del resto."» Attese un istante, giusto per godersi l'espressione confusa del demente. «"Io vado a dormire in un'altra stanza."»
«Ma non ce ne sono altre pronte!»
«"Sticazzi."»
E se n'era andato, lasciando il deficiente a contemplare i massimi sistemi, di fronte alla stanza insabbiata - Stanza che, purtroppo, aveva infine dovuto pulire il mattino successivo, senza che neppure un granello di sabbia avesse nuociuto al cretino.
Il secondo, ossia nono, giorno aveva accettato di passeggiare per Napoli con il bastardo.
Non era strano che il bastardo gli chiedesse di fare un giro con lui e Lovino, forte dei suoi principi morali e conscio dello scopo ultimo della sua presenza lì nel mondo degli umani, accettava ogni volta. Doveva conoscere il suo nemico per poterlo fronteggiare e poi sconfiggere! Esplorare il mondo umano e sopportare la presenza del cretino erano cose sfiancanti ma, per fortuna, la nobile Catriona o un altro prescelto dagli dei gli fornivano cibi divini con cui ritrovare tutte le energie e affrontare qualsiasi triste sfida.
Ed era mentre stavano guardando il mare da un castello che aveva qualcosa a che fare con delle uova che Lovino comprese di poter mettere in pratica la sua vendetta. Era uno dei primi piani a cui aveva pensato eppure, per qualche motivo, non l'aveva mai attuato. Sciocco, sciocco Lovino! Aveva sollevato un dito, l'indice, un dito soltanto, e aveva puntellato il braccio del bastardo accanto a lui. Una, due, tre, ventisette, ventotto, ventinove, quaranta volte, senza tregua. Ma il cretino non implorava pietà. Non piangeva calde lacrime di sofferenza. Non cercava stoicamente di resistere ad una simile tortura. Continuava a guardare il mare con tutta la tranquillità del mondo.
«Sai,» disse, all'improvviso, a caso, talmente a caso che Lovino si sarebbe quasi spaventato, se fosse stato più distratto dalla realtà e più preso dalla sua vendetta. «mi ricordo una volta, tanto tempo fa...» Sembrava nostalgico. «Mi avevano catturato dei pirati nemici. Volevano sapere dove avessimo nascosto il tesoro rubato alla Lacustre. Non ho parlato, e loro mi hanno sottoposto alla tortura della goccia.» Scosse appena la testa. «La Lacustre era così bella, avvolta dalle fiamme del tramonto... Proprio come la loro!»
Lovino si fermò. Qualcosa gli suggeriva che la sua tortura non stesse avendo il minimo effetto.
«Ah, ma abbiamo salvato il salvabile, prima di darle fuoco!» si affrettò a dire il capitano, come se qualcuno gliel'avesse chiesto. «E non sai quant'è stato divertente quando si sono accorti che mi ero slegato! Forse pensavano che-»
Lovino gonfiò le guance. Ogni giorno che passava aveva l'orrido sospetto che le sue vere rivali non fossero Scilla e Cariddi.
Era stato difficile accettare che la prima tortura pensata fosse fallita come se non fosse neppure stata attuata, ma doveva stringere i denti e andare avanti.
Il terzo, ossia decimo, ossia insomma il decimo, il decimo giorno aveva deciso di fare qualcosa di più estremo.

«Uhm, Antò?»
«Ah, ciao, Gil! Hai per caso visto i miei vestiti?»
«Nnnno, ma non è la seconda volta che ti spariscono?»
«No, no, l'altra volta erano solo gli stivali, stavolta sono
tutti i vestiti!»
«Capisco. Ho i miei sospetti su chi sia il colpevole.»
«Dici Romano? Ma certo che è colpa sua. Però non lo trovo, quindi devo cercarmeli da solo.»
«Scusa la domanda, eh...»
«Dimmi!»
«Come ha fatto a rubarti i vestiti che avevi addosso?»
«Stavo facendo il bagno.»
«E tu non ti sei accorto di niente?»
«Oh, sì, ma sai, Romano fa queste cose strane, ero curioso di vedere cosa ne avrebbe fatto!»
«... Senti, mettiti qualcosa, prima che ti vedano occhi innocenti.»
«Ah, tranquillo, a Manon ho già chiesto.»
«Dicevo Lucilin.»


Stranamente, il suo piano non aveva sortito alcun effetto - Alla fine, i vestiti erano stati ritrovati, nonostante li avesse nascosti con cura per tutto il castello, un capo in ogni stanza. Il bastardo si era pure complimentato per la pazienza, e Lovino aveva capito che sarebbe dovuto essere più crudele, con lui.
L'undicesimo giorno aveva fatto una scoperta: la stanza subito sopra a quella del bastardo si era riempita di lumache.
«Oh, sì, può succedere.» gli aveva spiegato Manon: «Quando ci si fa il bagno, la condensa potrebbe salire al piano superiore. Poi sai com'è il ciclo dell'acqua, si viene a creare un ambiente ideale e si riempie di lumache.»
Non aveva potuto non approfittarne.

«Romano...»
«"Cazzo vuoi."»
«I miei cassetti sono pieni di lumache.»
«È il cerchio della vita.»
«Eh?»


Contro ogni previsione, al bastardo non importava niente della presenza delle lumache nel suo cassetto. Oltre a negare l'esistenza delle anime delle sirene, era pure noncurante del cerchio della vita! - O del ciclo dell'acqua, vabbè, erano più o meno la stessa cosa.
Il dodicesimo giorno aveva fatto un giro in cucina e aveva trovato qualcosa che gli sarebbe potuto tornare utile. Aveva infilato in tasca l'ennesimo strumento della vendetta e, ottenuto l'accesso mattutino alla camera del bastardo, aveva messo in pratica il suo piano.

«Romano...»
«"Cazzo vuoi."»
«Tutti i miei pettini e le mie spazzole sono pieni di miele.»
«"Forse le api hanno trovato nei manici un bugno perfetto. Devi accettarlo e conviverci."»
«Eh?»


Il bastardo aveva accettato la decisione delle api e aveva probabilmente deciso di conviverci. Lovino aveva quasi scaraventato via la lavagnetta, per due motivi: il primo era che il bastardo dava più retta a delle api che a lui; il secondo era che quelle fottute api non esistevano quindi, in pratica, lui veniva dopo degli insetti inesistenti.
Il tredicesimo giorno si era preparato con largo anticipo. Era andato da Manon e le aveva scritto che, per quella sera, non se la sentiva di mangiare, quindi poteva ordinare una porzione in meno.
«Stai bene, Romanotje?» Lei sì che era buona e premurosa. Lovino aveva annuito. Quando era arrivata l'ora di cena, però, si era presentato in sala da pranzo.
«Oh!» Manon gli aveva sorriso. Era davvero gentile! «Vuoi farci compagnia lo stesso?» Lovino aveva annuito, di nuovo. La cameriera aveva servito le porzioni e, una volta sedutasi, lui si era alzato, era andato dal bastardo, gli aveva preso il piatto ed era tornato al suo posto. Gli aveva scoccato un'occhiata di disprezzo - A lui e alla sua faccia confusa da idiota - e aveva mangiato. Aveva fatto lo stesso per il secondo e per il dolce. Le uniche reazioni che c'erano state da parte di Manon, Gilbert, Abel e Lucilin erano state dei tentativi fallitissimi di nascondere delle risate. Al primo, il bastardo era rimasto confuso. Al secondo, l'aveva guardato quasi con curiosità. Al dolce, Lovino aveva avuto il sospetto gliel'avesse lasciato. Finita la cena, il cretino l'aveva guardato, ma l'aveva guardato senza odio, senza rancore, senza tristezza, senza paura.
Lui stava facendo di tutto per rovinargli la casa, fargli sperperare tutti i suoi pochi averi, convincerlo di cose stupide per minare la sua già provata intelligenza - Ce la stava mettendo tutta, ogni giorno, senza dargli tregua, e lui non solo non lo cacciava a calci in culo ma continuava a guardarlo come i decerebrati guardavano Feliciano. Perché non poteva vendicarsi di una persona normale?

Lovino si era sempre detto bravo in quasi qualsiasi cosa facesse, ma c'erano alcune cose per cui chiunque gli avrebbe riconosciuto un talento innato. La minaccia, il ricatto, il raggiro e lo scassinamento erano tra queste. In cuor suo, aveva sognato una lunga e tesissima sequenza di minuti passati a cercare di scassinare, non visto, la stanza del bastardo, e poi, una volta introdottosi, impossessarsi della chiave e diventare padrone indiscusso di quella camera. Avrebbe scacciato il bastardo e si sarebbe insediato nella stanza del padrone del castello, una prova di forza e superiorità che quel cretino non avrebbe potuto in alcun modo accettare con un sorriso idiota! Lovino aveva pregustato quegli attimi di tensione, minuti in cui tutto il suo talento sarebbe stato messo alla prova, ma poi era giunto di fronte alla realtà. Era entrato nella camera del bastardo, quel mattino. Non c'era nessuna chiave. Non ci sarebbe stato nessuno scassinamento, perché lui aveva libero accesso a quel posto, e quel posto non era mai chiuso a chiave. - Ora che ci pensava, neppure la porta segreta della cucina era mai chiusa a chiave. Interrogata a riguardo, Manon gli aveva risposto che non avevano soldi per ripararla e, dato che era segreta, era molto in fondo nella loro lista di priorità.
Ad ogni modo, Lovino voleva fare qualcosa ad alto rischio di scoperta, quindi aveva fatto visita ad una stanza piena di attrezzi strani, aveva preso dei chiodi grossi come turritelle, un martello e una sega e aveva usato quest'ultima su una sedia brutta abbandonata in una stanza dimenticata. Dopodiché, aveva portato tutto in camera del bastardo - Bastardo che era via con Gilbert chissà dove e sarebbe rientrato chissà quando. D'accordo il brivido del rischio, ma mettersi a martellare con il cretino a due passi sarebbe stato da idioti. Nel giro di mezza mattinata, infine, Lovino aveva creato un enorme chiavistello di non indifferente bruttezza. Per quanto avesse potuto levigare il legno con una strana carta abrasiva che gli aveva passato Abel - Abel era passato a dare un'occhiata, giusto per assicurarsi che non avesse infine deciso di prendersi a martellate sui denti, e gli aveva dato qualche consiglio sul come operare -, il chiavistello continuava ad essere tozzo e sgraziato. Se non altro, funzionava.
Così, Lovino se ne stava seduto sul letto, a rimirare il suo duro lavoro, circondato di pezzi di legno, schegge, chiodi e altri oggetti potenzialmente dolorosi. Ora mancavano solo le urla di disperazione del bastardo - La camera ormai era sua! Sua! Era lui il padrone del castello, era lui il padrone di tutto ciò che quel cretino possedeva (cioè poco)!
Un rumore alla porta. Lovino si fece attento. La maniglia girava, ma il chiavistello resisteva, brutto ma resistente.
«Romano...?» La voce del bastardo era esitante. Non spaventata, ma neppure allegra. Bene, stava cedendo!
Lovino aprì la bocca per rispondere. Non uscì alcun suono. Aggrottò la fronte. Non poteva percularlo. E lui non avrebbe mai potuto leggere le sue frasi colme di superiorità, con una porta in mezzo. Aveva fatto tutto quello e non poteva sfottere quell'idiota!
Affondò il viso tra le mani. Stava ottenendo la sua vendetta, ma a quale scopo? Che piacere c'era nel saperla in corso ma non poterla vedere?
«Romano, sei lì dentro?»
Rialzò il viso. Doveva dare un segno della sua presenza, o il bastardo non avrebbe mai capito chi fosse stato ad avergli precluso per sempre quella stanza! Scattò in piedi, si avvicinò alla porta e bussò. Abbastanza sciocco, visto che era lui ad essere dentro, ma non sapeva come altro farsi sentire.
«Cos'hai combinato?» Quasi sconforto. Ottimo, ottimo! Ma perché non poteva assistere, perché? Bussò di nuovo. Sentiva il sorriso tendergli le labbra.
«Ah, giusto, non puoi dirmelo.» Sconforto completo. Non per ciò che Lovino sperava, ma l'importante era giungere al suo obiettivo.
Passi. Passi che si allontanavano. Si spalmò sulla porta, l'orecchio teso a cercare di carpire il più flebile dei suoni. Sembravano effettivamente passi che si allontanavano. Nessuna finta. Tuttavia, non aprì la porta - Nessuno gli diceva che fosse da solo, magari aveva fatto allontanare Gilbert o chi per lui e lui era appostato lì dietro, in attesa che aprisse la porta per controllare. Non sarebbe caduto in una trappola così stupida.
Si allontanò di un passo. Il piede andò su un pezzo di legno - Ecco a cosa servivano le scarpe. In quella stanza, in quel momento, erano molto utili. Si guardò intorno. Metà della stanza era un disastro. Si supponeva pulisse lui? Anche ora che la stanza era sua? Non c'era alcuna possibilità di poter far pulire al bastardo? Lui a fare il capo, il cretino a servirlo - Dato che era un principe ereditario, sarebbe stato solo il seguire la natura.
Un pensiero fastidioso. Molto fastidioso. L'aveva dimenticato, ma la verità era che avrebbe preferito non scoprirlo affatto. Quel bastardo era invischiato nella famiglia reale di Spagna. Dato che passava giorni a farsi torturare in terra straniera, dubitava fosse il re. Qualora lo fosse stato, avrebbe rivalutato qualsiasi suo dubbio riguardo la sua possibile ascesa al trono del Regno del Mare.
Vetri esplosero e caddero a terra. Lovino si voltò. La finestra più a destra era in frantumi e, in piedi tra i pezzi, c'era il bastardo.
«Romano.» Un sospiro. Lo sconforto era scomparso. Cazzo. «Oggi ti sei proprio impegnato, eh?»
Lovino alzò una mano, il dito centrale in mostra. C'erano troppe cose sbagliate. Mezza camera era disseminata di oggetti affilati e potenziali armi, la sua vendetta si era afflosciata come un'alga portata in superficie e il bastardo era nella stanza.
«Mi stupisci ogni giorno.» Non l'avrebbe fatto. Non l'avrebbe fatto, non in una situazione del genere. E invece lo fece. «Questo di oggi è il dispetto migliore, sono curioso di vedere cosa farai tra altre due settimane!» Si era illuminato a giorno e la sua voce era suonata come un trillo.
Dispetti, dunque. Beh, sì, lo erano. Se non altro, li aveva riconosciuti come tali e non come qualcosa di inquietante tipo tenere manifestazioni di boh, riconoscenza? Ed era così sicuro che avrebbe continuato a fargliene ogni giorno - Così sicuro che nessuno dei suoi dispetti lo avrebbe scosso -, che sarebbe rimasto lì per altre due settimane - Fino alla fine del mese.
Era già passata metà mese.
«Ora riapriamo la porta.» Con tutta la calma del mondo, il bastardo era andato al chiavistello. Lo guardava con un certo interesse. Dato che a terra c'erano un martello e una sega, in caso di commenti a proposito della sua estetica, avrebbe potuto infliggergli una morte lenta e dolorosa. «Anche se...» In realtà, gli stava venendo un'altra idea. «Sembra un po' duro da aprire.» Lovino andò alla finestra. Una intera, non quella rotta, con in bella mostra i pezzi di vetro pronti ad accogliere qualcuno tra le loro punte affilate. «Come hai fatto a chiuderlo, in primo luogo?» Aprì la finestra. Mise le mani sul cornicione. Il bastardo ci avrebbe messo un po' ad aprire la porta, avrebbe potuto abbandonarlo al suo destino, da solo, e poi sfotterlo a dovere una volta riuscito ad uscire - Chiedere che rimanesse bloccato dentro era chiedere troppo, lo sapeva. Si diede la spinta.
Il respiro si mozzò. La schiena sbattè contro qualcosa. I piedi non toccavano terra. La cornice della finestra era davanti a lui.
«Qué demonios creías que estabas haciendo?»
I piedi toccarono terra. Giusto. In superficie si rimaneva sempre attaccati alla terra. Qualsiasi tentativo di opporsi a questa regola veniva punito con un riattaccarsi alla terra forzato e accelerato. L'aveva dimenticato.
Il sospiro troppo vicino non era condiscendente. Era di sollievo. Un istante dopo, si sentì cadere e si ritrovò seduto sul letto. Realizzò di avere le braccia del bastardo attorno al busto, e il resto del bastardo a fargli da sedia.
«Togliti dalla testa l'idea di usare il cornicione.» Sentì la sua fronte contro la nuca. Nonostante fosse un'ottima occasione, non si sentì tentato dal tirare la testa in avanti e assestargli una craniata in faccia. «Sì, hai ripreso a camminare in modo normale, ma non pensare di avere di nuovo lo stesso equilibrio!» Peccato che lui non aveva mai camminato e non aveva mai avuto bisogno di quel tipo di equilibrio. Il bastardo non disse altro. Continuava a stritolarlo. Lovino gli afferrò le braccia. Bastava spingerle via. Non aveva la voce per protestare, ma una tallonata nello stinco sarebbe stata altrettanto allusiva. Bastava un solo movimento, qualsiasi lui volesse. Solo uno e si sarebbe potuto rialzare. Avrebbe fatto finta di niente, ché non è che avesse fatto qualcosa di male. Si era solo dimenticato di un dettaglio delle leggi fisiche che regolavano quel mondo. Un dettaglio che avrebbe potuto farlo diventare una poltiglia di pesce, ma pur sempre un dettaglio. La cosa che gli faceva rabbia, invece, era il fatto che quell'imbecille gli avesse oggettivamente salvato la vita, e che subito dopo gli avesse ricordato di essere lo stesso bastardo che lo abbracciava nella grotta. E lui se ne stava lì come una razza in tanatosi. Fanculo.
«Lo so che ti ho fatto qualcosa.» La sua voce era ancora più insopportabile del solito, ora che i ricordi della grotta erano tornati vividi, marchiati nella sua mente. Fanculo ai suoi ricordi e fanculo alla grotta. «Però, se non mi dici che cosa, non posso farci niente.» Fanculo alla grotta, aveva detto. Fanculo. Era nella grotta che il bastardo si era macchiato del più agghiacciante peccato di stupidità. E anche quello se lo ricordava bene, ora. Ovvio che se lo fosse sempre ricordato ma, in quel momento, vaffanculo. Si voltò verso di lui. Il cretino lo lasciò muoversi. Non che avesse risolto niente, ora che vedeva la sua faccia di cazzo. L'unica cosa, la sua espressione era diversa dal solito. Avrebbe detto seria. Doveva essere la faccia da idiota che aveva la prima volta che l'aveva incontrato. Non aveva idea di che espressione avesse lui. Neppure gli importava, in realtà. Sperava solo fosse abbastanza colma di odio. Un'altra sua grande capacità era trasmettere, forte e cristallino, tutto l'odio e il rancore che provava verso qualcuno. Gliel'avevano detto spesso che quello era uno dei suoi talenti più eccezionali.
Una mano sul viso - Sullo zigomo, sulla guancia, sul mento. Forse il cretino era così stupido da non rendersi conto delle sue manifestazioni di odio, e si sentiva in diritto di toccacciargli la faccia. L'aveva già fatto. Sapeva benissimo come sarebbe andata a finire. Doveva allontanarsi in quel momento, o avrebbe realizzato del tutto che nessuno, da fuori, avrebbe aperto quella porta.
Si scostò e si alzò. Non trovò opposizioni. Prese la tavoletta. «"Io apro. Tu pulisci."»
L'imbecille lo fissò per un istante, come se non sapesse di cosa stesse parlando. Anche quello l'aveva già fatto. E anche stavolta tornò in sé. «Potrei aprire io?»
«"No."» Senza dargli altra attenzione, Lovino andò alla porta e iniziò ad armeggiare con il chiavistello. Sperava si riaprisse. Era abbastanza sicuro potesse riaprirsi. In caso contrario, avevano un martello. E una sega. Potevano aprirla, la porta, loro che erano gli unici là dentro.
Inspirò, piano. C'era una cosa da fare. Mise le mani sulla porta. Bussò un paio di volte. Quando si girò, notò che il bastardo lo stava guardando. Lovino fece un cenno alla finestra. Tornò a guardare la porta. Bussò di nuovo.
Che capisse il cazzo che voleva.

*



«Feliciano sta bene?»
Ludwig si prese tutto il tempo del mondo, come se la bottiglia di birra fosse una Maß e non una trentatré centilitri. Era abituato a dare risposte secche ed esaustive, a riferire i dettagli più importanti nel minore tempo possibile - Ma, come sempre, i suoi modi di fare iniziavano a vacillare se si trattava di Feliciano.
Erano stati dei giorni intensi, doveva ammetterlo. A Feliciano la birra era piaciuta e gli aveva gentilmente chiesto di portargliene altra. Ludwig aveva obbedito con un briciolo di vergogna nel cuore: portare birra a Feliciano implicava prenderne anche per sé, portare birra a Feliciano implicava che Feliciano tale birra l'avrebbe bevuta, con tutte le conseguenze del caso. Per un fugace istante, Ludwig aveva temuto che Feliciano fosse, a sorpresa, del tipo da sbornia triste. Era bastato poco, molto poco, per rendersi conto di avere davanti il tipo da sbornia iperattiva. Erano aumentati a dismisura il volume della voce (Era certo che qualche umano dotato di apparecchi metallici con tante lucine avesse registrato quei suoni e li avesse scambiati per brandelli di radiazione cosmica di fondo), la velocità di fuga (Rendendolo dunque invisibile all'occhio marino, supponeva), la quantità di parole che riusciva a dire in un minuto (Considerato ciò che diceva, l'ascoltatore sfiorava il lavaggio del cervello) e la rapidità con cui pensava a cose diverse (Questo a Ludwig non piaceva, perché erano già tre volte che Feliciano lo baciava come a fargli le più perverse promesse da sirena mitologica per poi andare ad impilare una palizzata di sassi o chiedergli se gli anemoni si mettessero d'accordo nel muoversi tutti insieme nello stesso momento. Quando poi gli aveva detto di amare il colore nero e lucido del guscio delle cozze, Ludwig si era sentito punto nel vivo della sua natura di granchio e l'aveva gentilmente catapultato nel primo relitto in vista.).
Ludwig abbassò la bottiglia. Aveva preso abbastanza tempo per formulare una risposta veritiera e ponderata. «Sì.» Del resto, Gilbert non gli aveva chiesto se la riscoperta passione di Feliciano per la birra gli stesse drenando le energie. Né se Feliciano bevesse ancora - In tal caso, la risposta sarebbe stata no, perché Ludwig, con grande spirito di sacrificio, aveva iniziato a rifiutarsi di portargli ulteriori bottiglie. Nel giro di quarantotto ore, Feliciano era tornato come prima - Cioè tutte le cose di cui sopra ma a velocità più accettabile.
Partenope, di fronte a tale grande sacrificio, gli aveva fatto dono del senso di colpa di Gilbert: per convincerlo a rimanere più tempo con lui, suo fratello gli faceva puntualmente trovare delle bottiglie di birra tutte per lui. Non che Ludwig fosse tipo da astio o vendette o cose del genere - Il principe Lovino era imbattibile su questo campo, e lo ammettava senza timori -, ma Gilbert era sparito da un giorno all'altro, l'aveva abbandonato e, per quanto ne sapeva lui, poteva essere morto e l'Anti-Magie-Rüstung poteva essere stata venduta per due biscotti di krill, quindi si sentiva legittimato a portargli rancore e ad indulgere un pochino nel suo evidente rimorso.
«Almeno lui.» Gilbert si guardò di nuovo lo stivale. «Ma perché Romano non è tranquillo come Feliciano?»
«Feliciano non è tranquillo.» Ludwig osservò la bottiglia. Non c'era più neanche una goccia di birra. «Devo però ammettere che, di solito, il principe Lovino rimane alle aggressioni verbali. Le aggressioni fisiche sono più rare. Deve averti davvero preso in odio.»
Con la coda dell'occhio, notò Gilbert annuire, piano. Non stava davvero guardando il suo stivale.
Era la quarta volta che s'incontravano sugli scogli, lui e suo fratello. Gilbert gli portava una mezza dozzina di birre, azzardandosi a berne solo una, quasi fosse un'offesa privare suo fratello minore di luppolo e malto. Si scambiavano qualche frase, a volte riuscivano a parlare persino per tre minuti interi. Poi cadeva il silenzio.
Trascorrevano minuti, se non ore, a guardare il mare in silenzio. Rumore di onde, tintinnio delle bottiglie sulla roccia, vociare in lontananza. Ludwig non sapeva se preferire il rumore di fondo ad una voce gracchiante che conosceva fin troppo bene. Non sapeva neanche cosa si supponeva dovesse succedere. Per quanto avesse trascorso anni in compagnia di Feliciano, ricordava ancora cosa fosse la logica: se una persona commetteva uno sbaglio e lo riconosceva, andava a chiedere scusa a chi era stato colpito dal suo errore e la vita riprendeva normalmente. Era impossibile non commettere sbagli. Era impensabile condannare per sempre qualcuno per uno sbaglio, per quanto grande. Gilbert si era scusato, era visibilmente rammaricato e, in modo piuttosto goffo, stava cercando di ottenere un'esplicita conferma di essere stato perdonato. Gilbert aveva fatto la sua parte, Ludwig avrebbe dovuto fare la sua. Ripensandoci bene, forse la compagnia di Feliciano gli aveva fatto perdere ogni cognizione del senso della logica.
«E il vecchio Fritz?»
La voce gracchiante coprì il rumore di fondo. Ludwig si scosse e guardò apertamente Gilbert. «Cosa?»
«Sta bene?»
Gilbert era fossilizzato in quella posizione fin da quando era arrivato: seduto su uno scoglio, appallottolato su un ginocchio piegato, la gamba con il piede ferito (mortalmente, a sentire lui) distesa sullo scoglio più avanti. La testa si muoveva appena, e neanche troppo spesso. Lo sguardo andava a lui, di tanto in tanto, soprattutto quando era certo non lo stesse guardando. In quel momento, infatti, era dritto davanti a sé, verso il mare.
Chissà da quant'era che voleva chiederlo.
«Non lo so.» Ludwig posò la bottiglia vuota vicino alle altre due. «Non lo vedo da anni.»
Gilbert annuì di nuovo. «Pensi mi punirà?»
Questa era una risposta facile da dare. «Ovviamente.»
Dalla sua espressione, era palese fosse la risposta che si aspettava e che non voleva sentire. «Dopo, pensi mi perdonerà?»
«Forse.» Ci pensò meglio. «Le tue possibilità aumenteranno, se gli riporti l'Anti-Magie-Rüstung.»
Gilbert sbuffò in modo strano. Una risata mascherata malissimo. «Appena ritrovo l'Hexenmeister gliela chiedo!»
«Tu non ci parli, con l'Hexenmeister.» Ludwig si stupì di come la sua voce suonasse tranquilla. «Sia mai che ti convinca a barattare una gamba per una nave che poi si scopre essere bucata.»
«Non baratterei mai una gamba per una nave!» Gilbert affondò il mento nel muro di braccia. «Mi deve offrire almeno una birreria intera, con tutte dipendenti donne bellissime!»
«Per poi scoprire che la birreria è infestata di topi che portano malattie estinte da anni, e che viola tutte le norme basilari di sicurezza e igene. Quando poi proveresti ad approcciarti a qualcuna delle tue dipendenti, scopriresti che sono tutte lesbiche e che non potrebbero mai avere il minimo interesse nei tuoi confronti.»
Gilbert emise un verso strozzato. «Sei spietato.»
«Sono realista.» Nondimeno, era uno scenario quasi divertente. Diede un leggero colpo di tosse. Forse, a malincuore, aveva passato troppo tempo anche con il principe Lovino.
Onde del mare. Vociare in lontananza. Il volume di quei suoni era rimasto immutato, eppure gli sembrava si facesse più alto, quando suo fratello non parlava. Forse, in tutti quegli anni, Ludwig non aveva mai davvero compreso la natura della realtà. Realizzò che avere un pensiero del genere confermava che, alla fine, Feliciano era riuscito a distruggere ogni certezza della sua vita.
«E Ludwig?»
Questa era una domanda bizzarra. «Cosa?»
«Pensi mi perdonerà?»
Questa era una risposta facile da dare. «Forse.» Nessun no. Nessun sì. Non lo sapeva neanche lui.
Finalmente incontrò lo sguardo di Gilbert. Era da un po' che non lo vedeva da così vicino. Umano o crostaceo che fosse, era come lo ricordava.
«Quando starà meglio con me vicino?»
Ecco perché non aveva chiesto se lui stesse bene. La risposta era palese. «Forse.» Una parola in grado di voler dire tutto e niente, nello stesso momento. In verità, era una parola che Ludwig trovava alquanto irritante. "Forse" non era una risposta. Il mare non era "forse" bagnato, il cielo non era "forse" azzurro, il castello alle loro spalle non era "forse" brutto. Eppure, "forse" era la parola che meglio descriveva il suo contrapporsi alla logica consequenzialità degli eventi: errore, scusa, perdono. Errore, scusa, "forse" perdono. Aprì un'altra bottiglia di birra. "Forse" era una parola irritante e, pensandoci bene, era perfetta per quella situazione.
«Puoi dirmelo» La voce di Gilbert era più bassa del rumore delle onde. Era straniante. «se non vuoi più vedermi.» Distolse lo sguardo per un secondo, ma tornò subito. Doveva stare faticando a sostenerlo. «Lo capisco, eh!»
Ludwig trovava irritante la parola "forse". "Forse" non voler più vedere Gilbert non era un'affermazione sensata. Era lì con lui, era la quarta volta che era lì con lui. I fatti dimostravano che la risposta, almeno a quella domanda, non fosse "forse".
«Quando questa faccenda con il principe sarà sistemata,» Sperava seriamente per il meglio - Per Feliciano, per il re, persino per il principe Lovino, ma soprattutto per i suoi già provatissimi nervi. «ti accompagno da Frederich.»
La testa di Gilbert emerse dalla muraglia di braccia. Gli occhi erano sfere perfette e rosse come un betta halfmoon. «Davvero?» Ci teneva così tanto a farsi perdonare? Si curava di ogni sua sillaba fino a quel punto?
Una vocina nella sua testa, molto soffice, molto tenera e molto fonte di domande esistenziali gli sussurrò: «Forse.».
Ludwig sospirò. Tornò a guardare il mare. Non avrebbe risposto in quel modo. «Sono curioso di vedere come ti punirà.»
Stavolta, la risata di Gilbert risuonò come la ricordava - sguaiata, vera nel suo suonare finta, osò azzardarsi a pensarla quasi nostalgica. «Sei diventato sadico, Vest!»
«Qui abito nell'ala sud.» Bevve un sorso di birra. «E non sei il primo a fare un'affermazione del genere.»
Gilbert ridacchiò. Parve realizzare qualcosa. La sua espressione si congelò. Si voltò verso di lui. «Aspetta, in che senso?»
«Sono il capo delle guardie.» Gliel'aveva già detto? Non ricordava. «Mi occupo anche di torturare i prigionieri.»
Gilbert era impallidito. Un'altra gradazione di colore in meno e sarebbe diventato trasparente. «Davvero?»
Non c'era bisogno che suo fratello sapesse che, ultimamente, da quelle parti non c'erano stati conflitti o prigionieri in primo luogo. S'impedì di sorridere. «Forse.»

*



Due settimane. Feliciano aveva già pensato quelle due parole, ma era stato in una situazione diversa, più positiva: due settimane in cui Lovino non aveva attirato navi sugli scogli - e, soprattutto, sul fondale marino. Ora che ci pensava bene, faceva anche rima. Avrebbe preferito continuare a pensare a quello che al fatto che suo fratello fosse "scomparso" da due settimane, e che erano due settimane che il nonno faticava a cambiare espressione. All'inizio, in verità, mostrava una gamma di emozioni più vasta - deciso, preoccupato, furioso, teso, triste. Ora variava solo tra il preoccupato e il triste. I primi giorni trascorreva il tempo con qualche sirena, in senso letterale - La sirena di turno fluttuava accanto a lui, neanche fosse una dama di compagnia o una guardia del corpo -, poi aveva smesso di cercarne.
A volte, Feliciano era tentato dal dirgli che Lovino fosse in superficie, neanche troppo distante da loro. Certo, la situazione non era delle migliori, ma almeno il nonno si sarebbe dato pace. Tuttavia, se l'avesse fatto, avrebbe provocato uno tsunami, forse neanche troppo metaforicamente. Avrebbe dovuto dirgli che Lovino era umano. Che aveva fatto un patto con lo Stregone del Mare. Che lo Stregone del Mare, il re dei Sette Mari, si era avvicinato al primogenito del Regno del Mare - Ed era palese cosa volesse, ed era esattamente ciò che Lovino gli aveva promesso. Feliciano dubitava che il nonno avrebbe badato a quisquilie quali un patto. Si sarebbe armato e avrebbe affrontato lo Stregone del Mare in prima persona.
Insomma, suo fratello aveva messo a repentaglio la pace del Regno del Mare in una quantità di modi quasi ammirevole. Non che Feliciano lo ammirasse, per questo, ma doveva riconoscergli un certo talento.
L'unica cosa che poteva fare lui, in quel momento, era cercare di contattare Lovino e, nel mentre, tacere al nonno l'intera faccenda. C'era un'altra cosa che poteva provare a fare, però.
Si avvicinò al nonno. Se ne stava seduto in cima ad una delle colonne della sala del trono. Erano un paio di giorni che lo faceva.
«Nonno?»
«Felicià.» Parve accorgersi di lui solo in quel momento. Non stava facendo nulla di particolare, il suo sguardo era perso nell'orizzonte fino ad un attimo prima. «Notizie?»
Feliciano scosse la testa. Non doveva sforzarsi per fare un'espressione dispiaciuta, gli bastava ripensare a tutta quella situazione.
Il nonno parve sgonfiarsi. Non come un pesce palla, qualcosa di più lento, come un castello di sabbia eroso dalle onde.
«Lovino nun t'ha mai detto niente?»
Feliciano gli rivolse un'occhiata interrogativa.
«Nun 'o so, magari quarche idea che c'aveva...» Era tornato a guardare l'orizzonte. «N'ha lasciato niente. Manco 'n alga pe' dicce che se ne 'nnava. N'era premeditato, forse?»
Avevano già escluso il rapimento. Era ovvio che l'unica risposta che il nonno riusciva a darsi era che gli fosse successo qualcosa di grave.
Feliciano fece un respiro profondo. Poteva provare a fare qualcosa, almeno in quel momento. «Forse no.» ammise. Si lanciò sul nonno e lo abbracciò. Lui ci mise un secondo a ricambiare. Doveva averlo colto di sorpresa. Succedeva, anche se Feliciano non capiva cosa ci fosse di strano in un abbraccio. «Però, qualsiasi cosa sia successa, io credo stia bene.» Si scostò, per guardare il nonno negli occhi. Era preoccupato. Almeno non era più triste. La tristezza era rassegnazione, la preoccupazione era un barlume di speranza. «Sono sicuro» Mise quanta più decisione possibile nelle sue parole. «che me lo sentirei, se gli fosse successo qualcosa di brutto! E io non mi sento così male!»
Il nonno annuì, piano. Forse, un paio di settimane prima, gli avrebbe fatto un gran sorriso e gli avrebbe assestato una pacca sulla schiena. Visto il tipo di pacche sulla schiena che rifilava il nonno, con tutto il bene che gli voleva, fu grato non fosse dell'umore. «Nun riesco a nun pensà...» esordì, piano: «... che Lovino sia scappato.»
Pensare alla situazione. Pensare alla situazione. Pensare alla situazione. Non poteva permettere al suo sguardo preoccupato e al suo sorriso d'incoraggiamento di vacillare solo perché il nonno poteva aver intuito qualcosa!
«Nun semo mai riusciti a parlà bene.» Il nonno gli accarezzò la testa. «E 'o so che c'ha problemi a parlà anche coll'artri. E so anche che ce stanno certi che nun 'o vorebbero come prossimo re.»
Allarme orca infuriata, e senza che ci fosse nessuna orca.
«Pe' quanto ne so, Lovino nun ha amici.» Era brutto da sentire, ma era purtroppo vero. «Ha solo te. E te stai quasi sempre co' Ludovico. E Lovino odia Ludovico.» Era brutto da sentire, ma era purtroppo vero, parte due. «N'è poi così strano che se sia dato.» Era brutto da sentire, ma era purtroppo vero, conclusione. «Forse avrei dovuto fa' quarcosa.» La mano sulla sua testa si fermò. «È 'n po' 'na frase fatta, ma nun riesco a nun pensalla.»
Cosa avrebbe dovuto dire, in un momento del genere? Non poteva negare la realtà. D'accordo voler tirare qualcuno su di morale, ma mentire spudoratamente non era l'ideale. Accennò ad un sorriso. Almeno qualcuno doveva farlo.
«Non so dove sia Lovino,» E addio al non mentire spudoratamente. «ma sono sicuro che tornerà.» Quella, almeno, non era una bugia. Lui era sicuro. Che poi alla sua sicurezza corrispondesse la verità era un altro discorso. «E quando tornerà» Strinse i pugni, assunse un'espressione decisa. «avrai l'occasione di rifarti, nonno!»
Il nonno gli rivolse un'occhiata stanca, ma non triste. L'importante era che non fosse triste. «Dici?»
«Dico!» Annuì, a rafforzare le sue parole.
E sperava davvero, ma molto davvero, che alla sua speranza corrispondesse la verità.

.

Note:
* Il titolo del capitolo viene da Melancholic, canzone composta da Junky e cantata dalla Vocaloid Rin Kagamine.
L'altro titolo viene di nuovo da Baciala, ma c'è qualcosa che continua ad andare storto.
* Il bugno è una versione antica degli alveari per l'apicoltura, fatto con tavole e tronchi d'albero.
* Maß è il termine tedesco con cui essenzialmente si indica il boccale di birra da un litro.


Non so perché io finisca sempre per scrivere di gente che idea piani stupidi - Probabilmente perché mi diverte. (?) In realtà, per questo capitolo, io ho pensato solo ad alcuni dei Terribili Piani di Vendetta, mentre gli altri sono suggerimenti di Tayr, madrina di questa storia. Non vi dico quali, lasciate che cotanta idiozia fluisca nel capitolo senza soluzione di continuità. (!)

Da queste vicende più che mai, una domanda si fa sempre più pressante: Antonio è scemo senza possibilità di redenzione o, a sorpresa, sta effettivamente prendendo in giro Lovino? (Potrei usare la terminologia usata da Lovino stesso, ma il doppio senso sarebbe troppo palese e la risposta alquanto scontata.)

Una domanda che forse ci si starà facendo è: chi è "il vecchio Fritz"? Il re del Baltico del Sud? Il generale a cui Gilbert rispondeva? Il padre di Ludwig e Gilbert? Non vi darò la risposta, quindi pensatelo come volete~

Il titolo del capitolo. Dato che Xxxxxxx era già il titolo del capitolo cinque, mi sarebbe piaciuto usare un'altra canzone per questo e il prossimo (Prima e seconda parte del settimo, anche se alla fine non credo cambi granché considerarli semplicemente il settimo e l'ottavo-), ma non mi andava di usare tutte canzoni del film animato e poi andare a prenderne una sola dal musical o dai sequel. Evvabbè. ¯\_( õ ‹3 ó)_/¯

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi saluto! Ciao!
  
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