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Autore: crazyfred    05/09/2022    1 recensioni
Ritroviamo Alex e Maya dove li avevamo lasciati, all'inizio della loro avventura come coppia, impegnati a rispettare il loro piano di scoprirsi e lavorare giorno dopo giorno a far funzionare la loro storia. Ma una storia d'amore deve fare spesso i conti con la realtà e con le persone che ci ruotano attorno.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sotto il cielo di Roma'
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 Capitolo 18
 
 
 
 
 
Quel lunedì pomeriggio, arrendendosi a parcheggiare l’auto lontana da casa dopo due giri dell’isolato senza alcun successo nel trovare anche solo un buco per la sua piccola Smart, Maya si arrese all’evidenza che le tirate di Lavinia sul riscaldamento globale e i cambiamenti climatici erano qualcosa più di parole da uccellaccio del malaugurio. Quel fine maggio aveva tutta l’aria di un novembre inoltrato, con il cielo plumbeo, pioggia battente per tutto il giorno e temperature che invitavano più a salire sul Terminillo che a scendere in spiaggia a Fregene. Perché tanto, in quell’estate che si avvicinava, non poteva più fare affidamento né sul barchino di 25 metri di Tommaso a Ponza – che poi lei neanche lo conosceva bene sto Tommaso, ma si accodava – né tanto meno sulla comitiva estiva che, bene o male, un cilindro dal coniglio lo tirava sempre: Hvar e Ibiza per sbocciare, Formentera e Porto Ercole per chiudere in eleganza.
Per quanto la riguardava, con la prospettiva di passare un’estate da disoccupata, era grasso che colava se avesse potuto prendere il sole sul terrazzino, fare qualche bagno in piscina da sua madre e farsi ospitare da Olivia a Cortina quando a Cortina ci sono solo orde di ricchi romani in età pensionabile.
Finalmente arrivata davanti al palazzo, impegnata a tenere a bada il suo ombrellino pieghevole senza farlo rompere, si accorse all’ultimo momento della figura maschile che cercava di ripararsi, abbastanza invano, sotto la pensilina del portone. Era Alex.
“Che ci fai qua?” gli domandò, distaccata, tirando fuori le chiavi dalla borsa. L’ultima cosa che voleva, in quel pomeriggio piovoso, era dover ripetere ancora e ancora l’ovvio sul loro rapporto. Il sussulto che sentiva dentro ogni volta che lo vedeva cedeva presto il posto a quello che era successo, ricordandole che oltre l’uomo che l’aveva fatta sentire come mai prima, c’era anche quello che le aveva spezzato il cuore e doveva stare all’erta. “Se sei venuto qui per …” “Ehi! Tranquilla” mise le mani avanti, le palpebre che sbattevano velocemente per le gocce di pioggia che cadevano dalla tettoia del portone “sto aspettando Paolo per una birra, ma a quanto pare lui e Monica sono bloccati nel traffico”
“Lasciamo stare…con questa pioggia è un casino, 50 minuti per tornare dall’Eur oggi, di solito ce ne metto 20…ma sei fradicio!”  Era più forte di lei: forse erano i cinque anni lavoro fianco a fianco – sapeva che non era così ma ci sperava – forse, più probabilmente, era ancora sotto tutta Trenitalia per lui, ma aveva un constante istinto di protezione nei suoi confronti, e non lo sopportava. Perché lui l’aveva ferita e lei non doveva dargli a vedere né che le avesse fatto male, proprio come aveva detto Alice, né che ci tenesse ancora. Alessandro, invece, da parte sua si stupiva ancora di quanta naturalezza riuscisse a dimostrare, nonostante tutto, nei suoi confronti, in un modo in cui lui non era minimamente in grado. Si sentiva un pivellino che ha a che fare con la prima cotta e questa è ben più esperta di lui. Tremava come una foglia - e non era la pioggia fredda che gli aveva bagnato tutti i vestiti – ed era solo per miracolo che lei non se ne rendesse conto.
“Sì … è che … ho avuto la brillante idea di prendere la moto e ho beccato il diluvio in pieno a metà strada, pensavo fosse una cosa passeggera” Maya dovette frenarsi dal ridergli in faccia, ma un risolino non riuscì proprio ad evitarlo. Aprì finalmente il portone e una volta dentro, fece sgocciolare l’ombrello come poteva sullo zerbino mentre aspettava l’ascensore. Alex, la seguì a ruota per starsene finalmente all’asciutto, togliendo di dosso il bomber blu di cotone che aveva addosso, completamente zuppo.
Entrando in ascensore, Maya notò che Alex se ne stava impalato sul pianerottolo.
“Che fai ancora lì? Dai vieni!” “Aspetto qui Paolo, tranquilla. E poi pensavo che…”
“Senti … sarò stronza ma non così stronza, non te la faccio prendere una polmonite. Vieni su con me che ti asciughi”
Alex alla fine, nonostante i dubbi e la riluttanza, non poté dire di no ad un asciugamano e all’asciugatrice, ma nessuno dei due aveva fatto i conti con quegli interminabili 40 secondi passati insieme nell’ascensore piccolo e stretto a distanza più che ravvicinata. A conti fatti, era peggio che passare la giornata di lavoro a stretto contatto, ma ben separati da un muro e le interazioni limitate all’osso.
“Io devo chiederti scusa” esordì Alessandro, dopo aver rimuginato se fosse o meno il caso di tirare fuori l’argomento. Erano passati due giorni da quando aveva litigato con sua sorella e la rabbia non era ancora sfumata a sufficienza, tuttavia era riuscito a mettere meglio a fuoco la situazione vista dagli occhi di Maya, e anche solo immaginando come potesse essersi sentita lei, lui sentiva mancargli l’aria. E lei, invece, gli aveva taciuto tutto. “Mi avevi detto che non eri qui per questo” lo bloccò subito. “Non ero qui per questo ma già che ci siamo …” L’ascensore però ebbe un tempismo migliore del suo, permettendo a Maya di sgattaiolare fuori e darsi da fare per aiutarlo a rimettersi in ordine, sparendo tra bagno e camera da letto.
Era strano mettere di nuovo piede tra quelle mura. Dicono che gli uomini siano diretti e semplici, che vanno dritti al punto e non si perdono in lunghi monologhi interiori e riflessioni profonde, ma lui non era come tutti gli altri e lo sapeva; ma non come lo vedevano gli uomini d’affari con cui concludeva contratti o i suoi dipendenti per i quali era un faro. No, lui era riflessivo e contorto, e la sua mente andava dappertutto nei ricordi man mano che i suoi occhi vagavano nella stanza. Tutto gli ricordava le settimane che avevano passato lì insieme: la cucina dove aveva sperato di convincere Lavinia che le sue intenzioni erano buone, il divano, dove avevano fatto l’amore per l’ultima volta e si era illuso di aver sistemato tutto, la tv dove lei lo aveva convinto a guardare programmi trash tanto per spegnere il cervello e farsi due risate e persino, sul frigo, la cartolina che aveva comprato a Santa Marinella, nell’unico negozietto di souvenir aperto ad aprile. La tentazione di andare lì e girarla, per vedere se aveva tenuto anche la frase che lui aveva scritto per lei era tanta, ma era terrorizzato dalla prospettiva di trovarla scarabocchiata e cancellata.
La più bella dichiarazione d’amore al mondo è: ti ci devo portare, così aveva scritto. Forse quella era stata l’unica promessa che era riuscito a mantenere.
“Dammi i vestiti bagnati che li metto in asciugatrice” disse Maya, entrando nella zona giorno e porgendogli l’asciugamano “ti ho preso anche la maglietta dei …” Le parole le si strozzarono in gola e il cuore prese a galoppare mentre Alessandro toglieva la camicia, con quel suo solito vizio di farlo come se fosse una maglia. Ma sei cretina Maya? Perché non l’hai spedito direttamente in bagno! “… The Clash” “Che c’è?” domandò l’uomo, prendendo l’asciugamano “ti dà fastidio vedermi a petto nudo?”
Ma certo che sei un coglione, pensò; in questo era identico a tutti gli uomini, che prima fanno o dicono, e poi pensano a quello che hanno fatto o detto. Come gli era venuto in mente di dire una cosa del genere, dopo essersi fatto persino scrupolo ad accettare un giro di asciugatrice per i vestiti bagnati, non lo sapeva nemmeno lui.
“Certo che no” rispose piccata Maya, impassibile “lo faccio per te, così non prendi freddo. E comunque non credere, non hai niente di meglio degli altri”
Non era vero che non aveva niente di meglio degli altri. Era stata con ragazzi più giovani, sportivi e palestrati di lui, ma gli anni in più davano al corpo di Alex qualcosa che gli altri potevano scordarsi per il momento: quella sensazione di protezione e forza controllata che provava ogni volta che si trovava tra le sue braccia o le sue mani la sfioravano. E così non riusciva a staccare gli occhi dai suoi pettorali, da quella cicatrice sul braccio sinistro che le piaceva accarezzargli, dalle spalle larghe – eredità del nuoto da ragazzo – che aveva ribattezzato il suo armadio, né tantomeno quelle linee che andavano verso l’inguine e si intravedevano dai pantaloni. Ed era solo per miracolo che i suoi occhi si erano tenuti lontani da quelli dell’uomo, altrimenti sarebbero stati dolori. Se si fosse lasciata guidare dal suo istinto, probabilmente avrebbe perso ogni inibizione e si sarebbe lanciata sul tavolo tra quelle braccia e accarezzata da quelle mani, ma era meglio per tutti se quella fosse rimasta una fantasia, per bollente e allettante che fosse.
“La cartolina non me l’hai mandata indietro però…” provò ad ironizzare Alessandro, per rompere il ghiaccio dopo quella caduta di stile. Dalla padella alla brace. “Quella era mia, l’ho pagata io” tagliò corto lei “e poi è una bella foto, i colori si abbinano alla stanza. Non significa nulla”
Di tutte le cose che poteva dirgli per troncare ogni sua velleità, quella era la peggiore. Che ci credesse o meno, a lui aveva fatto male sentirla. Che ci credesse o meno, a lei era costata una fatica immane pronunciarla.
“Devo togliere anche i pantaloni, sono zuppi anche quelli, però è meglio …” spiegò lui, indicando il corridoio. Allontanarsi dalla sua vista per un po’ era l’unica strategia che gli veniva in mente “…è meglio che vada tu in bagno…sì”
Maya gli restituì i vestiti che le aveva dato e l’odore terroso e pungente della pioggia misto al profumo da uomo di cui erano impregnati e che l’aveva avvolta e sconvolta si allontanò con lui, lasciandola sola nella zona giorno. Sperò con tutta sé stessa che Alex non avesse intravisto le sue guance imporporarsi perché lei sentiva la sua temperatura corporea salire senza controllo e aveva caldo come quando d’inverno il riscaldamento centralizzato infuoca casa. Andò verso il frigo per aprire il vano del freezer: non le serviva nulla, aveva solo bisogno di raffreddare il cervello.
 
“Ho fatto partire io l’asciugatrice” disse Alex, tornando nella zona giorno. Il telo doccia che Maya gli aveva dato lo aveva avvolto in vita e se ne stava ancora a petto nudo, spavaldo. Se stava provando a buttarla in caciara girando mezzo nudo per casa sua e confonderla … beh ci stava riuscendo divinamente. Provando a concentrare lo sguardo altrove, Maya si accorse che, effettivamente, nel trambusto e nell’impaccio di quel momento, la maglietta che gli aveva dato l’aveva lasciata sul divano. Recuperato un minimo di lucidità la ragazza si accorse di avere un lato del viso ghiacciato a causa del gelo che arrivava dal freezer e lo chiuse all’istante, tentando di non scomporsi troppo. “Ci vorranno una decina di minuti” decretò l’uomo, indossando la maglietta, impassibile. “O-ok…u-un tè, u-un caffè …?” Maya smettila di parlare a monosillabi, si rimproverò, non hai 15 anni, non è Christian Gray e l’hai visto nudo altre volte. Eccheccazzo tutte a me però! “Hai ancora qualche capsula di ginseng?” le domandò Alessandro, sedendo al bancone della cucina; Maya annuì.
“Niente biscotti?” chiese, aprendo la biscottiera sul piano del bancone e trovandola vuota, dopo che Maya gli aveva passato la tazza. “No” rispose, di spalle, vaga, mentre caricava la macchinetta per sé “non ho molta voglia di fare dolci ultimamente” “Peccato … erano così buoni. Sei davvero brava” “Grazie…” Maya voleva a tutti i costi credere che davvero fosse così fuori allenamento nelle dinamiche di una vita di coppia da dare per scontato quei piccoli complimenti quotidiani che invece possono svoltare una giornata difficile, che ti fanno sentire l’attenzione e la presenza della persona che ami. Ma che glielo stesse dicendo in quel momento di certo non aiutava la causa: le montò su un senso di rabbia, perché era più probabile che, in realtà, stesse solo cercando di impressionarla per guadagnare punti.
“Senti … prima ti ha salvata l’ascensore, ma c’è una cosa che devo dirti” continuò Alessandro “io … io devo chiederti scusa” le disse, ma Maya alzò gli occhi al cielo. “Pensi che basti?!” esclamò, girandosi. Lo avrebbe riaccolto nella sua vita in men che non si dica, ma al contempo non tollerava quelle scene da cane bastonato. “Lo so perfettamente che non basta” affermò l’uomo, mostrandosi il più tranquillo e trasparente possibile “ma spero possa essere un inizio. E poi la lista di scuse è davvero lunga …” “Ah sì?!” Alex annuì timidamente “ti devo chiedere scusa per le cazzate che ho detto e fatto nelle ultime settimane, per averti imposto un incarico che non volevi” “Lavoro ancora per te, purtroppo o per fortuna, e su quello non ti devi scusare. Lì ho esagerato io” “Ma c’è modo e modo. E sono stato uno stronzo come mai prima d’ora … almeno con te. A proposito, domani è il grande giorno! Agitata?”
L’indomani, Maya avrebbe fatto il grande debutto come inviata di Roma Glam alla mostra d’arte contemporanea. Ma non era nervosa per l’incarico in sé, a quello avrebbe pensato a tempo debito: prima di tutto, avrebbe dovuto affrontare la serata nella Galleria alla presenza di tutti quelli che l’avevano scaricata senza troppi complimenti.
“Mmmm sì un po’, più che altro sono mesi che non uso il metodo Parioli ed è l’unica cosa che potrebbe evitarmi di andare fuori di testa prima che la serata sia finita” “Se vuoi un consiglio, un bel bicchiere di champagne prima di gettarsi nella mischia è quello che ci vuole…ma niente metodo Parioli: la Maya che conosco io quei quattro figli di papà se li mangia in un boccone solo.”
Alex si alzò per andare a posare la tazzina nel lavandino, vicino a dove se ne stava Maya, in piedi. La Maya che conosceva lui, la Maya che amava lui, aveva rimesso in piedi la sua vita partendo dall’onestà prima di tutto con sé stessa, ed era anche per quello che l’aveva sbattuto fuori di casa, e certo non doveva fare affidamento su qualche storiella infiocchettata su una vita che non era la sua per tenere a bada quei galletti di Roma Nord. Aveva dismesso i panni eccessivi della ragazza dei quartieri bene e ora poteva indossare anche sneakers e jeans senza perdere un briciolo della sua classe e dell'eleganza che non venivano dalla nobiltà di sangue ma da quella d’animo. “Quando sei te stessa sei molto più forte di quello che credi” disse, standole pericolosamente vicino, guardandola dritto negli occhi. Raccogliendo tutto il coraggio di cui era munito, Alessandro avvicinò la sua mano al volto di Maya la quale, pietrificata e forse arresa, si abbandonò a quel tocco, chiudendo gli occhi: forse per fingere che non stesse accadendo, forse per marcarlo a fuoco nei suoi ricordi.
Il segnale acustico della lavasciuga arrivò a salvare Maya dal passo falso che era pronta a compiere ma di cui, ne era sicura, si sarebbe pentita. Erano ancora impressi nella sua memoria quei risvegli in un letto vuoto e freddo per metà, le cene in cui le aveva dato buca, le scuse e le accuse. Non bastavano un bel discorsetto o una recita da eroe romantico a guarire quella ferita che le aveva provocato, né a ridarle la fiducia sufficiente a credere che sarebbe stato diverso. Avrebbe ceduto perché l’uomo di cui si era innamorata le mancava da morire, ma non poteva giurare che quello davanti a lei fosse quell’uomo.
“Tempismo perfetto” decretò Alessandro, controllando il telefono dopo che aveva rimesso addosso i suoi vestiti “Paolo è appena rientrato” “Perfetto” Maya non voleva essere maleducata e liquidarlo in fretta e furia, ma era meglio per entrambi se Alex avesse varcato quella porta che stava aprendo per lui “allora ti auguro una buona serata!” “Aspetta … c’è … c’è un’altra cosa di cui vorrei parlare” disse lui, chiudendo la porta e mettendosi di fronte a lei “volevo scusarmi per non aver capito che macigno ti portavi dentro” “Di cosa stai parlando?” “Ho saputo della discussione che hai avuto con mia sorella” “Come?” Solo due persone sapevano cosa era successo quel pomeriggio e una era sicuro che non si sarebbe mai lasciata sfuggire una cosa del genere; sull’altra, confidava nella memoria confusa dei suoi 5 anni. “Non importa come … l’importante è che io l’abbia saputo. Dovrebbe essere lei a scusarsi con te, ma nel frattempo accetta le mie scuse, per non aver potuto difenderti quando ne avresti avuto bisogno. Perché non mi hai detto niente?” “Avevi altri pensieri per la testa, non volevo darti un’altra preoccupazione. E poi avresti dato di matto mettendoti contro di lei” “Tanto l’ho fatto comunque” “Ecco appunto, ma così di fatto le hai dato ragione” “Ragione? Maya, tu non sei mai stata una sfasciafamiglie …” “No, ma le hai dimostrato che avevo bisogno di un … protettore, per così dire. E poi non ha risparmiato nemmeno te e non volevo coinvolgerti in una cosa di cui mi sono sentita responsabile. Se non fosse stato per me Anna quelle cose non le avrebbe mai dette.” “Non è colpa tua, non lo pensare neanche per scherzo! Anna ha i suoi …demoni e spesso dice cose orribili. Credimi, qualsiasi cosa abbia detto, l’avrebbe detta anche se non fossi stata tu o se non ci fosse stata nessun’altra donna. È cattiva e pagherà per la sua cattiveria gratuita…” Maya annuì, ma non riusciva a concepire come due fratelli potessero arrivare ad odiarsi a tal punto e a farsi tanto male; non che si sentisse incline a perdonare quello che Anna le aveva detto, come l’aveva trattata e come non avesse il minimo rispetto della situazione in cui l’aveva fatto, in piena emergenza e davanti a Giulia: ma se aveva imparato un minimo a conoscere la famiglia Bonelli attraverso Alex e suo padre, quella frizione avrebbe lasciato parecchie ferite e questo le metteva tanta tristezza addosso.
“Allora io vado. Ci vediamo domani … e grazie ancora” concluse Alessandro, fermandosi sull’uscio. “Ma figurati, per così poco” “No, non è poco. Non so quante altre persone mi avrebbero accolto dopo quello che è successo. E poi è stato bello chiacchierare così, non succedeva da un po’” “Già…” concordò Maya, sorridendogli sommessamente. Se c’era una cosa che le mancava più di tutte, anche di più del contatto fisico, erano quei loro scambi a viso aperto, senza paura di fraintendersi o di ferirsi.
Alex a quel punto avrebbe voluto baciarla, anche solo sfiorarle la guancia, per capire se qualcosa tra loro potesse essere recuperato, per provare a sé stesso di essere sulla strada giusta, ma non lo fece, Maya non gliene diede il tempo. Si ritrasse in fretta, un “ciao Alex” sussurrato mentre chiudeva la porta. Non lo aveva perdonato: ne doveva fare di strada per dimostrare di essere l’uomo che meritava.
 
“Adesso però me lo puoi dire quello che è successo lassù”
Con lassù, naturalmente, Paolo intendeva l’appartamento di Maya. Quando aveva mandato il messaggio all’amico per fargli sapere che era tornato a casa, tutto si sarebbe aspettato, meno che vederlo scendere dall’ultimo piano, come sarebbe stato normale fino a poche settimane prima, ma certo non dopo quanto era successo. Che poi, oggettivamente, non lo sapeva nemmeno, di preciso, cosa era successo, Alex gli aveva detto che lui era stato un coglione, che si erano lasciati male e che lui ci avrebbe voluto riprovare ma lei era nera e non vedeva vie d’uscita. Ecco perché per poco non gli era preso un coccolone quando, alla richiesta di spiegazioni, Alessandro gli aveva candidamente detto “Ero da Maya, ti spiego dopo, ora ho solo bisogno di una birra”.
Seduti sulle panche di legno del pub, davanti a loro una pinta di Guinness ciascuno e due panini, la musica di una cover band in fondo alla stanza, le luci bassi, e Paolo non avrebbe aspettato un secondo di più.
“Mah niente…” tentò di minimizzare Alex, dopo aver buttato giù un lungo sorso della sua stout “ti stavo aspettando sotto la tettoia dell’ingresso, lei è arrivata e mi ha visto fradicio per la pioggia così mi ha fatto salire per asciugare i vestiti. Tutto qui.” “Tutto qui? Avrebbe potuto lasciarti marcire sotto la pioggia e invece ti ha fatto asciugare i vestiti con il phon” “Non con il phon” lo corresse Alessandro con nonchalance “con l’asciugatrice” “Aspetta un attimo …” Paolo aveva gli occhi sgranati per l’incredulità, con il panino tra le mani e il formaggio fuso che colava rovinosamente sul piatto “cioè tu mi stai dicendo che sei rimasto in mutande davanti a Maya in casa sua?” “Ovviamente no…mi ha dato un telo e una maglietta per coprirmi” “Aiutami a dire me cojoni, Alex!” esclamò l’uomo, tra il serio e il faceto.
Non gli disse che per qualche secondo era rimasto a petto nudo, o avrebbe peggiorato la sua posizione. Maya era sempre stata una ragazza d’oro, superiore ad ogni cattiveria e ripicca e lui non ci vedeva, per quanto avrebbe voluto, niente di strano in quella gentilezza che gli aveva fatto.
“Non significa niente” tagliò corto Alessandro. “Lascialo decidere a me se non significa niente. E dimmi, cosa avete fatto dopo?” L’uomo gli raccontò del ginseng e delle scuse, aggiornandolo di quello che era successo con Anna. “E lei?” “Lei è una santa” ammise e lo pensava realmente. Un’altra al suo posto avrebbe fatto finire il mondo, avrebbe sputtanato Anna senza pensarci due volte e avrebbe giocato la carta della vittima; non Maya: Maya voleva solo che lui continuasse ad essere tranquillo per far fronte all’incidente di suo figlio facendo lei un passo indietro. “E io non me la sono meritata” concluse. “Insomma secondo te avete chiuso così?! Perché a me non pare proprio …” Paolo era sempre stato un ragazzo buono, di quelli che il bicchiere non lo vede mezzo pieno, bensì pieno a 3/4, e riusciva a trovare il lato positivo anche nei momenti più difficili. “Beh fai te… una che ti dice: dimostrami che non sei lo stronzo per cui tutto era sempre più importante di me. Fino ad allora abbiamo chiuso tu come la prendi?” Alex tra i due era sempre stato il più concreto: per lui la buona sorte si crea, non è nascosta da qualche parte pronta per essere scovata; sui sentimenti, però, era sempre stato fatalista, convinto che non si possono influenzare come un contratto pubblicitario o un ingaggio di un artista. “E tu saresti un giornalista? Perdonami Alex ma mi sembra che tu abbia grossi problemi di comprensione testuale. Non concentrarti su abbiamo chiuso, prima ti ha detto esattamente cosa devi fare. Questa non è una porta lasciata aperta, è proprio un portone” lo incitò Paolo; voleva tanto che fosse così, ma ci sperava davvero poco. Lui, pensò Alex, gli occhi di Maya, neri come la pece, non li aveva impressi nella memoria pronti a venire fuori come dei flash quando meno se l’aspettava, quando provava a prendere l’iniziativa, come quando le aveva accarezzato la guancia quel pomeriggio. “Tu dici?” “Ma sarai un idiota?! Scusa eh ma ora capisco perché sei rimasto bloccato per anni in un matrimonio senza amore …” commentò l’amico tra un boccone e l’altro del panino “ascolta, non pretendo di capire le donne perché sono gli esseri più indecifrabili sulla faccia della Terra, e quindi magari sbaglio, ma io ho visto come ti guardava Maya e credimi, c’è solo da buttarsi ai piedi di una donna così. Se lei ti ha detto quella cosa è perché ti ama ancora … sta a te dimostrarglielo” “È che mi sento un cretino … io non mi sono reso conto che lei si sentiva data per scontata. E ora non so come fare per convincerla che se mi dà un’altra possibilità non succederà più” Per tutto il tempo che aveva passato con lei, quel pomeriggio, aveva avuto addosso la spiacevole sensazione di essere giudicato per quello che non era stato in grado di fare e voleva disperatamente provare di essere l’uomo che lei aveva fatto entrare nella sua vita, a cui aveva confidato le paure e le debolezze, a cui aveva mostrato la parte più intima di sé.
“Ci vorrà tempo, dovrai riconquistare la sua fiducia e non è facile. È come quando a pallavolo sei sul due pari e rimane solo il tie-break” spiegò, usando il linguaggio sportivo in cui più si trovava a suo agio “hai solo 15 punti per vincere e devi giocare le tue carte al meglio se non vuoi perdere. Ci vuole concentrazione e soprattutto pazienza.” Alessandro si lasciò andare ad un sorriso: abituato com’era ad ottenere tutto quello che voleva, era innaturale per lui l’idea che il duro lavoro avrebbe potuto, per una volta, non ripagare i suoi sforzi. Ma voleva fidarsi di Paolo e voleva fidarsi di quella sensazione di casa e familiarità che aveva ritrovato parlando con Maya; tra loro, come era stato all’inizio, bisognava ricominciare dalla parola.



 
Salve a tutti!!! Lo so che sono in ritardo con le pubblicazioni e non sto compiendo il mio dovere di recensire o rispondere ai vostri commenti, ma in questo momento mi sto concentrando a finire la storia a tutti i costi (ci sono quasi!!!) e poi, una volta terminata, mi riprenderò scambi e pubblicazioni. Purtroppo una storia come questa, così complessa e corale mi porta via tanto tempo nella scrittura e non riesco più a fare entrambe le cose contemporaneamente. Spero comprenderete. Quindi ho deciso di lasciarvi questo capitolo e prendermi tutto il tempo necessario per finire di scrivere. Quando tornerò alla pubblicazione, saprete che avrò terminato ^_^
A presto! 
Fred ^_^
   
 
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