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Autore: Parmandil    05/09/2022    0 recensioni
Per secoli la Federazione ha esplorato il cosmo, nelle sue vastità di spazio e tempo. Resta un’ultima soglia da oltrepassare: quella che conduce ad altre realtà. La missione dell’USS Destiny è esplorare il Multiverso, arrivando coraggiosamente là dove nessuno è mai giunto prima. Ma qualcosa va storto e la Destiny sparisce nel suo viaggio inaugurale.
Cinque anni dopo, è una sgangherata banda di contrabbandieri a trovare la nave alla deriva in una nebulosa. Lo spettrale vascello è deserto, a eccezione della dottoressa Giely, misteriosamente priva di memoria. Dov’è stata la Destiny in quegli anni e cos’è successo all’equipaggio? La risposta giace in un altro cosmo, dove si annida la specie più pericolosa mai incontrata dalla Flotta Stellare. È l’inizio di una caccia spietata, scandita da un’unica regola: «Il più debole dovrà perire».
Non resta che unire le forze. Un rinnegato della Flotta Stellare, un gruppo d’avventurieri senza scrupoli, persino alcuni ex nemici della Federazione: tutti dovranno coalizzarsi per sopravvivere. Riuniti sulla Destiny, dovranno riscoprire in loro quello spirito di fratellanza che creò la Federazione, mentre esplorano il Multiverso in cerca della via di casa...
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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-Capitolo 5: Smarriti nel Multiverso
 
   «Bene signori, facciamo il punto della situazione» disse Rivera, seduto a capotavola. Era la prima volta che presiedeva una riunione tattica su un vascello della Flotta Stellare. Ne sarebbe stato fiero, se non fosse stato acutamente consapevole del fatto che lui e gli altri non appartenevano alla Flotta. Alla sua destra c’erano gli ufficiali di plancia dell’Ishka, vale a dire Losira, Shati e Talyn. Alla sinistra vi erano gli ospiti a cui dovevano la salvezza, vale a dire Giely, Irvik e anche Naskeel. Passata la concitazione della battaglia, i due gruppi si guardavano in cagnesco. L’Umano capì che era indispensabile tenerli concentrati sulle loro mansioni, almeno finché la Destiny rimaneva nello Spazio Fluido. «Cominciamo con le buone notizie: siamo vivi e abbiamo riconquistato la nave. È più di quanto osassi sperare fino a ieri. Mi congratulo con tutti voi per come avete affrontato la sfida».
   «Fa piacere essere apprezzati, ma c’è una cosa che devo dirvi...» cominciò Irvik, che pareva seduto sui carboni ardenti.
   «A suo tempo; prima dobbiamo chiarire alcune cose» lo fermò Rivera, temendo che il sauro avesse già compreso l’impossibilità di tornare. «Abbiamo ottenuto la libertà, ma la situazione resta precaria, perciò vi ho radunati per discuterne. Cominciamo dal primo problema: il DaiMon Grilk non è più tra noi, è perito nella biosfera. Qualcuno deve subentrargli nel comando. Stando al regolamento di bordo, questo spetta al Primo Ufficiale, ovvero a me». Non disse se si riferiva al codice dell’Ishka o a quello della Destiny; del resto concordavano. «Se qualcuno ha qualcosa da obiettare, vorrei che lo dicesse ora con franchezza» dichiarò. Il suo sguardo indugiò su Losira, che era stata sull’Ishka più a lungo di lui ed era vicina a Grilk.
   «Per quanto mi riguarda, ti sei guadagnato la promozione» riconobbe la Risiana. Anche gli altri espressero il loro assenso.
   «Bene; se sono il Capitano, mi servono degli ufficiali superiori» proseguì Rivera. Non accennò al fatto che sarebbero rimasti bloccati a lungo sulla Destiny. Prima di affrontare quel punto critico voleva distribuire le mansioni, così che ognuno si trovasse già inserito in un ruolo ben definito. Questo avrebbe dato a tutti un senso del dovere, aiutandoli a reggere lo shock. «Cominciamo da te, Losira. Come vedi su questa nave non c’è la mansione di tesoriera. Ma siccome sei scaltra e piena d’esperienza, ti voglio come Primo Ufficiale».
   «Se mi avessero detto che sarei diventata Primo Ufficiale di un’astronave della Flotta Stellare...» mormorò la Risiana, scuotendo la testa. «Ma sì, accetto l’incarico». Non era nella sua natura rifiutare una posizione d’autorità.
   «Shati, Talyn, voi manterrete gli incarichi che avevate sull’Ishka. Vi chiedo solo di familiarizzare con la strumentazione della Destiny, che è molto più moderna» raccomandò l’Umano.
   «Certo Capitano, ma vorrei capire una cosa: si aspetta che rimarremo a lungo su questa nave?» chiese l’El-Auriano, inconsapevole di toccare il tasto dolente. «Voglio dire, una volta tornati nel nostro Universo non dovremo restituirla alla Flotta Stellare?» chiese.
   Per un attimo si fece silenzio in sala tattica. Irvik ne approfittò per prendere la parola: «A questo proposito, volevo informarvi che...».
   «Abbia pazienza, arriveremo anche a lei» lo prevenne Rivera. «Talyn, prima o poi si porrà il problema di restituire questa nave ai suoi legittimi proprietari. Ma prima di allora la voglio in piena efficienza, nel caso dovessimo ancora difenderci» chiarì.
   «Sì, signore» fece il giovane, non del tutto convinto.
   Passato qualche momento, il nuovo Capitano della Destiny rivolse l’attenzione a quelli che si trovavano sull’altro lato del tavolo. «Ora veniamo a voi. Non fate parte del nostro equipaggio, eppure vi dobbiamo la salvezza. E c’è di più: avete delle competenze che ci saranno ancora necessarie. Cominciamo da te, Giely...».
   «Dottoressa Giely» corresse la Vorta, con un pizzico d’orgoglio.
   «Giusto, dottoressa» convenne Rivera. «Tu hai ricevuto un addestramento professionale presso l’Accademia Medica della Flotta Stellare. Sei l’unica superstite dell’equipaggio originale della Destiny. E anche se hai sofferto squilibri psichici a causa degli Undine, mi sembra che tu abbia recuperato la sanità mentale. In effetti ti dobbiamo tutti la salvezza, dato che ci hai tratti in salvo dalla biosfera e ci hai fornito i mezzi per riconquistare la nave. Perciò ti chiedo: te la senti di fare il medico di bordo?».
   «Non ho tutte le competenze di un Medico Capo» si cautelò Giely. «Ma in mancanza di meglio... sì, potete contare su di me».
   «Ti ringrazio. Ora veniamo al problema della sala macchine» proseguì Rivera, avvicinandosi al punto cruciale. «Il nostro Ingegnere Capo, il compianto Brokk, è tra le vittime della biosfera. Dovrei designare un successore all’interno della sua squadra, ma so che i nostri tecnici hanno avuto difficoltà a padroneggiare le tecnologie ultramoderne della Destiny. L’unico che finora ci ha capito qualcosa è lei, Irvik» si rivolse al sauro. «Lei, che era nostro passeggero e ora è la sola speranza di tornare a casa. Sappiamo tutti che i Voth hanno una tecnologia superiore; e lei è un ingegnere rinomato tra la sua gente, dico bene?». Non gli piaceva lusingare il sauro, ma in quel frangente disperato doveva assolutamente accattivarsi la sua simpatia.
   «Dice più che bene!» confermò Irvik, solleticato nell’orgoglio. «Sono Ingegnere Capo su una Nave Bastione e ho anche collaborato alla progettazione dei Borg Killer, le nuove difese contro la Collettività» si vantò.
   «Quindi suppongo che la Destiny non sia troppo complicata per lei...» incalzò Rivera.
   «Oh beh, ogni nave ha le sue peculiarità e richiede tempo per padroneggiarla» ammise il Voth. «Comunque sì, ritengo che potrei cavarmela».
   «Allora devo chiederle il suo impegno a tempo pieno. Signor Irvik, se la sente d’essere il nostro Ingegnere Capo?» chiese il Capitano.
   «Uhm, ciò che mi chiede è più gravoso di quanto immagina» si rabbuiò il sauro, pur non rivelando ancora il motivo.
   «Comprendo che lei non fa parte del mio equipaggio e pertanto non posso accampare alcuna autorità nei suoi riguardi» ammise Rivera. «Ma sarò franco: abbiamo bisogno di lei per tornare a casa. Anche lei vorrà rivedere i suoi cari, immagino...».
   «Eccome! Ho moglie e figli nel Quadrante Delta» rivelò Irvik. «L’unica cosa buona, di tutta questa storia, è che non mi hanno accompagnato nel pellegrinaggio alla Terra e quindi sono rimasti al sicuro. Il mio solo obiettivo, ora, è tornare da loro. Se ciò richiede che vi faccia da Ingegnere Capo, ebbene lo farò... Capitano» disse con una punta d’ironia.
   «Grazie infinite, signor Irvik» disse Rivera, allungandosi sul tavolo per stringergli la mano tridattila.
   «Aspetti a ringraziarmi. Vede, il ritorno a casa si prospetta più impegnativo di quanto tutti voi pensiate...» mormorò il Voth, a disagio.
   «Che intende?» chiese Losira, insospettita dal suo atteggiamento.
   «Prima di venire qui ho cercato le coordinate quantiche del nostro Universo nel database di bordo. Non le ho trovate. Sembra che quell’informazione sia stata cancellata poco fa, durante la battaglia» rivelò Irvik.
   Sulla sala tattica scese il gelo. Tutti sapevano o intuivano cosa significasse questo, ma nessuno osava dirlo a voce alta. Il primo a riscuotersi fu Talyn. «Ecco cos’era andato a fare l’Esaminatore nella sala del processore» mormorò l’El-Auriano. «Ha fatto in modo che non potessimo fuggire».
   «Frell, state dicendo che siamo intrappolati nello Spazio Fluido?!» esclamò Shati. I suoi artigli, involontariamente estroflessi, graffiarono la liscia superficie del tavolo. «Fra poco gli Undine ci saranno addosso! Sanno sempre dove siamo, per via delle onde che ci lasciamo dietro!» si agitò.
   «No, calma!» ordinò Rivera, cercando di non far dilagare il panico. «Anche se al momento non abbiamo le coordinate di casa, ciò non vuol dire che siamo spacciati. Siamo su un’astronave progettata apposta per viaggiare tra le realtà. Abbiamo l’intero Multiverso per nasconderci».
   «Il Multiverso è un concetto del quale sappiamo spaventosamente poco» avvertì Giely, riecheggiando le parole del Capitano Dualla. «Se ci spostiamo a casaccio, senza coordinate affidabili, non abbiamo idea di dove finiremo. Forse in un posto ancor più ostile dello Spazio Fluido. Certe realtà hanno leggi fisiche così diverse da essere incompatibili con la vita. In alcune non può esistere la materia, per cui finiremmo annichiliti all’istante» ammonì.
   «Non faremo dei salti alla cieca» promise Rivera. «Manderemo sempre avanti una sonda con dei campioni biologici di prova. Al ritorno li analizzeremo e solo se staranno bene passeremo a nostra volta».
   «Okay, ma... il numero delle realtà parallele è infinito, o comunque esorbitante. Non troveremo mai quella giusta!» obiettò Talyn.
   «Forse non viaggeremo completamente alla cieca» intervenne Irvik.
   «Che intende?» chiese Rivera.
   Il Voth unì le punte degli artigli, un gesto che esprimeva autocompiacimento. «Vede Capitano, quando mi sono accorto che non avevamo le coordinate di rientro, ho lanciato un sofisticato algoritmo di deframmentazione e ricostruzione dati. I suoi ingegneri non avevano nulla di simile... in effetti siete fortunati ad avermi a bordo». Tacque, in attesa degli elogi.
   «Beh? Che ha trovato?!» lo incalzò Shati, per nulla elogiativa.
   Ferito dalla mancanza di considerazione, Irvik si ricompose. «Ho ricavato una lista di coordinate quantiche, una trentina in tutto. La mia ipotesi è che siano le coordinate delle realtà alternative note alla Federazione. Forse la Destiny era progettata per visitarle tutte, nel corso degli anni».
   «Fra quelle coordinate potrebbe esserci l’indirizzo del nostro Universo?» chiese Rivera, sulle spine.
   «Non lo escludo. Ma abbiamo solo le coordinate, senza alcuna informazione su dove portino» avvertì il Voth.
   «Sta dicendo che per tornare a casa le dobbiamo provare tutte?!» chiese Losira, sull’orlo di una crisi nervosa.
   «Considerato che non possiamo chiedere lumi agli Undine... temo proprio di sì» ammise Irvik. «Non si affligga: magari beccheremo quella giusta al primo tentativo» suggerì.
   «Come no. Con la fortuna che abbiamo, la beccheremo all’ultimo» fece la Risiana, torva.
   «Se così fosse, potremmo ancora dirci fortunati» avvertì il sauro. «Vede, io non so se la lista sia completa. Alcune coordinate potrebbero essersi perse definitivamente. Ciò che cerchiamo può non essere affatto in quell’elenco; ma lo sapremo solo dopo averle spuntate tutte».
   «Di bene in meglio!» fece Losira, prendendosi la testa fra le mani.
   «Ehi, state calmi, tutti voi!» esclamò Rivera, temendo che la situazione gli sfuggisse di mano. «Le cose non sono brutte come sembrano. Eravamo prigionieri della biosfera e ora siamo liberi. Temevamo la vendetta degli Undine, ma abbiamo trovato il modo di sfuggirgli. Ci aspetta un’odissea, è vero, ma con quella lista abbiamo fondate speranze di ritrovare la via di casa».
   Tornò il silenzio, mentre tutti ponderavano quelle parole. Infine Giely parlò. «E se così non fosse? Se rimanessimo smarriti nel Multiverso?» mormorò, la voce stranamente amplificata nel silenzio. Tutti gli sguardi puntarono sul Capitano, che rifletté a fondo prima di rispondere.
   «Ebbene, neanche allora sarà tutto perduto» disse infine. «La Flotta Stellare conosce diverse entità capaci di spostarsi a piacimento nel Multiverso: i Q, i Nacene. Cercheremo le loro tracce e se riusciremo a localizzarne una chiederemo il suo aiuto. Nella peggiore delle ipotesi, qualora il ritorno sia impossibile, valuteremo di stabilirci in uno degli Universi meno alieni; magari una delle realtà alternative in cui esiste la Federazione».
   «Sempre che non finiamo nell’Universo dello Specchio!» borbottò Shati, muovendo nervosamente le orecchie.
   «Signori, non voglio addolcirvi la pillola» disse Rivera, passando lo sguardo sul variegato gruppo degli ufficiali. «Davanti a noi si pongono sfide enormi. Ma siamo già sopravvissuti a quello che pareva uno scenario senza uscita. Continueremo a sopravvivere, che sia nel nostro Universo... o altrove. E ora torniamo al lavoro. Dobbiamo lasciare lo Spazio Fluido prima di trovarci le bionavi addosso».
   I presenti si alzarono e stavano per lasciare il tavolo, quando Losira prese la parola: «Un momento, Capitano. Hai dimenticato una cosa importante».
   «Sarebbe?».
   «Hai designato tutti gli ufficiali superiori, meno l’Ufficiale Tattico. Prima di chiudere la riunione, sarebbe bene sceglierne uno» disse la Risiana.
   «Non è così semplice, lo sai bene» si spazientì Rivera. «Sull’Ishka svolgevo io quel ruolo, all’occorrenza, sebbene fossi ormai Primo Ufficiale. E comunque non avevamo una sezione Sicurezza come sulle navi federali. Se anche scegliessi l’Ufficiale Tattico, non avrebbe una squadra».
   «Ad ogni modo, ora che sei Capitano dovresti avere qualcuno che stia alla postazione tattica» insisté Losira. «Chiunque poteva usare le armi dell’Ishka, ma su una nave moderna come questa serve un esperto».
   «In tal caso, io sono l’opzione migliore» si offrì inaspettatamente Naskeel. Il Tholiano era rimasto zitto per tutta la riunione, ma ora si fece avanti con l’insolita richiesta. «Dopotutto sono un ufficiale tattico di professione» sottolineò.
   «Tu? Non dire sciocchezze!» si oppose Rivera. «Sei salito su questa nave da nemico, con la tua squadra d’invasione. Per questo ti avevo chiuso in cella. Ammetto che le cose sono cambiate: Shati mi ha detto che l’hai salvata nella biosfera e poco fa ci hai salvati tutti, azionando il cannone thalaronico. Ti sono riconoscente e quindi ti consento di aggirarti liberamente per la nave. Ma non ti assegnerò incarichi di responsabilità; men che meno Ufficiale Tattico! Non ho scordato che la tua missione era eliminarci per conquistare la Destiny. E tu certo non hai scordato come la tua squadra sia morta nel tentativo. Erano i tuoi soldati, non vuoi vendicarli?».
   «La vendetta è una debolezza emotiva che non tocca i Tholiani» rispose Naskeel. «Avevo una missione, ma è fallita. Da allora la situazione è radicalmente mutata. Ora l’unico modo per massimizzare le mie probabilità di sopravvivenza è collaborare con voi».
   «Io credo che sia sincero» intervenne Shati. «Nella biosfera mi è sempre stato accanto, salvandomi da molti pericoli».
   «Forse fa parte del suo piano per carpire la nostra fiducia!» obiettò il Capitano, fronteggiando l’inquietante alieno cristallino.
   «Che piano potrei avere?» obiettò Naskeel. «La mia missione era consegnare questa nave al mio governo. Se la distruggessi fallirei del tutto, oltre a perdere la vita. Se in qualche modo vi neutralizzassi, rimarrei perduto nel Multiverso, su una nave che oltretutto non posso manovrare da solo. La mia sola speranza è tornare indietro con voi».
   «E supponendo che riusciamo a tornare, cosa farai allora?» chiese Rivera.
   «Vi chiederò di riportarmi alla mia gente o di concedermi una navetta per andarci io stesso» rispose il Tholiano.
   «Non cercherai di farci la pelle, per completare la tua missione ed essere riaccolto con tutti gli onori?» incalzò il Capitano.
   «Comprendo il suo dubbio, ma ha la mia parola che non attenterò alle vostre vite» disse Naskeel, imperscrutabile.
   Rivera si accorse che la promessa del Tholiano non corrispondeva esattamente a ciò che lui gli aveva chiesto. Naskeel aveva promesso di non attentare alle loro vite; non di rinunciare alla Destiny. Considerando che i Tholiani erano maniaci della precisione, anche a livello verbale, non poteva essere un caso. «Come ho detto, sei libero di muoverti sulla nave. Ma affidarti la sicurezza di bordo è prematuro» decise.
   «Come vuole, ma spero che avrà modo di ripensarci nei giorni a venire» disse Naskeel.
   Accantonata la questione, il Capitano rivolse un’occhiata alla finestra panoramica, tutta invasa dai toni gialli e verdi dello Spazio Fluido. Un senso d’urgenza si fece strada in lui: non dovevano attardarsi in quel cosmo spietato. «Irvik, torni in sala macchine. Portateci via da qui il prima possibile» ordinò.
   «Certo, Capitano» disse il sauro, contagiato dal timore. «In mancanza d’informazioni sceglierò a caso dalla lista di coordinate».
   «Tutti gli altri in plancia, la riunione è aggiornata» disse Rivera. Stava per lasciare la sala tattica, quando Losira lo trattenne. Non disse nulla, ma dalla sua espressione era chiaro che voleva parlargli in privato. L’Umano attese che tutti gli altri fossero usciti, poi si girò ad affrontare la Risiana. «Allora?».
   «Quando Irvik ha detto che eravamo smarriti, non hai battuto ciglio. Tu lo sapevi già, non è vero? Ecco perché hai insistito a distribuire prima gli incarichi!» sibilò Losira, in tono accusatorio.
   Rivera non provò a negare; sarebbe stato inutile. «Sì, lo sapevo» ammise, poggiandosi con la schiena contro lo stipite. «Quando ho affrontato l’Esaminatore, poco fa, lui mi ha detto di aver cancellato le coordinate. Poi mi ha assalito, costringendomi a ucciderlo. Speravo che avesse mentito, per farmi disperare; ma ero preparato all’eventualità che avesse detto il vero» dichiarò. Non menzionò l’accordo proposto dall’Undine, e che lui aveva rifiutato. Temeva che Losira non avrebbe capito né apprezzato la sua scelta.
   La nuova Comandante della Destiny lo fissò a lungo, cercando di capire se era sincero. Giudicò che lo fosse; ma aveva la sgradevole sensazione che ancora le nascondesse qualcosa. Per il momento, tuttavia, non volle insistere. Anche lei sentiva crescere il timore di un nuovo attacco Undine e non voleva trascorrere un secondo più del necessario nello Spazio Fluido. Così tornò in plancia. Rivera attese qualche secondo, osservando l’inquietante paesaggio giallastro oltre la finestra; poi la seguì sul ponte di comando.
 
   Tornato in plancia, il Capitano trovò un’atmosfera agitata. «Signore, i sensori a lungo raggio hanno captato bionavi in avvicinamento» disse Talyn.
   «Quante e da che direzione?».
   «Sono una settantina, ma continuano ad aumentare, man mano che entrano nel raggio dei sensori» rispose l’El-Auriano, scuro in volto. «Vengono da tutte le direzioni, per cui non possiamo tracciare una rotta sicura».
   «Allora dipende tutto da Irvik» mormorò Rivera. «Quanto tempo ci resta?» volle sapere.
   «Le prime bionavi ci saranno addosso tra mezz’ora al massimo».
   «Manda i dati al timone. Shati, facci guadagnare ogni secondo possibile» ordinò immediatamente l’Umano, muovendo verso il centro della plancia. Per un attimo indugiò davanti alla poltrona del Capitano, su cui non s’era mai seduto. Era paradossale, ma proprio ora che l’aveva ottenuta scopriva che avrebbe preferito farne a meno, per sfuggire alle responsabilità derivanti. Ma era tardi per fare marcia indietro. Fatto un respiro profondo, si accomodò sulla poltroncina. La prima cosa che fece fu l’ultima che un Capitano vorrebbe fare: premette il comando di Allarme Rosso.
   «Attenzione, Capitano Rivera a equipaggio. I sensori indicano che gli Undine ci raggiungeranno tra mezz’ora con forze soverchianti. Prima di allora dobbiamo cambiare aria, quindi gli ingegneri hanno l’ordine di aprire un portale. Tutti gli altri si preparino alla battaglia».
 
   Di lì a venti minuti Irvik segnalò che erano pronti. Shati portò la Destiny in arresto totale, mentre Giely caricava una sonda con alcuni campioni biologici, per accertarsi che la nuova realtà fosse compatibile con la vita. Gli ufficiali di plancia avvertirono una crescente vibrazione, man mano che la Destiny raccoglieva le sue imponenti energie. Infine l’impulso gravitonico scaturì dal deflettore inferiore.
   «Impulso lanciato» disse Talyn. «Funziona, si sta aprendo la breccia!».
   Rivera lasciò la poltrona, per osservare meglio attraverso lo schermo. Il raggio verde-azzurro collassava poche centinaia di chilometri più avanti, creando una distorsione sempre più marcata. D’un tratto qualcosa cambiò: la distorsione assunse una forma a imbuto e il fluido organico le vorticò attorno, come acqua risucchiata da un sifone.
   «Breccia inter-dimensionale aperta» confermò Talyn.
   «La sonda, presto!» ordinò Rivera, ricordando che occorreva un test con dei campioni biologici prima di rischiare le loro vite. Vide il piccolo guscio sfrecciare verso il vortice e svanirci dentro. Trascorsero pochi secondi, il tempo necessario alla sonda per eseguire un’inversione di rotta. Ed eccola riapparire, per tornare come un boomerang verso coloro che l’avevano lanciata. «Non c’è tempo per le procedure d’attracco. Teletrasportatela a bordo» ordinò il Capitano.
   Detto fatto, la piccola sonda fu trasferita in infermeria. Rivera attese un minuto, tamburellando nervosamente sul bracciolo. Poi cedette. «Plancia a infermeria, non c’è più tempo. Come stanno i campioni?».
   «Sono vivi» rispose Giely, che li stava analizzando freneticamente. Dopo aver passato il tricorder medico su un bio-cilindro se lo gettava alle spalle, passando al successivo. «Un’analisi completa richiederebbe ore, per escludere ogni effetto deleterio sul genoma. Ma se non c’è tempo, non resta che rischiare».
   «Sentito? Portaci dentro» ordinò il Capitano alla timoniera.
   «Allarme, ci sono addosso!» avvertì Talyn. In quel momento una flottiglia di nove bionavi entrò nel campo visivo. Avevano un’insolita formazione: un grosso vascello stava al centro, mentre le bionavi rimanenti lo contornavano, disposte a ottagono. L’El-Auriano esaminò il vascello al centro, tutto irto di spuntoni. Interrogò il database, cercando di capire cosa fosse.
   In quella la Destiny varcò l’orizzonte degli eventi, abbandonando lo Spazio Fluido. La plancia si oscurò all’improvviso. Invece di mostrare una diffusa luminosità giallastra, ora lo schermo principale era affacciato su un cosmo nero intenso. Nessuna stella lo punteggiava.
   «Non sembra familiare» mormorò Shati, delusa. «Dove sono le stelle? Può darsi che siamo finiti fuori dalla Galassia?».
   «Non credo» rispose Talyn. «La breccia ci ha trasportati da una realtà all’altra, ma non può trasferirci da una coordinata a un’altra. Tecnicamente siamo nello stesso punto di prima. Vale a dire che dovremmo essere ancora nella Nebulosa del Toro. Però i sensori mi dicono che non c’è gas nebulare attorno a noi. Se non vediamo le stelle, significa proprio che non ce ne sono. Siamo in un altro cosmo... uno vuoto e buio».
   «Sempre meglio dello Spazio Fluido» disse Rivera, cercando di mitigare la delusione dei suoi. «Ma che ne è della breccia? È collassata?».
   «Veramente no, è ancora aperta» rilevò Talyn.
   A queste parole Shati eseguì un’inversione di rotta, per poi arrestare la nave. La breccia inter-dimensionale campeggiava al centro dello schermo, unica fonte di luce in quel cosmo tenebroso.
   «Che ci fa ancora lì, non dovrebbe chiudersi?» chiese Losira.
   «Non saprei... forse deve passare più tempo» ipotizzò l’El-Auriano.
   «Ma se noi l’abbiamo varcata, gli Undine non faranno altrettanto?» incalzò la Risiana.
   A quelle parole Rivera avvertì un brivido lungo la spina dorsale. Se il nemico li seguiva anche lì, erano finiti. Si girò di scatto, per correre alla postazione tattica, ma vide che Naskeel l’aveva già occupata.
   «Non demordi, eh? Va bene, resta lì» si arrese il Capitano. In effetti era meglio per lui concentrarsi sulla strategia, anziché azionare direttamente le armi. «Il cannone thalaronico è operativo?» chiese, sperando di poter indirizzare i colpi nella strettoia costituita dalla breccia.
   «Negativo. Avendolo usato alla massima potenza, deve ancora completare il ciclo di ricarica» rispose il Tholiano.
   «Frell» imprecò Rivera, vedendosi privato dell’unica arma efficace contro gli Undine. «Allora tieniti pronto. Appena compare un vascello nemico, lanciagli una salva di siluri transfasici».
   «Ricevuto» disse Naskeel.
   «Signore, ho un riscontro sul database per quanto riguarda l’ammiraglia nemica» intervenne Talyn. «È un Distruttore Planetario, non credo che siamo alla sua altezza».
   Rivera deglutì, vedendosi a corto di opzioni. Aveva sperato d’essere Capitano per più di mezz’ora.
   Di lì a un attimo il Distruttore Planetario cominciò a uscire dal vortice. Inquadrato così da vicino era ancora più impressionante, con lo scafo irto di protuberanze simili ad aculei. Appena lo vide, Naskeel lanciò i siluri transfasici. Ma era chiaro che mettere a segno il primo colpo non sarebbe bastato a vincere.
   Fu allora che la breccia interdimensionale si richiuse, svanendo come una bolla di sapone. Il Distruttore Planetario era ancora al suo interno per metà. L’effetto fu devastante: la potentissima astronave fu tranciata in due. Solo la parte anteriore rimase alla deriva nel cosmo oscuro, perdendo liquidi interni come una bestia ferita. La metà di poppa era certamente rimasta nello Spazio Fluido.
   Sotto gli occhi sgranati degli avventurieri, i siluri transfasici giunsero a bersaglio. Erano missili intelligenti, progettati per indirizzarsi verso qualunque punto debole del nemico. Quando captarono le ampie falle sullo scafo, s’indirizzarono al loro interno. Ci fu una serie d’esplosioni abbaglianti, in rapida successione. Quando l’ultimo lampo si estinse, del Distruttore Planetario restavano solo frammenti in dispersione.
 
   Quella sera i nuovi ufficiali e marinai della Destiny si ritirarono nei loro alloggi, ovvero gli alloggi appartenuti ai loro sfortunati predecessori. Gli Undine, che non dormivano mai, non li avevano toccati; dunque erano ancora arredati con gli effetti personali degli ultimi proprietari. Faceva uno strano effetto prenderne possesso: era come violare la privacy altrui. I Ferengi non se ne fecero un problema, ma altri si sentirono a disagio, specialmente nel vedere le immagini di amici e parenti che ancora ignoravano la sorte dei loro cari.
   L’alloggio del Capitano non faceva eccezione. In salotto spiccava il dipinto raffigurante un pianeta verdastro: era Delta IV, patria della defunta Dualla. Sui mobili c’erano manufatti deltani, che Rivera stentò a comprendere; uno gli parve uno strumento musicale. Sul comodino accanto al letto, infine, trovò il ricordo più struggente: l’olografia della famiglia. Erano una decina di persone sorridenti, tutte pelate com’era tipico dei Deltani, ritratte in un giardino assolato. Forse l’immagine era stata scattata subito prima che Dualla partisse. «Se solo avesse immaginato che non li avrebbe rivisti...» si disse l’Umano. Dopo una breve riflessione ripose l’olografia in un cassetto. Tenne il resto degli arredi lì dov’erano, non avendo di che sostituirli.
   Quando finalmente si buttò sul letto, il nuovo Capitano si concesse la prima lunga dormita dacché la Destiny lo aveva strappato alla sua vita precedente. Erano passati solo dieci giorni, ma sembrava molto di più. Quei pochi giorni nello Spazio Fluido avevano segnato in modo indelebile sia lui che gli altri; e chissà cosa aveva in serbo il Multiverso nei tempi a venire.
 
   Erano queste le sue riflessioni quando, il giorno dopo, Rivera ispezionò la nave. La ciurma era al lavoro: la Destiny aveva affrontato una dura battaglia e bisognava sistemarla. Fortunatamente i danni erano minimi. Più che riparare la nave bisognava capire come governarla, data la sua tecnologia ultramoderna. Il Capitano confidava che ci sarebbero riusciti; quel che lo preoccupava era la carenza d’organico. La vecchia Ishka era un mercantile: i suoi trecento effettivi erano più che sufficienti. Ma la Destiny era un grande vascello polifunzionale che necessitava di settecento effettivi. Come avrebbero fatto a gestirlo, con neanche la metà del personale?
   Salendo in plancia, Rivera vide con piacere che gli ingegneri stavano già sostituendo il portone blindato, secondo le sue istruzioni. Passato oltre, il Capitano s’imbatté in una scena singolare: Naskeel raccoglieva i corpi degli Undine, caricandoli su un carrello antigravitazionale. I resti degli alieni, infatti, erano classificati come “pericolo biologico” e nessun altro osava toccarli, nemmeno con i guanti. Il Tholiano era l’unico che non temeva contaminazioni. Occupandosi della faccenda, non faceva che ribadire la sua pretesa di gestire la sicurezza di bordo. Nel passargli accanto, Rivera decise che non poteva ignorarlo. «Naskeel, vedo che ti sei messo al lavoro. Che intendi fare con quei resti? Li espellerai nello spazio?» chiese.
   «Negativo. La dottoressa Giely vuole conservarli nella camera criogenica» rispose il Tholiano, senza interrompersi. «Dice che potremo imparare molto sulla loro biologia: forse anche nuovi modi per combatterli».
   «Uhm, va bene» acconsentì l’Umano. «Ricordale di usare ogni precauzione nel maneggiarli. Ci manca solo che si faccia contagiare da qualche altra diavoleria. E tu non scordare quello che giace nella camera del processore» raccomandò.
   Sistemata la faccenda, il Capitano andò da Talyn. «Allora, che dicono i sensori? Siamo soli?» volle sapere.
   «Più soli di quanto qualunque equipaggio sia mai stato, temo» rispose il giovane. «Non ho rilevato astronavi, né stazioni spaziali, né boe o sonde. E nemmeno trasmissioni di alcun genere. Insomma, nessun segno di tecnologia. Ma c’è di più». Mentre parlava richiamò i dati sull’oloschermo della sua postazione. «Vede, Capitano? Attorno a noi non ci sono asteroidi, né pianeti, né stelle, né nebulose. Non c’è neanche traccia di galassie lontane. La mia impressione è che questo Universo sia completamente vuoto. Forse la materia e l’antimateria si sono annichilite completamente nei primi attimi dopo il Big Bang. Fatto sta che ci siamo solo noi».
   «Sentito, Capitano? Puoi proclamarti Imperatore dell’Universo, se vuoi. Nessuno ti contesterà» lo sfotté Losira, che al pari degli altri ufficiali seguiva la conversazione.
   «Grazie, per ora mi basta essere Capitano. Sono comunque l’autorità più alta dell’Universo» rispose Rivera, ricambiando l’ironia. Poi si rivolse di nuovo a Talyn. «E se invece fosse un Universo molto antico? Uno in cui tutte le stelle si sono spente?» ipotizzò. Non aggiunse altro, ma le implicazioni erano evidenti. Un Universo antichissimo poteva ospitare esseri così evoluti da risultare del tutto incomprensibili... e invincibili.
   «Questo tenderei a escluderlo» disse però l’El-Auriano. «Analizzando la radiazione cosmica di fondo, direi che ha grossomodo la stessa età del nostro. Del resto non ci sono nane bianche, stelle di neutroni, buchi neri o altri residui stellari che facciano pensare a un cosmo antico».
   «Va bene, diciamo che è un grosso spazio vuoto» convenne Rivera. «Anzi, sapete che vi dico? D’ora in poi lo chiameremo proprio così: il Vuoto!».
   «Originale» fece Losira. «Ma battezzare nuovi corpi celesti... e anche interi Universi... è tua prerogativa, Capitano».
   «Potremmo anche chiamarlo il Nulla, o il Niente» aggiunse l’Umano, prendendoci gusto.
   «No, per carità. Il genio deve seguire la sua prima ispirazione» consigliò la Risiana, sempre ironica.
   «Scherzi a parte, è un’ottima cosa essere finiti qui» disse il Capitano, rivolgendosi a tutti i presenti. «Questo è un luogo in cui nessuno ci minaccerà o ci disturberà. Sarà il nostro campo base... il nostro covo, se volete. Se nelle esplorazioni a venire ci troveremo in pericolo, avremo sempre un posto sicuro in cui tornare. Se dovremo riparare la nave, curare dei feriti o semplicemente pianificare la prossima mossa, verremo qui nel Vuoto!» annunciò.
   L’idea piacque alla ciurma. Nelle loro condizioni precarie, avere un rifugio sicuro era già di per sé confortante. E chi altri poteva vantarsi di possedere un intero Universo come nascondiglio? Sarà anche stato uno spazio vuoto... ma era il loro Vuoto.
 
   Più tardi Rivera scese in sala macchine, per discutere con Irvik. Il principale problema era ovviamente la carenza di personale. «Dovrei avere duecento elementi, tra ingegneri e ausiliari; e ne ho settanta!» brontolò il sauro. «Mi dica lei come si può far funzionare un’astronave in queste condizioni!».
   «Io e Losira stiamo riorganizzando il personale; cercheremo di farle avere altri tecnici» promise il Capitano.
   «Quanti?».
   «Una ventina in più, forse» azzardò Rivera. «Ma se vuole mandare avanti la baracca, le consiglio di affidarsi a quelli» aggiunse, accennando a un Exocomp che gli ronzava accanto.
   «Ah sì, i piccoletti ci saranno preziosi» convenne Irvik. «Dopotutto uno solo di loro è bastato a restituirci la nave. Capitano, le presento l’Exocomp numero 64, un vero eroe di guerra!» annunciò.
   «Be-beep! Io Ottoperotto!» si presentò il robottino, sfarfallando di luci.
   «Sì, pare che la dottoressa Giely lo abbia ribattezzato così, e da allora non accetta altre designazioni» ammise l’Ingegnere Capo, grattandosi pensosamente la testa scagliosa. «Se vuole posso ricalibrargli i circuiti».
   «Bzzzt! Negativo!» protestò Ottoperotto, ritraendosi spaventato.
   «No, lascia stare. Mi piacciono gli individualisti» disse Rivera, accorgendosi che quel robottino aveva più personalità degli altri. Forse dipendeva dal fatto che aveva passato cinque anni a nascondersi sull’astronave occupata dagli Undine. Fatto sta che aveva sviluppato una particolare intraprendenza. «Che nessuno lo resetti, sono stato chiaro?» raccomandò.
   «Come vuole» convenne Irvik. «Tanto ne stiamo replicando a centinaia, per ripristinare lo stock originale. Anzi, vista la situazione penso proprio che ne replicheremo di più. Dovremo delegargli alcune mansioni del personale, tra le più ripetitive».
   «Certo, procedete» annuì il Capitano. Osservando il robottino, gli venne un’altra idea. «So che ogni sciame di Exocomp ha un caposquadra che dirige i lavori. Di norma è il numero 1, ma io voglio che sia Ottoperotto».
   «Vuole promuoverlo per i servigi resi?» chiese il Voth, divertito.
   «Perché no? È un’Intelligenza Artificiale, quindi mi sembra giusto che possa fare carriera» confermò l’Umano.
   «Be-beep!». L’interessato espresse la sua approvazione con un sonoro trillo.
   «Sentito, ragazzo? Se lavori sodo, forse un giorno ci sarai tu sulla poltrona del Capitano!» ridacchiò Irvik, incrinando l’autostima di Rivera.
   «Beh, se è tutto devo andare» disse il Capitano, avviandosi verso la porta.
   «Aspetti, c’è un’ultima cosa che devo mostrarle» disse l’Ingegnere Capo, venendogli dietro con una strana fretta. «L’abbiamo trovata poco fa, nell’hangar 2».
   «Che cosa?».
   «È meglio che la veda con i suoi occhi. Mi segua, faccio strada».
 
   Di lì a poco i due ufficiali erano nell’hangar 2. Come il suo gemello all’altra estremità della sezione anulare, aveva grandi dimensioni e ospitava un vasto assortimento di navette. Ma tra le navicelle federali ne campeggiava una più grossa, dall’aspetto alieno, che stonava con le altre. Il suo scafo era giallastro e irto di spuntoni; la consistenza pareva organica.
   «Quella è...» mormorò Rivera.
   «Una bionave, sì» confermò Irvik. «Si tratta di un modello più piccolo di quelle che abbiamo affrontato. Non si preoccupi, non c’è alcun pilota dentro» lo rassicurò. «Credo che sia una navetta trasporto. Gli Undine l’avranno usata per salire a bordo, e forse per qualche andirivieni tra la Destiny e la biosfera nei giorni in cui eravamo prigionieri. Come ricorderà, loro non usano il teletrasporto».
   «Guarda, guarda...» fece il Capitano, avvicinandosi alla bionave. Le girò attorno per osservarla da tutte le angolazioni, tornando infine accanto all’ingegnere.
   «Come vuole che ne disponiamo?» chiese Irvik.
   «Ritiene che possa costituire un pericolo?».
   «Senza il pilota, direi di no. I sistemi a bordo sembrano quiescenti» rispose il Voth. «E considerando che ci troviamo in un’altra realtà, gli Undine non possono nemmeno inviare un segnale per attivarla a distanza».
   «È quanto volevo sentire. In tal caso, ce la terremo!» disse Rivera con decisione.
   «Ne è certo? A molti dell’equipaggio non piacerà avere questa cosa a bordo» notò il sauro.
   «Abbiamo appena vinto una battaglia, no? Ai vincitori vanno le spoglie!» citò il Capitano, con truce soddisfazione. «Studiando questa navetta capiremo meglio la tecnologia degli Undine. Magari troveremo nuovi modi per combatterli. Se... voglio dire, quando torneremo a casa, la consegneremo agli scienziati federali, così che continuino le ricerche».
   «Vuole assicurarsi che al ritorno vi diano l’amnistia?» chiese Irvik, divertito.
   «Beh, non mi dispiacerebbe» sospirò Rivera. «Per adesso teniamola qui. Ci metta le transenne e un bel cartello “Vietato toccare”! Chiunque voglia esaminarla dovrà prima avere la mia autorizzazione» stabilì, dando un’ultima occhiata all’inquietante scafo organico.
 
   L’ultima tappa dell’ispezione fu l’infermeria, dove Giely aveva già messo in stasi i resti degli Undine. Il Capitano però era più preoccupato dalle condizioni della dottoressa. Non riusciva a togliersi di mente il loro primo incontro, quando l’aveva trovata fuori di testa in sala macchine, e si chiedeva se la Vorta avesse davvero riacquistato l’equilibrio mentale. Ascoltò distrattamente i suoi discorsi.
   «... e naturalmente devo visitarvi tutti, per convalidare l’idoneità al servizio» disse a un certo punto la dottoressa.
   «Come?!» fece Rivera, bruscamente riportato alla realtà.
   «Ma certo, non avrai pensato che vi lasciassi lavorare così, senza un controllo!» confermò Giely. «Ricorda che non ho le vostre cartelle cliniche, quindi non so niente di voi. Anzi, se qualcuno ha malattie pregresse, allergie o altre peculiarità, deve informarmi al più presto» raccomandò.
   «Abbiamo un aspirante Ufficiale Tattico che è fatto di cristallo e non sopporta temperature inferiori ai 200º C. È abbastanza peculiare?» fece Rivera, sarcastico. «Ma sì, ordinerò a tutti di scriverti qualche riga sul loro conto. Così potrai cominciare a stilare delle cartelle».
   «Ottimo. Per quanto riguarda le visite, sarebbe bene che il Capitano desse il buon esempio, sottoponendosi per primo» suggerì la Vorta.
   «Ci avrei scommesso. E va bene, tanto sono qui» sospirò l’Umano. Nell’ora successiva si sottopose a una serie d’analisi, più invasive del previsto. Probabilmente la dottoressa non sarebbe stata così puntigliosa con tutti gli altri membri dell’equipaggio.
   «Hai una salute di ferro, Capitano» concluse Giely. «Però ti suggerisco di non esagerare con la tequila».
   «Cercherò di controllarmi» promise Rivera, ancora disteso sul lettino delle analisi. Squadrò la dottoressa, notando solo adesso che era l’unica dell’equipaggio a indossare l’uniforme della Flotta Stellare. In effetti era l’unica ad averne diritto, essendo tuttora un ufficiale. Gli altri, lui compreso, indossavano ancora le tenute paramilitari che avevano sull’Ishka. E alcuni, come Losira e Irvik, si ostinavano a indossare abiti civili, particolarmente appariscenti nel caso della Risiana. Il Capitano si chiese se era meglio disciplinarli; ma poteva imporre l’uniforme a chi, a rigor di legge, non era autorizzato a portarla?
   «È tutto a posto?» chiese la Vorta, vedendolo così assorto.
   «Eh? Sì, ho solo tanto a cui pensare» si giustificò Rivera. «Comunque potrei farti la stessa domanda. Sei passata attraverso esperienze sconvolgenti; ora sei certa di stare bene?».
   «Vuoi sapere se sono ancora picchiatella?».
   «Per dirla in modo indelicato, sì. In fondo ti sto affidando la salute di noi tutti» notò il Capitano.
   Giely non rispose subito. Si allontanò di qualche passo, assorta nei ricordi. «La mia vita non è mai stata ciò che definiresti normale. Un giorno forse te ne parlerò. È come se fossi sempre stata in cerca di qualcosa... non so nemmeno io cosa di preciso. Forse uno scopo, un significato, o un senso di realizzazione personale. Speravo di trovarlo nella Flotta Stellare; forse lo troverò qui con voi. Comunque per adesso sto ragionevolmente bene» garantì.
   «Allora mi ritengo ragionevolmente soddisfatto» dichiarò Rivera, balzando giù dal lettino. «Arrivederci, dottoressa».
   «Hasta la vista, Capitán!» lo sorprese la Vorta, in perfetto spagnolo.
 
   Una settimana dopo, le riparazioni erano ultimate e gli ufficiali avevano l’impressione di aver familiarizzato con i sistemi di bordo. Rivera sapeva che per padroneggiare davvero la Destiny sarebbe servito più tempo, ma temeva che con un’attesa più lunga tra l’equipaggio serpeggiasse il malumore e venisse meno la concentrazione. Così decise che era giunto il momento e annunciò la partenza per l’indomani. Questo creò grande trepidazione a bordo: alcuni si comportavano come se stessero per tornare a casa, altri erano più pessimisti sull’avvenire. Rivera non sapeva quale fosse l’atteggiamento prevalente, ma ormai era tardi per tornare sulla sua decisione.
   La mattina fatidica, il Capitano entrò in plancia col batticuore. Gli ufficiali erano già lì: tutte le teste si girarono verso di lui. «Capitano sul ponte!» annunciò Talyn, sempre il suo più grande fan.
   «Riposo, signori. Tutti ai vostri posti» ordinò Rivera, sperando col suo esempio d’instillare una certa disciplina in quegli avventurieri. Non poteva pretendere performance da Flotta Stellare in chi non aveva fatto l’Accademia, ma sentiva di doverli mettere in riga, ora che erano su una nave federale.
   Tutti fecero come ordinato, tranne Naskeel che gli si avvicinò. «Capitano, ha preso una decisione nei miei riguardi?» chiese il Tholiano.
   Rivera dette una breve occhiata al centro della plancia, dove si trovavano le tre poltrone principali: quella del Capitano, del Primo Ufficiale e del Consigliere. La terza sedia era destinata a restare vuota, dato che non avevano uno psicologo a bordo. Alla luce di questo, Rivera non voleva trovarsi con altre posizioni chiave scoperte: non ora che stavano per tuffarsi nell’ignoto. Per quanto ne sapeva, magari di lì a poco sarebbero stati impegnati in una battaglia mortale. No, gli serviva un professionista al tattico; così era una scelta obbligata.
   «Signor Naskeel, dopo attente riflessioni ho deciso di affidarle l’incarico da lei richiesto» disse in tono formale, fissando l’interlocutore; ma avvertì la sorpresa che aveva suscitato negli altri. «Sappia che mi aspetto piena lealtà e dedizione da parte sua. Il tradimento non sarà tollerato» avvertì.
   «Com’è giusto che sia» convenne Naskeel, piegando appena le sei zampe in una sorta d’inchino, che per lui corrispondeva al saluto militare. Dopo di che zampettò alla postazione tattica.
   Rivera restò a osservarlo qualche istante, prima di accomodarsi sulla sua poltrona.
   «Spero che tu sappia ciò che fai» gli sussurrò Losira, dal seggio del Primo Ufficiale.
   «Hai insistito tu perché designassi un Ufficiale Tattico».
   «Non mi aspettavo che si proponesse lui; ancor meno che tu accettassi».
   «Affrontiamo un problema per volta. Dovremmo essere al sicuro... finché non saremo tornati nel nostro Universo. Poi si vedrà» puntualizzò l’Umano, dandole un’occhiata eloquente.
   Passato qualche attimo, il Capitano premette un tasto sul bracciolo. Voleva aprire un canale con tutti i ponti, per rivolgere un discorso d’incoraggiamento alla ciurma. Quel che ottenne, invece, fu il dispiegarsi delle cinture di sicurezza che lo avvolsero strettamente. Gli ufficiali lo fissarono perplessi.
   «Mannaggia. Dovrei comandare la nave, e non vengo a capo nemmeno del mio bracciolo!» si rimproverò Rivera, ritirando le cinture. «Avete visto tutti? Ora sapete cosa fare, in caso di scossoni!» si giustificò.
   Losira alzò gli occhi al cielo e si piegò verso di lui, pigiando il tasto giusto sul suo bracciolo.
   Dopo essersi ricomposto, l’Umano si schiarì la voce. «Buongiorno a tutti, è il Capitano che vi parla. Oggi comincia il nostro viaggio più memorabile, anzi il più memorabile di tutti i tempi: l’esplorazione del Multiverso. Non l’abbiamo chiesto noi, ma il destino ci ha posti su questa nave, con questa missione. Là fuori ci sono bellezze, scoperte e pericoli che oltrepassano ogni immaginazione. Solo restando uniti e fidando gli uni negli altri ne verremo a capo. Non siamo ufficiali di Flotta, eppure dovremo comportarci come tali, perché solo così troveremo la via di casa.
   In questa ricerca non lasceremo nulla d’intentato. Visiteremo tutte le coordinate quantiche ritrovate nel database, in cerca di quella giusta. Proveremo a contattare le entità capaci di spostarsi nel Multiverso, come i Q e i Nacene. Cercheremo ogni traccia, ogni indizio che possa metterci sulla giusta via».
   Fatta una breve pausa, il Capitano riprese in tono accorato: «Ricordate inoltre che tutto questo non lo facciamo solo per noi stessi. Dobbiamo tornare anche per avvertire la Federazione della minaccia Undine. Può darsi, infatti, che la biosfera fosse parte di un piano d’invasione: un modo per scoprire i nostri punti deboli prima di sferrare l’attacco su vasta scala. Se è così, dobbiamo avvisare le autorità federali prima che sia troppo tardi. E dobbiamo rendere giustizia al primo equipaggio della Destiny, raccontando la loro storia.
   Questa è la nostra responsabilità, sebbene le autorità non ci siano state amiche. E chissà che, riuniti su questa nave, non riscopriamo in noi quello spirito di fratellanza che creò la Federazione, tanto tempo fa. Signori, avanti tutta verso l’ignoto!». Ciò detto, il Capitano chiuse il canale.
   «Ecco perché voi Umani arrivate sempre alla poltrona di comando: siete bravi a fare i discorsi» commentò Losira, con un guizzo divertito negli occhi.
   «Plancia a sala macchine, quando volete» disse Rivera.
   La Destiny vibrò, raccogliendo le energie, finché il deflettore lanciò un impulso gravitonico che forò lo spazio, aprendo una breccia. Anche stavolta gli avventurieri ebbero la prudenza di lanciare prima una sonda contenente campioni biologici, per accertarsi che la destinazione fosse compatibile con la vita. La sonda tornò poco prima che la breccia si richiudesse e stavolta Giely ebbe tutto il tempo d’analizzare i campioni, in cerca d’anomalie. Quando, qualche ora dopo, riferì alla plancia che era tutto okay, il nucleo si era già ricaricato. La Destiny riaprì la soglia tra le realtà, simile a un vortice dorato.
   «Avanti a un quarto d’impulso» ordinò il Capitano, contemplando l’ignoto davanti a sé. «Vediamo cosa ci aspetta!». 
 
   
 
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