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Autore: theGan    07/09/2022    4 recensioni
PARTE 1: Amburgo, 1986.
Genzo Wakabayashi inizia la sua nuova vita in Germania.
Karl Heinz Schneider decide di non farci amicizia, Hermann Kaltz è più pragmatico.
La long-story mai richiesta sulla storia del terzetto amburghese.
[CONCLUSA]
PARTE 2: Giappone ‘45 / Germania ‘87. 
Tatsuo Mikami vuole essere un calciatore, non un padre.
La vita è piena di sorprese.
Genere: Commedia, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hermann Kaltz, Karl Heinz Schneider, Taro Misaki/Tom, Tatsuo Mikami/Freddy Marshall
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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* questa fiction viaggia parallela al canon: ci flirta insieme, ma non se lo sposa.

 


 

5. Bene, ma non benissimo.

 

C’è uno scarto di sette ore tra l’aeroporto di Shizuoka, Giappone e quello di Amburgo, Germania.

Genzo e Mister Mikami si alzano alle sei del mattino, arrivano in aeroporto alle otto e prendono il volo targato Lufthansa alle undici. Le due città distano in linea d’aria circa ottomila novecento chilometri e dodici ore di volo aiutano a sentirli tutti. Non è la prima volta su un areo per nessuno dei due: Genzo a dieci anni è stato costretto a Milano per la settimana della moda da sua madre e poi a New York per vedere fallire il matrimonio di suo fratello maggiore. La sposa è fuggita all’altare, la damigella d’onore ha confessato una tresca con il sacerdote e uno dei testimoni ha tentato la fuga con le costose fedi. Grasse risate. Il cibo era buono.

Mikami è volato in Messico nel ’68 insieme al resto della Nazionale giapponese. Gli ha confidato di essere stato anche in Baviera quando aveva più o meno la sua età per il secondo matrimonio di sua madre.

L’esperienza aerea di Mikami si riassume in un sorriso stretto e una presa di ferro attorno al bracciolo del sedile. L’aereo inizia a rollare.

- Va tutto bene, Genzo. – Rassicura, volto grigio e voce quasi ferma. – È normalissimo che faccia così.

Borbotta qualcosa di appena percettibile, probabilmente: “moriremo tutti”. Gli ricorda un po’ Takasugi e il suo modo di sembrare più grande delle cose che gli fanno paura. È naturale appoggiare una mano su quella di Mikami e lasciare che gliela stringa come se fosse Genzo quello ad aver bisogno di rassicurazioni. L’orgoglio del suo mister sufficientemente protetto, Genzo prende nota menta mentale di chiedere quanto prima ad una delle hostess un bicchiere d’acqua. Mikami è astemio. Forse pure buddhista. Recitare il Nam-myoho-renge-kyo almeno sembra calmarlo.

Sarà un viaggio lungo. Le prime tre ore, in particolare, si stiracchiano e moltiplicano di peso e volume. Non tanto a causa del suo adulto di riferimento preferito, Mikami, appena prendono quota, stabilisce di non aver mai avuto paura di volare e decide di affondare il naso nell’ultimo numero del Weltfußball con il triplo scopo di: esercitare la lingua, aggiornarsi sul calcio tedesco ed evitare il marmocchio che è strisciato dove sono seduti e ha deciso di fare conversazione.

- Quello è un giornale di CALCIO? Ehi, ehi, io ADORO IL CALCIO!!! Giochi? Io gioco! Gioco un sacco! Ma sei giapponese? Lo sono anche io!

Tsubasa 2.0, versione “mai dare bambini troppi zuccheri” è la principale ragione del suo mal di testa. Genzo prova a sbirciare la presenza di genitori allarmati, non ne trova. Forse dovrebbe avvisare un’hostess. Sospira, hanno un sacco di tempo prima dello scalo, Genzo ha una certa esperienza in bambini soli-ed-entusiasti, si sposta un po’ sul sedile e gli fa segno. Shingo Aoi lo interpreta come un invito a piazzarglisi in braccio. Ma perché?

Nei quaranta minuti che occorrono perché la madre di Shingo compaia con le guance rosse, i capelli scomposti e gli occhi umidi per le lacrime, il bambino gli ha praticamente raccontato la storia della sua vita. È più grande di quello che statura e carattere suggeriscono e il mistero di come abbia fatto a perdersi su un areo rimane ancora tutto da chiarire.

- Mi scusi tanto! – La signora agguanta il pargolo, bypassa Genzo e si rivolge direttamente a Mikami. – Non posso levargli gli occhi di dosso un minuto.

- Non si preoccupi.

Facile per il suo mister fare lo splendido, non era lui ad avere venticinque chili di gesticolante entusiasmo in grembo. Non che gli sia dispiaciuto, sotto un leggero strato di scorza, i marmocchi rumorosi e un po’ fanatici gli piacciono: fanno sembrare il mondo un posto colorato ed affascinante.

- Dal prossimo anno giocherò nel Nakahara FC! Lo so perché mister Fujimoto mi ha detto che sono bravissimo a palleggiare anche più dei ragazzi delle medie! – Gli aveva ripetuto Shingo fino alla nausea. – E se ci sono io il prossimo torneo lo vinceremo di sicuro!

- Allora avrai da battere squadre come il Meiwa o la Nankatsu.

- FACILISSIMO!

Si era trattenuto dal ridere. Il Nakahara FC è un’ottima squadra, ma… come dire: senza speranza. Però nel calcio non si può mai dire, il Meiwa aveva mancato di qualificarsi per anni ai Nazionali. Se Shingo è bravo almeno la metà di quanto sembra convinto, chissà. Si appunta di fare il suo nome a Tsubasa nella sua prima lettera. Se ne ricorderà alla terza.

Shingo e sua madre gli tengono compagnia fino a Dubai, dove il volo fa scalo. Anche loro sono diretti in Europa, ma un po’ più a sud: precisamente all’aeroporto di Milano Malpensa.

- Andiamo a trovare lo zio! Ci ospita a casa sua che è vicina allo stadio!!! Ehi lo conosci l’Inter? Un giorno ci andrò a giocare.

Ci vogliono altre sette ore circa prima che le loro strade si dividano, Shingo si sbraccia, sua madre non gli molla la mano mentre corre, con tutta la grazia concessa dai tacchi bassi, verso un altro terminal. Genzo non si sente più un orecchio, Mikami gli appoggia una mano sulla spalla e fa un gesto verso uno dei bar presenti in aeroporto. Il panino è unto e gli rimane sullo stomaco, ma la compagnia rende tutto migliore.

Mister Mikami aveva i capelli castani una volta, ora sono tutti grigi, o quasi. Scherza sempre che sono merito suo e Genzo un giorno, un braccio rotto legato al collo e mano steccata, gli ricorderà per chi sono dovuti correre in ospedale. Seriamente, lasciare degenerare una cosa stupida come un’appendicite perché Mikami si era dimenticato di non averla già tolta… il suo mister ha un modo originale per ripagarlo con la stessa moneta.

Nel presente Mikami insiste per ripassare il programma: arriveranno ad Amburgo martedì diciotto alle quattro del mattino circa, hanno prenotato due stanze al Raddison Blue vicino all’aeroporto e nel pomeriggio alle diciassette c’è l’appuntamento con miss Rosemaier per visitare l’appartamento e recuperare le chiavi. L’appartamento a Rotherbaum rimarrà la sua casa per la decade successiva, ma Genzo non lo sa ancora. A diciassette anni deciderà di riconfigurare lo studio di Mikami in mini palestra, ma la camera che era stata del suo mister la lascerà uguale. Nel periodo imbarazzante che separerà i quattordici anni dai tredici, Genzo userà quella stanza come rifugio. Li capiterà di accendere una sigaretta e lasciarla nel portacenere per ripristinare il giusto odore. Sarà una cosa stupida e non ammetterà mai di averla fatta neanche in punto di morte, o particolarmente ubriaco. Soprattutto con Hermann Kaltz.

Giovedì alle otto ha appuntamento per l’orientamento con la vicepreside della gesamschule ai cui i suoi, o meglio, i di loro segretari hanno stabilito di iscriverlo. Venerdì alle quattordici ha i provini per la squadra. Ci sarà un colloquio, una lunga prova pratica e, infine, una visita medica. Genzo non è preoccupato: la gamba è a posto, ma il medico ha insistito perché ci andasse piano. Apparirà debole. Nessuna squadra vuole un giocatore dall’infortunio facile.

Un po’ meno di dieci anni dopo Genzo rifletterà su quella verità indiscutibile, una frattura scomposta e un problema al tendine che nove mesi di fisioterapia riusciranno lentamente ad aggiustare. La società deciderà di rinnovare il suo contratto, ma, se le ferite guariranno, la sottile linea della fiducia finirà per riempirsi di fango e minaccerà di farlo sprofondare.

- Sei sicuro che non vuoi ti accompagni a parlare con Miss Bumgarner?

Miss Bumgarner è la vicepreside, Genzo alza un sopracciglio, afferra il succo d’arancia e non risponde. Gestisce professori e presidi da solo da quando di anni ne aveva sette, non vede ragione per cambiare la tradizione. Anche se è un Paese nuovo e la lingua gli crea ancora problemi. Mikami ha di meglio da fare che tenerlo per mano tutto il tempo! Deve incontrare coach Friedman, i rappresentanti della Federcalcio tedesca e rilasciare un’intervista per i giornalisti giapponesi invitati. È una scuola. Non c’è niente di spaventoso in una scuola. Non può essere tanto, troppo diversa da quella vecchia, infondo.

Mikami sospira e lascia cadere l’argomento. Genzo la conta come una vittoria. Finisce il succo, respira. Che strano. Non aveva notato di avere la mani sudate.

***

Il colloquio con la Bumgarner fila liscio, o quasi. Genzo non crede che la presenza di Mikami gli avrebbe risparmiato tre settimane di orientamento linguistico. Assurdo e umiliante.

La donna intuisce il filo dei suoi pensieri, sposta un fermacarte a forma di porcospino ed estrae un libro di letteratura. Glielo porge e Genzo realizza di essersi concentrato con la Luft Tanaka più sul tedesco parlato, che su quello scritto. L’alfabeto lo sa dall’inglese, ma ci sono gli accenti! Nessun problema, la può risolvere.

- Alla nostra gesamschule ci sono tanti ragazzi che inseguono una carriera nello sport. – La vicepreside interrompe la crescente crisi di non-panico con un sorriso conciliante. – Per questo invece che due anni di orientamento ne facciamo tre. Dal prossimo le classi inizieranno a distinguersi non in sezioni, ma per materia e livello di apprendimento. Se ti ci metti sotto puoi recuperare.

Sono le prime ed uniche parole di incoraggiamento che Genzo si sentirà rivolgere per il resto del mese.

Annuisce e presta rinnovata attenzione al programma che gli illustra la Bumgarner. Gli piace questa donna. Un giorno la inviterà al suo matrimonio.

Non è l’unico immigrato dell’anno, ma il solo giapponese. Nelle settimane che precedono il suo inserimento in classe, Genzo prende ripetizioni insieme ad Afet Aydin che non ama il calcio, ma è una vera esperta di libri horror e pallavolo. Lo convince a leggersi “Shining” e “Christine la macchina infernale” spacciandoli come esercizi di tedesco. Genzo dopo il primo non dorme per due notti, ma i mesi successivi accompagnerà comunque la Aydin in libreria per l’uscita di “It” e quattro anni dopo al cinema per vederne l’adattamento sul grande schermo.

Le classi extra si rivelano indispensabili, la Bumgarner aveva ragione, quando passa la sufficienza in tedesco e storia confermano il suo inserimento in classe per il diciassette di marzo. Lo stesso giorno della Aydin che però sarà in un’altra sezione.

Quella parola “ausreichend”, sufficiente, gli brucia dentro, ne collezionerà parecchie che faranno doppio con i più rari, ma non meno dolorosi "mangelhaft”, insufficiente. Non è un idiota, sa che è normale, ma questo non significhi sia facile accettarlo. È venuto in Germania per il calcio. Se lo ripete come un mantra. Per il calcio.

Fa l’errore di chiedere a Mikami se sia possibile organizzare delle lezioni private per mettersi in pari più in fretta e il suo coach lo fissa serio, sospira, e gli fa segno di sedersi vicino.

- No. – È la risposta secca, Genzo gonfia i polmoni, ma Mikami blocca le sue argomentazioni. – No, in questi anni hai esagerato e abbiamo sbagliato a lasciartelo fare. È un Paese nuovo, hai bisogno di orientarti e hai già un sacco da fare con la squadra. I voti a scuola sono un compromesso per essere felice.

Ma Genzo non si sente felice. Si sente frustrato e, con il passare delle settimane, un sacco informe di lividi. Quello però centra poco con la scuola che si profila come un’oasi sicura in un oceano di errori e incertezze, nonostante gli Herz, i Rothstein e i Beike della classe. Branco di idioti. Ma sono molli. La consolazione di potergli spaccare la faccia in qualsiasi momento lo aiuta a sedere composto e ignorare la cascata degli insulti. Non sono nemmeno creativi, Taki e Teppei saprebbero inventare qualcosa di meglio.

Continua a studiare, ingoia nostalgia ed orgoglio, ricorda a se stesso che il calcio si gioca in undici e chiede appunti e consigli a gente in gamba come la Kuster o Vogel. La prima arriva con l’elenco delle letture obbligatorie degli anni passati e un sacco di suggerimenti per edizioni in tedesco di libri per ragazzi:

- La lingua è più semplice, ma sono dei classici a cui si fa riferimento in classe.

Vogel è più acido, ma, quando si accorge che non lo sta sfottendo, si dimostra un sacco utile. Confrontano i rispettivi programmi di matematica, individuano dove Genzo è più avanti o più indietro. Vogel prepara uno schema puntato su come disporre le argomentazioni di un problema e su termini tecnici oggettivamente intraducibili. Il tipo ha una faida aperta con i calciatori che frequentano l’istituto.

- Credo che tu e Kaltz siate le uniche “teste rotonde” che provano davvero a studiare, gli altri fanno finta perché sanno che finché stanno in squadra tutti chiudono un occhio.

- “Teste rotonde”?

- Ma, sì: il pallone, no? È rotondo! Un insulto sottile e chiaramente perfetto.

- Amico…

Vogel dal giorno successivo inizierà a riferirsi ai giocatori di calcio come “palle sgonfie”, Genzo ne sarà esente per ragioni che non avranno nulla a che fare con quattro ore spese ad aiutare il tedesco a perfezionare il suo “trash talk”.

Per lo scritto, la Aydin suggerisce di scambiarsi lettere per discutere di quello che stanno leggendo. Diventa una sorta del club del libro formato epistolare, dove Genzo si firma con il nome della madre su richiesta dell’amica per evitarle grane a casa.

Ci vorranno mesi, ma del suo primo “befriedigend”, soddisfacente, in tedesco Genzo ne farà stampare una copia e lo conserverà piegato nell’album di fotografie della squadra. Non l’Amburgo SV, la sua squadra: la Nankatsu/Shutetsu.

***

Genzo è venuto in Germania per il calcio, se lo ripete nella testa quando il ventuno febbraio incontra coach Friedman per il provino.

Emmanuel Friedman ha un naso schiacciato e una statura imponente che sfrutta per guardarli dall’alto in basso. Non prova a nascondere quello che pensa di Mikami o dell’appendice minorenne che si è trascinato dietro. L’accordo tra la DFL e la JFA si è svolto senza il suo permesso e lo ricorda in commenti insipidi e frecciate taglienti. Ora, Genzo è una persona paziente, ma se quell’uomo si rivolge ancora a Mikami come al primo imbecille che passa, Genzo gli rifilerà un pugno sul grugno. Mikami, imperscrutabile dietro i suoi occhiali da sole, chiude una mano attorno alla sua spalla e stringe. Genzo sospira, giusto: ha promesso di “fare il bravo”.

Qui nessuno ha fiducia, Genzo ha fatto a botte solo una volta dopo l’incidente alla gamba e quello era stato inevitabile: un pezzo di merda delle medie aveva detto che Sanae non sembrava una femmina, cosa vera, ma non quando detta per sfottere. Non ha mai picchiato chi non se lo meritasse o non iniziasse per primo. Ha degli standard, mica è un violento.

Genzo non è l’unico a riflettere: mister Friedman sopravvive ad adolescenti e marmocchi da anni, il suo istinto di autoconservazione è fuori scala. Come quello di valutazione. Per la prima volta dalle due di quel pomeriggio considera Genzo qualcosa di più di un bagaglio a mano. Il colloquio è finito. Sorride.

- Beh, vediamo come giochi.

Rimanere fermi per quasi quattro mesi ha conseguenze. Quello e il jet-lag. Dopo un’ora in cui Genzo salta, corre, dribbla e palleggia, la gamba gli inizia come a vibrare. Stupida gamba. Chi ha tempo per starla ad ascoltare? Marcia verso Krüger, il suo partner per le esercitazioni di oggi. Il ragazzino ha i capelli corti e rossi, si è presentato parlando molto lentamente, scandendo comicamente ogni lettera. Anche la Kuster e l’altra sua amica, la Özkan, lo fanno, ma in modo del tutto diverso. In modo gentile. Questo qua sembra solo volerlo pigliare per il culo. Magari si sbaglia, il dolore tende a renderlo irritabile. Quello e la tensione.

Coach Friedman lo fa giocare con gli under undici, piazzandolo in tutte le posizioni tranne che in porta. Essere costretto con bambini più piccoli di due o tre anni è abbastanza umiliante, fortunatamente evita di coprirsi di ridicolo. Qualcuno dei mocciosi gli batte persino il cinque e Genzo decide di concentrarsi su quello e non sugli sguardi brucianti che gli perforano schiena, testa e spalle da parte di tutti gli altri.

Torna a fare coppia con Krüger e, finalmente, coach Friedman decide di metterlo tra i pali, l’unico posto in cui Genzo dovrebbe mai stare. Solo che sono passati quarantasette minuti dall’ultimo segnale di allarme della gamba, così, al terzo tiro dal dischetto, quella stronza decide di cedere e farlo inciampare. Forse, i coach non l’hanno…

Friedman fischia e lo chiama a raccolta. Mikami, il traditore, deve averglielo detto.

- Ho visto abbastanza. – No che non l’ha fatto, Genzo può e deve essere migliore di così. – Cominci tra due lunedì, l’orario lo sai, i ritardatari si fanno trenta giri di campo. Non farmene pentire.

Genzo siglerà il suo primo contratto da professionista a quattordici anni, perché il suo compleanno arriva così in ritardo che è quasi ridicolo. Lo farà con l’Amburgo di Madorf, subentrando a quindici come terzo portiere dopo l’infortunio di Voeller. Friedman avrà per lui parole più rassicuranti una volta smarrito nel viale dei ricordi.

- Era stato un ottimo provino, Mikami mi aveva avvisato della gamba e passavo il tempo a domandarmi quanto a lungo ci avresti saltellato sopra se non avessi deciso di fermarti. Ho pensato: “un’ostinazione davvero tedesca”.

O davvero giapponese. Ha visto Tsubasa, Wakashimazu e Misaki fare di peggio, Misugi merita un capitolo a parte. A qualche mese dai suoi sedici anni, Genzo si limiterà a sorridere ed a offrire al proprio mister da bere. Non si lamenterà del complimento. Lo voleva essere. Wakabayashi, il calciatore, sarà sempre questa cosa ibrida per società e stampa. Genzo, la persona, pure. Imparerà a farsi scivolare frasi insignificanti di dosso. Questione di sopravvivenza. Il loro accumularsi lascerà sulla pelle strade e cicatrici di inadeguatezza e marcio. Insinueranno il dubbio.

A dodici anni Genzo si morde l’interno della guancia fino a farlo sanguinare, sa che avrebbe potuto fare meglio e decide di meritarsi quella fiducia. È il chiodo fisso che lo porta a trascinarsi attraverso settimane in cui i suoi nuovi compagni stabiliscono che: uno, è un incapace; due, è un completo idiota.

È perfettamente consapevole di essere più lento, meno preciso e più veloce a stancarsi degli altri. Non solo a causa della gamba. I ragazzi dell’Amburgo SV sono semplicemente più bravi. È rinfrescante non essere il riferimento da seguire in campo e gli viene persino da sorridere. Coach Friedman lo muove dalla difesa al centrocampo, dice che è strano non abbia provato altri ruoli quando stava in Giappone.

- Meglio tardi che mai, hop, hop.

Genzo non vedrà più una porta, se lo sente nelle ossa. Fortunatamente fa schifo come chiromante. Pochi riservisti seguono lo stesso regime, c’è Haness che punta alla posizione di mediano, ma che si specializzerà come stopper; Yilmaz, l’unico non-precisamente-ariano presente in squadra oltre a lui e Lintz che ha passato i provini quest’anno dopo aver militato in un club minore.

Ogni tentativo di istituire una qualche forma di necessario cameratismo, si scontra con un muro. A volte letteralmente: Bernd Hinmel, uno dei quasi-titolari, lo chiama “idiota giallo” prima di rifilargli spallate come se fosse un birillo del bowling. Genzo ricorda la promessa fatta a Mikami e non reitera. Ancora.

Il prendersi gioco del giapponese diventa un lavoro di squadra. Beh, almeno sono uniti in qualcosa. Genzo li divide in gruppi: ci sono i “cavernicoli violenti” che giocano duro, civettano con il fallo e sparano battute prive di una qualsiasi originalità; i “benpensanti” cioè quelli che stanno da una parte, scuotono la testa, ma ridono a ogni cazzo di battuta e i “tiratori liberi” quelli che non si capisce cosa pensino e che per questo si credono migliori di tutti gli altri.

Hinmel non è il peggiore della cricca, è solo quello più diretto e questo rende il suo odio semplice e prevedibile. Come un coltello. Dopo due settimane in cui Genzo ha accumulato più lividi della finale con il Meiwa, Hinmel lo accosta mentre si sta cambiando per sibilare qualcosa sull’apparente mancanza di virilità dei giapponesi. È una cosa così stupida che Genzo è costretto a girarsi e a sillabargli muovendo le labbra molto, molto lentamente.

- Perché, curioso?

E a questo punto NON PUO’ non fargli l’occhiolino. Sarebbe contro la legge.

L’attaccane si gonfia, sbianca ed implode, il tutto è estremamente soddisfacente. Genzo ha un sacco di frustrazione repressa da sfogare ed è evidente da come Hinmel si muove che favorirà il sinistro, mentre il  carattere gli indica che punterà alla faccia. Mikami non potrà neanche sgridarlo quando scoprirà come ha asfaltato questo cretino. Dopotutto è stata legittima difesa.

OVVIAMENTE arriva Hans Krüger, professione merda umana, a trascinare via il suo amichetto. In una squadra che lo odia per il semplice fatto di esistere, il portiere titolare dell’under tredici non è l’esempio di umanità peggiore. Durante gli allenamenti Krüger sospira e, quando diventa chiaro che Genzo rimarrà ancora una volta senza compagno, si offre di fare coppia.

Ha smesso di contare i sorrisi bonari, le correzioni su accento e pronuncia, il modo peculiare in cui il primo portiere aggrotta le labbra quando Genzo fa qualcosa di giusto, come a stupirsi per un trucco bene eseguito dal cane. Se fosse per Hertz, Krüger sarebbe già candidato alla santità. Quando Genzo sbaglia o è costretto a fermarsi o qualcuno in squadra decide di mettere alla prova la capacità di Friedman di guardare dall’altra parte, Krüger è sempre lì, nella coda dell’occhio. A ridere.

Sa esattamente cosa sia Hans Krüger: un vigliacco.

È stupido che sia il tipo di persona capace di tirare la carta della sua autostima fino a spezzarne le fibre. Di allargare il senso di marcio che gli cresce dentro. Mister Mikami se ne sta zitto durante la pratica, cosa che Genzo apprezza: un intervento adulto, specialmente da questo adulto, peggiorerebbe le cose.

A casa Mikami tira fuori crema, bende, cerotti e disinfettante e lo aiuta a pulire i tagli, gli chiede solo una volta se ne vuole parlare. Genzo dice di no e il discorso viene chiuso.

Va in camera, lascia che le lettere di quell’alfabeto distante si mischino in kanji ed hiragana famigliari. Prende un pezzo di carta ed inizia a scrivere, non ai suoi Shutetsu che ha sentito settimane prima al telefono per aggiornamenti sull’esito dei loro esami d’ingresso, tutti passati persino Ishizaki e Urabe di cui non ha mai chiesto. Non a Tsubasa che progetta di imparare portoghese e spagnolo durante le medie, ma a Taro Misaki. Il recapito l’ha ottenuto solo quattro giorni fa, dalla signorina Morino, come piacere personale.

Sospira. Se Misaki avesse voluto rimanere in contatto, avrebbe comunicato a tutti il suo nuovo indirizzo. Genzo butta la testa contro lo schienale della sedia, si gira e guarda il cappello dell’Adidas rosso coperto dalle firme dei suoi amici e compagni. Da qualche parte a Parigi ci sta un pallone con gli stessi sgorbi.

È certo che Misaki stia gestendo questa cosa dell’Europa molto meglio. Taro Misaki è una delle persone più amabili che Genzo abbia avuto il piacere di incontrare. Poi è tutt’altro che ingenuo e abituato a scivolare in maschere che gli consentano di sopravvivere agli ambienti più ostili. Ma se non fosse così? Se la città lo stesse rigettando come un corpo estraneo? Se gli stesse succedendo la stessa cosa che…

Scuote la testa, prende il pensiero, lo schiaccia tra le mani e lo pigia in basso. Tiè.

Genzo scrive: “pensavi di esserti liberato di me?” e racconta del viaggio in areo, del fatto che Mikami voglia prendere un gatto e su quanto la nuova casa sia vicina allo stadio . Di tutto e di niente. Gli chiede come stia e se si sia già ambientato nella nuova città. Misaki, come lui, non gli confiderà mai dubbi o problemi. Genzo dovrà inferirli via testo, ma ha bisogno di stabilire una linea, di ricordare che, se mai desideri parlarne, lui c’è.

Trasferisce il kit del pronto soccorso in camera, non c’è bisogno che Mikami si torturi nell’impotenza ogni giorno. Genzo può pensarci da solo. Sono ferite superficiali. Lascia che il senso di marcio galleggi sull’olio della voce che in testa bisbiglia che forse se lo merita, che c’è una ragione per cui non piace a nessuno. Che non apparterrà mai a questo posto. Raccoglie anche questa robaccia nel retino, la schiaffa in una scatola e la nasconde molto in fondo nella discarica della mente.

***

Hermann Kaltz è un tipo originale.

Una categoria a parte. Non percepisce ostilità dal ragazzino tedesco che per qualche ragione corre con uno stecchino in bocca. Come fa? E se lo ingoia? Succederà una volta in partita contro il Borussia Dortmund, un’esperienza imbarazzante per tutte le parti coinvolte. Kaltz sosterrà di essersi accasciato a terra a causa di una storta. Genzo e Magath il giocatore che stava marcando, la racconteranno diversa.

Kaltz si allena come difensore e centrocampista, specializzandosi sia come mediano che regista, due ruoli che ricoprirà in modo eccellente anche in Nazionale e nel resto della sua carriera. Si presenta il suo primo giorno con una stretta di mano e procede a non rivolgergli la parola per due settimane. È abbastanza sicuro che, in caso di linciaggio, Hermann Kaltz si procurerebbe sedia, popcorn e starebbe a godersi lo spettacolo.

- Siamo parecchio popolari.

Il numero otto dell’Amburgo SV si annuncia negli spogliatoi con un sorriso a coloragli la voce e una posa talmente naturale da sembrare finta. Le labbra di Genzo tirano, non ci può fare niente.

- Merito del mio carisma naturale. Se ne faranno una ragione. 

L’altro si mette a ridere, poi si siede vicino e gli dà un buffetto sulla spalla che non lo fa irrigidire. È la prima volta in un mese che, a parte Mikami, contatto fisico non si traduce in violenza. Kaltz dice qualcosa sul portare pazienza col resto della squadra, che l’odio collettivo non potrà durare che un paio di settimane. Li sopravvaluta: ci vorranno mesi, tre costole incrinate e una partita vinta quattro a cinque nel recupero. Ma sono le parole che ha bisogno di sentirsi dire, in quel momento.

Genzo Wakabayashi ha un mantra, un modo per vivere e accettare la realtà per come la vede: non aspettarti mai dalle persone più di quanto ti possano dare. Per ora è più un pensiero inconscio, partorito dall’esperienza di una famiglia assente, ma che sa di amare e da una figura paterna presente il cui rapporto diventa ogni anno meno lineare. L’amore, per Genzo, non si riceve e basta, lo si deve guadagnare. È una delle ragioni per cui quello di Tsubasa non smetterà di essere così importante: non ha mai capito cos’abbia fatto per meritarselo. Gli è stato regalato.

Hermann Kaltz lo chiama “Genzo”, “Genz-man” e, almeno in tre diverse occasioni, “Winnie-the-Genz”. Non Wakabayashi. È una delle sette persone al mondo autorizzate a farlo, non perché gli abbia dato il permesso: Kaltz, se lo è semplicemente preso, come per molte altre cose. Genzo capisce di avere aspettato una vita che qualcuno lo facesse.

Ci vorranno anni, ma riuscirà a ricavare un posto per sé in Germania, una casa, una versione di sé che non avrebbe mai potuto vivere in Giappone. Hermann Kaltz è il suo primo vero amico lontano da casa, un giorno il suo migliore amico in generale: suo pari in tutto ciò che conta. Condivideranno pure lo stesso sangue e saranno gli unici a scherzare sopra a una trasfusione d’emergenza. Come se un piccolo dissanguamento avrebbe davvero potuto ucciderlo.

- Non sei più autorizzato a morirmi davanti. – Gli dirà a ventun anni in ospedale Kojiro Hyuga, Misaki alle calcagna e un’espressione ostile come quando avevano fatto a pugni.

- Spiacente di averti rovinato la maglietta. – Gli risponderà, perché, accidenti, il sangue è davvero difficile da levare.

Il punto è che Genzo Wakabayashi sarebbe disposto a morire ed uccidere per Hermann Kaltz e questa cosa, nel tempo, gli farà dimenticare il suo mantra e riscriverà col bianchetto sopra la sua prima impressione: Hermann Kaltz farà sempre il necessario per sopravvivere.

Se ne ricorderà un secolo dopo, quando il suo Paese d’adozione diventerà un mostro soffocante e il Giappone l’unica via di fuga. O di salvezza. Si sentirà tradito e stupido per sentirsi tradito. L’errore era stato suo: mai aspettarsi dalle persone più di quanto ti possono dare.

È la ragione per cui finirà per perdonare Schneider, rimarrà in rapporti amichevoli con Hinmel e inizierà a dodici anni a fare coppia con Kaltz durante l’allenamento. L’ostilità della squadra è un muro solido di immutabilità, ma qualcuno degli ignavi smette di stargli troppo col fiato sul collo. Corrono fianco a fianco un po’ indietro rispetto agli altri, perché Kaltz è veloce, ma con una resistenza sereno-variabile e Genzo ha una gamba su cui il mister ha insistito ci andasse ancora piano.

Non sa perché Hermann Kaltz abbia deciso di abbandonare il fortino della neutralità, ma è perfettamente consapevole che a questo mondo non esiste un’azione priva di conseguenze. Così dice:

- Guarda che non ti si ritorca contro. – Kaltz al suo fianco aggrotta le sopracciglia. Genzo non rallenta, ma chiarifica. – Non diventare “l’indesiderabile numero due” a causa mia.

Il tedesco assume un’aria contemplativa, un terzo di giro di campo dopo scoppia a ridere. È un suono grasso e senza gioia, diverso da quello a cui si abituerà ad associare all’amico. Ma ha ragione: non c’è proprio nulla di divertente. Si sfila lo stecchino di bocca.

- Per quello hanno già Schneider.

Il nome non gli è famigliare, così Kaltz gli racconta del fantomatico numero dieci (poi undici), imperterrito assenteista della squadra il cui talento lo piazza comunque fra i titolari.

- Suo padre è tornato a casa qualche giorno fa. – Aggiunge Kaltz quando si fermano per bere, come se la cosa spiegasse tutto. – Mancherà almeno per un’altra settimana.

Lo dice con un sopracciglio sollevato e un labbro piegato che informano Genzo che il tedesco sia stato volutamente criptico. Ah. È così che funziona, sta aspettando che chieda. Così non lo fa. Questo Schneider avrà le sue circostanze e Genzo non si impiccia dove non è invitato (a parte per i suoi amici, dove si sente pienamente autorizzato). Poi i giochetti mentali gli danno fastidio. Kaltz sorride come se col suo silenzio avesse superato un qualche altro test. 

Non rimangono appiccicati per il resto dell’allenamento, hanno un sacco da fare e giocano in due posizioni diverse. Però Mayer è meno scorbutico quando gli ripete un ordine del mister che non aveva capito e Lintz lo sbatte a terra una volta sola. Gongels decide di rimediare e per quando ritorna negli spogliatoi Genzo si sente tutto un livido e fiero per non aver piantato nessuno nel terreno.

Una minuscola, insignificante, parte del suo cervello pensa che sia lui quello che sbaglia, quello fuori posto. Che si meriti quello che gli sta succedendo. Hermann gli crolla accanto con una smorfia. Genzo gli lancia la bottiglietta, in un gesto che con Takasugi e Izawa è diventato automatico. Kaltz la afferra al volo e storta il naso.

- È blu.

- È piena di sali minerali. Bevi.

Kaltz fa spallucce, obbedisce. Un sorso e sputa a terra. L’espressione tradita è quasi comica, poi però ci riprova e Genzo decide di premiarlo con una tavoletta proteica. Una di quelle che sanno di qualcosa che non sia polvere e segatura.

- Spero che a casa mangi qualcosa di diverso. Perché questo… - Kaltz agita la barretta in aria. – Questo è uno schifo.

Certo che mangia di meglio: Mister Mikami si è messo a cucinare! Non sa bene dove si sia procurato la salsa di soia, ma il bollitore era in una delle valigie che si sono portati dal Giappone. È una strategia: usa cibo famigliare per distrarlo. Un po’ funziona. Non tanto per il mangiare che è buono, ma non potrà mai sapere come quello di casa, no, è perché gli ricorda ogni giorno che qualcuno a lui ci tiene.

Tempo qualche settimana, la fiducia crescente di Friedman riempirà Tatsuo Mikami di impegni. Inizieranno a vivere di cibo d’asporto fino a quando miss Rosemaier, del complesso di appartamenti, non coinvolgerà un’amica per preparargli monoporzioni da ficcare in congelatore per la settimana. Continuerà a farlo anche quando Genzo sarà un adulto. Almeno fino a quando starà ad Amburgo.

Kaltz insiste perché un giorno provi la vera cucina tedesca e fa il nome di un ristorante.

- Pensa che ha persino due stelle Michelin.

Dimentica di menzionare che è dove lavora suo padre. Hermann Kaltz è un uomo immensamente fortunato.

Genzo recupera le chiavi del lucchetto che ha dovuto fissare all’armadietto giorno quattro, dopo che si è trovato le scarpe piene di piscio. In teoria gli armadietti hanno una combinazione, ma è la stessa da anni e non si può cambiare: così la conoscono tutti ed è come non averla. Un sacco di cose sono buone solo in teoria.

- A proposito di Schneider… - Kaltz tira fuori l’argomento con la grazia del prestigiatore, un naso ficcato sotto l’ascella a verificarne la percentuale di puzza. – Ci potresti, che so, buttare un occhio? Sta in classe tua.

Genzo scrolla le spalle, chiede che faccia abbia e Kaltz risponde una cosa come:

- Un incrocio tra Crystal il Cigno e un gatto bagnato.

Non esattamente il modo in cui Genzo descriverà Karl Heinz Schneider in futuro, ma c’è da dire che Kaltz ha un eccellente dono per la sintesi. Il diciannove marzo, Genzo recupera il suo bento, studia le facce di chi è rimasto in classe e individua Schneider immediatamente.

Non sa bene se è perché l’ha promesso a Kaltz o per la speranza di sentirsi un po’ meno solo, di confrontarsi le cicatrici, ma Genzo agguanta una sedia, la trascina al banco dell’altro, si siede e procede a cambiare il corso di due esistenze.

Passerà anni a chiedersi se in meglio.

 

 


 

NOTE:

 

Hola! Prima di tutto mi scuso con i miei due amatissimi recensori (e ragione per cui pubblico questa fic sempre in orario) se rispondo ultra in ritardo ai loro commenti. Purtroppo il LONG COVID ha mietuto una vittima e dopo un mese e mezzo di febbre sono ancora kaput. Ciò non mi ha impedito di terminare un progetto per un concorso a fumetti: speriamo in bene, dita incrociate e prego di qualificarmi tra i primi quindici.

E riprendere a scrivere questa fic perché il capitolo otto lievita oltre le 11.000 battute, dannazione!

 

Su questo capitolo invece:

 

Mikami sta cercando di fare del suo meglio. Intanto Genzo continua ad essere un bulldozer in formato umano, ma reprimere non impedisce di essere feriti ed il bullismo ha conseguenze a lungo termine: si insinua nell’autostima di una persona e la riempie di crepe. Sarà stupido, ma mi è sempre stato di grande consolazione crescendo sapere che anche un carrarmato come Genzo Wakabayashi poteva finire vittima dei bulli. Ma avrei voluto avere la sua forza (fisica: sto gracile) di prenderli fisicamente a pedate.

Se i compagni di squadra nell'Amburgo hanno un riscontro in canon, i compagni di classe sono tutti OC e frutto di ricerche assurde che fanno impazzire l’algoritmo di google (youtube non sapendo più che pubblicità propormi ha iniziato a mostrarmi quelle in tedesco). “It” è uscito nel 1986, la distanza oraria dei voli è quella attuale che corrisponde all’incirca a quella degli anni ’90, mentre la “Gatorade” non viene citata per nome perché tecnicamente inizia ad essere importata in Europa solo dal 1988 (quindi Genzo offre una generale bibita blu per sportivi).

E giustizia per Vogel: odia Karl non per la faccenda di suo padre, ma perché passa le verifiche senza studiare (mi incazzerei anche io).  

Al prossimo primo mercoledì del mese per tornare all’unica persona sana di mente di Captain Tsubasa: Hermann Kaltz! La storia di un’amicizia per la vita ed un’amichevole contro la giovanile del Borussia Dortmund.

 

>>> Grandi pulizie.

Kaltz adotta i suoi amici. Non si aspettava di essere adottato a sua volta.

  
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