Anime & Manga > Occhi di gatto/Cat's Eye
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Autore: crisalide_bianca    18/09/2022    1 recensioni
Dopo essersi allontanate dal Giappone per mesi, nuove scoperte e nuovi pericoli chiamano in madrepatria le sorelle Kisugi. Hitomi, Rui, e Ai (la banda Occhi di gatto) hanno infatti trovato una nuova pista nella ricerca del padre scomparso, ma gli artefatti rischiano di andare perduti per sempre a causa di un nuovo, temibile nucleo criminale. Personaggi e dipinti inediti si uniranno alla storia originale di Tsukasa Hōjō per dare vita al seguito delle avventure delle ladre più famose degli anni '80.
Essendo una storia ispirata al manga e non alla serie animata, i nomi dei personaggi saranno quelli originali in giapponese.
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kelly Tashikel, Matthew Hisman, Nuovo personaggio, Sheila Tashikel, Tati Tashikel
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Un nervoso brusio si alzò nella grande stanza, seguito da un collettivo sospiro di sollievo al ritorno della luce. Tornata l’apparente quiete, l’unico movimento frenetico, ad un occhio attento, era quello di uomini in divisa e responsabili della sicurezza dell’evento. Nessuno del pubblico poteva, né doveva immaginare cos’era avvenuto dietro alle quinte. Un uomo di mezza età, dai lunghi e grigi capelli raccolti, prese posto al centro del palco, per scusarsi del piccolo inconveniente ed annunciare l’inizio dell’asta tanto attesa.
 
Nel frattempo Rui, con il favore dell’ombra, si era fatta rapidamente spazio verso il magazzino: cercava il segnale da parte delle due sorelle, il quale avrebbe comunicato che il quadro fosse stato prelevato senza intoppi. “Eccolo.” Pensò, alla vista di un fazzoletto intonato con il suo abito, posto sopra ad una scatola sigillata contenente manufatti originali di oreficeria. Lo prese con sé. “Finalmente anche ‘Il sole nascente’ è nelle nostre mani. Ci siamo quasi, papà.” In quel momento, le luci si riaccesero, prima del dovuto, e lei era esattamente sul luogo della rapina.
-“Ehi, tu! È zona vietata, vieni qui!” Si voltò di scatto e non fece in tempo a tentare di giustificarsi, che subito fu costretta a ripiegare sulla fuga. Un secondo uomo le si parò davanti, cercando di sbarrarle la strada, ma con un guizzo di estrema agilità, riuscì ad usare il muro alla sua sinistra per darsi una spinta tale da colpire con forza lo stomaco del suo oppositore e passare oltre. Quest’ultimo cacciò un urlo e, piegato in due dal dolore, riuscì ad avvisare gli altri inseguitori.
-“Non ha la tela, dovete prendere il ragazzo che era con lei, vivo o morto!” A quelle parole, la donna non poté che girarsi indietro per un brevissimo istante, lasciandosi scappare un grido di paura. Lui non c’entrava con il furto e, se gli fosse successo qualcosa, non se lo sarebbe mai perdonato.
-“No!” Fu l’unica parola che riuscì a proferire, prima di tornare a guardare davanti a sé e schiantarsi contro un terzo sottoposto, il quale la afferrò per il busto e le mise davanti alla bocca panno di stoffa, dall’odore dolciastro pungente, che a poco a poco provocò nella donna una fitta alle tempie, la quale non fece altro che agitarla ancora di più. “Se ti dimeni un altro po’ opterò per un proiettile in testa!” Disse la voce profonda e urlata di colui che la teneva. Rui a quelle parole si placò gradualmente, fingendo di aver perso i sensi. Una minuscola lacrima le rigò il viso. Venne portata via.
 
Tramite un passaggio segreto e parallelo al corridoio principale dietro al palco, Jack era riuscito a passare inosservato durante l’attimo di concitazione e trovò un ufficio vuoto fornito di quasi ogni comfort. Il sistema elettronico di chiusura della porta era disattivato grazie al blackout provocato da Ai e Hitomi: non gli rimaneva che eludere la normale serratura. Con grande abilità nell’utilizzo di un grimaldello tenuto ben nascosto sotto la suola delle scarpe, riuscì in pochi secondi ad entrare della stanza, di cui su due pareti erano appoggiati scaffali e cassettiere, tutti chiusi. “Non ho abbastanza tempo per trovare le chiavi di tutti questi cassetti…”
Chiuse la porta dietro di sé e si guardò intorno. Ragionava: “Dalla grandezza e dall’arredamento direi che si tratta di uno dei responsabili del palazzo, ma non colui che gestisce questa baracca; hanno cambiato la disposizione degli uffici dall’ultima volta… meglio di niente.” Cominciò ad osservare la scrivania, senza spostare gli oggetti più del necessario: su di essa c’era una pila di documenti, su cui per lo più erano indicati i conti delle entrate e delle uscite mensili dell’attività. Più della metà di essi erano stati già firmati e compilati. “Mhm… sono questa settimana. A volte scrive con penne blu e altre con penne nere, un po’ disordinato… Niente di interessante. Dove potrei nascondere dei dati sensibili qui dentro?”Il dialogo tra sé e sé lo spingeva nei vari angoli della stanza.
“Il classico dei classici sarebbe nascondere qualcosa qui dietro.” Sollevò un quadro senza spostarne la posizione e vide una piccola e robusta cassaforte. “Eccoti. È piccola, non per grandi quantità di contante. Ed ora la combinazione. Viene cambiata spesso, chissà se una persona così disordinata se la ricorda a memoria oppure ha bisogno di un appunto.” In quel momento, la corrente tornò e sigillò la porta che aveva precedentemente chiuso. “Fantastico, bloccato qui. Se le gatte li stanno tenendo impegnati dall’altra parte del piano, dovrei avere ancora un po’ di tempo.” Tornò alla scrivania e osservò ogni minimo dettaglio, fino a notare una penna quasi da collezione, dall’impugnatura usurata, realizzata in parte in vetro rosso, attraverso al quale poteva a tratti vedere l’inchiostro: completamente vuota, quindi inutile. Si apprestò a smontare rapidamente l’oggetto e tanta fu la soddisfazione nello scoprire che quella piccola intuizione si era rivelata corretta. All’interno, vi era un piccolo foglio arrotolato su se stesso che recitava:
 
“27/6 – 7/7: 18 53 96”
 
Ricompose la penna e la mise al suo posto, si diresse verso la cassaforte e in quel momento, dalla parete accanto, sentì un lamento di donna. Una voce roca, in risposta, le si rivolse con quella che aveva tutta l’aria di essere molto più di una minaccia. Guardò per un attimo la cassaforte quasi aperta, per poi tornare ad ascoltare appoggiando la fronte alla parete: silenzio. Tirò un pugno al muro, stringendo tra i denti un’imprecazione. La sua cautela non lo salvò: qualcuno lo sentì lo stesso e l’uscita, prima sigillata, si sbloccò di colpo, lasciando entrare due losche, armate e alte figure, persino più di Lewis.
-“State indietro se non volete farvi male.” Disse, talmente serio da far scoppiare dalle risate i due omaccioni schierati davanti a lui. Il più avanzato con l’età disse all’altro, indicando l’obiettivo.
-“Vuoi avere tu l’onore?”
-“Volentieri.” Fu la risposta. Diede due pacche alla pistola nella fondina, trovando più divertente usare le mani nude. Jack fece spallucce, e la guardia si scagliò contro di lui puntando al collo. Fu un attimo: il ragazzo schivò la presa e superò con il proprio busto quello dell’avversario; con un piede si assicurò di fargli cedere la gamba d’appoggio e con il ginocchio opposto lo colpì in pieno addome; il tutto, spingendo la sua faccia a terra con il gomito, la quale sbatté violentemente sul pavimento. Dopo aver accompagnato il tonfo, si rialzò in piedi lasciando giacere l’uomo svenuto, mentre l’altro tirapiedi estraeva la sua arma da fuoco, con mano tremante.
-“Non sparare. Portami dalla mia compagna, fammi essere certo che lei stia bene. Dopodiché vi dirò quello che volete sapere, lei non c'entra niente con tutto questo.”
-“Non mi interessa ciò che hai da dire.” Il dito sul grilletto era pronto.
-“Sono sicuro che ai tuoi capi invece interessi, eccome.” Fu convincente.
 
Lo condusse stando dietro di lui, con la minaccia di una pistola puntata alla nuca, in una stanza fredda e buia a poche decine di metri da dove si trovava prima. Aperta l’entrata, vide Rui distesa a terra: a quella vista sbarrò gli occhi e pensò al peggio.
-“Cosa le avete fatto, bastardi?!” Urlò, facendo aprire gli occhi alla donna, ancora intontita dal mal di testa; la guardia lo afferrò per i capelli, e lui gridò per il dolore.
-“Sto bene, Jack… Jack!” Esclamò. Nascosto nell’angolo più scuro della stanza, giaceva infatti colui che l’aveva rinchiusa lì: credendola svenuta, non si aspettava la sua mossa e fu questo a permetterle di assestare un preciso colpo al collo della guardia.
-“Se reagisci ancora, sparo prima a lei e poi a te, hai capito?!” Inferse un calcio dietro ad entrambe le ginocchia del giovane, facendolo cadere in avanti. Chiuse la porta a chiave e cominciò a colpirlo ripetutamente, sulla schiena. Dal canto suo, Jack cercava di proteggere la testa con le mani. Il dolore si propagava come una macchia d’olio sulle sue membra. Guardò per un attimo Rui, che cercava di alzarsi, o almeno di mettersi seduta: la vedeva mentre muoveva la bocca, in un grido disperato, ma era come se non la sentisse. Lesse una sola cosa dalle sue labbra: colpisci.
 
Fece un ultimo respiro: avesse sbagliato di un centimetro o di un secondo sarebbe stata la fine. Per lei e per se stesso. Chiuse gli occhi. Attese l’arrivo del colpo successivo. E non si trattenne più. Con le gambe che si chiusero a forbice, strinse quelle dell’aguzzino e non aspettò che cadesse per piegarsi sull’addome dolorante e sferrargli un gancio in pieno viso. Il colpo lo spinse lateralmente rispetto a lui; si affrettò a salirci sopra e a spingere rapidamente la sua pistola verso Rui. Nella foga, era pronto a colpirlo nuovamente dall’alto al basso, ma l’imponente figura era ormai docile sul pavimento, con il sangue a ricoprire una piccola parte del suo viso. Tra un respiro affannato e l’altro, abbassò il braccio pronto all’azione. Provò ad alzarsi, tossendo ripetutamente: il suo completo, sporco di rosso e di terra, non dava l’idea delle ferite e delle botte che affioravano sulla pelle. Cadde in ginocchio.
-“Dimmi... dimmi che non ti hanno fatto niente…” La guardò negli occhi, mentre lei si avvicinava, cercando di correre, ma senza forze. “Ti prego…”. Tossì ancora. Rui gettò le braccia al suo collo, per un attimo sollevata.
-“Io sto bene, grazie alla pastiglia… Ma ti vogliono morto, Jack.” Lui forzò un sorriso.
-“Dalle mie parti si dice che l’erba cattiva non muore mai, sai.” Si tenne il fianco, in una smorfia di dolore, mentre cercava di alzarsi.
-“Resta seduto, ti prego.” Gli ordinò. Le stette a sentire. “Le mie sorelle arriveranno presto. Dobbiamo avere pazienza.” Lui sospirò.
-“Va bene.” Appoggiò la schiena al muro e Rui si sedette di fianco a lui, cercando di capire le sue condizioni: quello che vedeva non era confortante. Il silenzio pervase per qualche momento la stanza.
-“Il mio vero nome è Giacomo, comunque.” Si ricordò della domanda fatta in precedenza e volle gettare il velo. “Giacomo Savoretti. Ma penso sia abbastanza impronunciabile per una persona giapponese.” Rise malinconicamente, provocando un mezzo sorriso da parte della donna. “Ho cambiato nome e cognome all’età di 12 anni, quando mi sono trasferito dall’Italia agli Stati Uniti.”
-“Perché questi cambiamenti?” Lui sospirò, cercando le parole giuste. Lei prese la sua mano tra le proprie, per cercare di rasserenarlo. “È qualcosa di cui non vuoi parlare?” Annuì a quella domanda posta con delicatezza, ma rispose comunque.
-“Sono stato adottato dall’uomo che mi ha trovato per strada, da solo, in fuga dalla mia vecchia casa, dopo la morte dei miei genitori. Era lì per lavoro, mi trovò per caso: fece l’impossibile e anche di più per portarmi con lui negli USA e per crescermi come un figlio. Gli devo tutto. Presi il suo cognome, e Jack diventò il mio nome, in quanto corrispettivo di quello italiano. Questa è la mia storia.”
-“Mi… mi dispiace per quello che hai passato.” Riuscì a proferire in risposta, lui scosse la testa come per scacciare il suo rammarico.
-“Se non altro tu e Nagaishi potete dormire sonni più tranquilli, a tal proposito.” Sorrise, con lo sguardo acceso verso gli occhi della donna, seppur indebolito dalla batosta. Rui si lasciò per un attimo andare ad una leggera risata per la battuta.
-“Ho come l’impressione che con te attorno sarà difficile rimanere sereni.”
-“Vorrei tanto togliere il disturbo, ma non credo di poterlo promettere nell’immediato.” Uno scambio di sorrisi riuscì ad attenuare di poco la tensione delle circostanze. Lui si fece nuovamente serio. “Voglio che tu sappia che sono ancora contrario a quello che fate e vi avrei denunciato alle autorità senza troppi rimorsi. Ma so anche che cosa significa perdere qualcuno che si ama. E se per riavere i miei genitori dovessi fare quello che fate voi per vostro padre… ti chiederei dove devo firmare.”
-“Ti ringrazio, per provare a capirci.” Passò qualche secondo.
-“Mi dispiace fare il guastafeste, ma come ci troveranno le tue sorelle?”
-“Non ti preoccupare, ho mandato loro un segnale.”
-“In che modo?”
-“Con questo.” Scostò i capelli, ormai in disordine, per mostrare l’orecchino di perla. “Ai ci ha inserito un piccolo localizzatore ed un pulsante di S.O.S., in caso fossimo stati in pericolo. E direi che è proprio questo il caso.” Il ragazzo cercò di ridere, salvo poi contorcersi dalle fitte causate dai colpi.
-“Quella ragazzina è fenomenale. Mi piacerebbe vederlo da più vicino, sarebbe un gadget molto utile anche per me…” Rui non se lo fece ripetere due volte, e avvicinò il suo viso a quello di Jack, per esaudire la sua richiesta. Prese la sua mano e se la portò sul viso, sul lato in cui si trovava il gioiello; il suo orecchio adornato poteva sentire i respiri del giovane farsi piano piano più lenti e profondi.
-“Così va meglio?” Gli chiese.
-“Ancora un po’ più vicino, se non ti dispiace…”. Le loro voci erano ormai un bisbiglio, pochi centimetri li dividevano l’uno dall’altra. Jack socchiuse gli occhi, mentre cominciava ad accarezzarle il viso che già teneva sul suo palmo. Una piccola pace in quel luogo di ombre scure. Il momento idilliaco venne interrotto dal suono della pesante serratura che veniva aperta con la forza, mettendo in allarme i due superstiti. Jack cercò di portarsi davanti a Rui per fare da scudo: tanta fu la liberazione quando videro comparire le due giovani ladre, arrivate in loro soccorso. Ai si fiondò subito da loro.
-“Sorellona! Jack! Che vi è successo? Sei sporco di sangue, cosa ti hanno fatto?!” Si rivolse al ragazzo. Hitomi, con più prudenza, si assicurò che nessun altro fosse presente e constatò che le condizioni di Lewis, al contrario di quelle di Rui, non fossero affatto buone. Lo guardò negli occhi, seria e imperscrutabile: immaginò che, in qualche modo, avesse protetto sua sorella, e per questo un’inedita sensazione di gratitudine affiorò nei confronti di Jack. Gli porse la mano, per aiutarlo ad alzarsi, mentre Rui riuscì da sola a mettersi in piedi.
-“Spero per te che a lei non sia successo nulla.” Lo sfidò con lo sguardo, senza lasciare la presa, salvo poi addolcirsi. “Se così è stato, ti ringrazio.” Lui rispose con un cenno del capo. Appena gli lasciò la mano, Ai si precipitò ad abbracciarlo, non curante delle sue ferite. Di risposta, lui cercò di trattenere i gemiti di sofferenza per non rovinare quel momento.
-“Dobbiamo andare via, ora.” Disse lui.
-“Esatto. Abbiamo fatto piazza pulita per venire qui, ma ora dobbiamo tornare ai piani superiori. L’elicottero ci aspetta.” Prese le redini Hitomi, nel guidare l’intera banda al di fuori di quell’angolo di terrore in quel di Tokyo.
 
In quella breve, ma interminabile tratta, tanti erano i pensieri ingombranti nelle menti dei fuggitivi. Rui, seppur troppo stanca e provata da quella vicenda, non poteva far altro che provare ad ordinare le nuove informazioni. E perché no, anche le emozioni: in quel palazzo in cui le ombre della malavita si allungavano a vista d’occhio, aveva trovato un valido compagno a cui affidare, seppur per una sola notte, la propria preziosissima fiducia. Si chiedeva se, dentro di sé, ci fosse solo questo.
Jack, invece, se ne tornava alla base senza bottino, tuttavia non provava rimorso alcuno: tutto ciò che aveva fatto non aveva portato al suo obiettivo, tantomeno ad un indizio o ad una direzione qualsiasi; ma aveva la certezza di aver fatto tutto il possibile per mettere al sicuro la persona che lo aveva accompagnato in quella folle avventura. Ora, doveva solo sforzarsi di rimanere sveglio, in quell’elicottero che stava portando tutti al sicuro. E ripetersi che ci sarebbero state altre occasioni.
D’altra parte, anche Ai e Hitomi vivevano sensazioni contrastanti. Quest’ultima, per la prima volta fu contenta che la sua diffidenza nei confronti dello sconosciuto fosse infondata. La sensazione di intimità e complicità data da quella strana coppia la mettevano, per qualche motivo, in allarme. Avrebbe scoperto solo poi quello che aveva fatto Lewis per sua sorella: in una situazione di pericolo condiviso, diventava facile avvicinarsi all’altra persona.
La sorella minore, vedendo i due fuggitivi stretti fra loro, non riusciva a decifrare le sue sensazioni. Solo il sollievo di vederli vivi alleviava uno strano e pungente fastidio, del quale non riconosceva l’origine. Continuava a dirsi che non era il momento per quel genere di pensieri, ma non poteva fare a meno di provare comprendere se stessa. In quella scellerata spedizione, le domande furono più delle risposte. E nonostante questo, a loro quattro andava bene così.
 
 
Arrivati al mezzo di fuga, era necessario inventare un piano rapido e fuori da ogni sospetto per portare il ragazzo, che a fatica teneva gli occhi aperti, in ospedale.
-“Resisti.” Ripeteva nervosamente Ai, intenta a medicarlo con quel poco che era a sua disposizione. “Devi rimanere sveglio, non fare scherzi.”
-“Sissignora”. Rispondeva, cercando di tenere alto il morale, mentre Rui lo fissava silenziosamente.
-“Quando starai bene, sarà il caso di insegnarti qualche base delle arti marziali, non potremmo salvarti sempre in questo modo”. Scherzò in modo sprezzante Hitomi, ignara della dinamica della vicenda.
-“Il gorilla che se l’è vista con lui avrebbe da ridire a tal proposito”. Replicò, ironica, ma non troppo Rui. Jack tentò di aggregarsi alle battute.
-“Quei due gorilla, volevi dire. Il primo è durato pochi sec…” Tossì più violentemente, e si portò su un fianco per far uscire un rivolo di sangue dalla sua bocca. Ai, quasi con le lacrime agli occhi, cercò di asciugarlo con un fazzoletto.
-“Jack, guardami negli occhi.” Lo chiamò Rui, cercando di tenerlo sveglio. Lui si girò per vederla. “Promettimi che non farai mai più una cosa del genere per me.” Non rispose, ma i suoi occhi socchiusi e gonfi parlavano da sé: se avesse dovuto scegliere di nuovo, lo avrebbe rifatto. “Reagisci, sempre.” Le due sorelle poterono solo intuire, e rimasero in silenzio.
 
Quella quiete rovinata dalle pale dell’aeromobile durò fino all’arrivo a destinazione. Una volta che Lewis fu inghiottito nelle sale bianche, solo l’angoscia e un’infinita attesa condizionavano l’umore delle tre ladre.
   
 
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