«Se
cerchi tuo cognato, è appena
andato via»
Elsa si morse leggermente il labbro inferiore, a disagio
«Veramente, è te che
cercavo»
Jack sgranò gli occhi «Me? Eppure non ho visto
neanche una cavalletta in giro,
l’Apocalisse non sembra vicina»
«Non farmi pentire di essere venuta» lo
ammonì «Ti ho cercato per una cosa
importante, gradirei facessi la persona seria»
«Prendere la vita con leggerezza non denota meno
serietà: che io faccia,
talvolta, l’idiota – per usare
parole care a tua sorella – non significa
che lo sia per davvero»
Lei distese l’espressione del viso «Di questo non
ne sarei particolarmente
sicura»
«Vedi?» le disse divertito «Il sorriso
che hai sulle labbra in questo momento
era esattamente ciò che volevo ottenere»
Elsa maledì il calore che le era salito alle guance e
ringraziò mentalmente il
trucco che celava con abilità il tutto «Andiamo,
ti offro da bere»
Qualunque cosa fosse - quella che doveva dirgli - aveva l'aria di
essere davvero grossa.
Seduto di fronte a
lei, Jack non
poté fare a meno di pensare che Elsa, agli occhi degli
altri, doveva sembrare
la classica bellezza che - nel suo elegante tubino scuro, i tacchi alti
e
l’acconciatura perfetta – gradisse sorseggiare il
suo champagne fra un’ostrica
e una tartina al caviale. Non che la cosa le fosse sgradita ma, di
certo, non
era la sua preferita. Solo chi la conosceva veramente sapeva che,
quando era
stanca o nervosa, odiava sia i tacchi alti che portare i capelli
raccolti e,
soprattutto, amava bere una cosa soltanto: birra leggera, floreale e
rigorosamente ghiacciata. Quella sera non aveva potuto abbandonare le
sue
décolleté ma, da come aveva liberato i suoi
lunghi capelli biondi e dalla
candida schiuma che le stava di fronte in un lungo bicchiere, doveva
essere
parecchio turbata. Senza contare che, fra tutti, era proprio a lui che
si era
rivolta. Per non rischiare di rompere il precario equilibrio creatosi,
decise
di chiudere le dita a pugno sul tavolino, per impedire al braccio di
allungarsi
e consentire, così, alla mano di spostarle dietro
all’orecchio quella ciocca
che le era scesa ribelle sul viso «Di che cosa volevi
parlarmi?»
Elsa alzò gli occhi su di lui «Del caso»
poi non lo guardò più «E di
me»
Jack inarcò un sopracciglio «Che intendi
dire?»
«Sono stata dal dottor Pitchiner»
«Cos… e perché?»
«E’ esperto in terapia del lutto, no?»
«Ti ha fatto una così buona impressione quando ci
siamo andati?» le chiese accigliato.
«Puoi biasimarlo?» ribatté subito lei
«Abbiamo messo in dubbio la
moralità di due suoi pazienti…»
«Per l’omicidio di due criminali, lo so»
completò per lei «Posso capire quello
che dice ma non posso condividerlo con il mestiere che faccio e non
dovresti
neanche tu»
«Non ho detto che lo condivido» ribatté
lei secca «Se ti avessi confermato
arresto cardiaco per John Lionheart, adesso non staremo qui ad indagare
su chi
l’ha ucciso. Pensi sia stato facile per me dirvelo dopo aver
scoperto cosa
aveva fatto?»
Jack non trovò il coraggio di replicare.
Elsa sospirò e bevve un sorso «Anna vorrebbe
vendere la casa dei nostri
genitori ma io non so se sono pronta a farlo»
giocherellò nervosa con il bordo
del bicchiere «Ho pensato che avere un parere esterno e
professionale avrebbe
aiutato»
Ecco perché aveva deciso di non parlarne con Kristoff,
perché non voleva che a
sua sorella arrivasse indirettamente questa sua decisione. La
guardò negli occhi, addolcendo lo sguardo «Non
c’è modo di sapere
chi di voi due abbia ragione. Lo sai, sì?»
mandò giù un paio di noccioline «Se
senti il bisogno di seguire una terapia per elaborare il tuo lutto
è giusto
che tu lo faccia ma, ecco, eviterei il dottor Pitchiner come la peste:
è un uomo
inquietante e non dovresti parlare di cose personali con persone
coinvolte nel
caso»
«Al momento, non mi pare ci siano indagini su di lui. O mi
sbaglio?»
L’altro scosse il capo, sconfitto.
«Ma sul fatto che sia una persona ambigua non posso darti
torto e, forse, è il
caso di cominciare ad indagare anche su di lui»
«Che ti ha detto?»
«Niente di che, in realtà, ma mi ha fatto
intendere di essere disposto a tutto
pur di aiutare i suoi pazienti. Credo valga la pena di scoprire cosa
intendesse»
«Uno psichiatra psicopatico? Degno della migliore serie
poliziesca»
«Ha perso la moglie e la figlia, solo dopo si è
specializzato in terapia del lutto»
«Pensi possa uccidere gli aguzzini dei suoi pazienti per
mettere a tacere il
suo di dolore?»
«Non mi sembra così impossibile»
«Mi costa ammetterlo» replicò lui,
scoprendo i denti bianchi in un piccolo
ghigno «Ma mi tocca brindare a questa deduzione
geniale» alzò il bicchiere
verso di lei.
Elsa scosse appena il capo ma, poi, levò anche il suo: il
vetro tintinnò.
«Detective
Overland, non so come
mai ma questa sua convocazione non mi stupisce particolarmente. Avevo
intuito
di non starle granché simpatico ma immaginavo che la polizia
si muovesse su
basi ben più solide di una semplice antipatia
personale»
«Le posso assicurare che averla qui non riflette minimamente
quello che penso
di lei» replicò Jackson, prendendo posto di fronte
a lui: un tavolo a dividerli
e una luce tenue ad illuminarli.
«Attento, detective: questa suona come una minaccia. Mi
chiedo cosa ne dirà il
suo partner, dietro a quello specchio, del suo abuso di
potere»
«Abuso di potere?» inarcò entrambe le
sopracciglia l’altro «L’ho solo chiamata
per un colloquio informale»
«Questo lo credo bene. Per questo ho accettato,
dacché non ho niente da
nascondere»
«Sappiamo di sua moglie Seraphina e sua figlia Emily
Jane» giocò subito a carte
scoperte.
Kozmotis Pitchiner assottigliò gli occhi
e strinse i denti «Voi non sapete
niente»
«Sì, invece» lo incalzò
«Sappiamo che era già un affermato psichiatra ma
che si
è specializzato in terapia del lutto solo dopo la loro
morte»
«E’ così che ho affrontato il mio
dolore, non vedo come questo possa legarsi al suo caso»
«Il fatto che siano state uccise e che l’unico
presunto colpevole fu rilasciato
per mancanza di prove?»
«Presunto?» quasi ringhiò
«Quel maledetto era colpevole: un altro caso in cui
la giustizia ha fallito» si ricompose
«Sì, ho provato sulla mia pelle tante
delle cose che anche i miei pazienti sono costretti ad affrontare.
Converrà con
me che questo mi rende ancor più qualificato nel mio lavoro
perché, come dire,
so di cosa parlo»
«Su questo punto ha ragione» concesse Jackson
«Ma non è che proprio a causa di
questo legame lei prenda un po’ troppo a cuore il destino dei
suoi pazienti?»
Kozmotis scoprì i denti in un sorriso ironico «Sta
insinuando che io uccida gli
aguzzini dei miei pazienti per vendicarli e mettere a tacere il mio
dolore?»
«Questo è lei ad averlo
detto…»
«Teoria interessante» si complimentò,
posando le mani intrecciate sul tavolino,
proprio nel mezzo «Ricapitolando: un analista con probabili
problemi
dissociativi, senza particolari mezzi a disposizione, riesce a portare
giustizia là dove le autorità hanno sempre
fallito. Capirà che non ci fate una gran
bella figura»
«La giustizia non può essere un concetto
individuale» sibilò Jackson «Sarebbe
il caos»
«Caos o no, non cambia la verità: voi ci
provate... e fallite»
«Non è sempre così»
«Se non è sempre è spesso
ed è una casistica che non può essere
tollerata. Quante volte la polizia svolge il suo lavoro
superficialmente?
Quante volte la legge permette alla difesa di attaccarsi ad invisibili
cavilli?» Pitchiner lo guardò dritto negli occhi
«Glielo dico io, detective: troppe!»
«L’omicidio non è la soluzione»
«Perché mi parla come se fossi stato io a
commettere quegli omicidi?» gli
chiese ironico «E’ chiaro che ha parlato con qualcuno
ma le posso
garantire che vi siete fatti entrambi un’idea sbagliata di
me»
«E’ possibile ma lo ritengo poco
probabile» gli rispose Jack sullo stesso tono.
Kozmotis alzò le spalle «Eppure sono venuto qui,
senza avvocato, senza
obiezioni perché non ho niente da nascondere. E, mi pare
chiaro, non abbiate
nulla contro di me, altrimenti – sono certo – la
nostra chiacchierata sarebbe
stata molto meno amabile di così.
Coraggio, mi chieda dei miei alibi,
che aspetta?»
Jackson strinse i denti «Stia pur certo che
indagherò e indagherò ancora,
finché non riuscirò a trovare la prova che la
inchioda»
«Si accomodi, detective. Cerchi quanto vuole, il risultato
non cambierà: fallirà.
Non troverà alcuna prova contro di me perché io
non ho fatto nulla»
L’altro si alzò, sporgendosi verso di lui
«Questo lo vedremo»
Proprio in quel momento, la porta della stanza si aprì e ne
entrò Kristoff
«Dottor Pitchiner, può andare adesso»
Kozmotis si alzò a sua volta «La ringrazio,
detective?»
«Bjorgman»
Gli fece un breve cenno di saluto con il capo «Detective
Overland…» si congedò.
«Perché l’hai mandato via?» lo
rimproverò Jackson.
«Ti stava provocando e tu, chiaramente, ci stavi cascando con
tutte le scarpe»
gli spiegò «Non possiamo permetterci passi falsi,
soprattutto se è vero che è
coinvolto. Altrimenti falliremo, esattamente come ha detto»
L’altro espirò rumorosamente col naso ma non
replicò.
Kristoff gli posò una mano sulla spalla «Bene, ora
che ti sei calmato,
muoviamoci, ci sono novità: ti aggiorno strada
facendo»
«Dove andiamo?»
«Per ora a prendere Freja: Anna è già
abbastanza tesa per la mostra imminente, meglio non farla arrabbiare o
mi ucciderà»
«Vuoi che ti lasci da sola con
il tuo disegno, per caso?»
Giusto in quel
momento, Jane si accorse di non essere più sola nel suo
ufficio
«Elsa!» esordì, arrossendo
«Non ti ho sentita arrivare» cercò di
mettere su il
suo miglior sorriso, provando a coprire con disinvoltura il risultato
dello
schizzo che stava facendo sovrappensiero.
«Me ne sono
accorta» le confermò l’altra,
trattenendo a stento un sorriso «Hai
fatto quello che ti ho chiesto?»
«Certo»
rispose solerte «Ho controllato tutte le foto dei
ritrovamenti ma non ho
riscontrato nessuna corrispondenza. Ho provato anche a concentrarmi
sugli
sfondi, i possibili curiosi ma nessun volto si presenta su entrambi i
luoghi»
sospirò «Per sicurezza ho lanciato anche il
programma di riconoscimento
facciale e, beh, mentre aspettavo mi sono distratta»
confessò con vergogna ma,
per sua fortuna, una notifica acustica la salvò
dall’imbarazzo «Oh, ha appena
finito»
«Fa vedere
anche a me» le disse Elsa, andandole vicino.
L’altra
sospirò imbronciata «Ancora un buco
nell’acqua: a parte le forze
dell’ordine, nessuna corrispondenza»
«Jane»
la richiamò «E’ John Greystoke,
quello?»
Lei
arrossì «L’hai visto pochi minuti, una
volta soltanto e sei in grado di
riconoscerlo da un disegno?»
Elsa
inarcò un sopracciglio «L’hai visto pochi
minuti, una volta soltanto e
sei in grado di ritrarlo?»
«Veramente…»
«Cosa?»
comprese «Hai rivisto una persona coinvolta nel caso e non me
l’hai
detto?»
«E’
stata assolutamente una casualità» si giustificò
«Abbiamo preso solo un caffè»
«Un
caffè?» ribatté Elsa sorpresa.
«Ok, detta
così suona male» concesse l’altra
«Sono tornata allo zoo per
disegnare, lui mi ha vista e gli sono sembrata familiare,
così mi ha parlato e
una cosa tira l’altra…»
«Spero non
abbiate discusso delle indagini in corso»
Jane si
corrucciò «Assolutamente no, per chi mi hai
preso?» le chiese, appena
risentita «Mi ha solo chiesto come stessero andando, giusto per
fare conversazione,
e io – ovviamente – non gli ho risposto: non ne
abbiamo più fatto menzione»
Elsa
sospirò «Non volevo insinuare nulla. Le varie
supposizioni della polizia
le sai»
«Pensavo
fossero decadute: John è un ragazzo così
gentile»
«Ti dico
solo di stare attenta: frequentare persone coinvolte nel caso non
è
opportuno, almeno finché non sarà fatta
chiarezza»
«Inopportuno
come frequentare dei colleghi, immagino» bofonchiò.
L’altra
inarcò un sopracciglio «Come, prego?»
Oddio, l’aveva
detto.
«Io e Jack
non ci frequentiamo» continuò, però,
quella.
«I nomi li
hai fatti tu, non io»
Cavolo,
perché non riusciva a tenere chiusa quella bocca?
Elsa,
però, non si arrabbiò «Tu assomigli
troppo a mia sorella…» esalò,
rassegnata.
Jane sorrise
sollevata «Magari è proprio per questo che hai
deciso di tenermi
come assistente»
«Magari
l’ho fatto per le tue capacità, che
dici?» ribatté «Capacità che
gradirei vedere all’opera, se non ti dispiace»
«Subito!»
rispose, drizzando la schiena e riportando l’attenzione sul
suo
computer «Elsa!» la richiamò prima che
se ne andasse «Starò attenta, grazie»
La vide sorridere in
risposta e avviarsi verso il suo di ufficio. La curiosità
di sapere se mai avesse voluto raccontarle che cosa ci fosse fra lei e
il
detective Overland, però, se la tenne per sé.
«Andiamo!»
esordì Jackson,
lanciando un’occhiata divertita al suo compagno di squadra
«Hai intenzione di
tenermi il broncio tutto il giorno?»
Kristoff, alla guida, masticò qualcosa di non meglio
definito fra i denti «Non.
Parlare.»
«Staremo assieme ancora molte ore: lo sai che non riesco a
stare zitto a lungo»
lo provocò con un sorriso beffardo «Non puoi
avercela con me, solo perché Freja
è corsa fra le mie braccia anziché le
tue»
«No, certo, continua… continua pure a distruggere
il mio cuore di padre»
borbottò l’altro, stringendo le mani sul volante
«Io dovevo essere l’unico uomo
nel cuore di mia figlia, poi arrivi tu – con i tuoi capelli
brizzolati e i tuoi
occhi color del cielo – e mandi tutto a rotoli»
«I miei occhi color del cielo?»
Jackson rise «Quindi mi trovi
attraente?»
«Piantala, lo sai cosa intendo»
«Non credi che se fosse innamorata di suo
padre sarebbe un tantino
inquietante?»
«Non intendo un amore romantico» ribadì,
facendo una smorfia «E’ solo una
bambina»
«Ed è di una cotta di una bambina di cinque anni
che stiamo parlando» lo
rassicurò l’altro «O pensi davvero che
voglia sposarmi?» ridacchiò ancora.
«Questo è quello che dice…»
borbottò.
«Io non mi preoccuperei, ne riparleremo piuttosto quando
sarà adolescente e porterà il primo
amichetto a casa»
«Non voglio nemmeno pensarci» digrignò i
denti Kristoff «Chiunque sarà dovrà
superare la prova della montagna»
«Credo di non voler neanche sapere di che si tratti ma, ti
prego, cerca di non
costringermi a doverti arrestare»
«Non te lo posso giurare» gli disse, svoltando
sulla sinistra.
Jack spense il sorriso di divertimento sulle sue labbra e lo
trasformò in uno
più morbido «Sei un pessimo attore, lo
sai?»
L’altro inarcò un sopracciglio «Che
intendi dire?»
«Che, chiunque sarà il fortunato ad essere
ricambiato da Freja – sempre che sia
un bravo ragazzo – saprà conquistarti in un
battito di ciglia»
Kristoff sorrise bonario «Non sono, infatti, i bravi ragazzi
a preoccuparmi»
«In quel caso potrei chiudere un occhio sulle tue
malefatte» riportò l’attenzione
sulla strada «Quindi mi consideri un cattivo
ragazzo?»
Questa volta fu il turno del compagno di ghignare «Tu sei
solo vecchio»
«Gentilissimo» ringraziò, prima di
sbuffare sonoramente «Certo che la sfortuna
sembra perseguitarci in questo caso. Pitchiner è stato
assolutamente di parola,
non c’è niente di niente contro di lui,
né una minima traccia che lo posizioni
sui luoghi del ritrovamento dei cadaveri. Ora che avevamo questa pista
del
carico delle Iene, succede questo!»
«Già» confermò Kristoff
«C’è quasi da dispiacersi che
l’antidroga abbia svolto
così tempestivamente il suo lavoro»
«Proprio ora che il tuo informatore aveva confermato la
presenza di un
rilevante carico di fenilciclidina: avevamo qualche chance di risalire
al
compratore ma adesso…»
«Non disperare» cercò di rassicurarlo
l’altro «E’ rischioso e, magari, dovremmo
aspettare un po’ di tempo data la notizia del sequestro ma,
forse, possiamo
ottenere l’autorizzazione per utilizzarla e tendergli una
trappola. Eccoci
arrivati»
Parcheggiarono nell’ampio piazzale del deposito designato e
scesero dall’auto.
Un vento gelido sferzò i loro visi e fu, quindi, con un
certo sollievo che entrarono
nel calore dell’edificio. Riuscirono a fare ben pochi passi
che due agenti di
polizia giudiziaria vennero loro incontro. Uno era alto e magro,
l’altro basso
e tozzo: entrambi avevano un bel nasone pronunciato e la loro aria
stanca
mostrava in tutta la sua magnificenza la loro voglia di pensione che,
purtroppo
per loro, doveva essere ancora troppo lontana.
«Identificazione, prego» grugnì il
più alto dei due.
Sia Jackson che Kristoff mostrarono i loro distintivi e si presentarono.
Il più basso fischiò «Hai visto,
Jasper? La squadra omicidi, roba grossa» disse
al compagno, sistemandosi la cintura dei pantaloni «Come
possiamo aiutarvi,
signori?»
«Siamo qui per il carico sottratto dall’antidroga
alla banda delle Iene.
Dovrebbe essere arrivato in questi giorni»
«E perché mai vi interessa quel carico?»
«Temo che queste siano informazioni riservate, al
momento» rispose Jackson,
assottigliando lo sguardo.
«Horace, non fare l’idiota e non importunare questi
ragazzi che giocano in
prima linea» lo riprese il collega «Non hanno tempo
da perdere con due tipi
come noi»
«Se non vi dispiace, vorremmo parlare con il
responsabile»
«Ma certo» gli disse quello che doveva essere
Jasper con un sorriso che voleva
essere affabile senza, però, riuscirci
«Seguiteci»
Li scortarono verso la loro postazione, dove aspettarono per qualche
minuto che
un vecchio macinino dalle sembianze di un computer facesse il proprio
lavoro
«E' arrivato ieri, se n’è occupata la
direttrice in
persona»
Kristoff posò una mano sul bancone «E’
possibile parlare con lei?»
«Ne verifichiamo la disponibilità»
continuò quello: prese la cornetta del
telefono e digitò alcuni numeri. Una roca voce di donna
rispose lapidaria alle
sue spiegazioni, riagganciò «Può
vedervi. Ufficio all’ultimo piano, in fondo al
corridoio, non potete sbagliarvi. L’ascensore è da
quella parte»
«Non dovreste scortarci?» chiese Kristoff perplesso.
«Suvvia» fece Horace, prendendo nuovamente posto
sulla sedia, molto più
interessato al suo panino che ad altro «Se non possiamo
fidarci fra noi forze
dell’ordine, mi domando dove andremo a
finire…»
L’odore di fumo
investì i due
detective ancora prima di entrare nell’ufficio che gli era
stato indicato. Non
si stupirono, infatti, di trovare la donna – che sfoggiava
una bizzarra
acconciatura dalla colorazione bianca e nera – intenta a
fumare una sigaretta attraverso il
filtro di un lungo bocchino «Immagino voi siate i detective
Overland e Bjorgman»
li accolse con un sorriso viscido «Dottoressa De Vil,
accomodatevi cari»
li invitò, senza però premurarsi di interrompere
quel che stava facendo «Come
posso aiutarvi?»
Né
Jackson, né Kristoff si lamentarono della cosa, nonostante
avessero entrambi
gli occhi già arrossati e ritenessero l’odore al
limite del sopportabile, dato
il gran caldo e la finestra chiusa. Tuttavia, nessuno dei due era
intenzionato
ad indisporre una possibile collaboratrice.
«Ci perdoni
se non ci siamo preannunciati con anticipo, ma la faccenda è
piuttosto urgente» si scusò Jack.
«Oh,
è sempre urgente con voi, non è vero, cari?»
sogghignò.
Lui ignorò
la frecciata «Volevamo sapere se, per caso, nel carico
sottratto
alla banda delle Iene ci fosse della fenilciclidina»
Lei
arricciò le labbra «Quel carico, certo, roba
davvero grossa e di qualità
rara ma non fenilciclidina, no»
I due si guardarono
sorpresi.
«Ne
è sicura?» chiese Kristoff.
«Certamente,
caro» gli
confermò «Data l’importanza, mi sono
occupata
personalmente delle analisi: oltre a gestire questo posto, sono anche
una
scienziata, sapete?» spiegò, spostandosi appena
per fargli vedere la laurea
appesa alla parete «Sono una donna superbamente a pezzi, ma non si può
dire di no alle sollecitazioni del tribunale, non credete?»
celiò, facendo
cadere un po’ di cenere in un piattino stracolmo.
«E’
possibile comunque vedere il carico?»
La dottoressa De Vil
assottigliò gli occhi scuri, truccati sui toni del verde
«Detective, questa sua diffidenza mi ferisce. Inoltre, temo
che non sia materialmente
possibile fare quello che mi chiede»
«Come
sarebbe?»
Lei li
guardò ed espirò pesantemente la boccata appena
tirata «Il carico è già
andato in
fumo questa
mattina, dritto nell’inceneritore»
«Di
già?» sbottò Kristoff che, preso in
contropiede, non riuscì a trattenersi
dal tossire pesantemente.
«Capite
bene che, con le bande in subbuglio, è estremamente
rischioso tenere in
deposito carichi di quel genere. Come avete potuto notare, il supporto
delle
autorità è quello che è»
finalmente spense la sua sigaretta consumata «Il tutto
fatto secondo la procedura corretta, ovviamente: giudice, avvocati,
tutti
presenti. Vi manderò una copia della documentazione,
così starete più
tranquilli»
«Le saremmo
grati» disse Jackson, alzandosi.
Kristoff fece
altrettanto «Aspettiamo sue notizie, allora. Intanto grazie
della
sua collaborazione»
«Non
c’è di che, cari»
Entrambi lasciarono
l’ufficio di quella strana donna con l’aria
abbattuta e un
gran bruciore di occhi e gola. Pareva proprio che Rider avesse mentito,
la domanda era: perché?
§
Jackson
prese un sorso di champagne
ghiacciato,
assaporandone le bollicine sulla punta della lingua. Dopo aver dato
quella falsa pista, l’informatore di Kristoff sembrava
misteriosamente sparito nel nulla e,
quindi, si erano ritrovati - di nuovo - frustrati più che
mai e con un pugno di mosche in
mano. Chiunque si nascondesse dietro a quel caso – Pitchiner
o
meno – sapeva esattamente come non farsi trovare.
Sospirò, almeno non aveva più
colpito. Vuotò il suo bicchiere e lo posò sul
vassoio di un cameriere che
gli era appena passato accanto: quella sera non era fatta per i
rimugini,
quella era la sera di Anna Bleket e della sua galleria, bisognava
mostrarsi
sorridenti. E, per farlo, bastava dare un’occhiata a Kristoff
nel suo elegante
smoking nero, camicia bianca e cravattino scuro. Era palese che mal
sopportasse
il fatto di essere vestito a quel modo ma resisteva stoico e lo faceva
per
amore di sua moglie. Anna era meravigliosa nel suo vestito lungo,
altrettanto
nero, che le copriva il collo ma lasciava scoperte le spalle, facendo
risaltare alla perfezione i suoi capelli ramati, completamente sciolti
ad
eccezione di un piccolo effetto raccolto sulla nuca.
Sorrise e sistemò il suo
di papillon, di un intenso color blu notte, come il resto del suo
completo. Non
si poteva di certo dire che fosse un grande amante dell’arte
contemporanea ma
rifiutare quell’invito sarebbe risultato quanto mai scortese.
Si era, tuttavia,
presentato da solo, anche perché non si era azzardato a
chiedere all’unica
persona che gli interessasse veramente d’invitare:
d’altra parte, non era
difficile immaginarsi la sua risposta. Istintivamente la
cercò con lo sguardo
ma non la trovò. Si chiese cosa mai avesse potuto tenerla
lontana da quella
festa che, di sicuro, non si sarebbe persa per niente al mondo. Proprio
come
richiamata dai suoi pensieri, varcò esattamente in quel
momento le porte della
galleria. La vide liberarsi dal pesante soprabito e, per poco, non ci
rimase
secco. I capelli biondi erano acconciati in una vaporosa treccia
laterale,
mentre alcune ciocche erano state magistralmente lasciate libere di
incorniciarle il volto. Anche il suo vestito era blu ma di una
tonalità
decisamente più chiara e brillante, con uno spacco audace e
un taglio dritto
sul seno a lasciarle completamente scoperte le spalle. Non lo
degnò nemmeno di
uno sguardo, concentrata com’era nel suo unico obiettivo di
raggiungere la
sorella. Quando la vide, Anna quasi saltò sul posto dalla
gioia.
«Se non chiudi quella bocca, sbaverai»
Jackson si riscosse «Principessa, stai benissimo»
si complimentò nel vederla
con quell’elegante abito lilla dalla deliziosa scollatura a
cuore e la sua
lunga chioma bionda completamente libera di risplendere
«Ti ho vista, sai?
Scoppiare di entusiasmo davanti a quei quadri»
Lei si illuminò «Sì!»
confermò entusiasta «L’uso del colore
è così evocativo,
una meraviglia per gli occhi»
A lui sembravano solo macchie buttate lì ma
tant’è «Hai proprio ragione»
Rapunzel rise «Non assecondarmi solo perché vuoi
cambiare discorso»
Jack ghignò «Non so di cosa parli»
Oh sì che lo sapeva ma fece finta di
credergli «E’ arrivata Jane!»
drizzò di colpo la testa, vedendola entrare proprio in quel
momento «Devo
assolutamente farle vedere Sogno di una notte di mezza estate»
si avviò
travolta dal suo stesso entusiasmo ma, prima di allontanarsi troppo, si
voltò
verso di lui ancora una volta «Vai» gli disse
soltanto e, poi, tornò ai suoi
propositi.
Jackson, dal canto suo, non era tanto sicuro di volere andare. Sapeva
quello
che voleva, certo, perché era ben conscio del quantitativo
di relazioni buttate
al vento per via di quei sentimenti che non se n’erano mai
andati: quello che
voleva lei, invece, era tutta un’altra faccenda. Si era
chiesto mille volte che
cosa sarebbe successo se non fosse stato così stupido da
mandare tutto all'aria quella fatidica sera ma, quando la
lucidità tornava a prendere il sopravvento, gli risultava
chiaro come lei
avesse già deciso di tagliarlo fuori dalla sua vita. Averle,
però, dato il
giusto appiglio per farlo gli bruciava non poco. Sin da quando era
tornato in
città, lei era stata subito molto chiara a parole almeno, eppure…
«Quindi sei venuto» gli disse, raggiungendolo alle
spalle «Non mi risulta fossi
appassionato»
Si voltò verso di lei e le sorrise furbetto
«Infatti non lo sono ma non si
rifiutano gli inviti di uragano Anna, non te
l’hanno detto?»
«Sono consapevole di aver rischiato grosso»
ridacchiò.
«Ho visto che sia tu che Jane siete arrivate in ritardo, non
è una cosa da te.
Problemi al lavoro?»
Lei annuì «Chiaramente, quando
c’è qualcosa d’importante, un imprevisto
deve
sempre saltare fuori all’ultimo secondo»
spiegò con una smorfia di
rassegnazione «Ma Anna ha lavorato così duramente
per questo evento che mancarlo
era fuori discussione»
«Sei splendida…» gli sfuggì
dalle labbra prima che riuscisse a trattenersi.
Inaspettatamente, Elsa – forse aiutata dallo champagne
– alzò un sopracciglio e
tirò appena le labbra di lato «Anche tu non sei
male»
Questo gli diede il coraggio di continuare «Ho visto che sei
venuta da sola»
Lei si irrigidì «Sì, ma non capisco
come questo dovrebbe interessarti»
«Beh» non demorse lui «Dato che anche io
sono venuto solo, potrei farti da
accompagnatore»
«Con quale scopo?»
Jack scosse appena il capo, non capendo.
«Hai un unico fine, Overland, ed è quello di
portarmi a letto»
«Così mi offendi, Bleket»
si risentì lui, portandosi una mano al petto
«Voglio
solo godere della tua compagnia in questa piacevole serata, tutto
qui»
«Quindi, vuoi dirmi che se io ora ti dicessi di lasciare
questa festa e di
andare assieme in una camera d’albergo tu mi diresti di
no?»
«Ti direi perché scegliere una camera
d’albergo, quando abbiamo a
disposizione ben due appartamenti: il mio e il tuo»
Lei roteò gli occhi al cielo «Vedi? Sei
incorreggibile…»
Jack inarcò le sopracciglia, stupito
«Incorreggibile? Sono un uomo, Elsa…» la
guardò dritta negli occhi «Un uomo che
ti…»
Accompagnato dal tintinnio del bracciale che aveva legato al polso,
avvertì le
dita di lei sfiorargli le labbra. Non era certo fosse colpa del
riverbero della
luce o chissà che altro, ma i suoi occhi azzurri –
magistralmente truccati sui
toni del rosa – sembravano improvvisamente più
lucidi «Non dirlo, per favore…»
lo pregò.
Rilasciò appena un sospiro sulla pelle di lei, trattenendosi
a stento dal
seguire l’impulso di baciarla «Va bene»
Elsa spostò la mano con qualche secondo in più
del consentito, distratta dalla
vibrazione del cellulare proveniente dalla sua pochette
«Scusami un attimo» lo
recuperò, stupendosi non poco nel vedere sullo schermo la
dicitura sconosciuto.
Scambiò una rapida occhiata con Jack e rispose,
inconsapevole che, una stanza
più in là, a suo cognato stava succedendo
esattamente la stessa cosa «Pronto?»
«Detective Bjorgman, Dottoressa Bleket»
parlò un’artificiale voce metallica,
facendola rabbrividire «Sarebbe gradito, da parte vostra, se
la smetteste di
interferire con i nostri progetti, d’altronde siamo tutti
dalla stessa parte…»
«Chi sei?» chiese, la voce spezzata. Jack la
guardò allarmato.
«Siamo la nera paura che vi sta crescendo nel petto, il
ghiaccio che sta
gelando il vostro cuore e mozzando il vostro respiro: siamo i Fearling.
Non
intromettetevi, non ostacolateci o ne pagherete le
conseguenze» ci fu un attimo
di silenzio «Mamma, papà…»
singhiozzò una voce rotta dal pianto, la
comunicazione si interruppe.
Mentre il cellulare di Kristoff cadeva sul pavimento e lo schermo si
infrangeva
in una miriade di schegge di vetro, Elsa sbiancò:
registrò a malapena le mani
di Jack che le si serravano rapide sulle spalle per sostenerla,
l’unica cosa su
cui riusciva a concentrarsi in quel momento era quella vocina
disperata. Freja,
avevano preso Freja.
Ebbene
sì, la situazione è precipitata
improvvisamente... la domanda è perché? Ovviamente si scoprirà... ma a tempo debito ;) Abbiamo avuto anche tre nuovi ingressi che potrebbero farvi drizzare le antenne... ma magari no ù_ù Indubbiamente c'è del caos in questo caso, riusciranno i nostri eroi a districarsene? Ma, soprattutto, ci sarà una sola verità? Nel mentre il tira e molla fra Jack ed Elsa sembra non avere fine, mannaggia a loro (a lei principalmente XD) Il fatto che Kristoff sia geloso del rapporto fra Jack e la figlia è un mio personalissimo headcanon di cui mi diverto sempre particolarmente a scrivere, spero sia stato divertente anche per voi leggerlo. Per quanto riguarda il nome della moglie di Pitch, in realtà non è noto e cercando Seraphina Pitchiner si viene riportati, comunque, ad Emily Jane. Tuttavia, in molte fic (compresa TWOIAN - La Battaglia del Crogiolo di evil 65) viene utilizzato come headcanon, diciamo che mi sono accodata a questa parte di fandom. Il triste background di Kozmotis, come detto in precedenza, si rifa a quello del dottor Trent Marsh il quale, nella serie di riferimento, aveva perso la moglie per mano in un omicida rimasto impunito. L'interrogatorio fra Pitch e Jack segue molte delle dinamiche di quello fra Trent e Tommy. Per finire i doverosi riferimenti a Body of Proof e a quanto Megan e Tommy abbiano dinamiche Jelsose, il loro scambio di battute finali - prima della fatidica telefonata - viene (anche se con opportune modifiche) direttamente dalle loro bocche. Grazie per aver letto e, come sempre, qualsiasi segno del vostro passaggio vorrete lasciarmi mi farete molto felice ♥ Alla prossima Cida |