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Autore: Clementine84    25/09/2022    0 recensioni
“Come ti chiami?” le aveva chiesto lui, rendendosi conto solo in quel momento che non aveva notato nessun cartellino con il nome.
“Emily, ma tutti mi chiamano Emi” aveva risposto lei. “E tu sei?”
Donnie aveva strabuzzato gli occhi, sorpreso. Possibile che non l’avesse riconosciuto?
La ragazza, però, continuava a fissarlo con espressione curiosa, quindi dedusse che non aveva idea di chi lui fosse.
“Donald,” disse, porgendole la mano “ma tutti mi chiamano Donnie”.
Emi gli aveva stretto la mano ed entrambi avevano esclamato, nello stesso momento “Piacere”, dopodiché erano scoppiati a ridere.
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Se Donnie la voleva morta, quello era sicuramente un buon modo per ottenere il suo scopo.
La persona in piedi, davanti a lei, era Nick Carter dei Backstreet Boys, la celebrità per cui aveva una cotta pazzesca da ragazzina.
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nick Carter, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CHAPTER 3 - You’ve got a friend in me

 

For a smile they can share the night

 

Emi stava uscendo dal locale, in un’ancora calda sera di inizio agosto, quando sentì il cellulare vibrare, nella tasca dei jeans. Mentre chiudeva a chiave la porta della caffetteria, lo estrasse e sorrise, vedendo un messaggio di Donnie.

Avviandosi verso la fermata della metro, che l’avrebbe riportata al suo minuscolo, ma confortevole, appartamento, aprì il messaggio e quello che lesse fece sì che si bloccasse di colpo in mezzo al marciapiede.

Complimenti! Sei riuscita a mandare in paranoia Carter.

Erano passati tre o quattro giorni da quando Nick le aveva lasciato il suo numero sul tovagliolo del locale ed Emi non l’aveva ancora usato.

Ci aveva pensato continuamente, ma era combattuta e poi non sapeva cosa scrivergli. Qualsiasi cosa le sembrava troppo banale e, alla fine, aveva rinunciato.

Inoltre, era stata piuttosto impegnata al lavoro. Il suo capo aveva assunto una nuova cameriera, una ragazza cubana di nome Melanie. Era sveglia, ma andava istruita, ed Emi aveva passato i tre giorni precedenti a insegnarle tutto quello che c’era da sapere per mandare avanti la caffetteria quando lei sarebbe andata in vacanza, il mese prossimo.

Non sapeva ancora dove, ma non vedeva l’ora di andarsene per un po’ da New York.

Di solito la città le piaceva, ma ultimamente la trovava un po’ soffocante.

Un uomo le passò accanto, sfiorandole una spalla, e la ragazza si rese conto di essere ancora ferma impalata in mezzo al marciapiede, con il cellulare stretto in mano.

Doveva rispondere al messaggio di Donnie.

Io? Come? Digitò, veloce.

Non l’hai chiamato ed è stato un brutto colpo per il suo ego, rispose l’amico, un istante dopo.

Emi strabuzzò gli occhi, incredula, prima di replicare:

Solo perché non mi sono fatta sentire?

Donnie cercò in qualche modo di giustificare il ragazzo, scrivendole:

Devi capirlo, non è abituato a essere rifiutato, anche se l’avevo avvertito che non eri interessata.

Emi sospirò e decise di essere sincera con Donnie:

Non è che non sono interessata…

Lo sei? Le chiese subito lui.

Alzando gli occhi al cielo, Emi si affrettò a rinfrescargli la memoria:

È Nick Carter, avevo una cotta terribile per lui da ragazzina, ricordi?

E allora perché non ne hai approfittato? Volle sapere l’amico.

1. Non so cosa dirgli 2. Ho paura, confessò Emi, onesta.

Un attimo dopo, le arrivò la risposta di Donnie, che riprendeva punto per punto le sue obiezioni:

1. Mandagli un messaggio qualsiasi, non dev’essere nulla di profondo.

2. Lo so e lo capisco, anche perché Nick non ha una bella fama. Ma sostiene di essere cambiato, quindi potresti dargli il beneficio del dubbio. 

Emi stava ancora finendo di leggere il messaggio precedente, quando Donnie gliene inviò un altro:

E poi non devi mica sposartelo, magari puoi solo spassartela un po’. Pare sia in grado di garantire un bel giro…

DONNIE! Scrisse lei, in maiuscolo, sentendo le guance avvamparle alla sola idea di poter andare a letto con Nick soltanto per divertirsi, come suggeriva Donnie.

L’amico le mandò uno smile che faceva la linguaccia e la spronò:

Dagli una chance. E non preoccuparti, se ti tratta male, ci penso io a prenderlo a calci nel culo.

⁓ * ⁓

Quella sera, a casa, mentre guardava distrattamente un vecchio film western accoccolata sul divano, Emi prese coraggio e decise di mettere in pratica il suggerimento di Donnie.

Cercò in rubrica il numero di Nick - che aveva salvato subito dopo aver trovato il tovagliolo con il messaggio del ragazzo - e gli scrisse la prima cosa che le venne in mente, senza rifletterci troppo:

Mio padre dice che, dato che ti piacciono i Journey, può sorvolare sul fatto che il tuo lavoro preveda saltellare su un palco insieme ad altri ragazzi.

Chiuse gli occhi e premette invio, quasi come se dovesse strappare un cerotto e farlo di colpo le provocasse meno dolore.

Poi sospirò, posò il cellulare sul cuscino, accanto a lei, e tornò a concentrarsi sul film, certa che, comunque, Nick sarebbe stato impegnato e con tutta probabilità non avrebbe risposto fino al mattino seguente.

Quando, poco dopo, il cellulare emise il suono che Emi aveva associato ai messaggi, quindi, la ragazza quasi si spaventò e fece un salto sul divano.

Con mani tremanti, prese il telefono e aprì il messaggio di Nick:

(serie di smile che ridono) Davvero?

Emi sorrise, riuscendo a stento a credere a quello che stava succedendo. Davvero stava messaggiando con Nick Carter?

Davvero, rispose. Beh, prima ho dovuto spiegargli chi era Nick Carter.

Cosa gli hai detto? chiese Nick, curioso.

Mordicchiandosi il labbro inferiore, Emi confessò:

Gli ho detto che sei quello dei poster in camera mia.

Hai i miei poster in camera? le domandò il ragazzo, iniziando a trovare il tutto piuttosto intrigante.

Li avevo. Sono sicura che Donnie te l’abbia detto, ma avevo una cotta per te, da ragazzina, gli scrisse Emi.

No, in realtà Donnie non mi aveva detto nulla, ammise Nick, ma mi fa piacere saperlo.

Emi strabuzzò gli occhi e lasciò cadere il cellulare sul divano. Davvero Donnie non aveva detto niente a Nick della sua cotta per lui? E perché diavolo era stata così stupida da confessarglielo lei stessa, adesso?

Lasciandosi sfuggire un gemito di frustrazione, Emi si butto in avanti sul divano, nascondendo la faccio in un cuscino e ripetendosi “Stupida, stupida”.

Poi si ricordò che probabilmente Nick stava ancora aspettando una sua risposta, quindi riprese in mano il cellulare e digitò:

Oddio, non ci credo che te l’ho appena detto io, adesso. Sono un’idiota e mi vergogno da morire.

Non dovette attendere molto per leggere la risposta di Nick:

Smettila, è carino, invece.

Lo dici solo per consolarmi, replicò lei, ancora terribilmente in imbarazzo.

No, invece. Lo penso davvero, insistette Nick. E penso anche che tuo padre sia un grand’uomo. Lo voglio conoscere.

Emi trattenne a stento una risata, tutto l’imbarazzo causato dalla sua confessione imprevista improvvisamente scomparso.

Non esagerare, adesso, lo rimproverò. Un passo per volta. Ti ci vorrà più che condividere gli stessi gusti musicali per impressionare mio padre.

Ha una pistola? le chiese Nick, con un’emoticon spaventata.

Emi rise e rispose:

Era un colonnello nell’esercito, quindi direi di sì.

Nick non rispose subito ma, quando lo fece, fu piuttosto conciso:

Cazzo.

Con le lacrime agli occhi dal ridere, Emi si lasciò cadere sui cuscini del divano, pensando a qualcosa da rispondergli. Ma non ce ne fu bisogno, perché il cellulare suonò di nuovo, segnalando un altro messaggio di Nick:

Meglio rimandare le presentazioni in famiglia, allora. Magari prima conosciamoci meglio io e te.

Mi sembra una buona idea, convenne lei.

A che ora stacchi dal lavoro domani? le chiese Nick.

Alle quattro, rispose Emi, domandandosi dove volesse andare a parare il ragazzo.

Ti chiamo verso le 4:30 allora, okay? propose Nick.

Emi si ritrovò a sorridere, mentre digitava la risposta:

Okay. A domani.

A domani e sogni doro. XxX concluse Nick.

⁓ * ⁓

Una settimana dopo circa, Emi stava svuotando la lavastoviglie nella cucina della caffetteria, quando Melanie, la nuova ragazza assunta, tornò dal bancone, dove stava servendo i clienti e richiamò la sua attenzione, dicendo “Ehi, Emi. Di là c’è un figo pazzesco che chiede di te”.

Emi sollevò lo sguardo dalla pila di tazze pulite e domandò “Donnie?”

L’amico era passato a trovarla al locale prima di andare a Los Angeles a prendere i figli per portarli in vacanza e Melanie l’aveva conosciuto.

La ragazza, però, scosse la testa e rispose “No. Un biondo con un sorriso spaziale”.

Emi si bloccò con una tazza in mano.

Nick? 

Era l’unico che corrispondesse perfettamente alla descrizione di Melanie, quindi doveva essere lui. Ma cosa ci faceva a New York? E, soprattutto, perché non le aveva detto che sarebbe passato?

Da quella prima sera in cui Emi gli aveva scritto, i due ragazzi avevano iniziato a sentirsi con regolarità. Come promesso, il giorno seguente Nick l’aveva chiamata e avevano chiacchierato a lungo, raccontandosi buffi aneddoti della rispettiva infanzia e facendosi qualsiasi domanda passasse loro per la testa, scoprendo, tra l’altro, di avere ben più cose in comune della semplice passione per i Journey.

Emi era rimasta piacevolmente impressionata da come parlare con Nick le venisse spontaneo. Nonostante si fossero visti soltanto una volta e, nella sua testa, lui fosse la celebrità inarrivabile, la conversazione era scorsa in maniera fluida, senza difficoltà e, soprattutto, senza quegli imbarazzanti silenzi che tanto mettevano a disagio la ragazza.

Nick si era comportato da vero gentiluomo. Era stato gentile e simpatico, divertente al punto giusto, e non aveva mai detto una parola fuori posto.

Dopo la prima telefonata, ne erano seguite altre, corredate da fiumi di messaggini. Sembrava che lei e Nick trovassero sempre qualcosa di interessante da dirsi o da farsi vedere, ed entro la fine della settimana, le loro comunicazioni erano diventate così assidue che a Emi sembrava di conoscerlo da una vita e non si agitava più ogni volta che sul display del telefono compariva il nome del ragazzo.

Si erano sentiti anche quella mattina, poco prima che lei entrasse al lavoro. Avevano parlato del caldo e di quanto potessero essere insopportabili le orde di turisti che prendevano d’assalto New York durante l’estate. Emi si era lamentata che mancasse ancora troppo alle sue vacanze e Nick le aveva chiesto se aveva già idea di dove andare, sentendosi rispondere che non ci aveva ancora pensato seriamente. Allora, Nick le aveva suggerito di andare in California, sostenendo che il clima a settembre fosse perfetto, ed Emi si era ritrovata a sognare di poterci andare veramente.

In tutto ciò, il ragazzo non aveva fatto assolutamente cenno a un suo viaggio a New York, quindi Emi fu piuttosto sorpresa quando, dopo essersi asciugata frettolosamente le mani con uno strofinaccio, uscì dalla cucina e se lo ritrovò davanti, sorridente, in mezzo al locale.

“Ciao” la salutò, andandole incontro e chinandosi per abbracciarla.

“Ehi, ciao” ricambiò lei, presa alla sprovvista, non solo dalla visita inaspettata, ma anche, e soprattutto, dall’abbraccio che Nick le aveva dato. 

“Cosa ci fai qui?”

“Sono passato a trovarti” rispose lui, sincero.

“Quando sei arrivato?” domandò la ragazza “Stamattina non mi hai detto niente, quando ci siamo sentiti”.

Nick ridacchiò e si tolse il cappellino, spettinandosi nervosamente i capelli.

“In realtà ero già qui,” confessò “sono arrivato ieri sera. Ma non ti ho detto nulla perché volevo farti una sorpresa”.

“E ci sei riuscito” dichiarò Emi, sorridendo.

Liberandosi dall’abbraccio del ragazzo, Emi guardò l’orologio e gli propose “Siediti, ti porto un caffè. Tra mezz’oretta stacco e, se non hai impegni, possiamo andare a mangiare qualcosa insieme”.

Nick annuì e le rivolse un sorriso a trentadue denti, prima di dichiarare “Nessun impegno, sono tutto tuo”, facendola scoppiare a ridere ma, anche, facendo fare una capriola a qualcosa dentro di lei, più meno all’altezza dello stomaco.

Non ci poteva fare niente, anche se ormai non lo considerava più la celebrità inarrivabile che aveva sempre pensato che fosse, Emi aveva sempre avuto un debole per il sorriso di Nick.

Tutte le sue amiche andavano in visibilio quando faceva quelle mossette sexy sul palco, mentre lei si scioglieva quando il ragazzo sorrideva.

E, adesso, sapere che quel sorriso era tutto per lei, le faceva sentire le farfalle nello stomaco.

Mentre il ragazzo prendeva posto a un tavolo, Emi tornò dietro al bancone e gli preparò il solito cappuccino con doppio espresso. Poi, prima di portarglielo, diede un’altra occhiata all’orologio, notando che erano passati soltanto dieci minuti dall’ultima volta che l’aveva guardato.

Sospirò, delusa, e pregò che quei venti minuti che la separavano dalla fine del turno passassero il più rapidamente possibile.

⁓ * ⁓

“Allora, dove mi porti?” gli chiese Emi, mezz’ora più tardi, richiudendosi alle spalle la porta del locale.

Nick si voltò a guardarla, notando, per la prima volta, quanto fossero lunghi i suoi capelli, che le scendevano lungo la schiena in ciocche ondulate, fino ad arrivare quasi alla vita.

“Non lo so,” rispose, impreparato “sei tu la newyorkese, devi farmi conoscere le gemme nascoste della città”.

Emi ridacchiò.

“Non so se te ne sei accorto, ma la mia vita sociale non è proprio degna di una star di Hollywood. Al massimo posso portarti al mio ristorante italiano preferito”.

“Perfetto” concordò lui. Poi, allo sguardo stupito della ragazza, spiegò “Sei mezza italiana, quindi se dici che è il tuo preferito, dev’essere veramente buono. E adoro la cucina italiana”.

Lasciandosi coinvolgere dall’entusiasmo del ragazzo, Emi sorrise e gli afferrò una mano.

“Vieni, allora,” disse, trascinando Nick dietro di sé “da questa parte”.

Venti minuti dopo, i due ragazzi erano seduti al tavolo di un delizioso ristorantino italiano che si trovava in una stradina secondaria e il cui nome, molto emblematicamente, era Bella Italia.

Il proprietario e un paio di camerieri avevano salutato Emi chiamandola per nome, quando erano entrati, e la ragazza aveva ricambiato parlando con loro in italiano. 

Ordinarono tagliatelle al ragù e una caraffa di vino rosso della casa, dopodichè si misero ad aspettare i loro piatti, chiacchierando del più e del meno.

Nick spiegò a Emi che si trovava a New York per incontrare alcuni autori con i ragazzi. Anche se non avevano ancora reso la notizia ufficiale, Kevin aveva finalmente deciso di riunirsi al gruppo e stavano iniziando a discutere del concept per il nuovo album. Erano tutti piuttosto eccitati per il ritorno di Kevin, specialmente AJ a cui, a quanto pareva, l’amico era mancato particolarmente, e volevano che il nuovo album fosse qualcosa di speciale. C’era però anche un po’ di nervosismo perché i ragazzi avevano abbandonato la loro vecchia etichetta discografica per fondarne una propria ed era la prima volta che iniziavano a lavorare a un album senza, tecnicamente, avere un contratto.

Nick le raccontò anche che, mentre era a New York, sperava di riuscire a vedere sua sorella Leslie, che si trovava anche lei in città per sottoporsi a delle visite mediche, dato che aveva sempre sofferto di ansia e crisi di panico e quando, pochi mesi prima, aveva avuto una bambina, che Nick non aveva ancora visto, tra l’altro, la situazione si era aggravata. La ragazza era ospite del padre e della sua nuova moglie, ma Nick sperava di poterla vedere senza essere costretto ad andare a casa loro, dato che il suo rapporto con il padre era a dir poco problematico.

“Con tua madre va meglio, invece?” gli domandò Emi.

Nick scosse la testa. 

“No, direi di no. I miei genitori hanno passato molti anni a farsi del male a vicenda e capisci che non è facile crescere in un ambiente così tossico. Immagino che mi abbiano voluto bene, a modo loro, solo che non era il modo giusto per me. Da quando ho iniziato a guadagnare bene con il gruppo, ho fatto di tutto per riscattare la mia famiglia. Credevo che, se gli avessi dato una bella casa e permesso loro di fare quello che veramente volevano nella vita, le cose sarebbero cambiate e avrebbero smesso di farsi del male. Ma non è stato così. I miei, specialmente mia madre, sono molto egoisti e quello che facevo per loro non era mai abbastanza. Così, a un certo punto, mi sono stufato di essere trattato come un bancomat vivente e ho detto basta. Me ne sono andato di casa e ho ridotto i rapporti al minimo sindacale, che significa auguri di Natale e compleanno, quando se lo ricordano, e poco più. Ho tentato di mantenere i contatti con i miei fratelli, ma è difficile, un po’ per il mio lavoro, che mi tiene spesso lontano, e un po’ perché crescere in un ambiente così tossico ha, in qualche modo, corrotto anche loro e sono tutti piuttosto problematici. Io almeno sono uscito da quell’incubo grazie ai Backstreet Boys, ma loro hanno dovuto restarci troppo a lungo. Leslie è quella che mi preoccupa di più. Per un pezzo ha voluto fare la cantante ed era anche brava. Ho provato a darle una mano, ma i suoi problemi di salute la rendevano incostante e inaffidabile, facendo diventare tutto più difficile. Quando si è sposata e si è trasferita a Toronto, credevo che avesse finalmente trovato la sua dimensione, specialmente quando mi ha detto che aspettava un bambino. Poi, però, i suoi problemi di salute sono ricomparsi e, a quanto pare, potrebbe esserci qualcosa di più grave di ansia e attacchi di panico”.

“Cosa?” chiese Emi, preoccupata.

“L’ultima volta che ho parlato con Angel, l’altra mia sorella, quella con cui mi sento più spesso, mi ha detto di averle visto prendere dei farmaci per la schizofrenia. Ma non so nulla di più, purtroppo Leslie non mi dice molto. E non posso aiutarla se non so come stanno le cose” spiegò Nick, con la fronte corrucciata.

Rispondendo a un impulso più forte di lei, Emi allungò una mano sul tavolo e la posò su quella del ragazzo, che alzò immediatamente gli occhi su di lei. 

La ragazza gli rivolse un sorriso che sperava fosse rassicurante e sussurrò “Non ci conosciamo da molto, ma sembri una brava persona, Nick, e sono sicura che niente di quello che è successo e sta succedendo con la tua famiglia è colpa tua”.

Nick rispose timidamente al sorriso della ragazza e annuì.

“Lo so. Cioè, razionalmente so che è così e che ho fatto tutto quello che potevo per aiutarli, ma mi hanno fatto sentire in colpa per così tanto tempo, che a volte me ne dimentico e mi dico che potrei fare di più”.

“No, non puoi,” sentenziò Emi, decisa “ma cerca di parlare con tua sorella. Magari non ti dirà nulla, ma è importante che sappia che tu ci sei”.

Nick fece sì con la testa e stava per ribattere, quando furono disturbati dal cameriere che portava loro le pietanze.

Ci fu uno scambio di battute tra il ragazzo ed Emi e Nick notò come, in un divertente mix tra inglese e italiano, lui stesse chiaramente facendo il filo alla ragazza. 

Emi gli rispondeva per le rime, finché non lo liquidò con “Mi dispiace, Antonio, sai che è tutta fatica sprecata. Non ne voglio più sapere di incasinarmi la vita con gli uomini. Ho già dato”.

Il ragazzo se ne andò, fingendo di piangere tutte le sue lacrime, ed Emi scoppiò a ridere, prima di avventarsi sulle sue tagliatelle.

Nick, però, era rimasto colpito da quella dichiarazione così definitiva e, ricordandosi che già Donnie gli aveva detto qualcosa di simile, decise di indagare.

“Cosa ti hanno fatto gli uomini, per non volerne più sapere di loro?” le chiese, dopo aver ingoiato il primo boccone di pasta, trovandola squisita.

Prima di rispondere, Emi prese un sorso di vino.

“Gli uomini in generale nulla,” disse “ma uno in particolare ha fatto sì che perdessi tutta la fiducia nel genere maschile, per parecchio tempo”.

Nick le rivolse un’occhiata curiosa e la ragazza sorrise.

“È una storia lunga, davvero la vuoi sapere?” gli domandò e Nick annuì.

Emi sospirò e, dopo essersi pulita la bocca con il tovagliolo a quadretti, appoggiò gli avambracci sul tavolo e iniziò a raccontare.

“Alle superiori, avevo un ragazzo, Derek. Ci siamo messi insieme poco dopo che sono tornata dall’Italia e non ci siamo più lasciati fino al diploma. Era il classico bravo ragazzo, intelligente e gentile, con un promettente futuro davanti a sé. Io, d’altra parte, ero una brava ragazza, studentessa diligente e prototipo della figlia perfetta. Sembravamo fatti l’uno per l’altra e tutti erano convinti che ci saremmo sposati, avremmo formato una famiglia e saremmo rimasti insieme per sempre. Durante l’ultimo anno di scuola, però, ho iniziato a stare male e, dopo vari controlli, mi è stato diagnosticato un cancro alle ovaie. Le terapie non funzionavano, così sono stati costretti a sottopormi a un’isterectomia”.

“Oddio,” la interruppe Nick, scioccato “adesso come stai?”

Emi sorrise, notando la preoccupazione negli occhi del ragazzo, e lo rassicurò “Sto bene, l’intervento è riuscito perfettamente e il tumore è stato completamente rimosso. Insieme al mio utero e alle mie ovaie, però”.

“L’importante è che ora tu stia bene” dichiarò Nick, sincero, ed Emi si sentì stringere il cuore all’idea che fosse davvero in ansia per lei.

“Va tutto bene, davvero,” insistette “ma è stato un brutto colpo e, invece di starmi vicino, Derek ci ha messo il carico da undici".

“Cos’ha fatto?” chiese Nick, interessato.

Emi alzò gli occhi al cielo e rispose “Il coglione ha deciso che non poteva proprio fare a meno di tramandare i suoi geni bacati a una futura progenie e, dato che io non ero più in grado di garantirgliela, mi ha lasciata”.

Nick strabuzzò gli occhi e sbottò in un “No!”

Emi annuì e confermò “Sì, invece”.

“Che idiota” commentò il ragazzo, abbandonandosi contro lo schienale della sedia.

Emi si strinse nelle spalle e sentenziò, pratica “Alla fine, per quanto mi abbia devastata, è andata bene così. Almeno si è rivelato per lo stronzo che era”.

“Senza ombra di dubbio” convenne Nick.

“Certo è che la mia stima per il genere maschile è scesa ai minimi storici” aggiunse lei, tornando al motivo principale per cui aveva raccontato a Nick tutta la storia.

Il ragazzo annuì, ma poi obiettò “Capisco il tuo punto di vista, ma non lo condivido. Non puoi permettere a un singolo coglione di intaccare la reputazione di tutti gli uomini del mondo. Ci sono anche persone per bene, sai?”

Emi sorrise e annuì, a sua volta.

“Oh, lo so” ammise. “So che è pieno di uomini per bene, là fuori. Tom, il marito di mia sorella, è adorabile, e anche Donnie è un uomo affidabile e premuroso. Il fatto è che la vicenda con Derek mi ha fatto realizzare che avevo sempre dato priorità a lui. Anche se ero una discreta studentessa e ottenevo buoni risultati, quello notoriamente bravo negli studi era lui. Era lui che aveva ottenuto una borsa di studio per Princeton, mentre io, che desideravo studiare arte e spettacolo a Los Angeles, non ci avevo nemmeno provato perché sarei stata troppo lontana da lui e sapevo che non era quello che la gente si aspettava da me. Per permettere a lui di brillare, non mi sono mai permessa di farlo io e, quando la nostra storia è finita, mi sono promessa che non avrei mai più permesso a un uomo di condizionarmi la vita. Per questo non voglio più avere una relazione. Anche il migliore degli uomini mi condizionerebbe perché dovrei in qualche modo adattarmi a lui”.

Nick scosse la testa.

“Non è vero,” dissentì “o, meglio, non del tutto. Sì, in una relazione bisogna venirsi incontro, ma non devi essere solo tu ad adattarti a lui, dev’essere una cosa reciproca”.

Emi si lasciò sfuggire una risatina, mentre commentava “Qualcuno avrebbe dovuto dirlo a Derek”.

Anche Nick rise, prima di sentenziare “Non credo avrebbe fatto alcuna differenza. Da quello che mi hai raccontato, era un coglione fatto e finito”.

La ragazza scoppiò a ridere, al suo commento, e concordò “Già”.

Nick bevve un sorso di vino e aspettò che Emi avesse finito le sue tagliatelle, prima di domandarle “E io?”

“Tu cosa?” chiese lei, sorpresa, guardandolo con gli occhi spalancati e fermando a mezz’aria la mano con cui si stava portando il bicchiere alle labbra.

Nick sospirò, prima di spiegare “Hai detto che ci sono degli uomini per bene. Credi che io ne faccia parte?”

Emi non rispose subito, restò a fissare Nick con espressione concentrata, e il ragazzo iniziò a pentirsi di averle fatto quella domanda.

Cos’avrebbe fatto se lei gli avesse risposto di no? Sarebbe stata una bella mazzata.

La ragazza, però, sorrise e posò il bicchiere sul tavolo senza aver bevuto. Poi, senza smettere di guardare Nick negli occhi, dichiarò “Non ti conosco ancora abbastanza da poter esprimere un giudizio, ma devo ammettere che quello che ho visto fin’ora mi piace”.

Nick sorrise, soddisfatto, e annunciò “Mi impegnerò perchè, conoscendomi meglio, la tua opinione su di me non cambi, allora”.

⁓ * ⁓

Quando, una settimana dopo, arrivò per Nick il momento di tornare a Los Angeles, Emi poteva affermare con sicurezza che, non solo la sua opinione su di lui non era cambiata, ma ora aveva abbastanza elementi per giudicare e dichiarare, quindi, che Nick rientrava di diritto nella categoria degli uomini per bene. Anzi, stava velocemente scalando la classifica per aggiudicarsi il primo posto.

Si erano visti praticamente tutte le sere. Di giorno, mentre Emi lavorava, Nick aveva i suoi incontri con gli autori e i produttori. Poi andava a prenderla al locale e passavano il resto del tempo insieme, andando a cena fuori, o al cinema a vedere l’ultimo Final Destination, che fece schifo a entrambi.

Emi stava bene con Nick, il ragazzo riusciva a metterla suo agio e la sensazione di conoscerlo da una vita diventava sempre più forte. 

Ormai potevano dire di essere diventati buoni amici, con un sacco di cose in comune che li legavano.

Dopo quella prima sera, al ristorante, i due ragazzi si erano aperti l’uno con l’altra, confidandosi cose che non avevano mai detto a nessuno.

Emi aveva raccontato a Nick di come avesse dovuto vedere un terapista per anni, dopo l’operazione, per accettare che la sua vita non avrebbe più percorso la strada che aveva sempre immaginato fin da bambina, mentre Nick le aveva confessato che, secondo la sua di terapista, il matrimonio disastroso dei suoi genitori stava alla base della sua apparente incapacità di impegnarsi stabilmente con qualcuno, che lo portava a rifiutare le responsabilità, com’era successo anche con la sua ultima fidanzata. Non appena lei aveva tentato di incastrarlo strappandogli una proposta di matrimonio, lui se l’era data a gambe, dapprima suggerendole di prendersi un periodo di pausa ma, poi, finendo per spingerla a troncare la relazione facendosi fotografare in giro in atteggiamenti intimi con altre ragazze.

“Non ci sono andato a letto,” si era giustificato “volevo solo convincerla del fatto che non ero abbastanza per lei e che si meritava di meglio”.

“Forse non eri quello giusto per lei, ma smetti di dire che non sei abbastanza” l’aveva rimproverato Emi.

Nick aveva alzato le spalle, osservando “Non mi sono mai sentito abbastanza in tutta la mia vita”.

Spiazzata da quella rivelazione, che cozzava con l’immagine spavalda e sicura di sé che Nick vendeva ai media, Emi gli aveva posato una mano sulla spalla e aveva tentato di rassicurarlo “Lo sei, invece, sei abbastanza. E sono certa che un giorno troverai qualcuno che ti apprezzerà esattamente per quello che sei”.

Come te, aveva pensato Nick, quasi commosso dalle premure dell’amica. Tu mi apprezzi per come sono.

Sì perché, anche se tutto era partito come una sorta di distrazione, senza intenzioni serie, e anche se non avrebbe mai creduto che potesse accadere, anzi, aveva promesso a se stesso che non avrebbe permesso che accadesse, dato che Emi era stata molto chiara riguardo quello che si aspettava dal loro rapporto, la verità era che Nick stava iniziando a provare qualcosa per lei e, per quanto si sforzasse, sembrava non essere in grado di combattere quel sentimento.

Anche Emi, dal canto suo, si era accorta di essersi affezionata molto a Nick e, più si frequentavano, più l’affetto nei confronti del ragazzo cresceva. 

Nick era un bravo ragazzo, ormai Emi l’aveva capito, ma l’idea di potersi affezionare così tanto a qualcuno la spaventava perché non le era mai più successo, dopo la storia con Derek. Certo, aveva anche lei svariati amici, e voleva molto bene a Donnie, ma non le era mai successo di contare le ore che la separavano dal poterlo rivedere di nuovo come, invece, le succedeva con Nick. 

Di contro, però, stare insieme a lui la faceva stare bene. Con Nick, tutto era molto naturale ed Emi sentiva di poter essere completamente se stessa, senza filtri e, soprattutto, senza quella spiacevole sensazione di doversi adattare a un’altra persona. Nick le piaceva talmente tanto che, forse, pur di non rinunciare alla loro amicizia, sarebbe anche stata disposta a farlo, ma il bello era che non ce n’era bisogno, perché Nick non gliel’aveva mai chiesto ed erano così in sintonia che spesso riuscivano a indovinare cosa stesse pensando l’altro.

Quella sera, dopo cena, i due ragazzi avevano deciso di prendere un gelato e mangiarlo mentre facevano una passeggiata a Central Park. Entrambi adoravano quel posto e volevano approfittare di tutto il tempo possibile da passare insieme, dato che Nick avrebbe dovuto ripartire per la California il mattino seguente. 

“Sai,” le disse Nick, d’un tratto, mentre centrava un cestino dell’immondizia con la cartina del cono che aveva appena finito di mangiare “anche se tecnicamente ho lavorato, questa settimana mi è quasi sembrato di essere in vacanza. Sei tu che mi fai questo effetto?”

Emi rise e si strinse nelle spalle.

“Non lo so,” ammise “ma anche a me è sembrato un po’ come essere in vacanza”. Poi, dopo aver emesso un profondo sospiro, aggiunse “Il che è ottimo, dato che devo aspettare ancora quasi un mese per andare in vacanza davvero”.

“Hai poi deciso dove andare?” le chiese Nick, curioso.

La ragazza scosse la testa.

“Mi piacerebbe andare al mare,” confessò “ma ho un budget limitato e temo di non riuscire a trovare qualcosa di decente alla portata delle mie tasche”.

Nick si fermò di colpo, costringendo anche Emi a smettere di camminare.

“Perché non vieni da me?” le propose, di punto in bianco.

Emi spalancò gli occhi, sorpresa.

“Da te?”

Il ragazzo annuì, sentendo crescere l’eccitazione per quell’idea improvvisa che gli era venuta.

“Sì,” tentò di convincerla “a settembre c’è un clima ideale, in California, te l’ho detto, e io vivo sulla spiaggia, quindi potresti goderti il mare quanto vuoi”.

“Ma…non sei impegnato?” farfugliò Emi, cercando di essere razionale e di non lasciar trasparire quanto l’idea le piacesse.

E non era solo la vacanza in California a intrigarla. Anche se non voleva ammetterlo, la sola prospettiva di passare altro tempo con Nick la riempiva di gioia.

Nick fece no con la testa e dichiarò “Libero come l’aria fino a ottobre”.

Emi sospirò, sforzandosi di ignorare i battiti accelerati del suo cuore, poi alzò lo sguardo su Nick e riuscì a leggere nei suoi occhi azzurri il desiderio e la speranza che lei dicesse di sì.

Gli sorrise e decise che, per una volta, avrebbe ascoltato il suo cuore, senza farsi troppe paranoie. E il suo cuore le stava gridando di andare.

“Okay,” disse “credo che accetterò l’invito”.

Nick le rivolse un sorriso radioso e, per l’ennesima volta, Emi si sciolse, ricordando il motivo per cui aveva una cotta per lui da ragazzina. Quando rideva, ai suoi occhi Nick diventava l’essere umano più affascinante sulla faccia della terra, e non sarebbe mai cambiato.

Mentre era ancora persa in queste considerazioni, si sentì stringere e i suoi piedi si staccarono da terra. Presa alla sprovvista, la ragazza si aggrappò al collo di Nick, che l’aveva abbracciata d’impulso, sulla scia dell’entusiasmo causato dalla sua decisione di trascorrere le vacanze da lui.

Era il contatto fisico più intimo che avessero mai avuto ed entrambi sentirono qualcosa muoversi all’interno dei rispettivi stomaci.

Emi chiuse gli occhi e si riempì le narici del profumo della colonia di Nick, mentre lui constatava che Emi profumava vagamente di caffè, quasi come se ne fosse rimasta impregnata lavorando al locale.

Prima che la situazione diventasse imbarazzante, Nick la rimise a terra e si scusò per il gesto avventato, dicendo “Scusa, mi sono lasciato prendere dall’entusiasmo”.

Emi ridacchiò, per dissimulare l’imbarazzo, e si sistemò i capelli dietro alle orecchie.

“Nessun problema,” lo tranquillizzò “anch’io sono eccitata all’idea di venire in California”.

E di stare con te, aggiunse mentalmente, ma si guardò bene dal dirlo ad alta voce.

“Conoscerai Nacho” annunciò Nick, mentre riprendevano la passeggiata e uscivano dal parco, diretti verso il Conrad Hotel poco distante, dove Nick alloggiava.

“Nacho?” ripeté Emi, confusa.

Nick annuì.

“Sì,” confermò “il mio cane. È un carlino obeso e dispettoso, ma anche estremamente intelligente, e lo adoro”.

“Mi piacciono i cani” dichiarò Emi, sincera “e sono felice di conoscere Nacho. Spero di stargli simpatica”.

“Oh, andrete d’accordo, ne sono sicuro” sentenziò Nick.

Stavano quasi per raggiungere l’ingresso dell’hotel, dove avrebbero dovuto salutarsi, ed Emi iniziò inconsciamente a camminare più piano, nel vano tentativo di allontanare il momento degli addii. 

Poi, come dal nulla, qualcosa attirò la sua attenzione.

All’angolo della strada che stavano percorrendo, c’era una di quelle macchinette per fare le fototessere. Non se ne vedevano più molte in giro e la ragazza si domandò come avesse fatto quella a sfuggire all’estinzione.

Senza riflettere, afferrò la mano di Nick e iniziò a trascinarlo in quella direzione, incurante dei lamenti del ragazzo che le chiedeva cosa diavolo le fosse preso.

Arrivati davanti alla scatola, rivolse a Nick un sorriso a trentadue denti e disse “Facciamoci delle foto. Saranno il ricordo di questa vacanza-non-vacanza a New York”.

Nick la guardò con tanto d’occhi, chiedendosi se stesse scherzando, poi le fece notare “Ci siamo fatti un sacco di foto con il cellulare e sono sicuramente migliori di queste”.

Emi scosse la testa e fece un gesto spazientito con la mano.

“Lo so,” concordò “ma adoravo farmi le foto in queste macchinette con le amiche, da ragazzina, perché facevamo facce buffe e inevitabilmente a qualcuna veniva tagliata mezza testa o il mento. È divertente. E poi non sei un ragazzino cresciuto negli anni Novanta, scusa?”

“Okay, okay” cedette Nick, alzando le mani in segno di resa. “Facciamoci le foto”.

Entrarono nella macchinetta e si sistemarono come meglio riuscirono nello spazio angusto a disposizione. Nick fece sedere Emi sullo sgabello e si mise dietro di lei, cingendole la vita con le braccia e appoggiando il mento sulla spalla della ragazza. 

Inserirono la banconota e attesero il segnale che annunciava l’inizio degli scatti.

“Facce buffe, mi raccomando” gli ricordò Emi, facendogli l’occhiolino.

Nick rise e annuì e la macchina scattò la prima foto proprio in quel momento.

Ne fecero altre, con la lingua di fuori e gli occhi strabici, poi uscirono e restarono in attesa della stampa.

Quando, finalmente, Emi ritirò la fila di foto, Nick si sporse da sopra la sua spalla per vedere e scoppiò a ridere.

“Buffe, vero?” disse lei, osservandole attentamente.

Nick fece sì con la testa, poi ne indicò una, la prima che avevano scattato, dove lui stava ridendo ed Emi aveva il viso girato verso di lui per rimproverarlo.

“In questa sembri una fan in adorazione del suo idolo” commentò, ironico.

“Scemo” lo sgridò lei, tirandogli una pacca sul braccio, ma poi scoppiò a ridere e concordò “Però hai ragione”.

Si avviarono nuovamente verso l’hotel e stavano ancora ridendo quando si fermarono.

“Quindi…” esordì Nick, improvvisamente in imbarazzo.

“Quindi…” ripeté Emi, distogliendo lo sguardo dal ragazzo, per non doverlo guardare negli occhi. A volte aveva la sensazione che Nick riuscisse a leggerle dentro e la cosa la metteva a disagio. Non voleva che sapesse quanto le dispiaceva che se ne andasse.

“Ti chiamo quando arrivo a casa” disse lui, per riempire quel silenzio imbarazzante.

Emi annuì.

“Okay. Io intanto cerco un volo per Los Angeles e ti faccio sapere quando posso arrivare”.

“Perfetto,” convenne Nick “così posso venire a prenderti all’aeroporto”.

“Non ce n’è bisogno,” obiettò lei “se mi dai l’indirizzo, posso prendere un taxi”.

Nick scosse la testa.

“Neanche per idea,” insistette “mi fa piacere”.

Emi gli sorrise, poi abbassò lo sguardo sulle foto che ancora teneva in mano. Le piegò con attenzione lungo la linea di divisione e le strappò a metà, così che ne restassero due per parte. Rifletté un istante, poi porse a Nick quelle dove facevano la linguaccia e dove lui tentava di farle le corna in testa, tenendo per sè quella con gli occhi incrociati e, soprattutto, quella dove lei sembrava una fan adorante in estasi di fronte al sorriso radioso di Nick.

“Tieni,” gli disse “per strapparti una risata in attesa di farne altre quando verrò da te”.

“Grazie,” rispose Nick “ma sai che non so nemmeno se a LA ci siano ancora macchinette di quel tipo?”

“Cercale,” lo spronò lei “hai circa un mese di tempo. Datti da fare, Carter”.

Nick scoppiò a ridere e la ragazza gli fece compagnia.

Poi, inaspettatamente, gli mise una mano sul braccio, si alzò in punta di piedi e si sporse a dargli un bacio sulla guancia, che lasciò Nick completamente spiazzato.

“Ciao, Nick, fai buon viaggio. Ci vediamo presto” lo salutò.

Con il cuore che gli batteva forte, Nick dovette deglutire un paio di volte prima di riuscire a ribattere e quando lo fece, si trovò a farfugliare “Ciao, Emi. A presto”. 

Dopo avergli rivolto un ultimo sorriso, la ragazza si allontanò, diretta alla fermata della metro che l’avrebbe riportata a casa. 

Nick restò impalato davanti all’ingresso dell’hotel, osservandola allontanarsi, e pregando che quelle settimane che lo separavano dal viaggio di Emi in California passassero il più velocemente possibile. Poi, quando ormai la sagoma della ragazza non era altro che un puntino lontano, prese il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans e vi ripose le foto che Emi gli aveva dato, avendo cura di non rovinarle.

Aveva mille foto con lei nella memoria del suo cellulare, ma quelle sarebbero sempre state speciali perché gli avrebbero ricordato quella calda sera d’estate a New York, quando si era accorto, forse per la prima volta, che si stava innamorando di Emi.

  
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