Anime & Manga > Dai la grande avventura/Dragon Quest
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Autore: DDaniele    29/09/2022    0 recensioni
Dopo aver sconfitto il Re Oscuro Vearn, Dai lascia la terra sulla quale ha ristabilito la pace. Dieci anni dopo, tuttavia, una nuova calamità si abbatte sul regno di Teran. L'eroe tornerà per proteggere la pace?
Disclaimer importante: la serie si concentra sulla relazione amorosa che si instaura tra Dai e Pop. Siccome l'ambientazione è spostata in avanti di dieci anni, i due protagonisti hanno rispettivamente ventidue e ventisei anni, dunque sono personaggi adulti a tutti gli effetti.
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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   «… e fu così che Dai, l’eroe, sconfisse il Grande Re Oscuro Vearn» dissi concludendo trionfalmente il mio racconto. Un silenzio carico di entusiasmo e ammirazione scese sulla comitiva riunita intorno al fuoco del bivacco. Un bimbo di circa sei o sette anni, le braccia e le gambe cicciottelle che uscivano da una veste sgualcita coperta da una cotta giocattolo, balzò giù dalla cassa di legno su cui era seduto e gridò: «Viva Dai, il Cavaliere Drago!» brandendo una spadina in terracotta verso il cielo. Un secondo bambino si riscosse dal grembo della madre che lo aveva coccolato sino ad allora, prese il suo scudo di latta e si piazzò di fronte al compagno. «Facciamo che io ero il Grande Re Oscuro Vearn e tu l’eroe Dai» propose «Non riuscirai mai a battermi, Dai. Ti sconfiggerò e spazzerò via il mondo della superficie» lo intimò entrando subito nella parte. Il primo bambino cominciò il duello tirando un fendente con la sua piccola spada, un colpo che l’amico parò facilmente con lo scudo. «Contrattaccherò con i miei superpoteri, il doppio sigillo dei draghi!» annunciò l’altro e contrasse i pugni fingendo che avesse su di essi, come lo aveva Dai, il disegno di una doppia testa di drago. La madre del ragazzino si alzò dalla seggiola su cui si era sistemata assieme al figlio, si riscosse il lungo vestito e il grembiule a frange che indossava e quindi si avvicinò ai bimbi, raccomandandosi che non si facessero male. Un soldato che trasportava un grosso sacco di detriti posò il suo carico a terra e si mise dietro al ragazzino guerriero, dandogli consigli sulla postura da assumere e i colpi da eseguire. L’atmosfera di spensieratezza e allegria che avevo contribuito a ristabilire, almeno sino alla prossima emergenza, mi rasserenò.

   Un anziano si staccò dal cerchio intorno al fuoco per venire al centro dove mi trovavo e mi chiese: «Come avete fatto voi del Gruppo dell’Eroe a sconfiggere il castello semovente che attaccò il convegno mondiale di re e regine a Papnica? All’epoca servivo nell’esercito. Ero un soldato semplice, e sparai contro l’edificio mobile con uno dei cannoni, una tecnologia bellica all’avanguardia che ancora oggi rimane insuperata. Tuttavia, la nostra offensiva fu un fiasco e il comandante ordinò la ritirata. Mi rifugiai insieme ai miei superiori e al resto dei miei commilitoni presso una caserma su un promontorio vicino. Provai a osservare la battaglia che combatteste contro il Castello stesso, che si muoveva come se avesse preso vita, ma da quella distanza non riuscii a seguire lo svolgersi dello scontro. Ho sentito discutere di tante teorie su quello che successe quel giorno, supposizioni che la gente del posto formulava e che, con il passaparola, venivano ingigantite diventando vere e proprie leggende metropolitane. Io non credetti a nessuna di loro. Ma ora che incontro un membro del Gruppo dell’Eroe, posso chiedertelo direttamente: come avete fatto?»

   Sorrisi sornione a quella domanda, che mi permetteva di narrare un’altra affascinante storia. «Dai distrusse il castello usando la sua nuova arma, la Spada di Dai. È quella che si trova conficcata nella stele che commemora la fine della guerra contro Vearn, l’hai presente? Sul limitare del lago, oltre il bosco» al cenno d’assenso dell’uomo, proseguii a parlare: «Quella è una spada realizzata in oricalco. Lon Berk, il demone, il più grande armaiolo che sia mai esistito, l’ha creata appositamente per Dai. Il giorno in cui gli sgherri di Vearn attaccarono pilotando il loro stesso quartier generale, Dai lo fece letteralmente a pezzi con pochi fendenti. E bada bene che quello fu solo un test di prova» dissi ridendo brevemente, perché quella spiegazione sembrava una spacconata perfino più improbabile delle leggende metropolitane che circolavano a proposito; eppure, le cose andarono esattamente così. Proseguii il racconto e quando ebbi terminato ascoltai l’anziano, che mi parlò dei numerosi aneddoti e miti che gli erano stati riportati sul conto di Dai. Lo lasciai parlare, e nel mentre mi si avvicinò una ragazza.

   Questa aveva un viso assai minuto e una pelle soda e perfetta, con occhi di un marrone scuro la cui profondità rivelava una viva intelligenza. Dai suoi floridi lineamenti dedussi che avesse all’incirca venticinque o ventisei anni, dunque doveva essere pressappoco una mia coetanea. Ai lobi, piccoli e perfettamente modellati, portava due graziosi orecchini in madreperla, le cui due sferette bianche brillavano lucide nel buio della notte. Si mosse verso di me con passi svelti e brevi facendo attenzione a non disturbare l’anziano uomo nel suo discorso. Notai che la fanciulla calzava ai piedi dei sandali dai sottili lacci in pelle che mettevano in risalto le caviglie esili e dalla carnagione chiara. Mi si rivolse con una voce timida ma che risuonò limpida e chiara: «Grazie per quello che fate, aiutando la popolazione del villaggio a sopravvivere agli smottamenti e ai crolli delle case. La sera, vi adoperate anche per tenere alto il morale dei paesani. Noi tutti vi siamo riconoscenti.» La sua gentilezza mi emozionò. Sentii come una vampata di calore e risi imbarazzato. La ragazza ridacchiò di rimando. Un tempo avrei flirtato con lei. Per la sua bellezza e cordialità era proprio il mio tipo. Tuttavia, al pensiero di trascorrere la notte con lei la gola mi si chiuse in un groppo. Come ormai era diventata un’abitudine, la mia mente corse a Dai e non me la sentii di corteggiarla. Scambiai con lei alcune frasi di circostanza finché non andò via.

   Turbato, mi congedai dall’anziano e mi diressi verso le cucine. Si trattava di una zona, posta al limitare del bivacco, dove i soldati inviati dai paesi limitrofi in soccorso agli sfollati distribuivano razioni e beni di prima necessità. Per svolgere il loro compito, essi avevano montato una tenda con cucina e fuori di essa si trovava la proprietaria della vecchia locanda del villaggio, una donna corpulenta dai modi bruschi ma dalle grandi doti gastronomiche, che dopo aver perso il suo locale si era proposta come volontaria per sfamare i bisognosi. Per far questo, aveva allestito un bancone dietro cui gli avventori si sedevano e dall’altra parte del quale la donna teneva un calderone, sotto cui il fuoco era perennemente accesso, e da lì prendeva il cibo che offriva alle persone. Quando mi avvicinai, un ragazzo liberò una sedia su cui si era sistemato e mi invitò ad accomodarmi. Normalmente avrei rifiutato la cortesia, ma quella sera mi sentivo veramente esausto, dunque accettai la gentilezza e mi sedetti. La cuciniera mi sorrise, un trattamento speciale considerata la sua ruvidezza, e mi servì un pasto più sostanzioso rispetto a quello che destinava agli altri: una scodella di brodo con pastina e pezzetti di lardo (era questo il cibo che i paesani ricevevano di solito), una pagnotta fragrante scavata della mollica e farcita con pancetta croccante, un bicchiere di latte e una pinta di vino speziato al miele. Ringraziai la donna per il riguardo che mi usò e feci onore alla tavola. Assaporai il grasso contenuto nella minestra e la ricca pastosità del vino. Dopo aver finito, mi sentii satollo e rilassato. Inoltre, avvertii le mie energie magiche ricaricarsi un poco.

   Mi voltai sulla seggiola e osservai il luogo in cui mi trovavo, mosso da una sensazione di soddisfazione e un leggero tepore indotti dall’abbondante cena. Davanti a me si stendeva una radura pianeggiante che si apriva al centro esatto di un boschetto. In essa, gli abitanti del villaggio di Teran, nell’omonimo regno ormai decaduto, avevano creato una tendopoli dove rifugiarsi, dopo che i continui terremoti degli ultimi tempi avevano fatto crollare buona parte della cittadina originaria. Il centro d’accoglienza era stato disposto secondo una struttura a cerchio: al centro un’area circolare adibita a bivacco, in cui la popolazione si riuniva per le attività comuni; nella parte mediana erano state montate le tende che fungevano da abitazioni provvisorie per gli sfollati; nella sezione più esterna si era insediato il contingente di soldati inviati dai re e regine delle nazioni adiacenti per alleviare le sofferenze della gente del posto. Io appartenevo al gruppo di supporto inviato dalla Regina Leona, monarca di Papnica.

   D’improvviso la terra sussultò. Mi alzai di scatto dalla sedia e gridai rivolgendomi ai paesani: «Rimanete nella radura!» dissi in modo tale che essi, restando sul terreno sgombro da costruzioni in muratura, rimanessero al sicuro da eventuali crolli. Io invece estrassi il bastone magico dalla mia cintura e sfrecciai attraverso la tendopoli e il bosco, diretto al villaggio per aiutare a contenere i danni. Giunto al limitare della zona abitata, soggiunsero anche Maam, Hyunckel, Crocodine e Chū. Anch’essi, come me, erano stati inviati da Leona ad aiutare la gente di Teran ma ciascuno di noi era stato assegnato a tendopoli diverse per fare in modo che la sovrana avesse almeno una persona fidata ovunque fosse necessario.

   «Pop» mi chiamò per nome Maam non appena mi scorse «hai le forze per eseguire altre magie?»

   «Certo» risposi sprezzante. In realtà non avevo avuto modo di riposare dopo lo smottamento che si era verificato quella mattina, perché durante il terremoto avevo aiutato a contenere i danni alle costruzioni e alle persone, poi nel pomeriggio e nella sera, quando avrei dovuto dormire per ricaricare le energie magiche, avevo spostato i detriti insieme ai soldati e avevo fatto da cantastorie per alleviare le preoccupazioni dei locali. Tuttavia, finsi di sentirmi pronto a usare gli incantesimi per evitare che i miei compagni si preoccupassero e, soprattutto, che Maam non mi rimproverasse per la mia sventatezza. Per fortuna, mi credettero. Ci rivolgemmo un cenno d’assenso con la testa ed entrammo nella cittadina.

   Una volta nella zona edificata ci separammo prendendo la formazione che avevamo convenuto. Hyunckel e Crocodine precedettero il gruppo premurandosi di individuare muri e intere costruzioni a rischio di crollo; con il loro alto potere distruttivo, essi erano in grado di distruggere gli edifici mentre questi erano ancora in aria, evitando che colpissero accidentalmente gli abitanti che non erano stati ancora evacuati e i soldati stazionati sul posto. Mentre loro due procedevano a mo’ di avanguardia, io e Maam ci occupavamo delle operazioni di fino occupandoci dei nuovi crolli. Nello specifico, soccorrevamo i feriti. Quando accidentalmente qualcuno rimaneva sepolto dai detriti, Maam lo liberava dalle macerie a mani nude, mentre io facevo altrettanto usando un incantesimo antigravitazionale. Infine, Chū si dirigeva verso il bosco per soccorrere  animali e mostri spaventati.

   Mentre io e Maam correvamo per le strade della cittadina, la terra si scosse violentemente con un movimento sussultorio. Lo smottamento fu talmente forte che vedemmo quasi il terreno capovolgersi.

   «Qualcosa non va. I terremoti si fanno sempre più frequenti e intensi. Inoltre quando finiscono non ci sono scosse d’assestamento, meno prolungate e violente dello smottamento principale. Iniziano e si fermano come di colpo. Non è naturale» osservò Maam. I sismologi al servizio di Leona e degli altri sovrani concordavano, giungendo alle stesse conclusioni. Feci per aggiungere le mie considerazioni quando un urlo improvviso richiamò la nostra attenzione. Seguimmo la voce dirigendoci verso una strada attigua. Lì vedemmo una donna in piedi davanti all’ingresso della sua casa ostruito da calcinacci da cui ancora si sollevava spessa della polvere.

   «Aiutatemi, mio figlio è rimasto bloccato dentro.»

   Senza esitare, rivolsi il mio bastone magico verso il cumulo di macerie e lanciai il sortilegio antigravitazionale. I detriti si scossero per un momento e poi cominciarono a salire verso l’alto. Per un istante però sentii le energie venir meno e le macerie si fermarono a mezz’aria. Temetti che i mattoni sarebbero piombati a terra di nuovo, invece restarono sospesi in alto. Maam si chinò sotto di essi ed entrò nell’uscio ormai sgombro e tornò portando in braccio un bimbo di due o tre anni. Questi piangeva disperato e allungò le braccine verso la mamma, che lo prese con sé. Questa ci ringraziò e Maam li scortò fino al limitare del villaggio per proteggerli. Quando Maam sparì alla vista, abbassai di schianto i detriti tirando un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. Il terremoto proseguì per ben qualche minuto, durante il quale io e la mia squadra evacuammo una decina di persone.

   Quando l’emergenza rientrò, decidemmo di tornare nelle rispettive tendopoli per riposare. Prima che ciascuno di noi prendesse la propria strada, tuttavia, Maam mi rivolse un’acuta domanda:

   «Pop, sei sicuro di sentirti bene? Ho notato che il tuo incantesimo ha rischiato di interrompersi in un paio d’occasioni. Hai recuperato le energie magiche? Vuoi che ti aiuti io con un incantesimo di guarigione?»

   Mi dispiacque essermi fatto trovare impreparato al momento del bisogno, ma d’altra parte non mi sorpresi per l’arguzia di Maam. Era sempre stata molto perspicace, ed era una delle sue qualità che più mi piaceva in lei.

   «Puoi curarmi tu? Sarebbe molto più veloce» dissi con una punta di imbarazzo nella voce, sentendomi come un bambino che si è fatto pizzicare dalla mamma mentre combinava una marachella e ora si prendeva una bella tirata d’orecchie.

   Maam mi si avvicinò e pose le mani all’altezza del mio petto. Socchiuse gli occhi per concentrarsi, mormorò una formula magica e dai suoi palmi fuoriuscì una luce dorata che mi avvolse. Avvertii un senso di protezione che mi riportò alla mente ricordi nostalgici. Ritornai a qualche anno addietro, quando io e Maam, dopo che Dai se ne fu andato, ci sposammo e andammo a vivere insieme in una casina piccola ma confortevole adiacente a un laghetto con i cigni, la realizzazione del sogno di tutti gli innamorati. Conducemmo un’esistenza scandita da una confortante routine: la mattina ci svegliavamo prima dell’alba per allenarci, Maam sul retro della casa mentre io sul ciglio del lago; nella tarda mattinata svolgevamo qualche lavoretto per racimolare un piccolo gruzzolo per il nostro sostentamento; a metà giornata, ci rincontravamo nel nostro nido per mangiare; il pomeriggio e la sera ci godevamo la presenza l’uno dell’altra. Fu un periodo incantevole della mia vita, mi sentii felice come se avessi ricevuto dal cielo un’autentica benedizione divina, ma purtroppo il sogno non durò a lungo.

   Un giorno, qualcosa in me cambiò. Ero tornato a casa dopo aver dato lezioni di magia al rampollo di un signorotto locale. Maam stava per rientrare – in quel periodo aveva trovato lavoro come assistente di un maniscalco – e immaginavo sarebbe stata affamata, così mi misi a cucinare per entrambi in attesa del suo ritorno. Presi un arrosto dall’aspetto succulento che aveva acquistato al mercato il giorno prima, lo inserii in forno e accesi la fiamma con una magia. La cucina si riempì subito di un odore delizioso di carne e spezie. Quando il cibo fu quasi pronto, sentii la porta di casa aprirsi e chiudersi seguita da dei passi diretti in cucina. ‘Non vedo l’ora che Dai assaggi questa prelibatezza’, pensai orgoglioso del mio talento gastronomico. Rimasi però scioccato quando a oltrepassare la soglia della camera non fu Dai ma Maam. Avvertii un senso di disagio. All’inizio non compresi perché provai quella sensazione, sapevo solo che mi sentii come deluso di vedere Maam. Poi capii: inconsapevolmente, avevo pensato a Dai. Perché il mio subconscio mi aveva rimandato l’immagine non di Maam, ma di Dai? Non volevo che lei notasse il mio smarrimento, così lo mascherai apparecchiando velocemente la tavola. Ciò nonostante, rimasi turbato da quell’incidente.

   Qualche tempo dopo vissi un’esperienza simile. Mi svegliai nel letto matrimoniale che dividevo con Maam. Ero sdraiato supino, dunque la prima cosa che scorsi fu il soffitto. Mi girai su un lato e vidi davanti a me Maam, che ancora dormiva saporitamente. Caddi preda di un senso di vertigine. Mi staccai da lei con un movimento improvviso e mi alzai dal letto come terrorizzato. Fuggii dalla stanza chiudendomi la porta alle spalle. Mi portai le mani agli occhi e, nell’oscurità generata dai miei palmi, vidi l’immagine di Dai. Non era la figura del Dai che conoscevo. Lui se ne andò che aveva dodici anni, dunque era bassino di statura e aveva il viso di un bimbo, con solo i muscoli di braccia e gambe a suggerire il corpo di un guerriero nel pieno dello sviluppo. Nella mia mente, Dai aveva preso invece l’aspetto che avrebbe dovuto avere se fosse cresciuto, era quindi un ventiduenne dal corpo slanciato, probabilmente più alto di me, e dai muscoli guizzanti. Soprattutto il suo viso era cambiato: le guance erano ora incavate come quelle di un adulto, non aveva più dunque le guance morbide del bambino che era stato. Gli occhi si erano fatti profondi come a suggerire una maggiore maturità, come pure faceva la fronte, diventata ora più ampia. Del Dai dodicenne rimaneva la cicatrice a X sulla destra del suo viso e i folti capelli neri a punta. Ossessionato da quell’immagine, scappai da casa e restai via per tutto il giorno. Al ritorno, Maam mi aspettava fuori preoccupata.

   Tentai di scacciare la figura di Dai dai miei pensieri. Provai in vari modi. Presi a fare più sesso con Maam, in maniera tale da imprimermi lei, lei che era mia moglie, al posto di lui. Presi a seguire con fanatismo quasi religioso la routine che seguivo con Maam. Provai a convincermi che essere ossessionato dall’immagine di Dai non significasse nulla. Per raggiungere questo obiettivo, mi ripetei fino alla nausea che sentivo la mancanza di Dai come quella di un amico. Dopo tutto, eravamo stati compagni di viaggio da quando Dai lasciò l’isola di Dermline fino a quando sconfisse Vearn. Chiunque avrebbe sofferto per l’assenza del proprio migliore amico. Per un breve tempo i miei tentativi sembrarono dare frutti.

   Poco tempo dopo, però, ebbi una nuova ricaduta, talmente violenta che distrusse definitivamente il mondo mio e di Maam. Una sera eravamo a letto. Mi portai sopra di lei e ci spogliammo, pronti a fare l’amore. Maam intrecciò le braccia intorno alla mia schiena nuda. Non appena avvertii il tocco di lei sulla mia pelle, mi sentii gelare. Mi balenò alla mente la visione di Dai, ora adulto, che si trovava a letto con Leona. Si trovava sopra di lei, e la moglie pose le sue mani sulla schiena nuda di lui. Vidi Dai penetrare in lei con forza mentre Leona, ebbra di piacere, gemeva e affondava le unghie nella schiena del marito. Mi riscossi e, senza dire una parola, mi rivestii e fuggii una seconda volta da quella casa. Maam mi corse dietro chiamando il mio nome, ma invano.

   Ormai non potevo più negare l’evidenza: ero innamorato di Dai, il mio migliore amico che non faceva più parte di questo mondo. Mi separai da Maam e tornai a vivere da solo. Lei meritava di avere al suo fianco qualcuno che la amasse. Ci mantenemmo tuttavia in buoni rapporti, ristabilendo la nostra vecchia amicizia.

   Ripensai a quanto era successo tra noi mentre Maam mi avvolgeva, protettiva, nel suo incantesimo guaritore. Provai per lei un moto di tenerezza. D’altronde, rimaneva pur sempre il mio primo amore. La ringraziai con voce morbida. Dopodiché, mi separai da lei e gli altri. Ora che mi ero ripreso grazie alla magia non avevo più bisogno di dormire, sebbene fosse ormai notte fonda. Non sentendomi stanco, decisi di visitare la stele celebrativa di Dai.

   Attraversai il bosco giungendo a una piccola radura, al cui centro si trovava un lago. Il piccolo specchio d’acqua celava sotto la superficie l’ingresso al Santuario dei Cavalieri Drago e, sopra la superficie dell’acqua, si estendeva una passerella che conduceva al centro del lago dove si ergeva un altare dedicato agli stessi Cavalieri. In tempi remoti, il lago di Teran era stato il centro del culto tributato ai Cavalieri, esseri superiori creati dagli dèi per preservare la pace tra le tre specie che abitavano il pianeta: umani, demoni e dragoni. In passato la comunità umana li venerava, ma ormai, accecata da un crescente senso di egoismo, non li onorava più, considerandoli delle figure liminali in grado, con i loro straordinari poteri, di seminare morte e distruzione, e non di unirsi alle persone comuni per proteggerle. Dai aveva subito delle discriminazioni alimentate proprio da una tale paura e, rattristato di non avere un posto al mondo e preoccupato di generare discordia, aveva deciso di seguire la Madre dei Draghi volando con lei sino a una dimensione oltre le nuvole. Dopo che Dai abbandonò il mondo, io e gli altri, i rimanenti membri del Gruppo dell’Eroe, conservammo la Spada di Dai presso una stele commemorativa che innalzammo sul limitare del lago, in modo da ricollegare la memoria della vita di Dai al culto dei Cavalieri Drago ormai pressoché estinto.

   Mi diressi verso la stele. Intendevo trascorrere la notte a rivangare il passato rivivendo i ricordi che mi rimanevano di Dai, quando vidi che davanti al piccolo monumento si trovava già Lem, un bambino del luogo. Mi avvicinai sedendomi accanto a lui. Lem mi salutò silenziosamente con un cenno della testa continuando a sistemare i fiori colorati che adornavano la stele e a lucidare la Spada di Dai incastonata nel basamento di pietra come una spada nella roccia. La gemma rossa montata al termine dell’elsa emanava bagliori nella notte. Mi godetti per alcuni minuti la delicata brezza che soffiava sulla radura chinando lievemente la punta degli alberi circostanti. Inspirai profondamente e mi liberai delle preoccupazioni che mi avevano attanagliato durante la giornata.

   Rasserenato, mi volsi verso Lem, indaffarato presso la stele. Lui era un bambino di circa dieci anni con un viso di forma triangolare e una breve cicatrice sulla guancia sinistra simile a un’onda marina. Inoltre, il suo volto era disseminato da tante minute lentiggini rosse che gli conferivano numerosi punti di colore e nell’insieme suggerivano un’impressione di vispa intelligenza e simpatia. Aveva un naso sottile e aristocratico e rotondi occhi blu. Sulla cima della testa gli crescevano folti degli spessi capelli rossi a punta, che Lem portava legati con un diadema da guerriero sistemato all’attaccatura. Era piuttosto basso di statura ma aveva spalle larghe e braccia e gambe muscolose, come quelle di un giovane combattente. Come vestiti, indossava maglia e pantaloni di un verde erbaceo simile al mio, una cintura e scarponi neri.

   Dopo che ebbe terminato di pulire la stele, Lem prese da un piccolo zainetto in pelle che aveva sistemato sul terreno alla sua sinistra un foglio da disegno insieme a dei pastelli colorati. Sempre senza dire una parola, si sporse sulla base del monumento e cominciò a disegnare. Con dei tratti decisi rese il corpo di un bambino o un ragazzo di forse un paio d’anni più grande di lui, poi vi aggiunse folti capelli a punta neri, un diadema dorato da guerriero, colorò la sua veste di blu e infine gli disegnò in mano una spada simile a quella della stele: in breve, aveva disegnato Dai.

   «Lo hai disegnato molto bene. Somiglia davvero a Dai» dissi con ammirazione rompendo il silenzio. Cercai di non farlo trasparire dal mio tono di voce, ma ero genuinamente meravigliato e un poco turbato dal fatto che Lem sapesse esattamente che aspetto avesse Dai. Lem non lo aveva mai incontrato e nessuno aveva ritratto Dai o comunque divulgato una raffigurazione accurata del suo aspetto. Le molte persone che sapevano di lui soltanto per il tramite di notizie e miti non lo avevano mai incontrato di persona, così avevano cominciato a modificare gli eventi creando non solo delle leggende su di lui ma inventando anche descrizioni del suo aspetto che per molti versi cozzavano tra di loro: di conseguenza, Dai somigliava stando ad alcuni a un gnomo dal viso butterato con le braccia innaturalmente grandi che protendevano direttamente dal suo corpo senza agganciarsi alle spalle; secondo qualcun altro, invece, Dai era un adulto alto due metri con un volto etereo privo di difetti dal quale emanava un’accecante luce divina. Ovviamente, nessuna delle due versioni era corretta, essendo esse frutto della fantasia di chi parlava. Nonostante questo, Lem conosceva esattamente l’aspetto di Dai.

   «Ti ha detto Nabara che aspetto aveva Dai?»

   «Sì, ma non è solo per quello. Ho come dei ricordi di lui nella mente, che non so a quando risalgono. Inoltre mi è apparso in alcune visioni dove è più grande.»

   La sua spiegazione si rifaceva al mistero che aleggiava attorno a lui. Al villaggio nessuno sapeva chi fossero i suoi genitori: un giorno Nabara, l’anziana veggente che ancora onorava il culto dei Cavalieri Drago, si recò presso l’altare al centro del lago di Teran per svolgervi una cerimonia quando, con sua grande sorpresa, trovò sopra di esso un neonato in fasce. La vecchina lo prese con sé portandolo al villaggio per cercare di rintracciare i suoi genitori, ma invano. La gente del posto inviò anche notizie presso i centri vicini per individuare i genitori, ma nessuno reclamò il bambino. Molti credettero quindi che il neonato fosse stato abbandonato da dei genitori troppo indigenti per prendersi cura di una terza bocca da sfamare. Tuttavia, Nabara preferì vedere nel bambino un miracolo inviato dalla Madre Drago, forse un nuovo Cavaliere, e così decise di prenderlo con sé. Gli diede un nome, Lem, e già in tenera età gli trasmise tutto il suo sapere circa i Cavalieri Drago. Crescendo, Lem accettò il collegamento che Nabara aveva supposto esistesse tra lui e la Madre Drago e onorò il culto dei Cavalieri, prendendosi l’onere di proseguire il cerimoniale una volta che Nabara sarebbe passata a miglior vita. D’altro canto, tuttavia, alcuni paesani considerarono il ritrovamento miracoloso di Lem come un oscuro presagio e presero a calunniarlo additandolo come un portatore di morte e distruzione, in maniera simile a come avevano fatto a suo tempo con Dai. Quando iniziarono i terremoti, delle persone videro Lem come diretto responsabile e la rabbia che covavano contro di lui si fece così grande che esplose, portando alcuni villeggianti ad attaccarlo fisicamente in un paio d’occasioni. Lem non vi badò, ma non voleva essere causa di discordia, così si allontanò dal centro abitato e continuò a pregare i Cavalieri Drago affinché ponessero fine a quella sequenza di smottamenti.

   Onestamente non sapevo se credere alla teoria formulata da Nabara. Da una parte, ero reticente nell’accettare la possibilità che la Madre Drago avesse inviato sulla Terra un nuovo Cavaliere, perché questo avrebbe significato che Dai era stato definitivamente rimpiazzato. D’altro canto, tuttavia, avere un Cavaliere di nuova generazione avrebbe voluto dire che il mondo avrebbe avuto ancora un difensore. Sotto un aspetto più egoistico, le gesta del nostro Gruppo dell’Eroe avrebbero costituito un’eredità da trasmettere ai nostri successori, altrimenti il ricordo delle nostre imprese sarebbe caduto nell’oblio. Inoltre, osservando Lem era difficile negare un legame con Dai: entrambi avevano un fisico simile e folti capelli. Cambiavano i colori associati, nero per i capelli e blu per i vestiti di Dai e rosso per i capelli e verde per i vestiti di Lem, ma altrimenti la somiglianza tra i due era evidente. Tra l’altro, somigliava anche a me perché indossava sempre il colore verde. A parte questo, trovavo difficile negare che Lem sembrasse un successore di Dai.

   Lem diede gli ultimi ritocchi al disegno di Dai, prese un filo di corda dallo zaino e legò il foglio alla lama della Spada di Dai.

   «Dai, sommo Cavaliere Drago che hai sconfitto il Re Oscuro Vearn, ti scongiuriamo, ritorna sulla Terra e proteggi le tre razze da questi terremoti.» Lem pregò congiungendo i palmi delle mani e volgendo il viso verso il cielo.

   D’improvviso il suolo tremò. Pensai a una nuova scossa, ma mi resi conto che lo smottamento proveniva dal bosco alla mia sinistra. Girandomi verso quella direzione vidi con orrore l’ombra di un essere gigantesco che avanzava verso di noi spostando le chiome degli alberi con delle enormi zampe appuntite. Accanto a me Lem estrasse dallo zaino un piccolo pugnale e si mise in posa di combattimento. Nonostante il suo coraggio, era ancora troppo debole e non potevo esporlo al pericolo. Mi frapposi quindi tra lui e il mostro e sollevai il bastone magico pronto a scagliare un incantesimo di gravità aumentata che avrebbe bloccato il nemico sul posto. Non avevo energie per affrontare un essere che sospettavo, dalle dimensioni, essere estremamente potente, dunque progettai di tenerlo impegnato con il sortilegio e di effettuare con Lem una ritirata strategica per poi riunirmi a Maam, Hyunckel e gli altri. Tuttavia, non riuscii a scagliare alcun sortilegio. Dovevo aver esaurito le energie magiche. Il mostro procedeva a passo innaturalmente veloce per la sua mole e stava per raggiungere la radura.

   D’improvviso cadde dal cielo una colonna di luce. Al suo interno, si stagliò l’ombra di un uomo con ai pugni il doppio sigillo dei draghi.

   
 
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