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Autore: chykopon    29/09/2022    2 recensioni
[ Dal COWT#12: W7, M2 - "Matrimonio" ]
« Hai dato un’occhiata alle proposte del menù? »
La voce di Pierre riecheggia nell’appartamento, mentre il fantasista se ne sta a gambe accavallate, seduto al tavolo della cucina open-space; il fantasista in questa versione estremamente “pantofolara”, pantaloni di flanella al seguito, al di sotto di una normalissima e comunque maglietta bianca, non è qualcosa di inedito per Taro, che dal sofà lo occhieggia per un solo e singolo istante.
Elle-Sid rialza la nuca dagli incarti e foglietti che ne stanno sparpagliati lungo la superficie lignea del mobile senza soluzione di causa, e le iridi azzurre si puntano sull’ultimo terzo del bizzarro trio che al momento occupa il soggiorno: Napoleon è stravaccato nella maniera più sgangherata possibile con le gambe in grembo a Misaki e la capoccia che gli ciondola sul bracciolo nell’angolo più scomodo che un collo abbia mai visto.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Luis Napoleon, Pierre Le Blanc
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: non scrivo nel fandom di Captain Tsubasa da ere geologiche (e pubblico anche qui questa storia con sei onesti mesi di ritardo) questo non significa che io mi sia scordato della mia imperitura otp o che abbia finito di parlare di questi due idioti, quando i plotbunnies abbondano ed abbonderanno sempre.

La storia è ambientata nel "cheekoverse", chi non mi ha mai letto, non saprà di cosa sto parlando, ma vi do giusto due dritte dueddue, per raccapezzarvi meglio: senza tenere conto dei recenti sviluppi made in Taka (?) Pierre, Louis e Taro (così come Michel Ferreri ed Alan Bossi, di cui ci ricordiamo io e gli assistenti di Takahashi che li hanno disegnati) giocano tutti nel Paris St. Germain.

Louis, poi, ha una famiglia, e solo perché io mi sono preso la briga di dargliela, nello specifico: la prima sorella maggiore (di dodici anni) Marie, il marito Paul, il padre Fabrice e la seconda sorella maggiore (di sette anni) Jeanne.
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« Hai dato un’occhiata alle proposte del menù? »

La voce di Pierre riecheggia nell’appartamento, mentre il fantasista se ne sta a gambe accavallate, seduto al tavolo della cucina open-space; il fantasista in questa versione estremamente “pantofolara”, pantaloni di flanella al seguito, al di sotto di una normalissima e comunque maglietta bianca, non è qualcosa di inedito per Taro, che dal sofà lo occhieggia per un solo e singolo istante.

Elle-Sid rialza la nuca dagli incarti e foglietti che ne stanno sparpagliati lungo la superficie lignea del mobile senza soluzione di causa, e le iridi azzurre si puntano sull’ultimo terzo del bizzarro trio che al momento occupa il soggiorno: Napoleon è stravaccato nella maniera più sgangherata possibile con le gambe in grembo a Misaki e la capoccia che gli ciondola sul bracciolo nell’angolo più scomodo che un collo abbia mai visto.

« Non paghiamo il wedding planner proprio per queste cose? »

Louis borbotta scocciato, arriccia le labbra e accartoccia l’intera espressione nella stessa maniera in cui lo farebbe un bambino costipato, l’attenzione tutta rivolta al televisore, mentre si dipanano le vicende dell’ennesima soap-opera di cattivo gusto. Nessuno ha ancora capito cosa ci trovi di interessante il cannoniere, ma forse non è una domanda che chi gli sta attorno vuole porsi.

Gli occhi di Pierre insistono sulla nuca dell’altro francese, con la stessa piccata determinazione che il centrocampista avrebbe nel mezzo di una riunione tecnica, e tutto quello che Taro può fare a quel punto è far saettare le pupille come palline di un flipper tra l’uno e l’altro.

« Sì, » replica Elle-Sid, particolare enfasi sulla sillaba, che gli schiocca direttamente contro il palato, « ma al wedding planner glielo dobbiamo dire noi cosa preferiamo— »

Louis abbassa le palpebre annoiato, ci pensa su il tempo di mezzo secondo e poi sbuffa con tutta la mancanza di galanteria che lo caratterizza; ciondola la nuca, incrocia le braccia al petto e si lascia andare ad un verso gutturale, « Beh, pensaci tu, io non ne capisco niente di queste cose! »

Misaki resta a guardarlo per tutta la frazione di attimo che ne segue, e solo dopo, quasi timoroso, ritorna su Pierre, dall’altro capo della stanza: il fantasista inarca un sopracciglio con elegante flemma, stringe le labbra tra loro in una linea sottile e poi schiocca di nuovo la lingua: « D’accordo ».

Taro deglutisce, perché è tutto fuorché pavido, ma ha imparato da un po’ tutti quei segnali che lo avvertono quanto sia preferibile mettersi ai ripari, perché la già precariamente corta miccia della pazienza di Pierre sta venendo messa a dura a prova.

Non può biasimarlo, d’altronde, Napoleon certe volte sembra fare di tutto per riuscire a dare sui nervi alle persone, ed ancora non comprende se sia un qualche bizzarro divertissement per il centravanti, o semplice e sregolato love language. D’altro canto, non è a lui che deve piacere.

« Louis, » gli fa Taro sottovoce, benché Pierre possa tranquillamente udirlo a meno di tre metri di distanza, mentre gli batte una pacca sullo stinco per richiamarne l’attenzione, « non credi che magari dovresti anche tu— »

« È inutile, » Elle-Sid lo interrompe, la nuca già nuovamente piegata sui fogli tra cui seguita a scartabellare, appuntando cose, cancellandone altre, « sono settimane che provo a chiedergli un parere su qualsiasi cosa che riguardi questo matrimonio, » prosegue il centrocampista con un sospiro che ha dell’arreso, eccezionalità rara, sicché, un po’ come si dice nel dizionario di Napoleone, pure in quello di Pierre pare che la parola “impossibile” non vi sia scritta, « non c’è verso che gliene freghi qualcosa— »

« Non è vero che non me ne frega niente! »

La testa di Napoleon fa capolino dal divano, offeso come lo sarebbe un moccioso colto con le mani nella marmellata e se Misaki non trasale, è solo perché anche a questo ha fatto il callo per forza di cose. Le reazioni assolutamente non moderate di Louis sono all’ordine del giorno, e sono anche tipiche, in fondo, di chi è abituato a vivere la vita a cento all’ora, senza neanche mai pensare a tirare il freno a mano.

« Ah, sì? » replica scettico Elle-Sid, che, pure se a questo giro non si volta a guardarlo, torna ad inarcare quel sopracciglio sinuoso con tutta la sprezzante aria sardonica di cui è capace.

Taro capisce che l’aria rischia di farsi tesa e pesante nel giro di poco, ma forse perché anche lui ha la tendenza ad essere più spericolato di quanto vorrebbe mai ammettere a voce, non si schioda dal divano, e rimane a studiare il singolare stallo alla messicana appena creatosi. Un po’, c’è anche il fatto che le gambe di Napoleon sono ancora stese sulle sue cosce, e il giapponese non è che abbia troppa voglia di farlo ruzzolare giù dal sofà.

Louis resta fermo così com’è, un braccio al di là dello schienale per reggersi nella torsione del busto che lo porta ad occhieggiare dritto e diretto il muso dell’altro, e Pierre, di tutta risposta, rialza il capo per ricambiarne l’attenzione con identica e deliberata scocciatura. Sguardi al fulmicotone che potrebbero produrre scintille, se solo ne fossero logicamente capaci, ma il primo ad assottigliare le palpebre è Napoleon, che con uno sbuffo torna a riaccomodarsi - sempre più sgangherato - in una posa che rassomiglia incredibilmente quella di prima.

Ora c’è silenzio nell’appartamento, interrotto soltanto dal rumore del televisore, almeno finché Taro, deglutito una volta di più, non prende il coraggio a piene mani e tenta - infruttuosamente - di apostrofare una seconda volta l’elefante nella stanza: « Forse potresti almeno dare un’occhiata— »

« Senti, » quando Louis parla di nuovo, Misaki non è sicuro se stia rispondendo a lui, oppure ad Elle-Sid alle loro spalle, ma nel dubbio tace, solo perché a questo punto è curioso di sentire cosa il centravanti abbia da dire, « a me non… interessano tutte quelle cose “frufru” e da società perbene, che neanche conosco, » prosegue, gli occhi che divergono in un punto imprecisato del pavimento, mentre ancora una volta arriccia le labbra con fare piccato, « non ho detto che non mi interessa il matrimonio, » e Taro giura - giura! - che ci sia un vago colorito rosso, neanche troppo tenue, arrivato a colorare le gote del cannoniere, « ma fosse per me, salterei tutta la parte del ricevimento ed arriverei direttamente al punto in cui abbiamo gli anelli al dito e siamo già sposati… »

Misaki sgrana lo sguardo. Se si sforzasse, potrebbe quasi comprendere perché la coppia all’apparenza peggio assortita di tutta la risma di teste matte che conosce, sia anche l’unica che paia destinata a perdurare “finché morte non li separi”; Napoleon ha questo singolare talento - fuori da quello calcistico - che consta nella capacità di riuscire sempre, incontrovertibilmente, a stupire le persone.

Nel bene e nel male.

E se a Taro venisse domandato, probabilmente risponderebbe che sì, è sicuramente un tratto affascinante in una persona, doppiamente, quando i risvolti sono particolarmente romantici come l’implicita dichiarazione d’amore a cui crede di aver appena assitito.

Louis affossa la capoccia nelle spalle e si fa delle stesse dimensioni di un grosso bozzolo, mentre il colorito delle sue guance assume più vigore, « …giurarsi di rimanere assieme per la vita è l’importante, no? »

Misaki sbatte le palpebre per un interminabile secondo, e poi sorride. In un piccolo e neanche troppo remoto angolo della sua testa, confessa a sé stesso di invidiarli un po’: anche a lui piacerebbe una relazione così devota e piena di abnegazione. Ancor di più, poi, quando, voltatosi per occhieggiare la reazione di Pierre, vede il fantasista financo più chino sulle scartoffie, ed il medesimo colorito rosso della faccia di Napoleon colorargli la punta delle orecchie.

 


 

« Louis, per l’amore del cielo— »

Jeanne sospira, accomodata sul divanetto dell’atelier, mentre suo fratello esce per la decima - sedicesima? - volta dal camerino ed attorciglia completamente l’espressione, mentre si rimira allo specchio poco convinto.

« Scegli il completo che ti piace e facciamola finita, » sbotta lei, alzando le braccia al cielo in segno di resa definitiva; contrariamente a come lo stereotipo vuole, la ragazza, esattamente come il suo adorato fratellino, odia i matrimoni ed ancora di più odia lo shopping, « con i soldi che hai non devi neanche stare a guardare il cartellino, no? »

Non è che sua sorella non abbia ragione e non è neanche che Napoleon è ancora legato a certe tipiche e vecchie abitudini dettate dal rapporto fraterno, tale per cui è preferibile la morte all’ammettere di aver torto davanti alla propria sorella maggiore, è solo che una simile constatazione assolutamente sensata, al momento non sa che farsene.

Sarà anche il ventesimo completo che prova, ma non riesce a comprendere la differenza in una sfilza di giacche e pantaloni che a lui appaiono tutti uguali, e che, parlando tra sé e sé, gli stanno tutti egualmente da dio.

« Non è così semplice, » riesce solo a replicare a denti stretti, digrignando con tale fervore da farsi quasi scricchiolare la mascella, mentre si gira a destra e poi a sinistra, e poi di nuovo a destra, senza realmente guardare il proprio riflesso, perché non sa cosa mai dovrebbe evincerne, « uno vale l’altro— »

Non può biasimare Jeanne per sgranare lo sguardo esterrefatta davanti ad una simile risposta; le sopracciglia le si aggrottano tutte sulla fronte, e se Napoleon avesse l’accortezza di osservare anche solo di sottecchi sua sorella, capirebbe di dover riformulare quanto prima possibile la frase. Louis non se ne avvede, e le tempie di Jeanne pulsano pericolosamente di rabbia, perché sono lì da quasi tre ore e c’è un limite bello definito alla soglia di sopportazione a cui il suo fratellino può sottoporla; confine, tra le altre cose, che è stato valicato da un pezzo.

Louis, però, si lascia andare ad un profondo sospiro, le spalle vestite della giacca blu oltremare che gli piovono verso il basso con fiacchezza, mentre sfiata tutto l’ossigeno che deve aver trattenuto nel torace fino a quel momento, « Jeanne, » biascica a tratti disperato, « io non ne capisco una mazza di ste’ cose, » blatera sconfortato, « quel damerino, » al secolo “Pierre Elle-Sid”, il suo fidanzato, « mi ha solo detto ‘basta un completo blu’, come se una simile definizione fosse sufficiente a capire cosa diamine devo comprare— »

La furia di Jeanne si placa in quell’istante, mentre studia le reazioni di suo fratello e lascia che le parole le attecchiscano al cervello, iniziando a formare un quadro più o meno completo della situazione; c’è ancora qualche sbavatura che le impedisce di darne una cornice perfettamente a fuoco, ma ha come l’impressione di aver intuito dove stia effettivamente l’impasse.

Accavalla le gambe, mentre Napoleon si lascia andare sul divanetto dirimpetto a lei, poggiando i palmi sul cuscino e facendo defluire via tutta la tensione che deve avergli tirato ogni singolo muscolo fino a quel momento.

« E allora… tu prendi il primo completo blu che trovi, » tenta sua sorella, due occhi nocciola incredibilmente attenti, mentre sonda il profilo di Louis, cercando di anticiparne una qualche risposta, « tipo, » prova di nuovo, assottigliando lo sguardo, « quello non va bene? »

Louis sbuffa ancora una volta, fiato che gli esce dalle narici mentre la nuca che gli ciondola all’indietro, ritorna diritta sull’asse del collo, e ricambia l’occhiata di sua sorella con l’espressione incuneata sulla fronte, « Come faccio a sapere se va bene? » brontola.

Jeanne glissa, perché dopo che ci sei cresciuta con uno del genere, e dopo che sei sopravvissuta per testimoniare tutti i guai che ha combinato quel mariuolo mancato, questa è semplice acqua fresca, e si limita a dipanare le sopracciglia in un misto di scetticismo e perplessità.

« Non ho idea di quale completo possa piacere a Pierre— è lui che è fissato con queste cose! »

Ah, eccolo lì. Eccolo l’annoso impasse in cui il suo fratellino - sciocco e dalla testaccia dura - s’è impantanato, e per il quale ora batte nervosamente il tacco della scarpa sul pavimento; Napoleon si risolleva dal divanetto, le gambe larghe ed i gomiti a reggersi sulle ginocchia, mentre si martoria le dita nella presa delle mani, ed il labbro sotto i denti.

« Dannazione, » ed altre blasfemie sul genere che sulla bocca di “bonjour finesse” abbondano a pie’ sospinto, « so che dovrei saperlo, cazzo, stiamo assieme da— » aggrotta l’espressione, bloccandosi sul momento, « —sei anni, » conclude Jeanne, allargando le braccia sul proprio schienale, paciosamente distesa, mentre allarga un piccolo sorrisetto all’indirizzo dell’altro, « giusto, sei anni, » rincalza Louis, sfarfallando le palpebre.

Una piccola nota di fastidio e di imbarazzo che gli attraversa la faccia, « …non me lo sono scordato ».

« Ah-ha ».

« Mi ha solo scorreggiato il cervello per un momento— »

« Certo, Loulou, » flauta lei di nuovo, arricciando il labbro e snudando i denti. Louis potrà avere ormai trent’anni suonati, e Jeanne essere più vicino ai quaranta di quanto non lo fosse prima, ma certe cose non possono cambiare per loro stessa natura… e poi, parliamone, prendere in giro Napoleon è tanto facile, quanto divertente e lei non può farne a meno.

Il suo fratellino, però, è in difficoltà, e se ci sono tante occasioni in cui Jeanne l’avrebbe ben volentieri preso a ceffoni da qui fino alla fine dei suoi giorni, da quando sussiste tra loro una tregua che ormai prosegue da tre lustri ed oltre, può smussare gli angoli e farsi più morbida in seno ad un istinto da sorella maggiore, che non è mai riuscita prima di adesso a manifestare come avrebbe voluto, « Louis, » lo richiama piano, sporgendosi in avanti.

Ne studia il volto, cauta, ma senza farsi guardinga, mentre il centravanti tiene il capo chino e continua a strofinarsi le falangi in un moto di palese irritazione, « Se Pierre ti ha detto di scegliere il vestito che piace a te— significa che non gli interessa quello che comprerai, » Louis rialza lo sguardo e la fissa accigliata, e la reazione naturale di Jeanne è quella di alzare un palmo, fermandolo da qualsiasi commento o congettura di sorta, « Aspetta, » lo frena, « fammi riformulare… »

Sua sorella deve prendere un lungo fiato, portarsi due dita al ponte del naso e riorganizzare i pensieri: parlare con Napoleon non è facile. Non lo è mai stato e mai lo sarà, ma se Pierre Elle-Sid è il maggior esponente in materia di “Loulou”, Jeanne può tenergli testa a buon merito.

C’ha passato l’infanzia con questa testa matta, d’altronde, « Quello che voglio dire, » riprova, lasciando andare la stretta sul proprio viso, ed allungando i polpastrelli a sfiorare le nocche di suo fratello, che preoccupato a tratti, se ne sta seduto, stretto nel vestito che ha appena finito di provare, e rigido come una tavola, « sì, a Pierre interessa quello che scegli— ovviamente gli interessa, » una piccola vena di sarcasmo che scoppietta da ogni sillaba, « ma se vuole che sia tu a decidere è perché… non si aspetta che tu compri un abito che piaccia a lui ».

Napoleon arriccia le labbra, spalanca la bocca per parlare e la richiude subito dopo con quel grugno duro che ancora gli sedimenta tra le sopracciglia.

« Ascolta, » incalza Jeanne di nuovo, questa volta prendendogli le mani nelle proprie, quasi volesse veicolare una maggiore convinzione nelle proprie parole, più di quanto il timbro più alto di un’intera ottava non faccia da sé, « sbaglio o il tuo principino è perfettamente di comprarti un vestito dal nulla e fartelo trovare fresco di tintoria per ogni occasione speciale? »

« Uh? »

« Me l’hai detto tu, l’ultima volta, Loulou— »

« Sì, » risponde d’istinto Napoleon di primo acchito, « sì, certo che lo fa, e non me ne sto lamentando— meno male che lo fa, io odio fare shopping! »

« Ottimo, » sentenzia sua sorella, annuendo col capo, « anch’io! » solidarietà fraterna, la chiamano, « A prescindere, se a questo giro non ti ha fatto trovare un completo già pronto ed infiocchettato, suppongo che sia perché si fida— » si ferma un attimo, rifrasa, « vuole provare a fidarsi del tuo discutibile fashion sense… »

« Ehi! »

« Oh, andiamo, saresti capace di abbinare un paio di jeans ad una camicia di flanella, neanche fossimo ancora negli anni novanta! »

Napoleon si morde il labbro, perché Jeanne, ancora una volta ha maledettamente ragione, e se anche vorrebbe tanto - troppo - rinfacciarle che non ci sia nulla di male in una simile scelta di outfit, si trattiene dal farlo, e non perché sia sua sorella, ma perché di scandali per disturbi di varia natura in luoghi pubblici ne ha collezionato a sufficienza, per aggiungerne uno nuovo alla lunga lista sulle copertine patinate di gossip a così poco dal suo matrimonio.

Le pagine dei giornali sono già piene di notizie al riguardo, gettare benzina sul fuoco è quantomeno controproducente.

« …quelli, lasciali a noi lesbiche, » Jeanne gli fa l’occhiolino, e l’attimo dopo lascia andare le sue mani, per battersi i palmi sulle cosce e darsi la forza di accumulare l’ultimo briciolo di energia che le rimane per rizzarsi in piedi, « Dunque, » fa a quel punto, « visto che non è che Pierre si sposa da solo, ma è con te che deve convolare a nozze… ce la facciamo a scegliere qualcosa in autonomia o hai bisogno di un personal shopper? » seguita, indicando la montagna di abiti già provati e quelli ancora da provare che se ne stanno appesi sulle relle.

Louis vorrebbe propendere per la seconda opzione, perché scegliere vestiti gli fa solo venire un gran mal di testa, e in due cose può dirsi bravo: giocare a calcio e cucinare. Scopare, anche, vorrebbe aggiungere, ma se lo appunta solo mentalmente, perché questo è troppo greve anche per lui. Tuttavia, sa che nonostante l’emicrania minacci di palesarsi sul pelo della coscienza, questo sforzo deve farlo… meglio, vuole farlo.

Sbuffa, tirandosi in piedi a propria volta, « Sai? Ti odio quando hai ragione, » grugnisce, mentre si stringe appena nelle spalle e getta una nuova occhiata a quell’infinita montagna di completi, « Non è vero, mi vuoi bene, » lo corregge Jeanne, ridacchiando, ma Louis la liquida con un gesto sbrigativo della mancina, prima di recuperare una delle proposte scartate in precedenza.

« Questo è carino, no? »

 


 

Misaki sa che il suo compito è quello, o doveva essere perlomeno, di assicurarsi che Louis non arrivasse, com’è purtroppo un suo brutto vizio, a sfiorare il coma etilico durante il suo addio al celibato, e se anche Napoleon non ha effettivamente alzato così tanto il gomito, da dover temere l’arrivo dell’ambulanza, c’ha dato dentro abbastanza, perché ora si ritrovi riverso sul tavolino del privé, palmi ai lati della nuca e guancia spalmata sulla superficie lignea.

Alan ad un certo punto s’è tolto la cravatta, ed esattamente come Taro gli ha insegnato essere usanza giapponese, se l’è legata in fronte, saltellando ora baldanzoso su uno dei divanetti, mentre alza calici e pinte a pie’ sospinto, urlando ai più assurdi brindisi a cui il centrocampista nipponico abbia mai prestato orecchio; Michel, ovviamente, lo segue, perché sia mai.

Misaki non ha di che lamentarsi, nella caciara generale, con mani che applaudono e risate che si sprecano, anche lui si sta divertendo: non è il genere di “festa” a cui è esattamente abituato, ma è quella a cui pensa di aver fatto il callo dopo qualche anno. Non credeva che i francesi avessero una simile nomea da bevitori, eppure—

Si rincuora solo del fatto che, poiché sarà troppo impegnato a sposarsi, Pierre non avrà il tempo di arrabbiarsi con lui, quando Napoleon arriverà con due occhiaia spaventose, che nessun correttore al mondo sarebbe in grado di coprire, ed un mal di testa che neanche la baldoria dopo la vittoria dei mondiali potrebbe eguagliare.

Occhieggia Louis ancora riverso sul tavolino, che a ritmi alterni alza la mano ancora avviluppata alla birra per dar manforte alla baraonda che seguita a dipanarsi tutt’attorno, ed ha quel sorriso tutto sbronzo e bislacco che gli piega la bocca da parte a parte; riformula i pensieri nella propria testa: Elle-Sid non minaccerà di morte nessuno dei due, perché la prima priorità di Pierre, calcio a parte, è sempre stata Louis Napoleon, ed ancora più nello specifico, il desiderio di vederlo felice. Suppone, dunque, che se adesso il cannoniere si disegna quell’espressione paciosamente soddisfatta sul volto, l’obiettivo sia stato raggiunto.

« Tarooo— »

Louis lo chiama strascicando le vocali, la bocca completamente impastata dall’alcool che lo fa sbiascicare talmente tanto da confondere il suo tipico accento parigino, « domani mi sposo! »

Napoleon parla ad un tono di voce talmente alto, che la musica che rintrona nelle orecchie dei presenti non è sufficiente a zittire le sue parole, e Misaki, particolarmente divertito dai deliri ubriachi dell’amico, non può far altro che stringersi nelle spalle e ridacchiare. Non è neanche troppo tardi, saranno le tre di notte a dir tanto, se la situazione prosegue su questa falsariga, può addirittura sperare di riportarlo a casa nell’arco di un’oretta.

« Lo so, » risponde il giapponese, chinando la nuca, per non ritrovarsi ad urlare a propria volta, « sono il testimone di nozze del tuo futuro marito, » precisa, con l’eco della risata che accarezza ogni singola vocale.

« Oh! » il centravanti spalanca gli occhi, rimasti seraficamente chiusi fino a quel momento, come se un’epifania l’avesse colto tra capo e collo in questo preciso momento, « Giusto! » seguita, abbassando la bottiglia che stringe tra le falangi con enfasi sufficiente a farne rintoccare il rumore tutt’attorno.

Alan cade giù dal divanetto, nel frattempo, trascinandosi dietro Michel sotto le risate di tutti: qualcuno applaude, qualcuno fischia, tutti si divertono. Trent’anni e più suonati, ma è come sentirsene addosso quindici per sempre ed essere tornati alle baldorie delle superiori; non qualcosa che Misaki conosce - semplici differenze culturali - ma qualcosa che gli è stato raccontato e che può immaginarsi alla perfezione.

« Sai— » la voce strascicata del cannoniere lo richiama, obbligando Taro a voltarsi nuovamente verso di lui, dopo aver lanciato un’occhiata a Bossi, solo per assicurarsi che sia ancora tutto intero, « —non ho mai pensato che mi sarei sposato ad un certo punto della mia vita— »

Ah.

Misaki conosce l’inflessione che inizia pian piano a piegare le parole di Louis, è quel timbro che gli gratta in gola con fatica, ogni volta in cui il pericolo di una sbornia triste inizia ad emergere sul pelo della coscienza, ed il centrocampista non sa se debba correre ai ripari al più presto, o semplicemente aspettare che accada, che Napoleon si liberi di quel nodo di tensione che evidentemente lo sta portando a straparlare, farlo sfogare e limitarsi a fare quello che è il suo compito: riportarlo a casa sano e salvo.

Nel dubbio, però, Taro si porta una mano a reggersi il mento, e lo ascolta.

« Quanto sono stato fortunato…? »

Louis ridacchia in una maniera assolutamente beota e Misaki pensa che forse, ma solo forse, il timore di un qualche momento di autocommiserazione potrebbe essere sventato per stasera. Allarga il sorriso, scioglie la stretta in cui deve aver involontariamente teso le spalle, e lasciandosi andare sulla superficie del tavolino di fianco al centravanti, lo occhieggia: « Parecchio, » replica Taro in uno sbuffo divertito, « ogni tanto ti invidio, ci credi? »

Napoleon arriccia il labbro, snuda i denti e gli ghigna in faccia, con due palpebre pesanti che minacciano di occludergli lo sguardo al mondo, ma che ancora concedono a quelle due azzurrine di rimanere fisse sull’altro, baluginando di una gioia che Misaki crede di avergli visto in faccia in pochissime e rare altre occasioni prima di questa.

« Fai bene— » il centravanti allarga il suo ghigno, ora gli arriva da guancia a guancia, mentre l’eco di una risata baritonale gli scombussola le spalle, e Taro non può fare altro che rispondergli parimenti, con quell’espressione placidamente tranquilla che tanto bene si confà al giapponese.

Solo a quel punto Louis socchiude gli occhi e prende un profondo respiro che sfiata rumorosamente dalle narici, le dita hanno lasciato andare la bottiglia di birra, e le braccia si chiudono in un chiasmo sghembo sotto la nuca, per far sì che vi si accomodi sopra.

« Lui… è perfetto per me, » biascica Napoleon, lo sguardo celato dalle palpebre, ma la stessa espressione rilassata che avrebbe una persona, in procinto di cedere al dormiveglia, « ho passato tutta la vita a rincorrere qualcosa, sentendo questa fame nel petto che non riuscivo a spiegarmi, » la musica batte ancora nelle orecchie, ma di fianco a lui, Misaki è sufficientemente vicino, perché l’altro non debba urlare. Louis continua a mangiarsi metà delle virgole, il suo timbro altalenante che prima sale e poi cala senza soluzione di causa lungo ciascuna parola; troppo sbronzo per provare a parlare come dio comanda, ma non abbastanza per non riuscire ad articolare un discorso che è così lucidamente preciso da risultare quasi disarmante.

Nessuno crede più a certi detti come “in vino veritas”, ma Taro ha imparato abbastanza di tutti i bagordi a cui ha assistito, che se anche un po’ di alcool non rasenta una similitudine sufficiente con un ipotetico siero della verità, riesce a sciogliere la lingua e togliere i freni inibitori quanto basta, perché le confessioni che già pizzicano sulla punta della lingua, si lascino andare a briglia sciolta.

Viene spontaneo chiedersi se Napoleon abbia mai detto queste stesse cose a qualcun altro, se sia un’occasione più unica che rara, e se Misaki debba conservare questo ricordo come un prezioso tesoro per gli anni a venire. Quel che è certo, è che Taro, osservando i lineamenti cesellati dalle luci al neon che saturano la stanza, non riesce a vedere alcun particolare tormento.

« Poi è arrivato Pierre, e ho capito che— volevo qualcuno che mi tenesse testa, » Louis se lo concede con un secondo sospiro, uno di quelli che finisce per addensarglisi sulla bocca in un sorriso, che rende probabilmente il suo cuore più leggero, ma anche quello di Misaki come degna risposta, « che fosse capace di rimettermi al mio posto, » prosegue il cannoniere, a ritmi alterni pare fermarsi per riorganizzare i pensieri, perché è naturalmente immaginabile quanto ogni cosa possa suonargli confusa nella testa in questo momento, dopo le dodici ed oltre bottiglie di birra che ha prosciugato e che ora se ne stanno vuote e gloriose tutte attorno a loro, « qualcuno per cui provassi un profondo rispetto, » incalza, dando voce all’ovvio, « …al punto di non sentire il bisogno di nascondermi più— »

Taro non ha l’abitudine di psicoanalizzare la gente. O meglio: lo fa, perché è una deformazione personale, nata in seno alla sua incredibile perspicacia emotiva. Non è solito rivelarlo a voce, tuttavia, collezionando piccoli pezzi di puzzle di tutto ciò che costituisce una persona, per darne una definizione senza sbavature nella propria testa.

E se anche i discorsi cuore-a-cuore che possono aver avuto lui e Napoleon nel corso degli anni sono comunque così pochi da poter essere tranquillamente contati sulle dita di una mano, non è che Louis ora gli stia dicendo qualcosa di esattamente nuovo sul fronte occidentale.

Il centravanti non è mai stato bravo a parlare dei propri sentimenti. Non lo era quando di anni ne ha avuti la metà, non lo è stato fino ad un lustro prima, e se anche è migliorato, perché oggi nessuno è la stessa persona che era ieri, Taro suppone che sia comunque difficile liberarsi con facilità di certe specifiche idiosincrasie attecchite un po’ troppo a fondo nel cervello.

Ha comunque un’immagine ancora incredibilmente vivida di Louis che quindici anni prima scoppia a piangere in mezzo al campo dopo aver sbagliato un rigore. È un quadretto piuttosto complesso da cancellare, anche volendo, se non per l’eccezionalità della situazione, anche solo per il fatto che la partita ha sancito la qualifica per la finale del Giappone.

Taro sorride.

« …e glielo dici spesso questo? » la domanda sorge spontanea nel centrocampista, ed un po’, forse, ma solo forse, vuole anche stuzzicarlo, perché Napoleon si dimostra incredibilmente tenero ed accomodante, quando la sbornia parla per lui.

« No! » il centravanti accartoccia l’espressione, due sopracciglia bionde che aggrottano così tanto e con così tanta forza da divenire tutt’uno, e così rimangono per un’intera frazione di secondo, in cui Napoleon arriccia le labbra risentito, sotto l’occhiata accigliata di Misaki, « Poi si monta la testa… » si sgonfia come un palloncino, il colorito paonazzo che gli imporpora le gote a salire fino alla punta delle orecchie, segno incontrovertibile che non possa attribuire la colpa solo ed esclusivamente all’alcool.

« …però glielo ripeto ogni volta che scopiamo— » questo Louis lo aggiunge con un nuovo piccolo ghigno che gli si dipana in volto, mentre schiude un solo occhio con aria smargiassa. E Taro non sa se ridere o sospirare, ma nel dubbio scuote la nuca, trattenendo a fatica un sorriso quasi imbarazzato.

« Ok, Louis, troppe informazioni per stasera ».

Il cannoniere ride di gusto con quel suo verso che spesso rassomiglia più il raglio di un asino che un verso umano, ed il giapponese non può che riconoscere quanto sia contagioso.

Alan e Michel si stanno rotolando in terra adesso, sbronzi e felici, mentre stonati come dei campanacci accompagnano il rullare della batteria ed il beat della musica che ancora spacca fragorosa tra le pareti del privé; urla al limite dello scimmiesco li incitano, mentre i due, ebbri e beati, continuano a ciondolare e a decantare le felicitazioni del caso, anche se Louis non sembra sentirli.

« Taro, » lo chiama piano, il tono allegrotto di poc’anzi che scema via ancora una volta, ridimensionandosi in quell’espressione che gli permea tenue sui lineamenti squadrati; Napoleon è tranquillo, adesso, rilassato, e se anche entrambi i suoi occhi sono fiocamente schiusi, non osserva l’amico, preferendo concedere alle pupille di andare alla deriva su di un punto imprecisato del tavolino, « io non credo di meritarmelo… » gli confessa con un filo di voce, e se Misaki non gli fosse appaiato e chino come lui sul mobile, probabilmente non riuscirebbe neanche ad udirlo.

È un’ammissione, quella, che il centrocampista non crede sia stata enunciata per le sue orecchie, testimone involontario dei sospiri del cuore. In un momento diverso, avrebbe capito senza troppa difficoltà che una simile frase sarebbe semplice preludio di un disastro, ma quegli anni sono passati da un po’ e non c’è più quella tempesta turbolenta a scuotere l’animo di Napoleon come un’onda anomala.

È un adulto, lo è diventato da un pochino, neanche troppo, ma lo è a sufficienza per aver imparato a tenere le redini di certe situazioni, di modo da affrontarle a viso aperto. E anche chiedere aiuto, o anche solo un orecchio che lo possa ascoltare, quando ne ha bisogno.

« …ma sono abbastanza egoista da volermelo tenere stretto per il resto della vita, » si risolve alla fine il cannoniere, stringendosi appena nelle spalle ed intirizzendo le braccia che ancora gli accolgono la capoccia come un morbido cuscino.

Deve essere l’ultimo tassello che Louis deve cavarsi di dosso per non avere più pensieri, quello che - Taro ne è quasi certo - ha già confessato una volta a chi avrebbe dovuto sentirlo per primo, ma che è opportuno ribadire una volta di più, perché gli si cementifichi nel cervello.

A questo giro, Misaki allunga una mano sulla spalla dell’amico, una piccola pacca che gli concede, ma che non scuote a sufficienza il centravanti da fargli muovere la nuca più di quel piccolo fremito con cui torna a guardarlo.

« Louis, non credo che Pierre possa chiedere di meglio, » c’è una sicumera tutt’altro che nuova nelle parole di Taro, quella tipica di chi sa di parlare a buon merito, e Napoleon annuisce, neanche gli stesse tacitamente rispondendo di non averne mai dubitato.

Magari ancora non si spiega bene perché tra tutti, proprio lui, quando Pierre avrebbe a disposizione un mondo intero di persone infinitamente più valide, pronte a gettarsi ai suoi piedi; ma ha smesso da un anno buono se non di più di assorbire passivamente e scetticamente tutti i “ti amo”, che Elle-Sid gli ha concesso e gli ha donato sponte propria, concedendosi il diritto di soppesarli e custodirli come meritano di essere conservati.

Crede alle confessioni di Pierre si è dimostrato più facile di quanto Louis avrebbe mai preventivato, come due pezzi di puzzle che trovano un incastro perfetto, ed in fondo va bene così, senza che ci si lambicchi troppo oltre.

« Mi spiace solo che, » riprende però parola il cannoniere, dopo qualche altro attimo di silenzio; non guarda più Misaki, ma solo perché le palpebre sono veramente pesanti adesso, ed anche la sua voce inizia a rallentare nel ritmo, come se si dovesse sforzare a pescare i pensieri, prima che questi sfuggano irrimediabilmente via, « a lui interessino tutte queste cose esagerate— maledetto maniaco del controllo, » sbuffa, e ci prova a fare la parte dell’infastidito, ma non ci riesce, perché Louis è sempre stato un pessimo bugiardo, ed un ancor più esecrabile attore, figurarsi ora, poi, che il sorriso gli preme lungo gli angoli della bocca con tale insistenza da non dargli tregua, « quando a me sta tutto troppo stretto… »

Taro si prende un attimo ora, sbatte le palpebre con debita flemma, come se abbisognasse del tempo per razionalizzare a dovere quell’informazione, e parla solo dopo aver preso un lungo fiato, senza che le falangi che ora disegnano immaginifici cerchi lungo le scapole dell’altro si allontanino.

« E perché non gliel’hai detto? »

Sceglie di fare l’avvocato del diavolo, perché è un ruolo che a Misaki calza a pennello.

Napoleon cruccia di nuovo la fronte, come farebbe una persona costipata che sente l’urgenza di correre al bagno; non si alza dallo sgabello, però, si limita invece a stringere le labbra in una linea diritta e sottile, con tale forza da farle quasi sbiancare

« …hai mai visto il suo sorriso? » gli chiede retorico, « Come puoi dire di no a quel sorriso? » rincara, rivelando senza troppe cerimonie il suo vero ed unico punto debole.

Come se Taro, o chiunque altro abbia passato un tempo superiore ai quindici minuti in compagnia di Pierre e Louis già non lo sapesse, poi.

« Quando ti guarda con quei suoi bellissimi occhi pieni d’amore e ti dice che ha scelto te, e che tornasse indietro ti sceglierebbe di nuovo— » ad un certo punto, i pensieri di Napoleon devono essere naufragati, persi nella loro stessa riflessione, e Taro riesce a figurarselo perfettamente a rivangare ricordi neanche troppo sopiti con una facilità che del disarmante, a rimirarli e passarseli tra le dita come se fossero un obolo, completamente assorbito dal riflesso di simili immagini.

Il cannoniere resta lì con la bocca dischiusa per attimi che paiono interminabili, mentre affonda in maniera talmente visibile da far mancare il fiato, in quelle che devono essere memorie nitide come una stampa fotografica. Misaki potrebbe convenirne, il sorriso di Pierre non è qualcosa che la gente può togliersi facilmente dalla testa.

« No, non si può dire di no a Pierre Elle-Sid ».

Napoleon si risolve nell’ovvio alla fine, e lo fa con quella placida arresa che porta la fronte a distendersi e i muscoli a sciogliersi.

Per Taro, il discorso potrebbe concludersi lì, fin da principio, fuori dal desiderio di assecondare qualsiasi cosa che potesse attraversare il cervello di Louis, non è che abbia avuto particolari ulteriori interessi. Eppure, un po’ per non rischiare di cedere alla noia anzitempo, un po’ per assicurarsi di assolvere nella maniera più zelante possibile ai doveri di cui deve farsi carico un “buon amico”, arriccia le labbra, mentre una piccola riflessione arriva a punzecchiargli la punta della lingua.

« Potresti approfittarne, però, voglio dire, » tenta Misaki, la virgola della bocca che si arcua, generando una piccola fossetta all’angolo destro del volto, « non ho mai visto una persona così devota come Pierre, » incalza, e giura, questa volta non lo fa per pungolarlo, ma per semplice curiosità, « se volessi davvero farlo, potresti circuirlo senza problemi— » demonio tentatore, in fondo, ma solo perché potrebbe come non sentire un tiepido ed accomodante calore scaturirgli dal petto e profondergli in tutto il corpo, ogni volta che vede quei due testoni cedere alle lusinghe delle romantiche sciocchezzuole da innamorati.

« …non voglio dirgli di no, » replica istantaneamente Louis; non apre gli occhi, solo perché non sembra averne la forza, ma il tono perentorio con cui pare voler tagliar corto il discorso, avvisa l’altro che il cannoniere sia invero perfettamente sveglio. Beh, nei limiti in cui la sbronza glielo concede, almeno, « voglio che sia felice, » precisa, con il sorriso più stupidamente coglione che Taro gli abbia mai visto in faccia.

Perché Louis è un coglione, di nomea, di fatto, e per tutta una serie di dettagli della sua personalità che lo porta ad essere cocciuto come un mulo, testardo, poco prono alle buone maniere ed alle norme sociali, ed un’altra infinita e lunga serie di aggettivi che non gli renderebbero esattamente onore. Però è un coglione perdutamente, ineluttabilmente ed incontrovertibilmente innamorato perso, e non c’è nulla che possa dire o fare, nel bene o nel male, che possa negare questa cosa.

Questo, pensa Taro, è il naturale punto fermo del loro scambio di battute, non ci dovrebbe più essere nulla da aggiungere a questo punto, ché, se la testa di Napoleon minacciava di farsi torbida delle nubi del ripensamento o di qualche altra ritrosia, il centravanti ha chiarificato in maniera financo troppo lapalissiana di avere la mente sgombra e decisa. Eppure, parla ancora, perché ormai ha tolto il tappo dagli argini della diga - maledetto ed empatico Misaki - e le parole fluiscono fuori come acqua dal buco, « Io vengo dalle banlieu, non so neanche cosa significhi vivere nello sfarzo e in tutto quel genere di accortezze a cui lui è abituato ».

Taro non è particolarmente interessato a sviscerare le dinamiche di coppia dei suoi amici, non più del minimo richiesto e necessario a farsi un buon ascoltatore; tuttavia, non gli interessa neanche interrompere i lucidi deliri di Louis, a questo punto, che con le capocce appoggiate al tavolino, sembrano improvvisamente trovarsi in una specie di bolla avulsa dalla realtà.

È la naturale conseguenza dell’intimità della conversazione, la deriva logica che sente lambiccargli alle tempie, perché comprende, che se anche la birra può avergli dato una spintarella in più, tutto questo è la dimostrazione perfetta di quanta fiducia evidentemente Louis riponga in lui.

« E non fraintendermi— non me ne sto lamentando, » precisa il cannoniere, sbausciando metà delle parole, con una buona dose di saliva che inizia letteralmente a colargli dalla bocca, mentre pare resistere disperatamente alle lusinghe della stanchezza, « ho avuto un buon padre e due ottime sorelle… » seguita, con tono sempre più strascicato, masticando le lettere e dimenticandosene altre, « ma non mi ha mai fatto pesare uno solo dei miei difetti— e sono tanti… »

Taro ridacchia, la mano che dalle scapole altrui è salita a riempirsi le falangi di quelle ciocche bionde e ispide: domattina dovrà ficcarlo nella doccia a forza, perché puzza come una distilleria ed è sudicio come uno spogliatoio dopo la partita, « Tranquillo, Louis, lo so ».

C’è un mugugno indistinguibile - un assenso - che proviene dalla gola di Napoleon, poi il centravanti riprende a parlare, voltando la nuca verso le piccole carezze che il palmo di Misaki gli profonde sulla nuca, « Fino alla conferenza stampa, posso ancora capire, » borbotta, « la nostra convivenza ha fatto sufficiente scalpore, per cui un matrimonio è solo grasso che cola a questo punto… »

E come potrebbero mai dimenticarsene? La stessa notizia in copertina per un’intera settimana. Taro, in fondo, ha sempre pensato che se c’è qualcuno in grado di battere Karl-Heinz e Genzo in termini di giornali scandalistici, allora quella è l’Eiffel-Combi, e mai un giorno che senta di non aver puntato sul cavallo vincente.

« Però odio stare in mezzo a troppa gente, » Louis incunea le sopracciglia con fastidio, e quel tanto Taro lo sa, senza che glielo ribadisca, « odio le camicie inamidate, i vestiti stirati, i sorrisi di circostanza, e tutte quelle buone maniere che uno deve imporsi, quando è in pubblico— » anche di questo ne è edotto, e non sente di doverli davvero annoverare come difetti, perché è la genuinità di Louis, nonostante la sua mancanza di buone maniere, che attira le persone come un polo magnetico inalienabile.

« In una festa troppo grande… mi sento un pesce fuor d’acqua… »

Solo, in una stanza piena di gente. Taro lo può capire anche troppo bene. Per ragioni diametralmente diverse dalle sue, ma più simili di quanto verrebbe da definirle di primo acchito; Napoleon non appartiene all’upper-class europea, un po’ come Misaki per lungo tempo non ha avuto un luogo da chiamare “casa”.

Però, adesso, sono entrambi felici di ciò che hanno. Taro lo sa, perché non c’è mattina in cui non si alzi contento per quello che è riuscito ad ottenere dalla vita, e lo sa doppiamente per conto dell’altro, quanto guardando Napoleon vede senza alcuna macchina, il ritratto della soddisfazione.

« Ma se potessi anche solo per una volta ridimensionarne qualcuno, se non tutti, potrei restituirgli almeno un grammo di quanto mi ha dato lui fin’adesso… »

Misaki potrebbe arrivare ad odiarlo. Sia lui che Pierre. Perché sono così zuccherosamente sdolcinati nella loro completa sregolatezza, da risultare tanto stucchevoli, quanto invidiabili. Chiunque, forse, farebbe carte false per sentirsi rivolgere una simile dichiarazione d’amore.

Ed ultimamente, Taro si ritrova a pensarlo un po’ troppo spesso, quando ha una conversazione con uno di quei due zucconi o addirittura entrambi.

Le dita scivolano via dalla zazzera di Louis, e raddrizzandosi appena nella propria seduta, il centrocampista inizia a sentire la gola un po’ arsa dall’aria chiusa e densa che s’è formata nel privé; tira su la nuca, allunga la mano al suo analcolico, ma sceglie comunque di giocherellarci un attimo, quasi meditabondo, prima di portarselo alle labbra.

« Per quel che vale, Lou, penso che le relazioni siano sufficientemente spassionate da non basarsi su un concetto così lineare di “dare e avere”, » questo Misaki glielo concede, quando sta già riabbassando il bicchiere, « non credo che Pierre voglia qualcosa in cambio da te, fuori da quello che già gli dai ogni giorno, » il fatto che Napoleon non risponda con qualcosa di così greve come “Il culo…?” dovrebbe far supporre a Taro che il cannoniere non è più nel pieno delle proprie facoltà o sufficientemente lucido da ascoltare quel discorso per filo e per segno, ma Misaki persevera nella contemplazione riflessiva del proprio drink e non lo degna di uno sguardo, « altrimenti non ti avrebbe chiesto di sposarlo— » sorride, « —forse potresti farci un pensiero per la prossima volta, » aggiunge dopo qualche ulteriore istante, prima di decidersi a finire le ultime due dita della bevanda bluastra di cui ha già scordato il nome, « la sincerità è il più grande gesto d’affetto che qualcuno potrebbe mai fare per qualcun altro… »

Ed è un peccato che, quando si volta finalmente, in direzione dell’amico, si renda conto che Napoleon deve essersi assopito tra la prima e la seconda parola di quel lungo soliloquio. Strabuzza lo sguardo, sbatte le palpebre con esacerbata flemma, ma si convince poi, che questa grande e sedicente lezione di vita, se Louis non l’ha già imparata tempo addietro, la imparerà comunque presto.

Non è un tipo capace di essere davvero disonesto, anzi, se possibile, nonostante la sua sempiterna ritrosia ad esternare le emozioni, riesce ad essere ben più cristallino di certe altre persone che Taro conosce anche troppo bene.

Ora, però, è arrivato il momento di riportarlo a casa, perché domani è un giorno importante.

 


 

Louis si è, ovviamente, svegliato con un mal di testa da capogiro e l’aria frastornata di chi ha visto mattine migliori, con l’unica differenza che è stato schiodato da un letto non suo attorno a mezzogiorno e solo perché dopo gli infiniti richiami senza risposta, Michel s’è ben deciso a prenderlo a calci.

Certe volte, tutto quello che Napoleon capisce è la violenza. Non nel vero senso della parola, s’intende, ma solo dei modi un pochino più abrasivi del normale per assicurarsi che il concetto venga assorbito davvero in quella testaccia dura che si ritrova.

Pierre, conoscendo anche troppo bene il suo futuro sposo, ha avuto l’accortezza di organizzare la cerimonia nel pomeriggio, per il semplice fatto che è impensabile pretendere che Louis sia sveglio prima dell’ora di pranzo, quando non ha l’impellenza di un allenamento che lo richiama all’ordine. Solo una delle infinite premure per cui Louis non smetterà mai di ringraziarlo.

Nella propria testa, s’intende. Il suo love-language spesso e volentieri non implica particolari ed elaborate confessioni a voce, ma se quel tanto basta ad Elle-Sid, inutile lamentarsene. Taro, alzatosi fresco come una rosa, perché nulla di meno ci si potrebbe aspettare da lui, s’è diretto di buona lena ad assolvere ai suoi compiti di perfetto testimone di nozze per il secondo mezzo del duo, lasciando con disarmante tranquillità le proprie chiavi di casa a Bossi e Ferreri, ben più pratici nella sostanza, e sicuramente più utili nello smuovere quella montagna di Napoleon, a costo di caricarselo in spalla come un sacco di patate.

L’hanno letteralmente gettato dentro la doccia, si sono assicurati di avere tutto con sé, dagli anelli ai voti che Napoleon ha avuto la creanza di scrivere giorni prima rispetto alla preannunciata sbornia mega galattica che si sarebbe preso, ed hanno chiamato Jeanne ad assolvere all’uopo di rinomata make-up artist, per nascondere le occhiaia spaventose e gli occhi gonfi come canotti con cui Louis s’è spagliato.

Reprimende da perfetta sorella maggiore e due aspirine dopo, Napoleon viene letteralmente caricato di forza sulla macchina di Michel, diretti al luogo della cerimonia e del conseguente ricevimento. E beninteso, non è che Louis debba essere convinto a fare alcunché, se ha campato trent’anni di incertezze, l’unica sicurezza a cui può davvero appigliarsi è la scelta, deliberata e certa, di voler sposare Pierre, e di averlo voluto già da un bel po’ di tempo, prima ancora che Elle-Sid gli si proponesse.

Qualcosa dovrebbe iniziare a trillare in segno di allarme nella capoccia del cannoniere, nel momento in cui, smontato dall’auto, non ne vede altrettante parcheggiate in lungo e in largo, ma senza darvi troppo peso, poiché le cose importanti del gran giorno sono decisamente altri, glissa e lascia semplicemente passare tutto sotto l’uscio.

Napoleon odierà anche i ricevimenti in grande stile, così come crede di aver odiato ogni secondo in cui, negli ultimi mesi, ha visto letteralmente Pierre esaurirsi su qualcosa che a più ripetizioni Louis gli ha ribadito di non meritare il prezzo della sua salute mentale, ma ama il concetto dietro tutto questo, ovvero che a fine giornata si coricherà sì nello stesso letto che lui e Elle-Sid condividono da ormai tre anni, che le lenzuola saranno le stesse e probabilmente lo sarà anche il suo pigiama, ma quando si volterà, nuca stesa sul cuscino, non starà più occhieggiando il suo fidanzato, ma suo marito.

È stato un lungo cammino quello di Pierre e Louis fin qui; ostico e periglioso a tratti, incredibilmente più semplice ed in discesa poi, una volta superata la china. E se anche suo padre gli ha detto, una volta, che per mantenere un matrimonio ed una relazione serve impegno ed il desiderio di compiere ogni giorno la stessa medesima scelta di annaffiare la stessa metaforica piantina che si nutre di amore, affetto, compromessi e devozione, rispetto a quasi dieci anni prima quando tutto questo rocambolesco rapporto ha iniziato a far capolino all’orizzonte, Napoleon non sente alcun peso sulle spalle.

Nessuna paura, nessun ripensamento.

Quindi, sì, non nota che l’albergo che hanno - ha, singolare - scelto per il ricevimento sia praticamente deserto, mentre Michel e Alan lo accompagnano nella sala congressi adibita all’occorrenza, stretto nel suo completo blu oltremare, perché tutti i pensieri superflui, fuori dalla sensazione di avere già un anello al dito, oggi a Louis non interessano.

Può affrontare a cuor leggero anche una miriade di invitati della cui maggior parte non ricorda il nome, può sopportare tutte le tipiche usanze e norme sociali richieste ad un matrimonio, e può tollerare anche i fotografi, e la stampa e tutte quelle altre incombenze che arriveranno ad un certo punto della serata, se questo significa sposare Pierre. Anzi, può addirittura farlo a cuor leggero.

Il dubbio inizia ad affiorare sul suo volto soltanto nel momento in cui, seduti davanti alla scrivania dove è accomodato l’addetto comunale, il centravanti vede tante, troppe sedie vuote tutte attorno a loro ed un incredibile silenzio che li avvolge.

C’è tutto il Paris St. Germain, staff tecnico annesso, ovviamente. C’è qualche altro amico dei tempi della Nazionale, ed anche quello è logico. Ci sono Jeanne, Marie, Paul - nipotina in aggiunta, com’è giusto che sia - e c’è suo padre Fabrice, seduti sulla destra, ed i genitori di Pierre accomodati appena lì a fianco.

Poi ci sono loro due. E basta.

Nessun fotografo, a parte sua sorella maggiore fornita dell’immancabile compattina, che deve essere una qualche naturale estensione del corpo di certune neo-mamme, perché altrimenti non si spiega perché Marie non se ne separi mai; nessun marasma di gente della cui maggior parte neanche ricorda il nome, e se anche le pareti tutte attorno sono sì addobbate a festa - i centrotavola scelti da Pierre, le tende scelte da Pierre, le bomboniere scelte da Pierre… insomma, tutto quello che era riportato paro paro nelle scartoffie che il fantasista s’è passato e ripassato per le mani per settimane - c’è comunque qualcosa che non torna nel quadro d’insieme.

Napoleon non è mai stato un maestro d’acume, campione solo nel calcio, ed il fatto che abbia impiegato troppo a smaltire la sbornia della sera prima ed abbia rincarato la dose con un mezzo goccetto di tequila in macchina, sicuramente non aiutano i suoi neuroni adesso. Non ha neanche fatto in tempo ad apostrofare una qualche domanda a suo padre, prima che, sistematogli il nodo della cravatta, Fabrice non lo spedisse a sedersi lì alla scrivania, adducendo il ritardo che rischiavano altrimenti di accumulare sulla tabella di marcia, figurarsi poi, quanto potrebbe capirci adesso che inizia ad unire i puntini, mentre l’addetto comunale inizia con i salamelecchi di rito.

È al principio del catartico e fatidico “Siamo oggi qui riuniti”, che Louis si ritrova ad accartocciare la fronte, sgranare gli occhi ed alzare l’unica mano libera - perché l’altra è stretta in quella di Elle-Sid - facendo segno di fermarsi al povero assessore, « Aspetti, aspetti— » anche Pierre, ovviamente, si blocca preso in contropiede, un po’ come tutto il resto dei presenti.

Napoleon non ha neanche avuto mezzo secondo per lasciarsi dare più che un bacetto sulla guancia dal suo futuro sposo, ché, arrivato nella sala scortato da Bossi e Ferreri, Taro già al suo posto, Elle-Sid lo stava aspettando lì vicino alla piccola scrivania sistemata ad hoc per l’occasione.

Louis si acciglia, il pollice di Pierre che seguita a disegnare immaginifici cerchi sul dorso della mano altrui che ancora stringe tra le dita, ed un’espressione tanto sorpresa quanto perplessa che ricambia al centravanti.

« …che storia è questa? Dove sono gli invitati e tutto il resto di— quella roba che hai chiesto al wedding planner? » la domanda di Napoleon è più che lecita, di questo dovrebbero convenirne tutti, ma alle loro spalle, i presenti si scambiano delle occhiate più o meno eloquenti, prima di far scivolare lo sguardo con fare accusatorio sui due testimoni di nozze del cannoniere. Michel e Alan riescono a boccheggiare giusto un dismissivo “Non c’è stato tempo—” prima di stringersi nelle spalle.

E Pierre che ancora lo fissa sotto il peso dell’occhiata confusa dell’assessore comunale, riesce a malapena a sbattere le palpebre con flemma, assorbendo a dovere il quesito che gli è stato posto, prima di allungare un sorriso sulle proprie labbra.

Elle-Sid è bellissimo, lo è sempre stato e Louis non dovrebbe stupirsi del fatto che lo sia ancora di più con i capelli raccolti e lo smoking color borgogna che ha scelto per il grande giorno; il problema - se di problema si può parlare - è che esattamente come ebbro di alcool l’ha raccontato a Taro la sera prima, quel dannato sorriso che l’ha fatto innamorare, oggi è veramente abbagliante, e mentre Napoleon lo occhieggia di rimando, giura di stare arrossendo come se di anni ne avesse quindici e fosse la prima volta che lo vede.

« Non ci sono, » gli risponde serafico Pierre, stringendo appena la presa delle dita su quelle dell’altro.

Lì la magia si interrompe per una frazione di secondo, perché ci manca solo che Elle-Sid si metta a fare il “Sergente Evidente” della situazione, « Grazie al cazzo, Pierre, » il povero assessore non deve essere abituato al ‘galante’ vocabolario di Louis, perché trasale sul posto, ed il cannoniere di tutta risposta si becca un “Louis, linguaggio!” da parte di Jeanne alle sue spalle, che è tentata di lanciargli un tacco in testa. Il centravanti non demorde, però, allungandosi dalla sedia all’indirizzo del fidanzato, con le sopracciglia talmente incuneate sull’espressione da formare un perfetto triangolo: « Intendo dire, perché?! »

Pierre sbuffa dalle narici, ma non sembra particolarmente scalfito dai modi al limite del barbaro con cui si esprime l’altro: deve averci fatto il callo.

« Perché qualcuno potrebbe avermi detto che certe cose rischiavano di metterti a disagio— »

Elle-Sid abbassa lo sguardo per un istante, fissa le azzurrine in un punto imprecisato tra le loro mani, che ne stanno ancora belle salde tra loro in una qualche presa che pare indissolubile, senza che nessuno dei due debba impiegarvi comunque forza. Poi, però, rialza lo sguardo senza timore, quel sorrisetto bello come il sole - bono come il pane - è ancora lì, un pochino più smargiasso dell’inflessione perennemente accomodante che lo accompagna ed è tutto per Louis, nell’istante in cui il centravanti razionalizza quello che gli è appena stato detto.

« Ma io non— »

Louis boccheggia, divenuto d’un tratto paonazzo, perché potrà pure starsi sposando, ma è ancora visceralmente debole a certe plateali dimostrazioni d’affetto. Potrà pure avergli già cacciato tre metri di lingua in gola nel mezzo del campo a favor di telecamera, ma tutto questo è più intimo, più personale e tocca e pizzica una ad’una le corde del suo cuore, nella maniera in cui nessun’altro riuscirebbe a fare.

Riesce comunque a scoccare un dardo d’occhiata di sottecchi a Misaki, seduto poco dietro ad Elle-Side, perché sbronzo sì, ma smemorato anche no, e Taro di tutta replica, volta la nuca dall’altro lato e dissimula con un sorriso.

« Lo sapevo anche prima che non ti interessavano tutti i… dettagli della cornice, » riprende parola Pierre, senza cedere di una virgola nella maniera in cui quei due occhi limpidi come il cielo se ne stanno su un profilo che ormai è capace di ricalcare a memoria, « ero un po’ troppo preso da me stesso per capire che in fondo non ne abbiamo bisogno ».

Louis stringe le labbra, sente l’urgenza di nascondersi nella fodera della propria giacca, perché si sente colpito ed esposto, e non perché Elle-Sid ne abbia appena sottolineato una qualche scomoda idiosincrasia, in fondo già conosciuta a tutti, ma perché il modo in cui lo guarda lo fa sentire piacevolmente nudo ed inerme e c’è un limite a quanto amore Napoleon può lasciarsi liberamente scoppiettare nel torace senza morire di imbarazzo.

« —ok, forse non sono il più sociale delle persone che hai conosciuto, ma— » tenta, le parole che gli si impastano in bocca, mentre cerca di darvi un senso ed un filo logico con disperata apprensione; vorrebbe rimanere a perdersi nelle iridi di Pierre, ma non riesce a sostenere oltre lo sguardo altrui, perché sente il rossore farsi padrone del suo viso per intero, « —mi era parso di capire che ci tenessi a tutta quella roba… »

« Mi piaceva l’idea, » mormora Pierre, l’inflessione morbida e così dannatamente dolce da riuscire a disarmarlo, « ma citando qualcuno che conosco: quello che onestamente mi interessa di più è saltare alla parte importante, » Napoleon non ha voglia, né la forza a questo punto di sottrarre la mano, che senza menar troppo oltre il can per l’aia, il fantasista solleva e si porta alle labbra, carezzandogli una per una le nocche, ed indugiando un attimo di più sulla circonferenza dell’anulare, « dove siamo già sposati e con un anello al dito ».

Lo osserva da sotto le lunghe ciglia, le palpebre basse e suadenti, quel sorriso maledetto e sciagurato eppure splendido è ancora lì a disegnargli due perfette fossette agli angoli della bocca. Tutti trattengono il fiato, e Napoleon giurerebbe di aver sentito tanto suo padre, così come Jeanne soffocare un singhiozzo di commozione proprio in quel preciso istante, e poi—

E poi, niente. Louis si arrende. Assurdo per qualcuno che fa “Napoleon” di cognome, ma non sta combattendo una qualche battaglia, né l’ha fatto prima, quindi non c’è alcuna, fisica o metaforica, bandiera bianca da sventolare, solo l’ammissione, non nuova, ma anche quando ribadita, di amare perdutamente l’uomo che gli siede davanti.

E di volerlo fare per il resto dei giorni che gli è concesso campare.

« Maledetto, stupido, damerino— » biascica, allungando la mano stretta tra le dita altrui, al bavero di quel completo su misura, e strattonandolo senza reale violenza, ma con la decisione tipica dei suoi gesti perennemente irruenti, « gesù, ti odio, ma ti amo, e non posso farci niente, » l’addetto comunale trasale una seconda volta, e forse arrossisce pure, perché le parole di Louis vibrano di determinazione e di passione, e se le scioglie tutte sulla lingua per aggiungere un’enfasi che non serve, ma che ha bisogno di tirar fuori, se no il cuore potrebbe scoppiare.

Pierre si lascia strattonare, non senza un piccolo moto di sorpresa che lo porta a sgranare subitaneamente lo sguardo, e pochi attimi dopo, si scioglie come burro a propria volta.

I presenti alzano gli occhi al soffitto, Misaki inarca le sopracciglia, perché gli sembra di guardare una qualche smielata soap-opera di quinta categoria in cui è tuttavia un po’ troppo preso per lasciarsi sfuggire un qualche snodo di trama.

Elle-Sid sorride, arricciando il labbro e snudando i denti, a questo giro: « Era quello che immaginavo— »

L’attimo dopo, quello che succede non costituisce alcun particolare colpo di scena per gli invitati alla cerimonia, perché è piccola, sì, ma tutti quelli con cui hanno deciso di condividere questo momento, li conoscono abbastanza bene per aspettarsi simili uscite da una testa matta come Louis e da una altrettanto sregolata come quella di Pierre, che decide di seguirlo a pie’ sospinto: le labbra di Napoleon trovano quelle del fantasista senza resistenza alcuna, bocche che si ricongiungono dopo essere state separate una notte intera, che è comunque un tempo già troppo lungo per entrambi, e lì rimangono come se il mondo al di fuori di quel contatto non esistesse più.

Non è volgare, ma non è neanche delicato, e Pierre, senza farselo ripetere ed accantonando per un momento tutte le sue posate e perfette buone maniere da dandy mancato, getta le braccia attorno al collo del suo quasi-marito - per poco ancora - e si lascia trasportare in quell’onda anomala che qualsiasi gesto di Louis rappresenta.

L’ha detto una volta: Napoleon è come un mare in tempesta. Non ha bisogno di essere domato, ma per trarne il meglio, serve un marinaio che non tema le acque impervie e si diverta anche a solcarle.

Louis gli cinge la vita, se lo stringe addosso con trasporto, e sembra non volersi staccare mai più, perché Pierre è, è sempre stato e sempre sarà, come ossigeno, o come acqua per un assetato nel deserto.

Serve non uno, ma ben due colpi di tosse, prima da parte di Marie alle loro spalle e poi da parte del povero e sventurato assessore che si ritrova ad assistere ad uno dei matrimoni più surreali a cui abbia mai officiato in una vita intera.

« Di solito il bacio dovrebbe avvenire dopo lo scambio degli anelli, ma suppongo che possiamo chiudere un occhio a questo giro, » scherza a voce bassa l’addetto comunale, il capo leggermente chino, un velo di imbarazzo per questa scena mozzafiato che rimarrà ad imperitura memoria scolpita tanto nei suoi ricordi, come in quelli di tutti gli altri presenti, mentre i due finalmente si separano, leggermente arrossiti e cercano di darsi un tono, rimettendosi composti lungo le sedute, « vuoi tu Pierre Elle-Sid prendere il qui presente Louis Napoleon come tuo legittimo sposo? »

Pierre lo osserva e sorride, mentre i loro mignoli rimangono incastrati tra loro, come a voler stirare ulteriormente il tempo di quell’attimo appena passato.

« Sì, lo voglio, »

« E vuoi tu Louis Napoleon— »

Louis sbuffa rumoroso, annuendo con veemenza, prima di interrompere lo sciagurato, « Sì, sì, dannazione— certo, che domanda stupida, »

« Louis! »

L’ennesimo appunto di Jeanne risulta infruttuoso, come qualsiasi reprimenda chiunque vorrebbe ora rivolgere ai due, perché si guardano di nuovo e basta questo per estraniarli da tutto il resto e lasciarli alla deriva in un mondo che è solo loro ed è sempre appartenuto soltanto a loro.

« Bene, » sancisce ormai esasperato l’assessore, nel desiderio di chiudere la faccenda quanto prima possibile, perché inizia a diventare una gag un po’ troppo lunga anche per i suoi gusti, « è con enorme piacere e grandi felicitazioni, che vi dichiaro marito e marito, » allunga il foglio e due penne sul tavolo e chiude il resto delle scartoffie che regge in mano, « ora, beh, potete— »

Le firme vengono aggiunte in un batter d’occhio, più veloce di qualsiasi scatto o colpo di reni che abbiano mai compiuto da centro campo alla rete avversaria, e l’attimo dopo, le loro labbra si cercano e si ritrovano una seconda volta. A questo giro, senza doversi preoccupare di alcuna impellenza o colpi di tosse, mentre attorno, i presenti applaudono.

Qualcuno piange, qualche ride a voce alta, qualcun altro dà il via ad un coro non meglio definito, e Pierre e Louis non si staccano per un intero minuto e forse anche di più, con le mani che si artigliano ai vestiti, palmi che misurano la circonferenza della nuca l’uno dell’altro e falangi che affondano nei capelli in una carezza. Ad un certo punto, Elle-Sid, reggendogli la schiena, simula addirittura quello che sembra un abbozzato casquè, perché gli piace dare spettacolo anche quando non ci sono giornalisti pronti ad immortalarlo, ma la situazione lo merita.

Misaki, ancora seduto al suo posto, sospira, ed estrae il telefono per concedersi una foto ricordo del momento. Stucchevoli, in fondo, va bene, anche zucconi e testacce dure, se questa implica anche che siano felici.



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All hail, Pierre/Louis, ora e per sempre.
Non ho molto da aggiungere sulle note finali; avrei voluto prendermi moooolto più tempo per elaborare questa storia, che in fondo è soltanto un vago abbozzo di tutte le idee che ho raccolto nel corso degli anni, ma il cowt chiama ed io rispondo.

Un giorno, forse, la rimaneggerò per estrapolarne tutto quello che avrei voluto realmente scrivere.

Non oggi, tho.
   
 
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