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Autore: Cladzky    01/10/2022    1 recensioni
Quanti mesi avrà passato Cladzky nel suo isolamento auto-imposto nello spazio? Molti, ma quando sembra che gli altri autori di EFP l'abbiano dimenticato, organizzando un party a cui parteciperanno tutti i personaggi del Multiverso, ha un'improvvisa voglia di tornare a casa.
Un po' per malinconia.
Ed un po' per vendetta.
[Storia non canonica e piena di citazioni]
Questa è una storia dedicata a voi ragazzi. Yep. I'm back guys!
E spero di farvi fare due risate, va'!
Genere: Commedia, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Arrivarono alla sommità. Cladzky masticava senza far niente di fronte il portone. Ace gli stava sulle spalle, tamburellandogli le dita in testa.

―Beh ―Disse il principe di Parlum ―Non entriamo?

―Devo studiare una strategia― Ripeté quanto si stava già dicendo da solo il pilota ―Ci dev’essere una maniera per aggirarla.

―Non c’è modo di aggirarla, ci ho provato. Possiamo solo tentare ancora.

―Però non ho voglia di farmi buttare giù dalle scale un’altra volta.

―Ti sei fatto male?

―A dire il vero non mi sembra― Lo poggiò per terra e si sgranchì le giunture, senza sentire alcun sollievo ―Mi sarei dovuto spiccare il cranio in due con il volo che ho fatto. O sono diventato insensibile alle botte o qualcosa non va.

―Sei anche tu un dimenticato?

―Sì, ma nulla di grave― Si guardò le mani e notò di poter osservare il volto di Ace, alzato verso di lui, dietro di essa ―Almeno credo.

―È uno dei primi sintomi perdere la sensazione del proprio corpo.

―Quantomeno non sento più la fame, la fatica e le sprangate― Dovette riconoscere, osservandosi per bene girando su sè stesso ―È straniante però venire a sapere che non esisto davvero se non come personaggio.

―Ha i suoi lati positivi― Si appoggiò l’altro al portone ―Quantomeno ora sappiamo la verità.

―Già, tanto per cominciare tutte le preoccupazioni della vita svaniscono. A che importa avere una famiglia, degli amici se è tutto finto? Vorrei tornare a due ore fa, quando non sapevo niente di tutto questo.

―Solo perché è tutto finto non vuol dire che perdiamo importanza―Gli si fece vicino―Nel tuo mondo non sono forse il protagonista di una vecchia serie televisiva? Migliaia di spettatori seguivano la mia trasmissione perché per loro, anche se era tutto finto e sapendolo, era importante. Pretendevano che quello che stessero vedendo non erano fogli di acetato inchiostrati sopra un fondale dipinto, ma le vere avventure di Uchū Ace. Si chiama sospensione dell’incredulità. Se loro possono farlo, pur sapendo sin dall’inizio che è finto, non possiamo anche noi, che eravamo così abituati a prenderci sul serio?

―Questo discorso avrebbe senso se a qualcuno importasse ancora di me― Replicò, allontanandolo con una manata in fronte ―Ora invece resta l’apatia che scompariremo dall’esistenza senza lasciare alcuna traccia. Per tutto il rumore che ho fatto in vita mia non è servito a restare nella memoria di nessuno. Dico, ma come si fa a scordarsi da soli? Devo essere proprio un deficiente.

―Sei uno di quei, come si dice?― Si grattò la guancia prima di alzare il dito ―self-insert?

―Chiamami come tu vuoi a questo punto― Si sedette sulla ringhiera gelata ―Tanto non si chiamano le cose che non esistono.

―Sai, ti invidio molto― Si strinse le mani dietro la schiena, alzò le spalle e lo guardò oltre di esse, voltandosi.

―Cosa ho da invidiare?

―Che hai la possibilità di salvarti da solo in qualunque momento― Giocherellò con le dita ―Il tuo dio sei te stesso, se solo lo volessi non saresti qui.

―Lo so, lo so, ma non so perché non voglio uscire da qui, va bene?― Gli puntò il dito ―E questo come mi rende diverso da te?

―Credevo che un essere che si è creato da solo avesse un maggiore attaccamento a sé stesso.

―Invece mi ignoro come chiunque altro che viene ignorato in questo cimitero― Allargò le braccia ―Ho visto personaggi, qui dentro che, all’apice della loro popolarità, attiravano milioni di persone e ora guardali. Sarebbe così inverosimile credere che per me, l’unica persona che mi pensava, si è stancata di farlo?

―C’è un’altra differenza― Abbassò il capo.

―Sarebbe?

―Il tuo creatore è ancora vivo, no?― Lo guardò di sfuggita.

―Il tuo?

―Non più dal ‘77.

―Beh, mi dispiace.

―Questa è la scrematura― Continuò senza sentirlo ―Un personaggio può stare tranquillo, in teoria, fintanto che è vivo il suo creatore che bada a tenere vivo il ricordo, ma quando questo passa? Allora il ricordo può essere conservato solo in persone che non hanno scrupolo di lui, perché non è loro figlio. Farsi ricordare dagli altri, vedi, non è un diritto, gli spettatori non hanno doveri verso alcun personaggio di fantasia e sono pronti a saltare a chi è disposto a dargli ciò che cercano.

―Insomma, è impossibile continuare a vivere― Cladzky si piegò all’indietro dal muretto, alzando le gambe all’aria quasi a cadere di sotto.

―No, non è impossibile― Gli prese la mano Ace, tirandolo a sè, facendolo scendere dal parapetto e guardandolo di nuovo negli occhi ―Se così fosse non ricorderemo le poesie di Matsuo Bashō e non ci rimarrebbe memoria della regina Himiko.

―E tu credi che due come noi abbiano il diritto ad essere ricordati dalla storia?

―Non credi forse che ogni scrittore pensi lo stesso?― Lo tirò più vicino a sè, facendolo abbassare al suo livello ―E che fine ha fatto il tuo ottimismo? Non mi hai portato tu in cima a questa scala solo per tentare ancora di passare?

―Oh, al diavolo― Lo sollevò in braccio e si volse verso la porta ―Mi hai tolto ogni dubbio Ace.

E diede un calcio alla porta una seconda volta. Si ripresentò il buio di prima e la gagliardezza venne un po’ meno, ma avanzò fino all’imboccatura delle colonne. Poggiò Ace lì accanto e si sporse dentro.

―Okay, tu resta qua dietro, vado a vedere se è sveglia― Gli gesticolò con l’indice senza guardarlo.

―Non è che poi mi lasci qui?― Si fece avanti lui, prima di finire con l’indice dell’imbucato sul naso.

―Figurati, se non torno in dieci secondi vieni a cercarmi― E sparì a passi felpati. Ace attese. Si illuminarono le pire, ci fu un soffio di vento e Cladzky volò all’altro capo della stanza, da dove era partito. Per quanto dimenticato fosse, Ace conservava pur sempre i suoi poteri da personaggio fittizio e colse al volo il suo compagno di sventura con uno dei suoi anelli d’argento, generati con un gesto. Piuttosto che rotolare di nuovo giù per la rampa di marmo, atterrò dolcemente da dove era partito. Le pire si spensero.

―Sei tornato prima di dieci secondi― Notò Ace, aiutandolo a rialzarsi.

―Mi mancavi moltissimo― Si tolse la polvere di dosso ―Quella maledetta fa danni anche quando dorme, ma io non mi arrendo.

Cladzky avanzò di nuovo, si riaccesero le pire e partì la Bora che l’aveva messo in rotta attimi fa. Si accasciò a terra per non offrire resistenza e si aggrappò coi polpastrelli alle tessere smaltate del pavimento.

―Non puoi mandarmi via di nuovo, esigo un nuovo processo. Voglio ricorrere in appello, alla Cassazione!

―Claudio, io sono un giudice, ma non c’è mai stato processo. Non devi convincere me che ho sbagliato, perché ho ragione e non scoprirai nulla di nuovo proseguendo questo dialogo― La fenice alzò la testa sul suo collo serpentino, rilucendo, ad ogni movimento, nelle sue scaglie dorate ―Potrai passare non vincendo me, ma te stesso.

Il vento cessò, il ragazzo si rialzò e la studiò per bene, dai suoi occhi di cioccolato fondente alla cresta che avrebbe fatto invidia a un corazziere, ondulata nell’ondeggiamento di quella testa da rettile.

―Sei apparso con questa forma a Lelq?

―Ognuno mi vede in maniera diversa. Per Lelq ero una versione migliore di lui in tutti i sensi.

―Sempre per ricollegarsi a quel tema della perfezione impossibile da raggiungere, chiaro― Camminò in cerchio, grattandosi il mento ―Così tu appari a me dunque? Un maledetto e grasso uccello?

―Non sono un uccello qualunque― Rise la fenice, compiendo un cerchio con il capo e nascondendo il viso dietro un ala a mo’ di ventaglio ―E tu lo sai bene.

―Certo che no, maledizione, tu sei quella Fenice― Si morse le nocche il ragazzo ―Sei ancora meglio di come ti disegnava Tezuka.

―Non potevo assumere altra forma, non credi? Dopotutto ti sei impegnato per plagiarlo, senza mai riuscirci. Ma non ti preoccupare, anche lui non è mai riuscito a rappresentare i suoi ideali come voleva.

―Sembra che provi gusto nella nostra sofferenza.

―Vista dall’esterno è una faccenda molto buffa la vostra, non trovi?

Ci pensò su e dovette riconoscere che lui stava davvero vedendo la faccenda dall’esterno, ormai. Concordò, ma non lo disse.

―Tagliamola corta. Hai detto che devo vincere me stesso per passare, no? Ecco fatto, ho voglia di tornare nel mondo dei vivi.

―A-ah, non è così facile― Chiuse gli occhi l’animale, sollevandosi su una zampa e grattandosi il capo con l’altra ―Puoi mentire a te stesso, ma lo sai che non puoi passare.

―E invece non lo so― Chiuse le braccia in maniera offesa e voltandosi dall’altra parte ―Perché non provi a spiegarmelo?

―Vogliamo reinscenare il capitolo quindici? ―Si mise in piedi l’uccello, sbucando con la sua testa sopra la sua spalla, ma lui non la guardava. Ebbe un altro gorgheggio metallico divertito ―Perché no, evidentemente questa storia non era abbastanza ripetitiva immagino.

―Prendimi in giro quanto vuoi, io non mi muovo di qui― S’impuntò sulle punte.

―La verità è che tu sai benissimo cosa non va, solo che ti mancano le parole― Lo beccò in cima alla testa, gli afferrò una ciocca di capelli e lo costrinse a confrontarla ―Ma non ti preoccupare, sono qui apposta per dare voce alle tue insicurezze.

―Grazie del supporto― Mugugnò, notando come si fosse finalmente spostata dall’uscita. Uno scatto atletico e si ritrovò oltre le pire. Un altro scatto e si ritrovò strattonato e seduto a terra, con lo sperone della fenice che gli puntellava l’orlo della gonna al pavimento. Non poté fare altro che appoggiarsi il mento nel palmo e sospirare quando fu tirato indietro.

―Oh, povero piccolo― Se lo ciondolò davanti il viso ―Ancora credi di potere avere interazioni fisiche significative in questo capitolo. Non hai capito che ormai è tutto diventato un’allegoria?

―Spero che allora niente di tutto questo sia reale― Sbuffò, alzando gli occhi al cielo.

―E pensare che dicevi di odiare le allegorie― Lo punzecchiò l’animale dal becco di bronzo, in ambo i sensi ―Le trovavi così semplicistiche e faziose.

―Beh, è così― Cladzky tentò di dare un pugno al muso di quella gallina ―Non puoi riassumere dei concetti in personificazioni ideali.

―Stai pensando al “Pellegrinaggio del Cristiano”, vero?

―Certo, Bunyan è un maledetto idiota che divide tutto in bianco e nero! Non puoi scrivere un romanzo dove i personaggi sono personificazioni della pigrizia, della fedeltà o della speranza. Sono condannati a un determinato destino già dal loro nome e non possono avere un’evoluzione caratteriale o verrebbero meno a ciò che rappresentano.

―E ora eccoti qua a dialogare con la Scrittura― Socchiuse gli occhi lei.

―Già, e infatti sei esasperante. Sei un personaggio completamente immobile che se ne sta qui a bloccare la trama.

―Hai ragione, non c’è previsione che io possa cambiare, resterò sempre così. Dunque dobbiamo dedurre che, per andare avanti, sia tu che debba cambiare.

―Io?― Si piantò le dita al petto il ragazzo, sgranando gli occhi ―Cambia tu piuttosto.

―Sciocchino― Lo adagiò a terra in maniera con delicatezza e scosse la testa con fare giocoso ―Lo sai che non posso, io sono la personificazione di un concetto e se mutassi verrei meno a ciò che rappresento.

―Che fai, usi le mie armi contro di me?

―Credevo ti piacesse parlare da solo: in fondo sei uno scrittore, per quanto pessimo.

―Quindi dovrei cambiare― Esclamò Cladzky afferrandola per un ciuffo di piume della guancia e gridandole nell’orecchio ―Vorrei informati che ho passato circa duecento pagine a fare pessimi incontri. Non sono serviti a redimermi? Non è il viaggio di un eroe questo? 

―Solo perché hai fatto molte cose non vuol dire che abbiano avuto un significato― L’animale alzò il capo con lui ancora appeso. Cadde, scivolò sul collo della bestia e le atterrò sulla schiena. Quantomeno era un dorso morbido. Si mise comodo mentre quella gli rispondeva, girando il viso di centottanta gradi ―Non hai appreso niente. Sei nello stesso identico stato di com’eri duecento pagine prima.

―Ma come, l’addio struggente di Mark e l’incontro con Kishin non valevano nulla?― Inclinò il capo offeso

―Oh, loro sì che sono personaggi interessanti, quantomeno più di te. Hanno dei conflitti veri, uno scopo, non passano tutta la storia a lamentarsi senza avere un piano su come risolvere i loro problemi.

―Anch’io ho dei conflitti e uno scopo!― Dimenò le braccia per apparire significante.

―Trovare Gyber, va bene, ma è un po’ vago, non trovi?― Si avvicinò con la testa, flettendo il collo dietro le spalle ―Cosa farai, gli chiederai spiegazioni, verrete alle mani, lascerai perdere?

―Ecco…― Procedette a grattarsi la punta del naso ―Se vado là lo scopro.

―Dillo che scrivi a caso, zuccone― Lo beccò in cima alla testa ―Non hai idea di come finirà questo racconto. Parti dalla prima idea che ti viene in mente e vai avanti finché ti diverte e puntualmente ti interrompi quando te ne passa un’altra per il cervello. Hai mai scritto finali degni di nota, dopotutto? Pensavo che leggere i tuoi colleghi ti avesse insegnato che non ci vuole molto a programmare qualcosa prima di buttartici dentro.

―Se ti piacciono tanto vado da loro, così tornano nella storia― Si alzò e camminò giù per la forma dell’animale. Annoiata, la fenice si chinò in avanti, rendendogli la strada in salita e facendolo rotolare all’indietro. Atterrò in cima la cresta dell’animale che proseguì il discorso portandoselo dietro come un copricapo.

―Stiamo girando intorno la stessa questione. Se fossi stato intenzionato a incontrarli ci saresti già andato, su per giù, sei capitoli fa, prima di mettere piede nel cimitero insomma. Eri quasi arrivato e invece hai preso una deviazione che li ha esclusi per quasi metà storia, allungando questo brodo già freddo.

―Dovevo bilanciare la cosa, erano diventati loro i protagonisti, ricordi?― La pregò sporgendosi dalla sua fronte e guardandola a testa in giù ―Subito dopo che avevo ripreso a pubblicare dopo tre anni.

―Non vorrai che cominciamo a parlare anche della tua procrastinazione?― Gli sollevò le pupille di nocciola l’essere alato.

―Mi ero reso conto che non erano ancora apparsi nonostante le mie promesse e ho cercato di rimediare ―Si sporse tanto da perdere la presa e appendersi al becco bronzeo per non cadere ―Quello conterà qualcosa.

―Ah, già, i capitoli dal sesto al decimo― Chiuse gli occhi in un’espressione serena ―Ti sarai reso conto di quanto fosse bello lavorare con personaggi che non siano dei disadattati.

―Basta scherzare e rispondi!― Cercò di tirarsi su quando l’animale, alzando rapidamente il capo, se lo portò a sedere di fronte i suoi occhi, a cavalcioni del muso.

―Che posso dirti? Niente più di quello che hanno detto gli altri. Episodi divertenti, ma non è quello che hai promesso.

―Quali promesse? La storia è mia e la scrivo come voglio! Non è forse un favore che gli faccio a inserire i loro personaggi?― La picchiò in mezzo la fronte per farsi sentire. La fenice non se ne curò e si limitò a guardarlo storto.

―Non fare il presuntuoso che non ti riesce― Lo guardò dall’alto in basso e per fare questo chinò il capo verso il basso, facendo scivolare l’imbucato e costringendolo ad abbracciare la liscia superficie della bronzea mascella ―Tanto per cominciare sei stato a chiedere in giro di poter usare i loro personaggi, quindi sono stati loro a fare un favore a te, favore che avrebbero potuto declinare. Solo perché tu consideri un onore che qualcuno esterno a te adoperi le tue creazioni non vuol dire che la cosa sia reciproca. In secondo luogo tu hai impostato una storia con una direzione precisa, farti interagire con la Lucas Force e questo non è ancora successo.

―Ho incontrato Kishin― Cercò di salvarsi risalendo, ma non aveva appigli su quella volta metallica ―E credo ci fossero anche Aswin e Alexander. Siamo già a tre.

―Al primo incontro hai dedicato duemila parole su ottantamila a essere generosi, il che si traduce nell’1,6% dell’opera totale stilata sinora. Gli incontri con gli altri due, oltre a non essere veri membri della Lucas Force, sono ancora più brevi.

―C’erano ancora delle sottotrame da mandare avanti prima del finale― Disse mentre perdeva la presa. Quando cadde non lo fece, rimase a mezz'aria. Sbattè gli occhi e notò che quelli dell’uccello brillavano di verde.

―Perché relegare l’incontro con gli altri al finale? Non era lo scopo principale?― Avvicinò un bulbo alla figura galleggiante.

―Volevo divertirmi ancora un po’ con le citazioni― Si allentò il colletto.

―Anche troppo per quanto mi riguarda. Non hai un minimo di senso delle priorità?

―Quando mi ricapiterà l’occasione di inserire certi personaggi?

―Quando ne hai voglia. Se vuoi parlare di qualcosa che ti piace scrivi una fanfiction al riguardo, ma c’è tempo e luogo per ogni cosa― Chiuse gli occhi e con ciò s’interruppe il galleggiamento del pilota che ricadde a terra ―Pensa a quante meravigliosi avvenimenti sarebbero potuti avvenire se ti fossi concentrato sull’interazione fra te e la Lucas Force. Una trama in costante movimento. Invece stai spendendo tutta la storia in quadri sempre uguali: tu che devi entrare a questa festa, tu che ti imbuchi, tu che ti nascondi; per carità, siamo sempre inchiodati qui.

Cladzky si alzò con fatica. Non perché si fosse ferito nella caduta, ma si sentiva avvilito. Tutto quello che stava dicendo la fenice era vero e lo sapeva, sentiva di averlo sempre saputo, solo non ci aveva mai ragionato sopra. Guardando il pavimento, vibrante alla luce dei falò, si torse le dita.

―Io volevo solo fare una storia divertente, senza pretese― Diede un calcio alla penna che aveva usato come torcia un capitolo fa ―E invece sto qui a torturarmi facendomi un esame di coscienza.

―Non staremmo qui se avessi osato un po’ di più― Replicò la voce alle sue spalle. Si voltò e la fenice gli stava di fianco, più piccola stavolta, alla sua stessa altezza. Aveva ancora gli occhi chiusi, il capo chino come il suo e non sorrideva più. Soffriva forse? Se lo chiese in fretta e senza risposta, perché piccato nell’orgoglio.

―Un po’ di meno vorrai dire!― Indicò con le braccia l’intera ambientazione ―Ero partito che doveva essere una situazione comica dietro l’altra e ora mi ritrovo con duecento pagine alle spalle di considerazioni sui miei peccati. Avrei dovuto spendere il mio tempo a scrivere stronzate come facevano tutti in questi tipi di crossover, invece mi sono ingolfato in un trattato di ottantamila parole.

―Hai sempre ammirato le cose grandi e potenti― Levò le visa al cielo la fenice. Poi aprì un’ala delle sue che parevano rasoi, invitandolo in qualche modo ―Per te i capolavori sono opere monumentali. Ammiri Moby Dick perché funge da fermaporta come hai apprezzato Odissea nello Spazio perché ti ha portato via una nottata intera. Sei talmente superficiale da credere che, per avere un minimo di profondità, devi macinare un numero di pagine esagerato, oltre che tirar fuori espressioni desuete. Credi forse di aver reso questa storia migliore? Considera chi l’approccia per la prima volta e come sia essa noiosa nella sua verbosa indecifrabilità. La chiave sta nel giusto ritmo, è questo che rende una narrazione fruibile, sia essa un sonettino o un romanzo.

―Non è colpa mia― Si mise una mano sulla guancia ―Non ho potuto fare a meno che invidiare chi si vantava di terminare  un’opera tanto grande.

―È naturale essere soddisfatti per chi va avanti anche a trecentomila parole, ma il tuo errore è stato nel considerare la lunghezza il tuo obiettivo primario invece che una conseguenza. Tu non fai altro che ricontrollare il numero di vocaboli ad ogni pagina, dico bene?

―Questo è vero ma…― Gli si fece incontro e gli tese una mano per controbattere quelle accuse, ma la ritrasse quando si rese conto che non aveva risposta. Si morse le unghie e riprese ―Hai ragione, avrei dovuto volare basso e tenermi sulle pagliacciate, almeno mi riusciva qualcosa.

―Ecco un altro errore― Fece due lenti passi avanti la fenice, strascicando la voluminosa coda a terra ―Nella testa ti sei fatto una scala gerarchica fra i registri. In cima hai quello filosofico, nel mezzo il drammatico e in fondo sta il comico.

―Certi argomenti dovrebbero essere trattati con il giusto rispetto― Proferì appena, tirandosi indietro alla sua avanzata. Quella si fece più rapida e gli camminò in circolo.

―Non è una questione di usare il giusto registro al momento opportuno, bensì di scrivere un testo funzionale. Se un testo non fa ridere non hai sbagliato il tono ma il fraseggio e così via. Tu consideri la commedia una forma d’arte volgare, ma è perché non ne hai mai esplorato le potenzialità.

―Ho il diritto di essere triste― Si strinse un pugno al petto e aprì l’altro lungo il fianco, guardandola mentre completava il giro e si fermava di spalle ―Non si può ridere di tutto.

―La Lucas Force lo faceva― Replicò, evitando di voltarsi ―E tu questo non l’hai mai capito. Per te erano solo stronzate. Hai usato questa parola prima, mi sbaglio?

―Sì ma non intendevo loro― Balbettò, afferrandosi la gola. L’animale strisciò gli artigli a terra.

―Certo che lo intendevi― Buttò la testa all’indietro lei, osservandolo con la coda dell’occhio mentre spiegava le ali, quasi a stiracchiarsi ―E sono d’accordo con te in parte. Da un punto di vista professionale, i lavori dei tuoi colleghi, non erano buoni. Errori di battitura, formattazione inesistente o in altri casi invadente nella sua struttura elaborata, evoluzioni caratteriali improvvise, sindrome di protagonismo oltremodo buffa, scene d’azione continue, eccessiva autoreferenzialità, antagonisti piatti, umorismo datato dai suoi riferimenti alla cultura popolare, un interlacciamento fra vari autori e i loro canoni che rendeva difficile capirci qualcosa senza aver letto cosa aveva da dire l’altro, relazioni amorose del tutto superflue alla trama e inserite solo per appagare chi scriveva, mancanza di descrizioni o atmosfera, dialoghi innaturali farciti di frasi ad effetto, sfruttamento allo spasimo della violenza viscerale che passa dallo scioccante al ridicolo, riscritture che contraddicono quanto stabilito, mancanza di atti in cui dividere l’azione, risoluzioni dettate da deus ex machina, personaggi che appaiono senza essere introdotti a un pubblico che non conosce i retroscena e potrei andare avanti ancora, ma non ne ho bisogno perché sono tutte cose che pensi anche tu, vero?

―Io…― Sbiancò Cladzky, con le mani indecise se unirsi o meno ―Non posso dire una cosa del genere.

―Non lo neghi― Gli si accostò la fenice, serpeggiando con il collo intorno a lui e poggiandogli la testa sulla spalla ―Quantomeno saresti onesto.

―Se lo pensassi davvero perché avrei collaborato con loro?― La guardò il ragazzo, accigliato ―Perché avrei voluto usare i loro personaggi?

―Volevi del pubblico, Claudio― Sibilò con la lingua ―E sapevi che metterci dentro creazioni già celebri era il metodo più sicuro per attirare qualcuno.

―Non è vero― Fu incapace di mandarla via. Questa si strusciò contro le sue gote.

―Non è del tutto vero, te lo concedo. L’altro scopo era quello di dimostrare ai tuoi colleghi come si scriveva una storia fatta per bene con i loro stessi personaggi.

―Questo era anni fa, non è più così― Protestò, prima che quella le posasse appena un’ala sulla bocca e facendogli verso di tacere in maniera bonaria.

―Dentro ti rimarrà sempre un moto di superbia come questo, non puoi farci nulla― Gli morse un orecchio ―Provavi una vera invidia per loro, non è così? Non solo scrivono in maniera poco seria, ti dicevi, ma per giunta hanno successo fra di loro. Come odiavi quelle cronache di gesta eroiche fatte da gente eccezionale. Tanto lo so, continuavi, che si dipingono sotto le spoglie di uomini forti solo per compensare le loro mancanze nella vita mondana e così ti imposi di mostrare un vero eroe, qualcosa che piaceva a te, Claudio, qualcosa di tragico e così nacqui tu Cladzky, Il vagabondo spaziale, l’eterno viaggiatore, l’anima della scoperta, l’audacia fatta a persona, ma soprattutto un poveraccio che le prende da tutti, il completo opposto dell’eroe ideale che tutti prediligevano in quelle fantasie giovanili frutto di escapismo dai problemi sociali.

―Sarei dovuto essere un antieroe― Annuì il ragazzo, perdendo lo sguardo nel vuoto ―Non nel senso crudele del termine. Qualcuno che, nonostante quanto gli potesse capitare e senza poteri particolari, alla fine riuscisse a spuntarla. Volevo dimostrare che essere eroi non fosse poi così fuori dalla realtà quanto poteva sembrare, che l’unico ostacolo era non crederci.

―Delle nobilissime intenzioni― La bestia lo costrinse a guardarla, schiacciandogli la fronte contro la sua ―Ma poi sei caduto in un altro tipo di antieroe. Non quello senza scrupoli, né lo sfavorito, bensì l’inetto.

―A forza di rendermi un perdente per distinguermi dagli altri non riesco più a risalire― Confermò ad occhi vacui.

―Hai finito solo per ricalcare te stesso, Claudio. Un personaggio inadatto ad essere un eroe― La figura del ragazzo prese a perdere l’equilibrio, fino a farsi sostenere per intero dall’animale. Quest’ultima proseguì ―Ecco perché sconsiglio sempre di unire creatore e creatura, non esce mai nulla di buono.

―Vuol dire che anche gli altri si sono sbagliati?― Biascicò appena, quasi avesse sonno.

―No, loro non sono caduti nel tuo stesso errore― Gli batté l’altra ala sulla schiena, stringendoselo più vicino ―Per quanto tu possa non condividere i contenuti delle loro opere, essi sono stati abbastanza furbi da non immedesimarsi troppo.

―Ma non sono anche loro dei…― Non terminò la frase che gli si stancò la mandibola.

―In teoria sono gli avatar dei loro autori, come te. Nella pratica possono condividere i loro nomi, lo stesso spettro morale, delle loro peculiarità fisiche, ma puoi star certo che non si comportano mai come farebbero loro in un determinato contesto. Si scrivono più sinceri o generosi, pazienti, coraggiosi di quanto siano in verità e non c’è nulla di male in tutto questo, perché li rende dei personaggi idonei al mondo letterario che hanno creato. Tu invece ti sei sentito di cambiare appena il nome ma per il resto sei identico e, pur nelle esagerazioni, Cladzky non fa nulla che Claudio non farebbe e questo comporta tutti i difetti di una persona reale che nell’universo in cui ti cali non funzionano. Ti senti in dovere di testimoniare la verità e qua sta la discrepanza che non vi fa comunicare, tu e i colleghi: essi scrivono come vogliono, tu come pensi sia giusto. Il risultato è che loro si divertono e tu no e ti sembra di essere il solo a giocare secondo le regole.

―Mi sembra di essere solo…― Ripeté lui a bocconi, fra una di quelle carezze metalliche e l’altra ―Non l’ho fatto solo per l’attenzione o per rivalsa. Volevo degli amici.

―All’epoca ancora non vi conoscevate bene, anche se non si può dire che le cose siano cambiate di molto. Passavi dal bullismo delle medie alla solitudine delle superiori, è comprensibile che fossi disperato per del contatto esterno alla tua bolla, povero piccolo.

―All’epoca non avevo idea di come iniziare un rapporto, ma ne avevo bisogno. Ecco perché l’ho fatto.

―Era davvero incomprensibile per te, immagino, vedere quelle persone così legate da una passione che tu reputavi di poter fare meglio, vero? Ma lascia che corregga la tua prospettiva: la loro unione non era frutto della qualità dei loro testi, è tutto il contrario, scrivevano insieme perché erano amici e si divertivano farlo.

―Sarebbe stato bello poterne far parte.

―Ora è troppo tardi, te ne saresti potuto rendere conto prima se ti fossi preso la briga di leggere le loro storie.

―Ci ho provato.

―Ma proprio non facevano per te, vero? È normale che non ti piacessero, non erano scritte per qualcuno che stava al di fuori di questo cerchio. Era il loro parco giochi. Tu non potevi capire perché i tuoi rigidi schemi ti proibivano di poter andare oltre gli errori di stile per capire che non fosse quello il punto.

―Eppure sentivo una gioia di fondo, una gioia di creare insieme. Volevo entrare in quel cerchio per capire come diavolo facessero ad essere così felici ma non sapevo come.

―Hai avuto la tua occasione, hai esitato e ora la Lucas Force è morta e non tornerà più, non com’era in origine quantomeno.

―Non c’è più niente da dire allora― Chiuse gli occhi il ragazzo, abbandonando il capo.

―L’hai capito finalmente― Lo lasciò andare un poco, pur cingendolo ancora fra le sue piume dorate, facendolo piegare all’indietro come un corpo morto. Si sporse appoggiargli il becco sulle labbra ―Hai provato per tutta la storia a conciliare questa realizzazione con la narrativa. Ti sei inventato tutto un complicato schemi di universi e dèi solo per non ammettere subito la realtà. Che dietro tutta la facciata non esiste questo mondo, non esiste il multiverso, né i personaggi che lo abitano né i sentimenti che li animano. Sei solo un uomo che digita su una vecchia tastiera sopra una pagina bianca. Si potrebbe dire che hai passato tutto questo tempo a parlare da solo e sarebbe vero. Nulla di quanto hai fatto ha creato nulla se non occupare spazio di memoria, non esistono mondi oltre il foglio, non sei un dio creatore. Sei solo un uomo che passa il tempo e il tempo passa e tu non ci sarai più. Rimarrà su questa terra, forse, un archivio di pagine incomplete.

―È ora che io abbandoni questo guscio― Sussurrò lieve. La trasparenza prese ad aumentare.

Non poté più farcela ed entrò in scena.

―Lascialo stare!― Gridò Ace balzando in mezzo la stanza. Cladzky riaprì gli occhi, interrotto nel suo sonno e d’improvviso non gli sembrava più di star battendo su una tastiera, ma era come se si trovasse lì davvero.

―Ace, ti avevo detto di rimanere indietro― Farfugliò. La fenice sciolse la presa, impassibile, e lui cadde a terra.

―Non potevo sopportare di vederti in questa condizione― Si piegò su di lui, mani sul petto del disteso.

―Ma è la condizione naturale― Cladzky abbozzò ad un sorriso, piegando un labbro ―È così faticoso giocare a credere che questo mondo esista e descriverne ogni dettaglio. Voglio smettere di creare, riposarmi.

―Non fare così― Lo scosse un poco ―Che fine ha fatto la tua sicurezza?

―Abbiamo avuto modo di chiacchierare amorevolmente e ho scoperto che aveva ragione.

―Non devi darle ascolto, Cladzky!― Gli strinse una mano e se la portò al cuore ―Lei è solo la versione negativa della faccenda. Tu credi di dover morire solo perché hai ascoltato una versione. Pensa a tutti i buoni motivi per continuare a vivere invece.

―Buoni motivi― Si corrugò la fronte del pilota, ma solo per poco, prima che ridesse con voce secca ―Ad avercene.

―Hai fatto delle promesse, non puoi tirarti indietro ora― Divenne paonazzo.

―Non le ho rispettate― Scosse debolmente il capo.

―Non c’è alcuna data di scadenza― Rincarò, facendosi più vicino ―Puoi ancora compiere ciò che devi, ma se getti la spugna ora non ce ne sarà più modo!

―Stiamo parlando di cinque anni fa. Cosa ti fa credere che proprio ora sia in grado di farlo?

―Che non voglio vedere un altro come me morire― Si portò la mano del pilota alla guancia.

―Ace― Lo richiamò la fenice. Questo alzò il capo tremante a scrutarla nei suoi occhi nocciola, mentre lei proseguiva con fare curioso ―Che ci fai qui?

―Io?― Si portò il pollice alla bocca, sfiorandola appena. Le ciglia gli tremavano, ma infine rispose ―Ero venuto a chiedere udienza.

―Senza qualcuno dall’esterno che ti tiri fuori la vedo dura― Ciondolava la testa dell’animale ―Pensavo ti fossi arreso.

―Mi ero arreso, è vero, però lui mi ha convinto a tentare di nuovo― Si alzò, indicando lo sdraiato

―Lui?― Si sporse in avanti.

―È venuto a chiedermi se andava tutto bene, ci siamo presentati, si è fatto spiegare la situazione e mi ha aiutato a salire fin qui, con lo scopo di uscire insieme.

―Lui― Ripetè l’animale senza tono di domanda, alzando la cresta un poco ―Può darsi allora che il mio stratagemma dei fantasmi non è stato del tutto inutile.

―Che cosa?― Si alzò a sedere Cladzky.

―Hai provato ad aiutare qualcuno pur non avendone niente da guadagnare?

―Mi sembrava brutto lasciarlo là fuori come un cane― Fece spallucce il ragazzo.

―Piccolo mio, potresti avere buone notizie― Si avvicinò a passo leggero l’animale ―Non sei del tutto uguale a come eri partito.

―Sono cambiato?― Rimase a bocca aperta, incapace di muoversi.

―Non sei lo stesso misantropo violento che eri all’inizio della storia. C’è qualcosa di nuovo in te― S’illuminò l’uccello dorato, distendendo le penne. Il ragazzo scattò in piedi e le si buttò al collo.

―Allora ho avuto un’evoluzione, non devo morire, non mi sono autodistrutto! Come vorrei che Mark fosse qui!― Gridò di gioia, riacquistando opacità e girando intorno con la fenice in braccio, con visibile noia di quest’ultima. La posò solo per fare lo stesso con Ace, voltandosi per avere conferma di non essere pazzo ―Allora possiamo uscire?

―Certo― L’uccello ebbe appena il tempo di annuire  che questi ripresero a festeggiare. Il pilota lanciava il piccolo principino in aria, riprendendolo al volo, dirigendosi verso l'agognata uscita in mezzo le pire. Quasi gli dispiaceva interromperli. Si schiarì la voce metallica ―Ma non è così semplice.

I due continuarono, seppure confusi, nella stessa direzione.

―In che senso?― Chiese Ace un po’ angosciato.

―Solo Cladzky può uscire da sé, dato che si è ricreduto, ma per te è diverso― Schioccò la lingua la creatura, grattandosi con una zampa per l’imbarazzo ―Il tuo creatore è morto.

―E quindi?― Non fece in tempo a chiedere che sbattè contro un muro, ma solo lui, Cladzky ci passò attraverso, sfuggendogli di mano. Scossosi dal pavimento si rese conto che non ci stava nulla da vedere, eppure c’era qualcosa fra lui e il pilota. Tastò davanti a sé una superficie invisibile. Anche Cladzky provò a farlo, ma non toccò niente. Ace ne era mezzo sicuro, ma voleva esserlo al cento per cento. Fece tre passi indietro, prese bene la mira e sparò un anello d’argento contro il terrestre. Uno scoppio e l’anello sparve senza arrivare a destinazione, pur consegnando la dovuta paura all’indirizzo dell’interessato. Il principe di Parlum si voltò verso il volatile eterno con la faccia sconvolta ―Cosa posso fare?

―Tu niente― Rise la fenice, facendo già mandare il cuore in gola al piccolo guerriero, poi sorrise verso il suo compagno ―Puoi solo sperare che il tuo amico ti aiuti una seconda volta.

―E come?― Chiese Cladzky che ancora cercava un ostacolo che non si trovava.

―Tu sei un dio esterno― S’inchinò con sarcasmo la fenice ―Sei riuscito a salvarti da solo, ma una volta fuori dal cimitero, se vuoi rivedere Ace, dovrai essere tu a tirarlo fuori.

―Dimmi come fare― Trattenne il fiato.

―Devi solo ricordarti di lui― Posò un’ala sulla testolina di Ace, che lo fissava poggiando le mani sul muro, guardando Cladzky negli occhi con una bocca tremante.

―Tutto qui?― Si fece cadere le braccia il ragazzo. Sbuffò, si portò alla fronte e la tolse con un sorriso poco gentile ―E allora fallo uscire adesso, ce l’ho davanti agli occhi.

―Non è così semplice ho detto― Ebbe una smorfia di sufficienza ―Ci vuole molto perché una creazione sparisca del tutto, ma poco perché essa venga ignorata ed Ace si trova in questo limbo. Solo perché sopravvive negli archivi della Tatsunoko non è abbastanza a renderlo vivo, è solo una nota a fondo pagina nella storia dell’animazione. Chi di competenza lo studia come punto di partenza di una grande casa di produzione ma chi credi che, oggigiorno, si affezioni a qualcuno come lui? Di questo affetto voi vi nutrite, ricordi?

―E quindi?

―Esci fuori di qui. Se davvero conta qualcosa per te, vi rivedrete.

―Di nuovo un problema da risolvere con me stesso― Si grattò il mento. Provò a pensare e non gli venne in mente nulla e forse era la maniera migliore per affrontare la cosa. Scrutò Ace e vide la stessa angoscia esistenziale che conosceva bene. Stava provando a dire qualcosa e non ci riusciva, rimanendo lì a farsi carezzare da un animale che, pur essendo alle sue spalle, era visibile per intero. Non sapeva quanto fosse fortunato a poter contare su qualcuno per salvarsi, avere qualcuno di cui fidarsi. Annuì e si indirizzò verso l’uscita, dove lo aspettava l’altra metà della scala. Si voltò un’ultima volta con un sorriso e una mano alzata con due dita ―Ora vado, ci vediamo dopo Ace.

Pose il piede sul primo scalino e poi sul successivo, con maggiore facilità. Salì con passo da gazzella una scala innaturalmente lunga e ripida, illuminata solo da una luce in fondo al tunnel. Sghignazzò senza volere, con una mano a coprirsi la bocca. Che serie di idiozie che gli erano successe e quante ne aveva scoperte. Quindi nulla esisteva davvero, era tutto un gioco per divertirsi, che bella notizia! Come poteva prendere sul serio qualunque dei suoi problemi ora? Perché continuare a cercare i suoi colleghi se nulla significava altro che pagine sullo schermo di un imprevedibile creatore? Nietzsche credeva che la morte di dio avrebbe portato confusione nella gente, invece per lui era il rovescio: scoprire che era tutto frutto non della sua fatica, del suo libero arbitrio, ma di un essere fuori da lui, che nel suo caso specifico lo indossava come un guscio, gli stava facendo perdere il senno. Però una volta gli avevano spiegato un concetto strano. Doveva chiamarsi “astensione dell’incredulità” o qualcosa di simile. Giocare e far finta che non ci sia nulla di finto nella sua vita. Che bel concetto, gli dava un sollievo paradossale. Se solo si ricordasse dove lo aveva sentito. Ma ora non importava.

Giunse alla soglia, ma sentiva che quelle informazioni lo avrebbero perturbato anche fuori dalla caverna. Ma quali informazioni? Aveva un vuoto, eppure ci stava pensando appena un istante fa. Aveva sempre avuto una memoria a breve termine. Si sforzò ma niente, sentiva che c’era qualcosa che lo preoccupava ma non ricordava cosa.

“Maledetta, è colpa tua!” Fu la sua dannazione mentale a qualcosa di vago, prima che anche questo pensiero venisse cancellato.

Uscì a riveder le stelle. Niente più nebbia o foresta, ma nel giardino di una villa in stile minimalista dalle grandi vetrate. Alle sue spalle la scalinata era sparita, restava solo un parapetto in muratura che dava sulle fronde dei salici, il tutto illuminato da un’alba violacea. Aveva finalmente lasciato il cimitero alle spalle ed era letteralmente sull’uscio di Gyber. Un modesto numero di persone si attardava a parlare in gruppetti sparsi nel prato, prendendo aria dopo la fine di una serata memorabile.

―Che gigantesca perdita di tempo― Canticchiò senza remore, saltellando via. Tutto quello che riguardava la Fenice era stato cancellato, dalla sua forma umana al tempio e così anche il loro dialogo, ogni conoscenza della natura delle cose ed anche il povero Ace. Restava tutto l’assurdo resto che non faceva che farlo morire dal ridere al rimembrarlo. Era tornato al suo obiettivo primario. Non era più Claudio, era solo Cladzky. Il distacco era riuscito.

Inavvertitamente continuava a masticare una gomma ormai insapore.

   
 
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