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Autore: babastrell    03/10/2022    1 recensioni
Il salone di bellezza di fronte al ristorante Sia La Luce ha recentemente chiuso. Per Kojiro, il proprietario del ristorante, questo significa un leggero calo nella clientela. Almeno finché il nuovo proprietario dello stabile, un ragazzo androgino e pieno di tatuaggi, non si presenta per pranzo.
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Questa storia partecipa al Writober2022 di Fanwriter.it
Prompt: Tattoo
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kaoru Sakurayashiki, Kojiro Nanjo, Miya Chinen
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al Writober2022 di Fanwriter.it

Prompt: Tattoo (pumpAU)

No. parole: 1542

 

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DALL'ALTRA PARTE DELLA STRADA

 

Il ristorante Sia La Luce si trovava in una strada tranquilla, lontano dal traffico ma abbastanza vicino al centro della città da avere ottimi affari con i turisti. Kojiro ne era decisamente soddisfatto.

Lungo la stessa strada c’erano anche un piccolo bar, un negozio di bubble tea e un paio di negozietti vintage che passavano le giornate a cercare di rubarsi i clienti a vicenda, ma la vetrina dall’altro lato della strada era vuota, a parte un vistoso cartello arancione con la scritta “VENDESI”. Un tempo era un salone di bellezza, e moltissime donne facevano tappa nel ristorante dopo essersi fatte i capelli o le unghie oppure entravano per un caffè veloce prima del loro appuntamento. Kojiro adorava quel salone che indirettamente portava tante belle ragazze nel suo ristorante. Quando poi la proprietaria aveva deciso di trasferire l’attività in un locale più grande, il flusso di clienti del Sia La Luce era leggermente diminuito.

Kojiro a volte si chiedeva chi avrebbe comprato il salone di fronte, ma più mesi passavano e più quel pensiero diventava poco importante. Aveva una cucina da gestire, cuochi principianti arrivati con l’autunno da addestrare, camerieri da assumere, un ristorante da mandare avanti in uno dei periodi più laboriosi dell’anno. Entrava dal retro, per ritrovarsi subito in cucina e mettersi al lavoro, e con il tempo non avendo la vetrina sempre sotto gli occhi aveva smesso di pensarci.

Dopo l’autunno venne l’inverno e un nuovo picco di clientela, coppie che festeggiavano insieme le feste e famiglie che prenotavano con largo anticipo la cena di Natale con i parenti. Dopo Natale, Kojiro concesse qualche giorno di riposo al suo staff, e il ristorante riaprì in tempo per il nuovo anno. Una routine collaudata e stressante, che lasciava poco tempo per pensare al salone oltre la strada.

Si ritrovò a pensarci di nuovo solo con l’arrivo della primavera, quando il direttore di sala si era ammalato e non c’era nessuno che potesse sostituirlo e così Kojiro aveva dovuto lasciare la cucina nelle mani del suo sous chef e occuparsi personalmente della sala. Mentre faceva il conto a una giovane coppia, notò con la coda dell’occhio che il cartello arancione era sparito e un’insegna nera e rosa troneggiava sopra la vetrina. Si fece un appunto mentale di indagare appena fosse andato in pausa.

«Benvenuto, posso aiutarla?» disse con un gran sorriso verso la porta che si apriva.

Sulla soglia c’era un ragazzo con i capelli rosa, lungo e slanciato, che Kojiro non aveva mai visto e che studiava la sala del ristorante con sguardo serio dietro gli occhiali dalla montatura sottile. Era un tipo spigoloso, in maglietta bianca e jeans scuri, uno yukata nero appoggiato sulle spalle come un mantello. Si avvicinò a Kojiro e chiese di pranzare.

Mentre scorreva la lista dei tavoli, Kojiro notò che aveva le braccia coperte di tatuaggi neri e grigi e che un altro colorato faceva capolino dallo scollo della maglietta e saliva su per il collo e dietro l’orecchio sinistro. Un ramo di fiori di ciliegio di un rosa delicato.

«Al momento non ho tavoli» disse al ragazzo. «Ho del posto al bancone però, se è da solo non dovrebbe essere scomodo».

Lui annuì. «Il bancone va bene».

Kojiro lo accompagnò e gli fece cenno di accomodarsi. Lui prese posto sullo sgabello, sedeva composto con la schiena dritta e le spalle rilassate.

Era relativamente tardi per il pranzo, già le due e mezza, la maggior parte dei clienti era seduta a mangiare o chiedeva il conto, per cui Kojiro si ritrovò suo malgrado ad avere un sacco di tempi morti in cui si scoprì a cercare quel ragazzo con la coda dell’occhio e a osservarlo esaminare il menù, ordinare una carbonara e un calice di vino bianco, aspettare il suo ordine con pazienza giocherellando con il cellulare, mangiare con gusto. C’era qualcosa di femminile in lui, nei lunghi capelli rosa che scendevano sulle spalle, nei movimenti eleganti, nel modo in cui lo yukata sulle spalle lo avvolgeva, nei tatuaggi che seguivano le linee decise dei muscoli delle braccia. Aveva le orecchie piene di anelli argentati, e un altro piercing gli bucava il labbro inferiore. Sorprendente che non li avesse notati subito.

Il ragazzo finì di mangiare e controllò l’ora sul telefono, poi smontò dallo sgabello e si diresse verso la cassa per pagare. Usò la carta di credito e firmò lo scontrino con una grafia minuta. Kaoru Sakurayashiki. Anche il suo nome era femminile.

Kojiro lo guardò uscire, salutandolo e ringraziandolo per aver scelto il suo ristorante. Una parte di lui pensava che non l’avrebbe più rivisto, non sembrava il tipo di persona che si vedeva normalmente in quella strada. E invece il ragazzo attraversò la strada ed entrò nel negozio di fronte.

Meravigliato, Kojiro lasciò la cassa e si diresse alla porta. Finalmente, da lì, riusciva a leggere la nuova insegna del salone, le raffinate lettere bianche sullo sfondo nero punteggiato di fiori rosa di ciliegio: Cherry Blossom Tattoo Studio.

«Orribile, vero?» disse una signora anziana di passaggio squadrando il negozio. «Questo era un quartiere così tranquillo, ora si riempirà di balordi e drogati con le facce piene di quei pezzi di ferro». Guardò Kojiro con compatimento. «Mi dispiace per te, giovanotto. È un ristorante così rispettabile, questa gente rovinerà tutto».

Kojiro sbuffò con un sorriso. «Credo che me la caverò, ma grazie per la solidarietà».

La donna scosse la testa e riprese la sua strada bofonchiando.

Kojiro controllò l’orologio: quasi le quattro.

«Io vado in pausa» disse a un cameriere, tanto il ristorante avrebbe comunque chiuso entro qualche minuto.

Senza aspettare risposta uscì dal locale e attraversò la strada. Stava per entrare ma due ragazze uscirono e quasi gli finirono addosso. Si scusarono imbarazzate e quando Kojiro le rassicurò con il suo sorriso migliore si allontanarono ridacchiando e mostrandosi i nuovi tatuaggi avvolti nel cellophane.

Kojiro varcò la soglia accompagnato dal suono dei campanelli appesi alla porta e si ritrovò in uno studio ampio e luminoso. Si fece da parte per far uscire un’altra ragazza che doveva uscire e le tenne aperta la porta.

Alla scrivania dell’accettazione c’era un ragazzino che non poteva avere più di quattordici anni. Lo salutò con un gesto della mano: «Salve, posso aiut-»

Una voce lo interruppe. «Miya, il ragazzo del dragone vuole già fare una pausa, ho solo messo lo stencil e tracciato tre righe. Potresti chiamare il mio appuntamento delle sei e dirgli che probabilmente sarò un po’ in ritardo?».

Il ragazzo, Miya, annuì verso una delle porte a lato. «Allora puoi occuparti tu di lui?» replicò indicando Kojiro con un cenno del capo.

Non aspettò risposta, sollevò la cornetta e si mise a scorrere l’agenda degli appuntamenti.

Nel frattempo dalla porta uscì a grandi passi proprio Kaoru, il ragazzo del ristorante, levandosi un paio di guanti di lattice. Si era tolto lo yukata e legato i capelli, e ora Kojiro poteva vedere bene i tatuaggi. Gli donavano.

Sembrava sorpreso di vederlo. Alzò un sopracciglio. «Mi hai seguito?».

Kojiro si scoprì a trovare carino il suo piglio severo. Incrociò le braccia e gli restituì lo sguardo di sfida. «Una signora qui fuori si stava lamentando della presenza di balordi con le facce piene di metallo, volevo assicurarmi che fosse tutto a posto»

«E hanno mandato te a spaventarci perché somigli a un gorilla?».

Kojiro alzò le sopracciglia. Non si aspettava un attacco diretto così. Forse l’aveva offeso? Osservandolo bene, però, notò che dietro l’espressione fredda negli occhi brillava una scintilla di interesse. Oh, chiaro, era uno di quelli che insultano per flirtare. Aspetta, stavano flirtando?

«Sta funzionando, Quattrocchi?».

Che razza di risposta era? Di solito era bravo in questi scambi, ma c’era qualcosa in quel ragazzo che lo metteva in difficoltà.

Kaoru però parve trovare divertente il suo goffo tentativo, se quell’impercettibile cambiamento nella sua espressione era un indizio. «Allora, ti serve qualcosa?».

Kojiro si guardò intorno. «Vorrei tatuarmi un sole». Non sapeva perché lo avesse detto, non aveva mai pensato di farsi un tatuaggio, ma in quel momento gli sembrava una buona idea. «Il mio ristorante si chiama Sia La Luce, mi sembra un bel riferimento».

Kaoru annuì e recuperò un quaderno da sotto la scrivania. «Hai un’idea su dove farlo?»

«Un posto che possa nascondere, la spalla o la schiena. Alcuni dei miei clienti abituali sono persone vecchio stampo»

«Tutto chiaro». Il tatuatore tracciò qualche riga su una pagina bianca. «Terrei uno stile semplice, che si addica alla tua fisicità. Troppi dettagli potrebbero distrarre. Che ne dici? Ovviamente è solo uno schizzo». Aggiunse, girando il quaderno verso di lui.

Kojiro osservò il disegno, le righe nere spesse di grafite formavano un semplice sole a otto punte. Molto virile.

Sorrise. «È perfetto».

Kaoru sembrò soddisfatto della sua reazione. «Allora fissiamo l’appuntamento».

Qualche minuto dopo, Kojiro uscì dallo studio tenendo tra le dita il biglietto da visita dello studio di tatuaggi. Attraversò la strada e tornò al Sia La Luce, congedò i camerieri fino all’ora di cena e chiuse il ristorante.

Studiò il cartoncino nero e rosa, il nome dello studio in bianco, i contatti social scritti in piccolo. Girò il biglietto e si compiacque nel leggere il numero di telefono scritto con quella calligrafia minuta.

  
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