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Autore: _p_ttl_    04/10/2022    2 recensioni
I cavalieri sono riuniti attorno a un fuoco a raccontare storie e Merlino decide di raccontarne una che potrebbe rivelarsi non essere una buona idea raccontare.
Questa storia partecipa alla "Challenge delle Parole Quasi Intraducibili" organizzata da Soly Dea sul forum di EFP.
La parola è la parola araba "samar": sedersi insieme per raccontare storie all’ora del tramonto.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Cavalieri della Tavola Rotonda, Merlino, Principe Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Questa storia partecipa alla "Challenge delle Parole Quasi Intraducibili" organizzata da Soly Dea sul forum di EFP. La parola è la parola araba "samar": sedersi insieme per raccontare storie all’ora del tramonto.
 
DI RISCHI E PERPLESSITA’

“E va bene, racconterò una storia anche io se proprio ci tenete…”
Merlino si grattò il capo con l’indice destro, guardando in alto verso il cielo.
“Però dovete darmi qualche minuto per pensare. Devo inventare una storia così, di punto in bianco, non è mica semplice!”
In realtà stava solo cercando di temporeggiare, una storia da raccontare gli si era delineata nel cervello in pochissimi secondi appena avevano deciso di intrattenersi in quel modo, solo che non era affatto sicuro che fosse una buona idea.

Artù e i cavalieri dovevano spingersi fino alle terre di Odin. Da qualche tempo si era sparsa la voce che lungo i margini della foresta che segnava la fine dei domini dei Pendragon e l’inizio del regno vicino ci fossero disordini. Non era ben chiaro se si trattasse di banditi o dell’esercito di Odin che si preparava per un’imminente dichiarazione di guerra. Artù era propenso per la prima ipotesi, a suo parere Odin non sarebbe mai stato così sciocco da preparare un attacco senza la minima discrezione, col rischio che il bersaglio venisse a sapere delle sue intenzioni prima del tempo. In più non avrebbe avuto alcun senso fare esercitazioni ai confini con il regno preso di mira, per giunta a chilometri di distanza dal castello, dalle armerie e dalle scuderie. Una spesa militare inutile, senza contare le provviste. Ma la prudenza non era mai troppa, così il Re aveva ordinato una spedizione per assicurarsi che le sue terre fossero al sicuro.
Erano in viaggio da tre giorni e la tensione cominciava a farsi sentire. Dopotutto nessuno di loro aveva idea di cosa li attendesse. C’era anche il rischio che, qualora Odin non fosse in alcun modo coinvolto, potesse non gradire la presenza dei cavalieri di Camelot ai suoi confini o addirittura potesse interpretare la spedizione come una minaccia. I rapporti erano stati sempre molto tesi e la diplomazia pareva non essere una prerogativa dello scomodo vicino di casa.

Trovatisi nei pressi di una radura e nelle vicinanze di un corso d’acqua, avevano deciso di accamparsi prima del tramonto, almeno per quel giorno, e di riposare qualche ora in più. Al mattino avrebbero dovuto intraprendere un sentiero nel fitto della foresta e non sapevano cosa o chi avrebbero potuto incontrare lungo il cammino. Merlino era stato incaricato di accendere un fuoco e così si erano ritrovati tutti seduti a scaldarsi attorno alle fiamme mentre il sole cominciava la sua discesa.
Fu a quel punto che Elyan propose di fare un gioco: tutti, a turno, avrebbero dovuto raccontare una storia. Non importava che tipo di storia, né se fosse inventata o realmente accaduta, l’importante era che tutti raccontassero qualcosa. La proposta era stata accolta con entusiasmo da parte di tutti e Merlino aveva subito pensato a cosa avrebbe voluto raccontare, nonostante sapesse che non era un’iniziativa priva di rischi. Si sentiva agitato e confuso, ma cercò di concentrarsi sulle storie degli altri e di godersi il momento e la compagnia, accampando con sé stesso la scusa che non aveva ancora deciso se avrebbe azzardato o no.
Era il quarto, dopo Elyan, Lancillotto e Galvano. Il primo aveva raccontato di quando, da bambino, aveva rischiato di rompersi un braccio cadendo da un albero su cui suo padre si era più volte raccomandato che non salisse, guadagnandosi due noiose settimane di lavoro nella bottega del fabbro. Lancillotto optò per una storia inventata circa un cavaliere che salvava una principessa tenuta prigioniera da un malvagio Re, mentre Galvano si vantò, senza risparmiarsi i particolari, di come avesse conquistato una tutt’altro che gentil fanciulla in una taverna da ubriaco.
Era quindi arrivato il suo turno e Merlino finse di doversi inventare qualcosa, solo per prendere coraggio.

“Bene!”, iniziò sentendo il cuore cominciare a battere più veloce del normale. Non sapeva se stesse per fare una sciocchezza, ma ormai aveva iniziato e non poteva più tornare indietro. “Molto tempo fa, in una piccola casa costruita nel bosco viveva una vecchia signora, isolata dal resto del mondo. Sua madre era stata una strega, e sua nonna prima di lei. Anche suo padre era un potente stregone e vien da sé che lei non potesse che avere poteri incredibili e una padronanza della magia invidiabile”.
Artù sgranò gli occhi a quelle parole e tutti i cavalieri fissarono Merlino interdetti, ma nessuno osò interromperlo. Dal canto suo, il mago cominciò a percepire un certo disagio e sentì l’agitazione crescere ancora, per quanto possibile. Era ben conscio delle reazioni che avrebbe suscitato, eppure le espressioni esterrefatte dei suoi amici gli fecero desiderare di non aver mai iniziato con quella pazzia. Con non poca paura continuò il suo racconto. Parlò a lungo di come la strega fosse temuta da tutti, eppure possedesse un animo nobile e gentile e un cuore buono. Di come il suo Re odiasse la magia e condannasse a morte chiunque fosse anche solo sospettato di farne uso.
“Un giorno però l’unica figlia del Re si ammalò di una grave malattia. Egli convocò tutti i più famosi medici del regno, ma nessuno di loro fu in grado di guarirla. Anzi, tutti concordarono col dire che alla giovane e bellissima principessa restassero pochi giorni di vita. A quel punto il Re, disperato, venne a sapere da un suo servitore della vecchia strega del bosco. Contro ogni suo principio e con grande odio verso sé stesso, egli ordinò di condurla al castello. Sarebbe ricorso anche alla magia pur di salvare la sua amata figlia. La strega era molto spaventata, pensava fosse una trappola e che il Re l’avrebbe condannata al rogo o le avrebbe fatto tagliare la testa, ma il suo buon cuore le impedì di rifiutare. Se era vero che una povera fanciulla si stava spegnendo e se ci fosse stata anche una sola possibilità di salvarla, lei avrebbe provato. Il Re fu commosso dal coraggio e dalla purezza d’animo della strega, che dopo aver salvato la principessa fu coperta di doni e fu nominata strega di corte. Il Re apprese da lei che la magia poteva essere usata a fin di bene e che la malvagità abita nel cuore degli uomini e non nelle antiche arti. Finì così il suo regno di tirannia.”
Quando Merlino finì di parlare ci fu un lungo silenzio. Il giovane non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo dal fuoco e di incontrare quelli dei suoi amici, soprattutto di Artù. Fu Lancillotto, a cui Merlino fu molto grato, a interrompere il silenzio teso e imbarazzato che era sceso sul gruppo, incitando Leon a raccontare la sua storia. Nessuno osò commentare e Leon, con non poca difficoltà a catturare l’attenzione degli altri, cominciò a parlare. Merlino continuava a fissare il fuoco maledicendosi per la sua avventatezza che lo aveva portato a fare quella idiozia e non riuscì ad ascoltare nemmeno una parola delle storie che seguirono.
Molte ore più tardi, il giovane mago preparò il suo giaciglio di fortuna accanto a quello di Artù. Non aveva più aperto bocca per tutta la sera e sperò ardentemente che il Re lo lasciasse in pace almeno fino al mattino successivo.

Quando Galvano spense il fuoco, il silenzio scese sulla radura e Merlino si strinse nella sua coperta cominciando a sentire il battito del cuore finalmente rallentare.
Dopo un tempo che gli parve infinito, in cui non ebbe neanche il coraggio di muoversi per mettersi più comodo, il sonno non era ancora arrivato. La luna era alta nel cielo, completamente sgombro di nuvole, e pareva luminosissima. Nonostante desiderasse ardentemente dormire, Merlino si rassegnò al fatto che addormentarsi per quella notte sarebbe stato quasi impossibile, ma fu grato della calma che era riuscito riacquistare con la complicità del silenzio notturno e dei respiri profondi e regolari dei cavalieri addormentati.
Proprio quando i suoni del bosco cominciarono ad arrivargli alle orecchie più ovattati e la coscienza cominciò ad annebbiarsi, Artù chiamò il suo nome sussurrando. Merlino sentì tutti i suoi sensi tornare vigili e aprì gli occhi, senza tuttavia avere il coraggio di girarsi. Artù dovette accorgersi, dall’irrigidirsi del suo corpo, che il servitore fosse sveglio nonostante il silenzio, per cui continuò a parlare sussurrando pianissimo. I due giacigli erano vicinissimi e Merlino non aveva alcuna difficoltà a sentire ciò che Artù stava dicendo.
“Merlino, perché hai raccontato quella storia? Sei impazzito?”
Silenzio.
“Merlino, dai. Lo so che sei sveglio.”
Silenzio.
“Merlino!”
“Artù…”, Merlino rispose a voce se possibile ancor più bassa, fingendo irritazione per nascondere l’angoscia e la paura. “Era solo una storia. Non so perché, mi è venuta in mente così e così l’ho raccontata!”
“E allora perché sei stato teso come la corda di un arco per tutta la sera?”
“Perché vi siete irrigiditi tutti e mi avete guardato come se fossi pazzo, forse?”
Merlino si decise a girarsi verso il suo interlocutore. Gli occhi chiari di Artù spiccavano nel buio della notte, limpidissimi e sinceramente preoccupati.
“Be’, hai raccontato di stregoneria difendendola!”
“E quindi? Era solo una storia, tutta fantasia. Sapete bene che sono contro la stregoneria e che essa è malvagia.”
Per pronunciare quelle parole Merlino dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà. Era così doloroso che Artù non capisse che erano gli uomini a decidere che uso fare della magia. Nascondere la sua natura e addirittura fingere di odiare ciò che era cominciava a diventare difficile e umiliante. Artù lo fissava in silenzio e Merlino sospirò pesantemente.
“Allora perché l’hai fatto?”
“Artù, era solo una storia senza significato. Però voi non pensate che la magia possa essere davvero usata a fin di bene da persone di buon cuore?”
Aveva rischiato tantissimo a raccontare quella storia, si era esposto e non aveva badato al pericolo che farlo avrebbe potuto comportare. Ma ormai, si disse, peggio di così non poteva andare e decise di tentare il tutto per tutto. Il risultato fu però alquanto scadente.
“Le persone di buon cuore non usano la magia, Merlino! Nessun fin di bene!”
“E se qualcuno che conoscete bene vi dicesse di essere un mago? Una persona buona, di cui vi fidate ciecamente. Ad esempio, se io vi dicessi di essere un mago cosa pensereste?”
Artù sbuffò pesantemente, cominciava ad irritarsi e dovette far appello al suo autocontrollo per non alzare la voce e svegliare tutti.
“Ma che stai dicendo!? Smettila con queste sciocchezze. Le persone buone non praticano la magia e tu non sei uno stregone! Se non sapessi che non abbiamo del vino penserei che sei ubriaco!”
Il Re si girò irritato, dando le spalle al suo servitore e chiudendo così la discussione.
Merlino cominciò a sentire un dolore profondo farsi strada nel petto e cercò con tutte le sue forze di ricacciare indietro le lacrime che gli premevano dietro le palpebre serrate. Si voltò anche lui dall’altro lato. Un giorno Artù avrebbe capito che la magia non era malvagia e avrebbe portato la pace unificando i regni. Un giorno Albion avrebbe visto la luce e Merlino avrebbe potuto finalmente dire ad Artù chi lui fosse davvero. Un giorno Artù avrebbe capito. Un giorno.
  
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