La
pioggia batteva senza
tregua sui vetri delle finestre del suo appartamento.
Lavorare in televisione le aveva permesso di ampliare la sua
già lussuosa abitazione
e di investire in proprietà anche all’infuori
dello Stato di New York.
Tuttavia, quella sera Midge avrebbe rinunciato al benessere economico
che si
era guadagnata pur di sentirsi meno sola, pur di ritrovare fiato una
volta
chiusasi la porta alle spalle.
Non
era qualcuno con cui
confidarsi che le mancava, ma chi era solito ascoltarla senza
giudicarla in
base a un’idea astratta che si era fatta di lei. Non suo
padre, né sua madre e
neanche Susie o Joel potevano sostituire quella persona molto specifica
che aveva
in mente. Il loro ultimo incontro era stato un disastro, in cui le
presunte
verità che lui aveva sfoderato, come uno scudo per
difendersi dal futuro, si
erano rivelate armi capaci di infliggerle diverse ferite. Solo dopo
averci
rimuginato su, e recuperato la giusta lucidità, quei segni
nel cuore avevano
iniziato a risanarsi da soli, perché sapeva che era stata la
paura di Lenny a
prendere il sopravvento in quella circostanza. La più
coraggiosa delle voci si
era ritrovata a cedere il microfono all’emotività,
rendendolo non solo àfono ma
anche sordo ai desideri espressi da Midge.
Non
capiva perché avesse
deciso di indossare la vestaglia azzurra e la camicia da notte che
aveva
addosso il giorno in cui Joel se n’era andato. Forse un
impulso di nostalgia
per la vita apparentemente perfetta che aveva prima di finire da sola a
condividere con una bottiglia di vino le gioie del suo lavoro. Brindava
alla
sua vita imperfetta e all’enorme privilegio di non aver perso
se stessa lungo
la strada. Quanta
esperienza aveva
accumulato negli anni? Erano le sue stesse battute a ricordarglielo:
testimoni della
fioritura della donna che era diventata e dei numerosi drink che
l’avevano
accompagnata durante il processo. Così, il modo migliore che
Midge aveva
trovato per celebrare la sua prima candidatura agli Emmy Awards era
sfogliare i
suoi taccuini, dal primo all’ultimo, come se fossero dei
libri di storia o, più
modestamente, dei cari vecchi amici.
Sul
divano, con le gambe incrociate e con i fogli imbrattati di inchiostro
sul
grembo, stava ripercorrendo gli ultimi anni della sua carriera.
L’indice faticava
a seguire il passo della mente, andando di riga in riga senza indugio.
La foga,
però, si interruppe su una pagina vuota, che spiccava
notevolmente rispetto
alle altre piene zeppe di annotazioni e scarabocchi: era il giorno
più brutto
che avesse mai vissuto.
Infatti,
se per Midge, il
suo primo Yom Kippur da donna tradita era come un
biscotto bianco e
nero, diviso in due metà equilibrate, la sera in cui seppe
dell’overdose di
Lenny poteva essere paragonata a un pezzo di carbone ardente nelle
viscere.
Non
riuscì a trattenere
le lacrime. La rabbia che provava correva parallela alla disperazione e
bruciava ancora, nonostante fossero passati due anni
dall’accaduto. Senza
pensarci troppo richiuse il taccuino e lo lanciò il
più lontano possibile dal
punto in cui si trovava.
I
bambini erano già da
Joel e Mei, dove sarebbero rimasti per il fine settimana, e in quel
momento Midge
aveva paura della solitudine. Proprio quando i ricordi iniziavano a
pesarle
insopportabilmente, sentì bussare alla porta. Non aspettava nessuno,
perciò quando andò ad
aprire lo fece con il mascara sciolto sulle guance.
«Signora
Maisel, scusi
l’orario ma ho ricevuto precise indicazioni per questa
consegna.»
Jerry,
il portinaio,
aveva la fronte imperlata di sudore e tra le braccia un imponente bouquet
di peonie di varie tonalità di rosa. Questo, perlomeno, gli
impediva la vista
del suo aspetto impietoso, ma la voce con cui lo ringraziò
bastò a rendergli
chiaro quale fosse lo stato d’animo in cui versava la giovane
comica. Come per
rassicurarla, dopo averle consegnato i fiori, non andò
subito via ma le tese la
mano e manifestò la sua ammirazione,
«Congratulazioni per la candidatura,
davvero. Io e mia moglie guardiamo sempre il suo programma e lo
adoriamo!»
«Sei
molto gentile,
Jerry. La nuova stagione partirà tra pochissimi
mesi.»
Ora
le si stava
sciogliendo anche il cuore vedendo l’entusiasmo nello sguardo
dell’uomo.
«Allora,
aspetto un suo
segnale come concordato.»
Jerry
indicò il
bigliettino in cima al mazzo di fiori con sguardo eloquente,
«Spero soltanto
che nel frattempo il suo spasimante non prenda un brutto
raffreddore…»
Midge
non sapeva cosa rispondere. Annuì automaticamente e si
ritirò in casa.
A
giudicare dall’aspetto quasi incomprensibile, la mano che
aveva scritto quella
nota doveva aver avuto fretta di liberarsi dell’ansia di un
pensiero maturato a
lungo nella sua testa. Era strano rincontrarlo attraverso un foglio: la
frequenza dei palpiti cardiaci era proprio come se lo avesse
lì difronte in
carne ed ossa, anche se la paura andava via via trasformandosi in
eccitazione
con il passare dei secondi.
Divorò
il contenuto della lettera senza preoccuparsi di trovare un vaso o
anche
semplicemente di separarsi dal mazzo di fiori.
“Cara
Upper West Side,
sono
certo che il mio sarà il centunesimo mazzo di fiori in
questa giornata così gloriosa
per il tuo lavoro, ma se non altro saprai distinguerlo dal resto. Amo i
numeri
dispari, ricordi?
Ho
approfittato del tuo povero portinaio – anche se scommetto
che il suo conto in
banca è comunque più florido del mio –
perché mi comunicasse la tua risposta al
mio invito. Mi ha appena augurato che non ci vogliano delle ore per
decidere se
hai voglia di ascoltare quello che ho da dirti oppure mandarmi
all’inferno,
dove ti assicuro ho una suite già prenotata per conto di
diverse persone.
La seconda cosa che mi è mancata di più di New
York è la pioggia, ma non sono
più un ragazzino e vorrei risparmiare a mia figlia
l’umiliazione di dover dire
che suo padre ha lasciato questo mondo per una banale polmonite.
Capirò
se tutti i tuoi ombrelli sono rotti.
Lenny”
Una
volta terminata la
lettura, Midge si morse il labbro; fece qualche passo verso la finestra
più
vicina e lo vide seduto di spalle su una panchina, mentre attendeva
stringendosi nella sua classica giacca nera, che nulla poteva fare
contro
l’inclemenza della pioggia. Lasciò tutto quello
che aveva in mano e si
precipitò sul pianerottolo per prendere
l’ascensore. Jerry le rivolse un
sorriso soddisfatto e fece per adempiere al suo compito, ma Midge lo
fermò e,
dopo aver inspirato profondamente per ricomporsi, si avviò
all’uscita.
«Hai
indovinato! Tutti i
miei ombrelli sono rotti», urlò lei in modo da
farsi sentire.
Lenny
si voltò all’istante,
ma non si mosse di un centimetro.
«E
le riviste di Vogue
che ho in casa sono tutta l’eredità dei miei
figli. Perciò, dovrai
accontentarti dell’ombrello di Jerry.»
Sebbene
la pioggia fosse fitta, riuscì a individuare la traccia di
un ghigno sul suo
volto, il che la rese piuttosto compiaciuta. Non tutti gli ombrelli
erano
perduti, dopotutto.
In
ascensore si osservarono in silenzio, agli antipodi della cabina.
Durante la salita
verso il piano dell’appartamento, lo vide tremare in balia di
brividi che
probabilmente non derivavano dal freddo.
Midge
era disposta ad
aspettare anche ore purché fosse lui a prendere
l’iniziativa, ma ciò non fu
necessario.
«Sono
pateticamente
fradicio e tu non hai niente di divertente da dire?» Il tono
della domanda era
ironico ma il velo di tristezza che aveva negli occhi comunicava
tutt’altro.
«Ti
presterei la mia
vestaglia, ma sono abbastanza sicura che peggiorerebbe la
situazione.» Non poté
fare a meno di arrossire notando la sua espressione niente affatto
innocente.
«È
molto trasparente»,
commentò Lenny, facendo vagare gli occhi lungo il suo corpo.
«Al
punto giusto, direi.»
«Non
che me ne lamenti.»
Non
voleva che si accorgesse dell’effetto che quella
conversazione stava sortendo
su di lei. Pensò, dunque, che fosse meglio dargli le spalle
fino alla fine
della corsa.
Nella
fretta di uscire,
aveva dimenticato la porta di casa aperta. Per fortuna, poteva fidarsi
dei suoi
vicini: nessuno di loro, infatti, aveva manifestato una verve
comica
tale da portarla a temere che potessero rubarle il mestiere; quindi,
sebbene il
materiale inedito bell’esposto sul tavolino del salotto fosse
al sicuro da
improbabili plagi, non lo era dalla curiosità di Lenny.
Nascose tutto sotto i
cuscini prima che lui potesse rendersene conto.
«Ti
preparo degli
asciugamani e dei vestiti asciutti con cui cambiarti.»
«Non
vuoi che ti rovini
il divano?»
«Hai
idea di quanto costi
un divano al giorno d’oggi?»
Midge si
finse sconvolta dalla sua ingenuità.
«Questo
mi sorprende. Mi
hanno detto che la Weeknights paga bene.»
«Mhmm,
non così bene da coprire
le spese della tua assistenza medica se non ti sbrighi a riscaldarti un
po'.»
Lenny
annuì e la seguì lungo il corridoio, non prima
però di gettare un’occhiata al
taccuino rosa abbandonato sul tappeto della sala da pranzo.
Lenny
entrò nella stanza
dove lo aveva condotto Midge. Era un ambiente molto accogliente, che
rispecchiava
l’indole della sua proprietaria.
«Bene.
Prenditi tutto il
tempo che ti serve.» Disse Midge mentre apriva un cassetto
del comò per tirare
fuori gli asciugamani.
«Ti
stai preoccupando
troppo per me.»
«Non
capita tutti i
giorni di avere Lenny Bruce in camera da letto. Ora, togliti i vestiti
ed entra
nella vasca da bagno.»
«Non
sono venuto qui per
approfittare della tua ospitalità, lo sai vero?»
«Immagino
di no, visto
che hai dovuto prendere un aereo.»
«Non
sto scherzando.»
«So
che la tua allergia
all’Upper West Side è una cosa seria.»
«Ne
parliamo quando avrò
smesso di tremare. D’accordo?»
Mentre
si sbottonava la
camicia, Midge cercò di distrarsi voltandosi
dall’altra parte. Era meglio
lasciargli un po' di privacy. Lenny sogghignò nel vederla
così imbarazzata,
«Ehi, pensi veramente che io possa vergognarmi di
te?»
Midge
continuò a parlargli
senza girarsi, «Non ci vediamo da due anni, Lenny. Le cose
possono essere
cambiate.»
«Alcune
cose non cambiano.»
«Torno
subito.»
Socchiuse
la porta e andò in cucina per bere un bicchiere
d’acqua.
Dopo
dieci minuti, Midge
mise da parte il riserbo ed entrò in camera, dove dispose
sul letto una delle vecchie
vestaglie di suo padre. Le parve che Lenny fosse ancora in bagno,
così ne
approfittò per raccogliere i vestiti bagnati da terra e
sistemarli in modo da farli
asciugare.
Non
le importava di
rovinare la camicia da notte: la sola idea di non poter più
sentire il suo
odore era in grado di distruggerla. Se non fosse passato
così tanto tempo
dall’ultima volta in cui l’aveva visto sarebbe
stata capace di trattenersi, ma
la tentazione di averli sottomano e di annusarne il profumo fu
più forte di
lei. Ricordava perfettamente la sensazione della sua pelle sotto le
labbra, una
sensazione di cui però si lamentava di non aver potuto
godere abbastanza.
Quando
Lenny la raggiunse,
Midge notò il taccuino nelle sue mani. Aveva gli occhi
lucidi.
«Cosa
vuol dire?»
Evidentemente
aveva colto
ciò che lei non era riuscita a scrivere. Un foglio bianco
tra tutte le pagine
dense di appunti doveva pur significare qualcosa.
«Che
quel giorno ero a
corto di battute.»
Si
sedette accanto a lei
e intrecciò le dita nelle sue. Midge non fece alcuna
resistenza.
«Deve
essere stato
terribile.»
Qualcosa
di caldo sul
viso le fece capire che i tentativi di reprimere le lacrime erano
falliti. Ingoiò
un singhiozzo e trovò la forza di baciarlo per rispondergli
nell’unico modo
possibile. L’ardore con cui si precipitò su di lui
lo portò a cadere
all’indietro. Così, si ritrovavano abbracciati sul
letto.
Ansimando,
Lenny le
bisbigliò, «Quando ti ho detto che non provavo
nulla per te, sapevi che era una
bugia, vero? Ho disperatamente bisogno di sentirmi dire di
sì.»
«I
miei dubbi non sono
durati più di cinque minuti. Contento?»
Erano
tornati gli occhi
lucidi e Midge trovò naturale accarezzargli la guancia
teneramente.
«È
stato un modo dozzinale
per non coinvolgerti nel mio “dramma”. Avevo
bisogno di disintossicarmi lontano
da New York, e intendo letteralmente.»
«Hai
aspettato parecchio
prima di farti vivo!»
«Volevo
presentarmi da te
con una garanzia solida tra le mani.»
Midge
riprese a
sorridere, «E allora le peonie?»
Lenny
le baciò la punta
del naso facendola ridere come una bambina. Poi, fece in modo che si
accomodasse
sul suo petto per stringerla a sé, «Un segno di
pace.»
«Solo
questo? Sono un po'
delusa, signor Bruce…»
«Spero
che su quella
pagina vuota», indicò il diario piegando
leggermente la testa di lato, «tu
possa trovare una risposta più soddisfacente.»
Midge
si separò da lui
svogliatamente per poter leggere il suo messaggio. Nel giorno
più brutto, le
parole più belle e dense di vita campeggiavano ripetendosi
su tutto lo sfondo:
“Ti amo.”
«Volevi
che mi arrivasse
forte e chiaro?»
«Ho
sempre pensato che non
si dicano mai abbastanza “ti amo”.»
Riuscì
ad attrarla di
nuovo a sé, «E per quanto preferisca esprimertelo
in modi più sottili e meno
banali, a volte bisogna parlare con chiarezza per evitare
fraintendimenti.»
«Vuoi
dire che non dovrò
aspettare ancora molto prima di ascoltare quelle parole dalla tua voce
profonda
e seducente?»
«Troppe
domande, signora
Maisel…», cercò di baciarla, ma Midge
lo trattenne.
«Se
sparirai un’altra
volta, mi spezzerai il cuore.»
Lenny
la ribaltò su letto
e le passò dolcemente una mano tra i capelli. Percepiva
l’accelerazione del suo
battito proprio sotto il cuore.
«Ho
imparato a non promettermi
nulla. Ma ho troppo rispetto per te e non mi perdonerei mai se venissi
meno a
questa promessa: la mia missione è quella di proteggere il
tuo sorriso.»
«E
rendermi una persona
migliore.»
Scosse
la testa, «No,
solo più fedele a te stessa.»
Dopodiché
la aiutò,
ancora una volta, a rimuovere il superfluo, ad abbandonare i vecchi
schemi per
ritrovarsi nel cuore di se stessa: sotto strati di tulle ormai
inappropriati
alla sua nuova pelle, la vera Midge.