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Autore: _p_ttl_    09/10/2022    2 recensioni
Dopo quindici anni Gwaine incontra di nuovo l'unica persona che sia mai riuscita a entrargli nel cuore. L'incontro però non sarà dei migliori.
Semplicemente un po' di angst (forse?) immotivato.
[Modern!AU]
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Galvano, Morgana
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Questa OS non ha nessuna pretesa. Mi sono fortemente ispirata a due canzoni di Dargen D'amico, "Ma noi" e "Patatine", e ho esplicitato con delle note le parti in cui ho usato delle loro frasi. Giuro che dopo questa storia smetterò di lasciare i personaggi soli, tristi e abbandonati, ognuno in un modo diverso e per diversi motivi, ma sempre col solito pattern. Devo smetterla con la gente che si rende conto in ritardo dei propri sentimenti, che rimugina sul passato ecc. Sto diventando scontata e monotona, ma ormai l'avevo scritta, tanto valeva... ahahah. Bene, vi lascio a questa storia promettendo qualcosa di diverso per la prossima volta. Baci baci.

Quello che volevi dirmi


Gwaine era seduto più o meno al centro della tavolata, dalla parte del muro, in mezzo a Parsifal e Lancelot. Durante gli anni di liceo erano stati un trio inseparabile e ne avevano combinate delle belle. Non si sarebbe mai dimenticato di quando Parsifal gli aveva messo in testa un casco e lo aveva usato come ariete per sfondare la porta dello studio della preside mentre Lancelot correva dietro di loro con una spada di gommapiuma al grido di “I cavalieri sono arrivati a liberare il castello!”. Il problema era che il tutto, architettato per girare un video per una stupida sfida indetta da quel babbeo di Elyan, era stato fatto nel giorno sbagliato e la loro convinzione che la preside fosse assente si era rivelata errata. Sfondando la porta si erano trovati davanti la preside in persona intenta a discutere di fondi per il materiale scolastico con il vicepreside Cenred e la professoressa Morgause. Le loro facce sbalordite, immortalate da Leon che girava il video col cellulare, erano passate alla storia ma erano costate a tutti e quattro un mese di sospensione e la quasi bocciatura. In compenso erano diventati una leggenda e a distanza di quasi vent’anni le loro gesta erano ancora narrate ogni anno a tutti i nuovi iscritti. In tutti quegli anni era rimasto sempre in contatto con Parsifal, ma aveva perso di vista gli altri. Rivederli lo aveva reso entusiasta come un ragazzino e avevano subito ritrovato la stessa sintonia che avevano tra i banchi di scuola. Elyan era diventato un artigiano e aveva una rinomata bottega in cui vendeva oggetti d’arredo di sua manifattura. Lancelot si era laureato in giurisprudenza e lavorava presso un noto studio legale. Leon era invece entrato in polizia, ma questo Gwaine lo sapeva già dato che Parsifal insegnava educazione fisica nella scuola difronte il commissariato e gli aveva detto più volte di averlo incontrato. Gwaine era sinceramente felice di rivedere i suoi amici, ma il vero motivo per cui era andato a quella rimpatriata era un altro. Il vero motivo per cui Gwaine era lì quella sera aveva un nome preciso, i capelli scuri in contrasto con la pelle lattea e gli occhi chiarissimi, le mani lisce e sfilanti e uno sguardo freddo e bellissimo. Mentre chiacchierava con gli altri gettava occhiate nervose verso l’entrata del locale in attesa del suo arrivo e aveva cominciato seriamente a pensare che non si sarebbe presentata, quando finalmente fece la sua comparsa. Lo sguardo fiero era lo stesso di quindici anni prima, ma il portamento era più sicuro ed elegante. I capelli scuri erano stretti in una coda che le lasciava scoperto il viso e alle orecchie portava dei semplici e raffinati punti luce. Indossava un tailleur nero dalla cui giacca si intravedeva una camicetta color panna. Camminava disinvolta verso il tavolo con i suoi tacchi alti, il passo delicato ma deciso. Era semplicemente bellissima. Era semplicemente letale. Era semplicemente Morgana.
I loro sguardi si incontrarono quasi subito e con un sorriso che gli parve beffardo, come se volesse prenderlo in giro come era solita fare ai tempi della scuola, andò dritta verso di lui e gli si sedette difronte.
“Ma guarda un po’, non sei cambiato molto.”
Non sapeva perché ma Gwaine aveva l’impressione che volesse prendersi gioco di lui. Lui che era il figo della classe, bello e dannato, irrequieto e senza limiti. Morgana Pendragon era l’unica che lo snobbasse e gli tenesse testa, con le sue rispostacce acide, i modi dispotici e le manie di controllo. Eppure, in fondo, loro non erano tanto diversi. Entrambi avevano un disperato bisogno di libertà e la necessità di veder riconosciuto il loro vero valore. Tra un battibecco e l’altro erano diventati quasi amici e Gwaine sentiva che loro due riuscivano a capirsi. Peccato che Morgana fosse il suo punto debole e uno come lui, che odiava i vincoli e le catene, non voleva avere punti deboli. Così aveva sempre negato a sé stesso la realtà dei fatti, in verità inutilmente date le sensazioni che la vicinanza della Pendragon gli provocava e dato il fatto che ci avesse continuato a pensare per quindici anni.
“Nemmeno tu Morgana”, le rispose con un sorriso da mascalzone in pieno stile Gwaine. “Sei uguale alla foto dell’annuario scolastico”.
La guardò salutare tutti e scambiare convenevoli con quelli che più le stavano a genio, ignorando completamente ciò che le aveva detto, come se non avesse nemmeno aperto bocca. ‘Iniziamo bene’, pensò, ‘già mi snobba e fa di tutto per farmi innervosire, proprio come quindici anni fa’. Dal modo in cui parlava con Freya e Sophia, sedute alla sua destra e alla sua sinistra rispettivamente, e da alcune frasi che si scambiarono, Gwaine capì che non si erano mai perse di vista ed erano rimaste inseparabili come lo erano al liceo. Capì anche che Sophia doveva essere single dal modo in cui lo guardava, ma per quanto lei fosse una gran bella ragazza non c’era competizione. Morgana brillava di luce propria e rendeva tutte le altre pallide figure di contorno, come se fossero insignificanti personaggi secondari di una storia di cui lei era protagonista indiscussa.
Quando ebbe deciso che lo aveva ignorato abbastanza Morgana tornò a posare i suoi occhi magnetici su di lui e a curiosare sulla sua vita.
“Allora Gwaine, hai messo la testa a posto? Che lavoro fai?”
‘Di bene in meglio, non poteva partire da un’altra domada?’. Il ragazzo sospirò rassegnato. A quanto pareva doveva fare subito la figura del deficiente.
“La testa non si mette mai a posto, Morgana. La mia testa tornerà a posto quando sarò morto. Non sarei me se mi comportassi come una persona normale. Ma nonostante io sia meraviglioso,” e a queste parole si passò una mano tra i capelli ammiccando, “faccio un lavoro di merda. Faccio il meccanico in un’officina vecchia e sporca e questo mese non mi hanno nemmeno pagato.” Tanto valeva essere sinceri.
“Ah, io invece sono caporedattrice della rivista storica e mitologica Camelot e ho pubblicato tre romanzi.”
“Ah…”
‘Benissimo. Che gran bella figura di merda. Bravo Gwaine’. Lo sguardo di Morgana non nascondeva la soddisfazione. Sembrava urlare senza ritegno ‘guarda un po’, come volevasi dimostrare sono meglio di te!’.
“E sei sentimentalmente impagnato?”
“Chi io? Oh no, assolutamente no.”
“E come mai?”
“Voglio divertirmi e restare scapolo”, rispose con la sua faccia da schiaffi.
‘Perché penso a te da quindici anni e saresti stata l’unica per cui avrei messo in discussione la mia indipendenza’, urlò la vocina nella sua testa. Il giorno dopo avrebbe cercato su Google come sbarazzarsi della propria coscienza.
“Tipico di te”. Il tono di Morgana era sprezzante, nemmeno lo guardava. Stava giocherellando con un’oliva dell’antipasto e per un attimo si girò a guardare qualcosa che Freya le stava mostrando dal suo cellulare prima di tornare a chiacchierare con Parsifal.
“E tu sei impegnata?”
In realtà non voleva saperlo. Avrebbe preferito un fulmine in pieno petto piuttosto che venire a conoscenza del fatto che un altro aveva avuto più coraggio di lui a dichiararsi a una donna del genere. Ringraziò tutte le divinità che gli vennero in mente quando il cameriere si avvicinò per prendere le ordinazioni dei primi, distraendola dalla domanda a cui poi dimenticò di rispondere. Se si fosse davvero dimenticata o avesse deciso consapevolmente di non rivelargli i dettagli della sua vita sentimentale Gwaine non lo sapeva, ma non importava poi molto. All’improvviso, però, gli rivolse una domanda che non si sarebbe aspettato.
“Gwaine, l’ultimo giorno delle superiori mi dicesti che dovevi dirmi qualcosa…”
“Oh, ti ricordi ancora?”
Era sinceramente stupito. Quel giorno, pensando che non la avrebbe più rivista, era andato nel panico e le aveva quasi rivelato i suoi sentimenti. Per fortuna era rinsavito un attimo prima di farlo.
“Certo. Ma poi hai detto che mi avresti chiamato il giorno seguente per vederci e me lo avresti detto.”
“E infatti ti chiamai.”
“Sì, dicendomi che mi avresti richiamato a settembre. Pensai seriamente che fossi scemo.”
“Come se non lo avessi sempre pensato!”
La risata spontanea e cristallina di Morgana fu un pungo dritto nello stomaco.
“Be’, non mi hai più richiamato.”
“L’ho fatto ieri per chiederti se saresti venuta. Come avrai notato è settembre.”
“Sì, di quindici anni dopo!”
“Che faccio? Corro troppo?”1
Stavolta scoppiarono a ridere entrambi e Morgana piegò leggermente la testa di lato prima di prendere il suo calice di vino rosso e portarlo alle labbra per berne un sorso.
‘Semplicemente bellissima’. Solo questo riusciva a pensare Gwaine.

Il resto della serata passò tra una chiacchiera e un’altra e al momento di separarsi, all’uscita dal locale, Gwaine pensò che non poteva perdere quella che avrebbe potuto essere la sua ultima occasione. D’altronde Morgana non portava la fede. La invitò a bere qualcosa a casa sua e, con sua grande sorpresa, lei accettò. Si sarebbe piuttosto aspettato una risata di scherno e una pubblica umiliazione. Forse per quella sera il cielo era dalla sua parte. Cielo di fine estate alquanto nuvoloso, però. Infatti, non appena arrivarono a casa sua, un’intensa pioggia cominciò a cadere sulla città, rendendo difficile vedere a più di una decina di metri di distanza.
Gwaine sistemò sul tavolo in veranda una bottiglia di vino rosso e due calici e invitò Morgana a sedersi. Il suono della pioggia era rilassante e Morgana restò per lungo tempo ad osservarla cadere, seduta elegantemente a gambe accavallate.
“Ti ricordi quando litigammo perché non volli passarti il compito di matematica in quarto?”
Gwaine scoppiò a ridere a quel ricordo. La Pendragon era sempre stata brava a scuola e aveva una media schifosamente alta, mentre a lui andava bene fare il minimo per non essere bocciato. E con fare il minimo intendeva copiare ad ogni verifica e pregare i professori per la sufficienza alle interrogazioni.
“Credo che quel litigio non fosse solo per matematica”, continuò Morgana. “Credo fosse una specie di lotta per la supremazia. Io sapevo di avere un certo ascendente su di te e tu sapevi di averlo su di me. A nessuno dei due piaceva sentirsi vulnerabile e invece di coltivare un rapporto sano abbiamo continuato a farci la guerra per cinque anni.”
Gwaine restò in silenzio. Non sapeva cosa dire. Restò a fissarla col calice a mezz’aria e Morgana gli rivolse un sorriso così dolce da essere disarmante. Non le aveva mai visto quell’espressione sul viso. Sentì distintamente tutte le barriere andare in frantumi.
“Eravamo proprio messi male.”
Il tono di Morgana lasciava intendere compassione per sé stessa. Vedendo che Gwaine continuava a stare in silenzio fece un sospiro e bevve un sorso di vino.
“Però tu stavi peggio di me. Ridevi sempre ma si vedeva da lontano che stavi male.”2
Gwaine poggiò il calice sul tavolo e si versò dell’altro vino. Come avrebbe mai potuto essere felice? A casa era un continuo litigare con i suoi genitori e fuori era ossessionato dall’idea di mostrarsi forte e indipendente. Era una vera e propria ossessione, ma questo non poteva dirglielo. Come non poteva dirle che tutte le ragazze con cui usciva erano solo un modo per dimostrare a sé stesso di potersi divertire senza sentirsi legato. E che non aveva bisogno di lei.
“Gwaine, ti sei tirato la lingua?”
Si lasciò andare ad una risata nervosa e mosse lentamente la testa in un cenno di diniego.
“No, no. Solo che non mi aspettavo queste parole.”
Fu il turno di Morgana di ridacchiare.
“Perché credi che abbia accettato di venire a casa tua?”
“Non lo so, dimmelo tu.”
“Che idiota sei. Scemo eri e scemo sei rimasto. So bene cosa provavi per me. E non fare quella faccia. Credi davvero che non me ne fossi mai accorta? Sono Morgana Pendragon!”
I loro occhi si incontrarono e restarono a guardarsi per un tempo che a Gwaine parve lunghissimo. Tutti quegli anni in cui aveva creduto che rinunciando alla felicità si fosse almeno mostrato forte ai suoi occhi. Invece probabilmente si era solo mostrato come un ragazzino insicuro e ben poco coraggioso. Che stupido era stato. Aveva rinunciato a provarci per cosa? Avrebbe voluto mettersi a urlare e tirare pugni contro il muro e rovesciare a terra tavolo, bottiglia e calici. Invece l’unica cosa che fu in grado di fare fu sospirare a fondo e dire a Morgana che gli dispiaceva, per cosa non lo sapeva esattamente nemmeno lui. Morgana attese pazientemente che si riprendesse prima di esprimere la volontà di andarsene. Gwaine si offrì di riaccompagnarla ma lei rifiutò dicendogli che avrebbe preferito prendere un taxi. Prima di uscire dal suo appartamento gli chiese di non chiamarla più e di cancellare il suo numero. Gwaine non ebbe nemmeno la forza di chiederle perché. Forse in realtà lo capiva. Forse anche lui avrebbe dovuto chiudere quel capitolo, perché sapeva bene, come doveva saperlo Morgana, che loro due non erano fatti per stare insieme. C’era un motivo se avevano continuato a battibeccare per cinque anni. Erano due persone irrisolte e bisognose di essere le uniche padrone di loro stesse. La loro sarebbe stata sempre una lotta per la superiorità e si sarebbero distrutti a vicenda se avessero provato a costruire altro. Senza contare che Morgana non lo aveva mai nemmeno considerato in quel modo. Guardandola andare via Gwaine pensò che fosse semplicemente bellissima. Che fosse semplicemente letale. Che fosse semplicemente Morgana.
‘Sei più bella se te ne vai via. Sfioriresti se restassi in mano mia, Morgana. Resta sempre come sei.’3









1”Io poi mi sono detto: "La chiamo domani"
Ma domani era estate e ti disturbo d'estate? No
Ma pure io avevo un po' perso il senso
La chiamo a settembre e come avrai notato oggi è settembre
Sì settembre di vent'anni dopo
Che faccio? Corro troppo?”
- Ma noi, Dargen D’Amico
2“I commenti sono buoni, ma qualcuno dice
"Sto ragazzo ride sempre, ma non è felice"”
- Patatine, Dargen D’Amico
3 “Ma so che sfioriresti se resti in mano mia
Sei più bella se te ne vai via”
- Patatine, Dargen D’Amico
  
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